domenica 26 ottobre 2014

“Il palazzo d’inverno” di Eva Stachniak

IL PALAZZO D’INVERNO
di Eva Stachniak
SUPERBEAT
Elizaveta Petrovna salì al trono nel 1741 con un colpo di stato e, dopo aver fatto imprigionare l’infante Ivan VI e la madre di lui, la reggente Anna Leopoldovna, assunse la guida dell’impero.
Nel 1743 la zarina Elisabetta di Russia non avendo figli, decise di designare come suo erede il nipote Karl Peter Ulrich, duca di Holstein, che ribattezzerà con il nome di Pietro Fedorovic.
                                                               
“Il palazzo d’inverno” racconta gli intrighi di corte e le cospirazioni che ebbero luogo negli anni che vanno dal 1741 al 1764.
A narrarci in prima persona la storia romanzata degli eventi storici è la protagonista del romanzo Varvara “Barbara” Nikolaevna.
                
Varvara è figlia di un semplice legatore di libri nato in Polonia e giunto alla corte di Russia per mettere le proprie abilità al servizio della famiglia imperiale.
I genitori di Varvara muoiono lasciandola sola al mondo. Ha solo sedici anni quando diventa “una protetta della corona” ovvero una di quelle ragazze orfane e abbandonate accolte sotto l’ala protettrice della zarina e impiegate al suo servizio.
Varvara Nikolaevna viene assegnata al guardaroba imperiale e qui viene da subito presa in antipatia e tiranneggiata dall’altezzosa capo cameriera di corte, madame Kluge.

Grazie all’interessamento del cancelliere di Russia, il conte Bestuzev, Varvara resterà ben poco confinata tra le domestiche assegnate al guardaroba della zarina e, istruita a dovere dal suo nuovo protettore, diventerà una spia di palazzo.

Io ero una “lingua”, una “gazzetta”, la portatrice della “verità” dei sussurri. Sapevo tutto di libri cavi, bauli con doppio fondo, meandri di corridoi segreti. Sapevo come aprire i cassetti nascosti nel tuo secretaire, staccare la ceralacca alle tue lettere e far sì che non ti accorgessi che erano state manomesse. Se fossi entrata nella tua stanza, avrei rimesso a posto il capello che avevi avvolto intorno alla serratura. Se ti fossi fidato del silenzio della notte, io avrei origliato i tuoi segreti.

Grazie al suo carattere intraprendente ed alle sue innate capacità Varvara diventerà ben presto, grazie ai suoi racconti, indispensabile non solo al conte ma alla zarina stessa.

Tra gli insegnamenti di Bestuzev ci sono però importanti regole da rispettare come non provare mai a tradirlo né cercare di ingannarlo, non abbassare mai la guardia, non fidarsi di nessuno e mai, mai per nessun motivo affezionarsi e legarsi a qualcuno.

Un giorno però giunge alla corte di Russia, la giovanissima principessa Sofia Federica Augusta Anhalt-Zerbst, che la zarina Elisabetta ha scelto come futura moglie del proprio successore.

Sofia, che cambierà il suo nome in Caterina, con la sua dolcezza ma soprattutto con la sua solitudine e le sue paure, farà breccia nel cuore di Varvara che per lei abbandonerà la sua prudenza sostenendola anche contro la volontà dello stesso Bestuzev che, contrario alla scelta della zarina, trama nell’ombra per mandare a monte il matrimonio e rispedire in patria la principessa.

Negli anni la scelta di sostenere Caterina da parte di Varvara si rivelerà una scelta coraggiosa, difficile e pericolosa, ma si rivelerà per certi versi anche la scelta vincente.

Caterina, infatti, è destinata ad un grande futuro, sarà ricordata da tutti come Caterina la Grande, una sovrana illuminata.
Una sovrana che amava dedicarsi alla lettura e amava leggere gli scritti di Voltaire, Diderot e Montesquieu.  
Sotto la sua guida la Russia conobbe uno dei periodi di maggiore riconoscimento a livello europeo.

Il romanzo di Eva Stachniak pur rifacendosi alle numerose biografie di Caterina II è a tutti gli effetti un’opera di pura finzione letteraria con una buona base di verità storica.

Varvara Nikolaevna è quindi solo un personaggio di fantasia, ma è così ben delineato da sembrare davvero reale e riuscire a creare con il lettore una straordinaria empatia.
E’ infatti un personaggio capace di catturare e affascinare il lettore, trascinandolo e rendendolo partecipe della sua storia sin dalle prime pagine.

Le descrizioni della corte con i suoi intrighi e le sue passioni, la sete di potere, i tradimenti sono inoltre talmente minuziose e perfette da risultare del tutto credibili.
Attraverso di esse il lettore può rivivere i fasti e gli inganni alla corte di Russia di metà Settecento come se egli stesso, in prima persona, potesse origliare le conversazioni da dietro qualche paravento o sbirciare incontri segreti attraverso le fessure tra le assi sconnesse del pavimento di una soffitta.

