lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale con “The Christmas Books” di Charles Dickens


Natale è arrivato! Tanti auguri a tutti voi ed alle vostre famiglie! Che possa essere un giorno pieno di gioia e che porti armonia e pace nelle vostre vite e in quelle dei vostri cari…

Ho pensato che il modo migliore per farvi gli auguri fosse quello di ricordare insieme i famosi “Libri del Natale” (The Christmas Books) scritti da Charles Dickens tra il 1843 ed il 1848:

“Un canto di Natale” (The Christmas Carol)

“Le campane” (The chimes)

“Il patto con il fantasma” (The haunted man)

“La battaglia della vita” (The battle for life)

“Il grillo del focolare” (The cricket on the hearth)

Nelle pagine di questi brevi racconti, così suggestivi e talvolta surreali, Dickens ci racconta il Natale e la sua magia. In queste pagine scritte per un pubblico adulto così come per i più piccoli, lo scrittore ci invita a cercare la semplicità delle cose, suscitando in noi sentimenti di tolleranza verso il prossimo e facendoci volgere lo sguardo verso i più bisognosi, verso coloro che sono stati meno fortunati di noi. Dickens sa ricreare perfettamente l’atmosfera natalizia, quell’atmosfera di pace e serenità che si può ritrovare solo davanti al focolare domestico e nelle piccole ed umili azioni quotidiane.

Augurandovi ancora un sereno e lieto Natale, vi saluto con l’incipit di “Un canto di Natale”, forse il più famoso dei cinque racconti grazie anche alle sue numerose trasposizioni cinematografiche.

Marley era morto. Tanto per cominciare. Su questo non c’è alcun dubbio. Il certificato delle esequie era stato firmato dal pastore, dal segretario della parrocchia, dal becchino e da un parente. L’aveva firmato Scrooge. E in Borsa il nome Scrooge godeva gran credito, qualsiasi cosa decidesse di fare.
Il vecchi Marley era morto come un chiodo piantato in una porta.
Attenzione! Non intendo dire di sapere, per conoscenza personale, che cosa mai ci sia di particolarmente morto in un chiodo piantato in una porta. Per quanto mi riguarda, sarei stato propenso a credere che sia un chiodo piantato in una bara l’articolo di ferramenta più morto sul mercato. Ma la saggezza dei nostri antenati sta nella similitudine e le mie mani profane non debbono turbarla, o sarebbe la rovina del paese. Mi permetterete, dunque, di ripetere con enfasi che Merley era morto come un chiodo piantato in una porta.

