mercoledì 23 gennaio 2013

George Orwell (1903 – 1950)

George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blaire) nasce nel 1903 a Motihari nel Bengala dove il padre, di origine anglo-indiana, era funzionario statale.
Nel 1904 torna in Inghilterra con la madre e le due sorelle. Nel 1917, ottenuta una borsa di studio presso il collegio St. Cyprian di Eastbourne, viene ammesso ad Eaton dove resta quattro anni.
Nel 1922 si arruola, seguendo le orme paterne, nella Polizia Imperiale in Birmania; Orwell è duramente segnato da questa negativa esperienza di vita, disgustato dall’arroganza imperialista, non riesce ad accettare la funzione repressiva impostagli dal ruolo che è costretto a svolgere.
Nel 1928 lascia la Polizia Imperiale e si trasferisce a Parigi dove vive di espedienti e della carità popolare. L’anno successivo, nel 1929, torna a Londra dove continua a vivere nell’indigenza.
Nel 1936 si sposa e parte volontario per la Spagna arruolandosi nelle brigate antifranchiste. Trasferito a Barcellona si arruola tra i trotzkisti, ma quando questi vengono dichiarati fuori legge dal governo repubblicano a maggioranza comunista lascia in fretta la Spagna e fa ritorno in Inghilterra.
In patria collabora con riviste, giornali e cura una serie di trasmissioni per la BBC.
Muore di tubercolosi a Londra nel 1950.

Così a grandi linee può essere riassunta la vita di George Orwell, opinionista politico-culturale e romanziere, considerato uno dei saggisti più conosciuti del XX secolo. Le sue opere più famose sono “ La fattoria degli animali” (pubblicato nel 1945) e “1984” (uscito nel 1948).
Ultimamente ho avuto occasione di rileggere in lingua originale due suoi romanzi, certamente meno conosciuti, ma che a mio avviso sono molto interessanti perché fondamentali per capire il carattere, l’ideologia e il pensiero di Orwell: “Senza un soldo a Parigi e a Londra” (“Down and Out in Paris and London”) e “La strada di Wigan Pier” (“The Road to Wigan Pier”).
Franco Garnero, nel suo saggio “Giustizia e libertà” (prefazione a “Romanzi” di Orwell, Mondadori), pur definendo la scrittura di Orwell una scrittura politica, ritiene che lo scrittore non debba e non possa essere definito un politico nel senso stretto del termine, sia per la forte avversione che nutriva per le ideologie sia per la sua ossessione di voler raccontare sempre la verità oggettiva dei fatti. In tutti i suoi libri, infatti, Orwell si sforza, per quanto possibile, di non prescindere mai da questo principio di “oggettività” dichiarando sempre che quanto raccontato è il frutto di un’esperienza diretta o di una testimonianza altrui della quale indica sempre il grado di attendibilità.
E proprio a questi principi sono pienamente riconducibili i due libri da me sopra indicati.

“Senza un soldo a Parigi e a Londra” opera prima di George Orwell esce nel 1933. Il romanzo racconta le esperienze di vita vissute nelle due capitali europee immediatamente dopo essersi dimesso dalla Polizia Imperiale in Birmania nel 1928.
Attraverso le pagine di questo libro lo scrittore ci racconta lo squallore e la miseria dei bassifondi parigini, la fatica di trovare un luogo dove dormire e la fortuna di riuscire ad ottenere un lavoro per poter sopravvivere, anche se un lavoro umile come quello del lavapiatti, un lavoro massacrante che riduce un uomo ad uno schiavo, costretto a lavorare fino a 18 ore al giorno, senza più tempo per “vivere”. Orwell ci porta a conoscenza di un mondo sconosciuto fatto di elemosina, lenzuola usate, pidocchi, sporcizia e visite al banco dei pegni, un mondo dove la dignità dell’essere umano è continuamente calpestata. Quello che colpisce di più è che, anche all’interno di questa società del sottosuolo, imperversi una divisione classista: così il lavapiatti è l’ultimo gradino dei lavoratori di alberghi e ristoranti, i mendicanti e i barboni sono ben al di sotto di coloro che disegnano per la strada in cambio di qualche spicciolo dai passanti e così via…
Ci sono poi le differenze evidenziate tra l’essere un barbone a Parigi piuttosto che a Londra. In quest’ultima città come sottolinea Orwell le leggi contro l’accattonaggio sono molto più severe, non è quindi concesso dormire per la strada né chiedere l’elemosina. Da qui l’obbligo di trovare ulteriori espedienti per poter sopravvivere, un esempio su tutti il partecipare a riunioni religiose in cambio di “una tazza di te”.
Questo mondo, sconosciuto ai più, viene raccontato attraverso aneddoti, anche divertenti pur nella loro crudeltà e tragicità, con dovizia di particolari. Lo stile usato è una via di mezzo tra un racconto picaresco e una cronaca giornalistica, ferma la veridicità provata in prima persona delle vicende raccontate.
Una cosa è certa: dopo aver letto questo libro mangiare in un ristorante non sarà più la stessa cosa…

