mercoledì 2 luglio 2014

“Il bambino di Budrio” di Angela Nanetti

IL BAMBINO DI BUDRIO
di Angela Nanetti
NERI POZZA 
Il libro prende spunto da un fatto realmente accaduto in quanto esistette davvero a Budrio, antico castello della città di Bologna, un bambino, figlio di un povero garzaiolo, dotato di un’intelligenza superiore alla media e di una memoria prodigiosa che venne accolto sotto l’ala protettrice del predicatore del paese il quale ne scoprì le doti eccezionali e lo istruì nelle varie discipline.

Io narrante di buona parte del romanzo di Angela Nanetti è il medico di Budrio, Alberto Carradori che, in quanto amico e confidente di padre Giovanni Battista Mezzetti, fu testimone delle vicende che si accinge a raccontare.

Dentro il castello di Budrio c’era la chiesa di San Lorenzo con annesso il relativo convento abitato dai frati appartenenti all’Ordine dei Servi di Maria di cui faceva parte padre Mezzetti.

Un giorno il frate notò un bimbo che chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa e si accorse che questo bimbo di soli quattro anni, che rispondeva al nome di Giacomo Modanesi, era in verità dotato di capacità intellettuali straordinarie.
Convinse così i suoi superiori ed il padre del bambino a farsi affidare il fanciullo per istruirlo come si conveniva.

Ottenuto l’affidamento di Giacomo intraprese con esso un difficile e faticoso percorso scolastico che gli permise di condurlo nel giro di tre anni a Roma, nella chiesa di San Marcello al Corso per sostenere, alla sola età di sette anni, pubbliche delucidazioni nelle quali esibire la sua intelligenza e dare prova di quanto appreso nel corso degli studi condotti.

La sapienza dimostrata dal “dotto fanciullo” e le notevoli capacità di insegnamento dimostrate da padre Giovanni Battista scatenarono però le invidie di molti nell’ambiente ecclesiastico e non solo, sia a Roma che a Budrio.
Furono soprattutto proprio l’astio e la gelosia che condussero allievo e maestro ad una tragica fine.

Angela Nanetti dipinge un bellissimo affresco della Roma papale.

Grandiose sono le descrizioni dei monumenti, delle vie, delle chiese, dei palazzi che ci fanno rivivere i fasti di un’epoca caratterizzata dall’arte; tra gli aneddoti dell’epoca l’autrice ricorda la caduta in disgrazia del Bernini perché legato alla famiglia Barberini e l’ascesa del Borromini legato alla famiglia Pamphilj a cui apparteneva il nuovo papa.

E’ un’interessante galleria di personaggi della Roma seicentesca quella proposta dalla Nanetti e tra essi, solo per citarne alcuni, ritroviamo personaggi quali papa Innocenzo X e sua cognata, l’avida Olimpia Maidalchini.

“Il bambino di Budrio” è senza dubbio un romanzo storico ma allo stesso tempo è anche un romanzo estremamente contemporaneo come più volte ha voluto sottolineare la sua autrice nel corso di diverse interviste sul suo libro, che ricordo è stato finalista alla prima edizione del premio letterario Neri Pozza nel 2013.

La modernità della vicenda sta tutta in quel conflitto tra un maestro troppo ambizioso e un allievo dotato di un talento straordinario.
Il romanzo ci pone vari e profondi interrogativi: per esempio quanto sia giusto che i genitori proiettino le loro ambizioni e aspirazioni sui figli senza tenere conto delle loro attitudini e delle loro naturali inclinazioni.

Ci obbliga ad interrogarci sul difficile tema dell’educazione sollevando una problematica alquanto controversa ovvero quanto possano essere di aiuto nell’educazione dei bambini i metodi coercitivi o se non siano da preferire metodologie che assecondino piuttosto le predisposizioni e i talenti di ognuno di loro in quanto singoli individui.

Nel caso specifico poi del bambino di Budrio viene spontaneo chiedersi se sia stato giusto, se pur con le migliori intenzioni, rubare l’infanzia ad un bimbo di soli quattro anni, per quanto straordinariamente dotato, per farne uno strumento della grandezza divina e regalargli sì un futuro migliore di quello che avrebbe avuto crescendo con il padre naturale, ma pur sempre un futuro scelto da altri per lui senza tenere conto dei suoi desideri.
Dinnanzi alle numerose crisi del bambino, ai suoi sogni ad occhi aperti alla vista del mare e delle vele, davanti alle sue aspirazioni continuamente frustrate non era forse prevedibile si giungesse ad un tragico epilogo?
Ma siamo obbligati a guardare anche il rovescio della medaglia, quale vita avrebbe condotto Giacomo se padre Mezzetti non si fosse accorto di lui? Costretto a lavorare già all’età di quattro o cinque anni?

Nonostante tutto devo confessare che, per quanto mi sia sforzata durante la lettura del romanzo, padre Giovanni Battista Mezzetti, così orgoglioso e concentrato sui suoi obiettivi, non è riuscito a conquistarsi la mia simpatia, anche se devo concedergli il proverbiale beneficio del dubbio sul fatto che egli davvero non si rendesse conto fino in fondo dei suoi errori e delle sue mancanze.

Le simpatie tendono ad essere indirizzate piuttosto nei confronti del dottor Carradori perché, nonostante assecondi l’insegnante, non smette mai di dubitare dei suoi metodi opprimenti e di intercedere per quanto possibile presso di lui in favore del bambino per cercare di alleviarne le sofferenze psicologiche.

Inutile infine sottolineare che il libro è scritto in modo magistrale. Angela Nanetti riesce, infatti, a creare fin dall’inizio un senso di attesa, una suspense che tiene il lettore letteralmente incollato al romanzo fino all’ultima pagina.
                                                                                                                        




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