domenica 16 dicembre 2012

“Zastrozzi” di Percy Bysshe Shelley


Shelley scrisse “Zastrozzi” all’età di 17 anni mentre frequentava l’ultimo anno ad Eton College. Due furono i romanzi scritti dal poeta durante questo periodo “Zastrozzi” e “St. Irvyne or the Rosicrucian” entrambi pubblicati nel 1810. 
Come più volte sottolineato dalla critica, entrambe le opere sono di scarso valore letterario, ma hanno un loro valore in quanto anticipano tematiche che saranno poi ampiamente sviluppate nella poetica di Shelley.
“Zastrozzi” è a tutti gli effetti un romanzo gotico che molto deve alla tradizione di questo genere e ai suoi autori, primi tra tutti si possono notare i molti i richiami ad Anne Radcliffe (The Mysteries of Udolpho, 1794) e a Matthew Gregory Lewis (The Monk, 1797).
La trama del romanzo è in realtà molto semplice:
Zastrozzi aiutato dai suoi due compari, Bernardo ed Ugo, rapisce Verezzi che alloggia in una locanda e lo nasconde in una caverna dove lo tiene incatenato al buio nutrendolo solo con pane ed acqua. A seguito di un forte temporale, il tetto della caverna crolla e, a causa delle pessime condizioni di salute del prigioniero, Zastrozzi, che lo vuole comunque mantenere in vita, decide di lasciarlo alle cure di una domestica di fiducia in una dimora nascosta ed isolata. Una volta ritrovate le forze, Verezzi riesce a fuggire ed arriva nella località di Passau. Qui viene raggiunto da Matilda, contessa di Laurentini che lo convince a trasferirsi a casa sua. Matilda, innamorata di Verezzi è in realtà d’accordo con Zastrozzi. Mentre quest’ultimo vuole vendicarsi di Verezzi a causa dei torti subiti dalla madre (sedotta e abbandonata proprio dal padre di questo), Matilda vuole annientare e uccidere la sua rivale in amore, la bella Giulia, promessa sposa dello stesso Verezzi.
L’ambientazione di "Zastrozzi" è tipica del romanzo gotico: ombre cupe e minacciose, case e castelli solitari, prigioni e segrete, boschi bui e minacciosi, su uno sfondo caratterizzato dall'infuriare di tempeste e dallo scatenarsi violento di tutti gli elementi naturali.
Nel romanzo shelleyano però i mostri leggendari ed i fantasmi che animano la storia sono di tipo diverso da quelli presenti nel romanzo gotico vero e proprio. In "Zastrozzi" l’elemento magico scompare per lasciare posto all'indagine dei processi mentali e della psicologia dei protagonisti; il racconto è in realtà il racconto delle passioni (amore, lussuria e sete di vendetta) che muovono i quattro personaggi principali di questo breve dramma: Matilda e Giulia, Zastrozzi e Verezzi.
Matilda e Zastrozzi (i malvagi) sono uniti dalle loro macchinazioni contro la coppia di innamorati formata da Giulia e Verezzi (gli eroi del bene).
Percy Bysshe Shelley  (1792 - 1822)
Mentre Matilda, la crudele seduttrice ossessionata e dominata dall'oggetto della sua lussuria nelle ultime pagine si pentirà della sua condotta e, riconciliatasi con la religione, proverà rimorso per i crimini commessi, Zastrozzi il suo coraggioso complice, al contrario, affronterà la morte dignitosamente, fermamente convinto di aver agito per il meglio, fiero del suo comportamento. 
Giulia è l’antitesi della contessa di Laurentini, così come quest’ultima rappresenta la sensualità, così Giulia rappresenta la bellezza angelica e la purezza; sarà proprio questo sentirsi oppresso e preso in trappola tra questi due impulsi opposti ed inconciliabili che porterà il povero Verezzi ad uccidersi pugnalandosi a morte.

“La mia regola è quella di apparire calmo, a dispetto degli eventi, a dispetto delle passioni più profonde. Di solito lo sono poiché non permetto che le ordinarie vicende o gli imprevisti mi tocchino: la mia anima si indurisce davanti alle prove più ardue. Ho uno spirito ardente, impetuoso come il tuo, ma la conoscenza del mondo mi ha indotto a celarlo, sebbene continui a bruciare dentro di me. Credimi, non ho alcuna intenzione di distoglierti dal tuo intento; io l’ho provato una volta, ma ora la vendetta ha ingoiato ogni altro sentimento e mi sento vivo soltanto per questo scopo. Ma anche se volessi dissuaderti dal proposito su cui ti sei fissata, non direi che è sbagliato tentare. Ogni cosa che procuri piacere è giusta e congeniale alla dignità dell’uomo, che è stato creato soltanto per essere felice; altrimenti a quale scopo avremmo le passioni? Perché quelle emozioni che si agitano nel petto e che fanno impazzire sono state impiantate in noi dalla natura? Quanto poi alla speranza confusa in una vita futura, perché mai dovremmo privarci della felicità, anche se ottenuta nel modo che i più sprovveduti chiamano immorale?”.
Così parlava Zastrozzi, in maniera sofisticata. La sua anima, resa insensibile dal crimine, non poteva che albergare idee confuse di felicità immortale.
  
Secondo l’opinione della critica, la vera importanza di questo breve romanzo va ravvisata proprio nel poter intravedere nella figura di Zastrozzi un abbozzo del futuro trasgressore prometeico, dell'eroe romantico delle opere più mature di Percy Bysshe Shelley.