“La strada di Wigan Pier” libro pubblicato nel 1937, è un volume di forte impronta socialista dove sono affrontati i temi della disoccupazione e delle condizioni dei minatori inglesi.
Il libro nasce dall’indagine che Orwell dovette svolgere su commissione del Left Book Club, un’associazione filo socialista, nelle zone colpite dalla depressione economica.
Il tema dominante di questo libro, tema peraltro comune a molti suoi scritti, è la difesa del proletariato, dei deboli e della libertà individuale. Ritroviamo inoltre il tema del classismo: Orwell, avvalendosi di elementi e racconti autobiografici, sottolinea quanto sia difficile se non impossibile abbattere il muro delle “caste”. Secondo lo scrittore il sistema classista inglese non è del tutto spiegabile in termini monetari ma si tratta a tutti gli effetti un sistema di “casta” che lui paragona a “un moderno villino mal costruito e infestato da fantasmi medievali”.
Sempre citando il saggio di Franco Garnero “il socialismo di Orwell si riassume in definitiva nella formula del proclama di The Road to Wigan Pier, “giustizia” e “libertà”, che è poco definita sul piano politico ma esprime con forza esigenze ben circostanziate su quello morale. In fondo il suo conservatorismo non è che il desiderio di moralizzare la politica e l’economia”. In effetti, Orwell è per certi versi contraddittorio quando da un lato auspica il superamento della divisione in classi della società ma dall’altro ha paura che questo accada a discapito delle qualità più distintive della classe borghese alla quale appartiene.  

Un unico avvertimento prima di augurarvi una buona lettura: non dimenticate che questi testi sono stati scritti nella prima metà del secolo scorso.



sabato 5 gennaio 2013

“La futura regina” di Philippa Gregory


Da molto tempo desideravo leggere un libro di Philippa Gregory, ma ogni volta in libreria la mia attenzione veniva poi attratta da qualche altro romanzo. Ho ricevuto “La futura regina” come regalo di compleanno e così finalmente si è presentata l’occasione di leggere qualcosa di questa autrice.

Philippa Gregory è una scrittrice e giornalista radiotelevisiva, si è laureata in Letteratura settecentesca all’Università di Edimburgo e vive nell’Inghilterra del Nord. Ha scritto diversi romanzi, tra cui “L’altra donna del re” da cui è stato tratto un film con Scarlett Johansson, Natalie Portman e Eric Bana incentrato sul triangolo amoroso tra Enrico VIII e le sorelle Bolena, Anna e Maria.





“La futura regina” è il quarto libro della serie dedicata dalla Gregory alla Guerra delle due Rose:

1. La Regina della Rosa Bianca
2. La Regina della Rosa Rossa
3. La Signora dei Fiumi
4. La Futura Regina

In questo quarto volume siamo nel 1456. Il conte di Warwick, il creatore di re, è uno degli uomini più influenti della corte di Edoardo IV. Non ha discendenti maschi, ma solo due figlie femmine: Isabella la maggiore e Anna la secondogenita. E’ proprio quest’ultima, Anna Neville, la futura regina d’Inghilterra e moglie di Riccardo III, che racconta in prima persona gli eventi che si svolgono negli ultimi anni della Guerra delle due Rose, dall’ascesa al trono di Edoardo IV fino al regno di Riccardo III.

Il libro è decisamente ben scritto, scorre veloce, la lettura è piacevole. Ma nonostante le ultime pagine siano dedicate ad un’ampia bibliografia, il libro è davvero una storia inventata a tutti gli effetti. La stessa autrice nella sua nota al termine del volume evidenzia che è una sua “idea” quella di vedere in Anna Neville una vera e propria protagonista degli anni dell’ultimo periodo che vide la lotta per il trono tra il casato dei Lancaster e quello degli York.  Molte sono le imprecisioni storiche e, ad essere sincera, anche le descrizioni di Elisabetta Woodville e della sua famiglia a volte sono davvero “imbarazzanti”. E’ vero che era un’epoca in cui anche solo pensare di consultare un “mago” che facesse l’oroscopo a Sua Maestà era considerato alto tradimento e come tale un delitto punito con la pena di morte, è vero che al tempo in cui sono ambientati i fatti la superstizione e la stregoneria facevano parte della vita di tutti i giorni, ma in questo libro è tutto davvero troppo forzato.
E’ comunque affascinante leggere la descrizione della corte, dei tradimenti e degli intrighi che vengono tramati così come sono davvero coinvolgenti le pagine che descrivono l’inizio della storia, la fuga d’amore ed il matrimonio segreto tra Anna Neville e Riccardo, duca di Gloucester, futuro Riccardo III.
Insomma nell’insieme un libro piacevole, leggibilissimo per quello che è: un romanzo molto più “rosa” che “storico” ambientato in Inghilterra in un periodo, confuso e pericoloso, in cui si combatteva una sanguinosa guerra dinastica.