“Il palazzo d’inverno” è un romanzo storico avvincente e ben costruito; una lettura assolutamente imperdibile per gli appassionati del genere.




domenica 12 ottobre 2014

“L’ultimo fiore dell’anima” di Anna Melis

L’ULTIMO FIORE DELL’ANIMA
di Anna Melis
FRASSINELLI
Il romanzo è ambientato in Sardegna alla fine degli anni Trenta. 
L’azione si svolge tra Nuoro, all’epoca poco più di un paese, e l’Ortobene, un’altura granitica che si eleva ad est della città e sulla cui sommità nel 1901 fu posta la grande statua del Redentore.

Matilde Zedda è considerata da tutti un’istranza, una straniera. E’ figlia di una donna dell’isola e di un deportato.
Ilde, con la sua carnagione chiara e le trecce bionde, è diversa dalle altre donne dell'isola non solo per l’aspetto fisico, ma anche per la sua mente in quanto soggetta a frequenti crisi epilettiche.
I suoi concittadini per ignoranza e superstizione, ritengono che le convulsioni ed il delirio di cui la ragazza è spesso vittima a causa della malattia, siano invece da considerarsi tipici segni di possessione demoniaca.

Ilde è stata allevate dalle suore, ma all’età di 23 anni, su decisione del vescovo in persona, è data in moglie, senza che venga celebrato alcun matrimonio, al figlio maggiore della famiglia Caria, Giovanni Antonio.

La giovane è da sempre vista come una sciagura per il paese, una donna capace di ammaliare gli uomini per la sua bellezza, considerata da tutti una janua ovvero una fattucchiera.

Zuannantoni, il marito che è stato scelto per lei, è fisicamente un gigante, un uomo rude ed ignorante:

Non c’era poesia, né delicatezza nel marito, e spesso aveva il dubbio che non ci fosse nemmeno l’anima.

Inizia così per Ilde una vita fatta di violenze fisiche e psicologiche.
La giovane è costretta a subire i soprusi e gli insulti della suocera e di tutte le donne della famiglia Caria che la temono e la invidiano per la sua bellezza; ogni giorno è vittima della rozzezza e della forza del marito oltre ad essere violentata impunemente dai fratelli di lui ogni volta che questi decidono di trascorrere la notte a casa di Zuannantoni.

Ilde conduce una vita di sofferenze e di miseria, nonostante i begli abiti che il marito le fa indossare per mostrare a tutti di possedere la donna più bella del paese.
Alla ragazza non è concesso neppure di parlare con il figlio, deve nutrirlo, curarlo ma  le è severamente proibito qualunque altro tipo di rapporto con lui.
Ilde si rifugia così nei sogni, sogna di essere finalmente libera, libera di decidere per se stessa, libera di fuggire, libera di uscire di casa. Sogna l’amore, l’amore di un uomo che possa capire i suoi bisogni e che sia in grado di interpretare i suoi desideri.

Un giorno, dopo essere stata nuovamente vittima della violenza di Zuannantoni, rimasta sola in casa con il piccolo Jaccheddu, riceve la visita di un uomo e scambiandolo per il marito, stanca delle continue violenze, gli spara ferendolo gravemente.
Luigi Sanna, l’uomo che giace sanguinante ai suoi piedi, è un’anima dannata propria come lei.
Ha l’aspetto di un bellissimo giovane di soli ventisette anni, ma in realtà è un uomo molto pericoloso, un bandito evaso e ricercato.
Sarà lui il balente? il valoroso che Ilde ha sognato di poter incontrare un giorno, colui che la libererà dalla sua terribile schiavitù?

“L’ultimo fiore dell’anima” è una storia insolita, spietata e dalle immagini fortissime.
Racconta di una Sardegna dove regnano ancora le superstizioni e l’ignoranza. 
Una terra dove la violenza e la forza la fanno da padrone, dove anche chi dovrebbe difendere la legge spesso non è degno di indossare la divisa, dove le faide tra le famiglie si protraggono all’infinito trascinando con sé lutti e disperazione.

Su questo scenario si staglia la figura di Ilde, una donna dal carattere forte, una combattente che pur se in un primo momento si rifugia in se stessa, nelle sue visioni, nel suo linguaggio fatto non di parole ma di segni e sguardi, in seguito riesce a riappropriarsi della propria vita, ritrova la parola, anche se sulle prime quelle parole sembrano vuote e prive di significato a lei che, a solo poco più di vent’anni, ha già vissuto terribili esperienze.

Nel romanzo della Melis, come anche lei stessa segnala nella sua “nota dell’autrice” al termine del libro, ci sono precisi riferimenti a diversi artisti.
Non possiamo, leggendo le pagine del romanzo, non richiamare alla memoria le opere di una grande scrittrice sarda come Grazia Deledda, così come è impossibile non riconoscere l’omaggio che la Melis fa, descrivendo la cicatrice sul volto di Mariano Collu, al cantautore Fabrizio De Andrè:

e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
(da “Il pescatore”)

“L’ultimo fiore dell’anima” pur ambientato quasi un secolo fa stupisce per l’attualità della sua storia, un'attualità che troppo spesso ancora oggi riempi le pagine dei quotidiani e ci viene sbattuta in faccia dai telegiornali.
Una società, la nostra, che nonostante il progresso e la cultura, è costretta a fare i conti ancora oggi con una realtà che vede ogni giorno i diritti delle donne troppo spesso calpestati, una realtà dove ci sono ancora troppe donne vittime di violenze fisiche e psicologiche ed incapaci di ribellarsi ai propri aguzzini.
Un mondo, il nostro, dove la paura del “diverso” è ancora fortemente radicata tanto che questi continua ad essere un emarginato, una vittima di insensati pregiudizi.