Bigliografia:
Percy Bysshe Shelley, “Zastrozzi” con introduzione di Giovanna Silvana, Firenze 2002, Aletheia) 

sabato 1 dicembre 2012

“Colazione da Tiffany” di Truman Capote


“Colazione da Tiffany” (Breakfast at Tiffany’s) è un romanzo scritto da Truman Capote (1924-1984) pubblicato nel 1958. La storia di Holly Golightly è però nota al grande pubblico più per la celebre trasposizione cinematografica del 1961, interpretata da una bravissima e bellissima Audrey Hepburn, piuttosto che per il racconto letterario.
In realtà tra il romanzo e il film ci sono notevoli differenze, senza nulla togliere alla versione cinematografica che è da considerare comunque un capolavoro, si può comprendere perfettamente il risentimento e la delusione di Capote per il “tradimento” perpetrato ai danni della sua opera una volta venduti i diritti cinematografici alla Paramount Pictures.
Ad una lettura superficiale del romanzo la maggiore differenza che colpisce è ovviamente il diverso finale. Nel film assistiamo ad un classico happy ending hollywoodiano tra Holly e lo scrittore squattrinato che qui ha, non solo un nome (Paul Vorjak), ma anche un background (viene mantenuto dalla sua “arredatrice” una donna sposata e più anziana di lui) completamente estranei al testo di Capote. Il finale del libro invece rimane “aperto”: Holly partirà per il Brasile senza dare più notizie di sé.
Lo scrittore è effettivamente innamorato di Holly anche nel libro, ma è un amore diverso, sembra, in effetti, non esserci nessuna attrazione fisica nonostante lui si riconosca comunque geloso di lei. Il sentimento resta incerto ed ambiguo, solo accennato, nonostante ad un certo punto lui pronunci queste parole “Sei meravigliosa. Unica. Ti amo.”

Oppure, e la domanda è legittima, il mio sdegno derivava, sia pure in piccola parte, dal fatto che ero innamorato di Holly? In parte, sì. Perché ero davvero innamorato di lei. Come una volta ero stato innamorato dell’anziana cuoca negra di mia madre e di un postino che mi permetteva di seguirlo nei suoi giri e di una intera famiglia di nome McKendrick. Anche questo tipo di amore genera gelosia.
 
La storia della “Signorina Holiday Golightly, in transito”, una ragazza fragile ma caparbia, un po’ svampita anche se cinica, egoista e generosa al tempo stesso, capricciosa, fragile e sognatrice raccontata nelle pagine di Capote non sembra apparentemente così diversa da quella della Holly che appare sul grande schermo ad eccezione di qualche particolare fisico (per esempio il colore dei capelli) e dalla mancanza della classe e dell’eleganza proprie della Hepburn che inevitabilmente hanno dato un fascino diverso alla protagonista del film rispetto a quella del libro.

“Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell.” Lo ammonì Holly. “E’ stato lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica. Un falco con un’ala spezzata . E una volta un gatto selvatico adulto con una zampa rotta. Ma non si può dare il proprio cuore ad una creatura selvatica; più le si vuol bene più forte diventa. Finchè diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero. Poi su un albero più alto. Poi in cielo. E sarà questa la vostra fine, signor Bell, se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica. Finirete per guardare il cielo.”

Non ci sono solo le già citate differenze tra la versione dello scrittore, l'io narrante del romanzo ed il co-protagonista nel film, ma anche altri personaggi nella versione cinematografica hanno subito “rimaneggiamenti”. Tra questi troviamo Mag Wildwood, la modella balbuziente che nel libro condivide per qualche tempo l’appartamento con Holly, in realtà nel film diventa solo una semplice comparsa. Altri personaggi poi sono stati proprio eliminati: non c’è nessuna traccia nel film del barista Joe che nel romanzo è proprio colui che fornisce il pretesto all’io narrante di raccontare attraverso un lungo flashback la storia di Holly Golightly.
In “Colazione da Tiffany” c’è molto di autobiografico (i riferimenti all’omosessualità, il nome della madre, la professione dello scrittore). Truman Capote ebbe un’infanzia molto difficile, figlio di genitori separati, crebbe presso dei parenti. La madre lo andava a trovare occasionalmente e spesso lo portava con sé durante i suoi incontri con l’amante di turno, lasciandolo chiuso a chiave al buio nelle varie stanze d’albergo. Il padre, sempre alla ricerca di ricchezza e di un facile successo, sparì dalla vita di Capote salvo ricomparire quando lo scrittore raggiunse il successo. Fece scalpore un’intervista che Truman Capote rilasciò al New York Times dicendo di se stesso “Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono omossessuale. Sono un genio”. Fu proprio per questi suoi atteggiamenti che spesso venne paragonato ad un Oscar Wilde contemporaneo. Negli ultimi anni della sua vita collezionò una serie di fallimentari relazioni sentimentali con uomini interessati esclusivamente al suo denaro; intossicato dai sonniferi e dall’abuso di superalcolici, morì poco prima di compiere 60 anni.
Nel libro ci sono spesso allusioni ad una possibile bisessualità di Holly che nel film vengono completamente eliminate così come nel film viene omessa la gravidanza della protagonista. La stessa Mag Wildwood la modella balbuziente, che nel film ha così poco spazio, nel libro alla sua prima apparizione dà comunque l’impressione di una possibile bisessualità.

Avevo una compagna di stanza a Hollywood, che recitava nei western, la chiamavano la Guardia a Cavallo; ma devo riconoscerle che in casa era meglio di un uomo. Naturalmente, gli altri non potevano fare a meno di pensare che fossi un po’ lesbica anch’io. E lo sono naturalmente. Tutte lo siamo, un po’. E con questo?

E’ più vicino al mio ideale Nehru; o Wendell Wilkie. E sarei sempre pronta a prendermi la Garbo. Perché no? Una persona dovrebbe poter sposare uomini o donne o… stammi a sentire, se tu venissi a dirmi che vuoi metterti con un cavallo da corsa rispetterei il tuo sentimento. No, parlo sul serio. L’amore dovrebbe essere libero. Ne sono profondamente convinta (…)

La versione cinematografica di “Colazione da Tiffany” riduce molto la denuncia di Capote di una società ipocrita e perbenista dove diplomatici e personaggi dell’alta società non esitano a scaricare “la prostituta” per salvare il loro buon nome e la loro posizione.

Mio marito ed io quereleremo, decisamente, chi tenterà di collegare i nostri nomi a quella re-re-repellente e de-de-degenerata ragazza. (Signora Trawler)

Ho la mia famiglia da proteggere e il mio nome, e sono un vigliacco quando si tratta di queste istituzioni. (Josè)

 Gli ho detto di interessarsi alla faccenda, e di mandarmi il conto. Ma di non fare mai, assolutamente, il mio nome, capite. (O.J. Berman)

La cover girl diventa così l’unico personaggio “onesto”.

Voglio dire, non si può sbattersi un uomo e incassare i suoi assegni e non cercare almeno di credere che lo si ama. Non l’ho mai fatto, io.
 
Non un’onestà di tipo legale (…) ma un’onestà nei confronti di se stessi. Sii quello che vuoi ma non un vigliacco, un fanfarone, un ladro di emozioni, una sgualdrina; preferirei avere il cancro piuttosto che un cuore disonesto.

Segnalo, per chi avesse l’occasione e fosse interessato, che la compagnia teatrale “Gli Ipocriti” con Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia, sta portando in scena per la regia di Piero Maccarinelli, l’adattamento teatrale di Samuel Adamson di “Colazione da Tiffany”. Questa versione dovrebbe avvicinarsi di più al testo di Capote, ispirandosi anche alla sua biografia, piuttosto che al modello cinematografico.