Un racconto che fa riflettere, una scrittura evocativa e una protagonista combattuta tra il desiderio di assecondare la propria natura ribelle ed il dovere di rispettare le convenzioni, fanno di “L’ultimo fiore dell’anima” un romanzo estremamente appassionante e toccante, assolutamente consigliato.

E non c’è vento e non c’è pioggia,
né abbastanza tormento nell’anima
per partorire l’ultimo fiore.



sabato 4 ottobre 2014

“Agnes” di Peter Stamm

AGNES
di Peter Stamm
BEAT
(Edizione originale Neri Pozza)
Agnes è morta. L’ha uccisa un racconto. Di lei non mi è rimasto nulla, se non questo racconto.

Questo l’incipit del romanzo, indubbiamente un inizio particolare ed intrigante.

Il protagonista del libro, io narrante della storia, scrive libri divulgativi.
Ha pubblicato volumi sui più svariati argomenti dai sigari alle biciclette. Al momento è impegnato a scrivere un libro sulle vetture ferroviarie di lusso.

Lui è svizzero di madrelingua tedesca e si trova a Chicago per condurre le ricerche per la sua prossima pubblicazione.
Un giorno in biblioteca conosce una ragazza molto più giovane di lui, ma nonostante l’evidente differenza d’età, la giovane potrebbe essere infatti sua figlia, ne rimane immediatamente colpito.

Agnes ha venticinque anni ed è laureata in fisica, al momento è impegnata a scrivere la sua tesi e lavora part-time come assistente all’Istituto di Matematica di Chicago; suona il violoncello e fa parte di un quartetto d’archi tutto femminile.
E’ una ragazza particolare, soffre di claustrofobia, detesta gli ascensori e gli appartamenti ai piani alti, inoltre:

in lei era insita una strana gravità, le sue opinioni erano inflessibili

Il loro incontro è un incontro normalissimo, durante una pausa in biblioteca, scambiano quattro parole e si incontrano nuovamente nei giorni successivi, iniziano a frequentarsi dapprima solo come amici ma poi tra loro nasce una storia vera e propria.

Tutto sembra procedere per il meglio fino a quando Agnes chiede al suo compagno di scrivere un racconto su di lei così da poter capire attraverso quelle pagine che cosa lui pensi veramente di lei e della loro situazione sentimentale.

Da qui la narrazione si sdoppia: abbiamo il racconto dell’autore, il romanzo vero e proprio, e quello scritto dal protagonista del romanzo stesso ovvero “il racconto di Agnes”.

La situazione precipita quando Agnes, leggendo la sua storia, sembra considerarla una via da seguire e la fa diventare una sorta di copione da interpretare e rendere reale…

La trama del romanzo è di una semplicità disarmante, la storia è una storia come tante: due persone si incontrano per caso, si conosco, si piacciono, si innamorano ma, come spesso accade, la vita le allontana.

Giorno dopo giorno nasce qualche incomprensione, una parola non detta o una parola di troppo e la storia d’amore inevitabilmente naufraga.

Sarà per l’idea particolare del racconto nel racconto o per la scrittura limpida e asciutta che rende la lettura piacevolissima, ma il romanzo di Stamm è decisamente un libro intenso e sorprendente; la storia che ci racconta scivola via come sabbia tra le dita.

La vita quotidiana logora il rapporto dei protagonisti come la classica goccia che giorno dopo giorno scava la roccia.

La fragilità e l’insicurezza di Agnes sono sentimenti che appartengono a tutti così come reali e comuni sono le paure di lui, la sua voglia di vivere un’intensa storia d’amore ed allo stesso l’ansia per l’impegno che questo comporterebbe:

Se adesso vado da Agnes, pensai, è per sempre. E’ difficile da spiegare; sebbene l’amassi e fossi stato felice con lei, solo senza di lei avevo la sensazione di essere libero. E per me la libertà era sempre stata più importante della felicità. Forse era questo che le mie compagne avevano chiamato egoismo.

Peter Stamm ha la capacità di saper raccontare la vita, la vita vera, quella di tutti i giorni e di saper sviscerare i sentimenti con una semplicità e una linearità senza eguali.

Con “Agnes”, Stamm riesce a coinvolgere il lettore parlandogli delle sue stesse emozioni, della continua e disperata ricerca della felicità, dell’ansia di vivere, dell’angoscia e del desiderio che si provano dinnanzi all’idea di legarsi ad un’altra persona, della voglia di libertà e della sensazione di estraneazione dal resto del mondo che spesso si prova.

Un romanzo, quello di Stamm, semplice solo ad una lettura superficiale, ma che in verità indaga profondamente la mente ed il cuore dell’uomo.