sabato 25 aprile 2015

“John Keats” di Stephen Hebron

JOHN KEATS
di Stephen Hebron
THE BRITISH LIBRARY
Ho acquistato questo libro durante la mia recente visita alla Keats-Shelley House a Roma, visita irrinunciabile ogni volta che mi trovo nella Città eterna.

Sul sito della casa museo di Piazza di Spagna è in vendita la traduzione italiana del volume, ma al momento ne erano sprovvisti e così ho deciso di acquistare l’edizione originale in lingua inglese della British Library appartenente alla collana “Writers’ lives”.

Il volume è comunque di facile lettura anche per coloro che non sono madrelingua e la veste grafica è davvero piacevolissima.

Il racconto della vita del poeta è molto dettagliato. Hebron non solo racconta i fatti più importanti della vita di John Keats (Londra 1795 – Roma 1821), ma ci dà anche un quadro preciso del suo carattere.

Ci racconta dei suoi famigliari e dei molti amici che egli seppe legare a sé grazie al suo carattere aperto, al suo entusiasmo per la vita ed alla sua energia.

Leggiamo dei suoi viaggi, del suo amore per Fanny Brawne, delle sue aspettative attese e disattese, delle sue insicurezze, dei suoi momenti di felicità e delle sue paure, dei suoi successi, ma anche delle critiche che non gli furono di certo risparmiate.

Hebron non tralascia di informare a grandi linee il lettore sulla poetica di John Keats e lo fa spesso riportando versi tratti dalle opere oltre che stralci di lettere.

Proprio le lettere, caratterizzate da un tono intimo e colloquiale, hanno un fascino senza tempo e sono una fonte tanto inesauribile quanto fondamentale per conoscere a fondo non solo l’uomo John Keats, ma anche l’attività poetica dello stesso.

traduzione italiana
A detta di T.S. Eliot le lettere di Keats sono da ritenersi “le più straordinarie e le più importanti, che siano mai state scritte da un poeta inglese”.

Ricordo, per chi fosse interessato all’argomento, il libro edito da Mondadori “Keats. Lettere sulla poesia” a cura di Nadia Fusini, del quale spero di potervi parlare più dettagliatamente in un prossimo post.

John Keats” di Stephen Hebron è impreziosito da innumerevoli illustrazioni: troviamo, infatti, dipinti dell’epoca, riproduzioni dei luoghi, moltissimi ritratti del poeta oltre ad alcuni dei suoi famigliari e delle persone che fecero parte della sua vita e a lui furono strettamente legate tra cui Charles Wentworth Dilke, Charles Cowden Clarke, la stessa Fanny Brawne solo per citarne alcuni.

Sono inoltre interessanti le tavole che riproducono gli originali delle lettere e dei manoscritti del poeta.

Come avrete capito “John Keats” di Charles Hebron non può non far bella mostra di sé nelle librerie di tutti coloro che amano questo poeta che i pittori preraffaelliti classificarono pari a Dante, Omero, Chaucer e Goethe e che oggi viene ormai riconosciuto come uno dei più grandi poeti del romanticismo inglese e in verità non solo del periodo romantico.

“I think I shall be among the English Poets after my death” (John Keats)

Qualche foto della stanza di John Keats scattata durante la mia visita alla Keats-Shelley House 











domenica 19 aprile 2015

“Tutto quello che so di noi” di Rowan Coleman

TUTTO QUELLO CHE SO DI NOI
di Rowan Coleman
SPERLING & KUPFER
Claire Armstrong è una bella ed appariscente quarantenne sposata con un uomo atletico ed affascinante di nome Greg più giovane di lei di quasi dieci anni.

Claire ha due figlie: la maggiore Caitlin ha vent’anni, nata da una storia con un compagno di università, la ragazza non ha mai conosciuto il padre; la piccola Esther invece di appena cinque anni è figlia di Greg, è la piccola di casa, eppure è la persona che nei momenti bui che i famigliari di Claire devono affrontare è colei che riesce, con la sua simpatia e la sua testardaggine, a tenere unita la famiglia.

Accettando di sposare Greg, Claire aveva messo in preventivo il rischio che la loro storia possa interrompersi bruscamente a causa della differenza d’età, ma mai avrebbe pensato che a dividerli sarebbe stato il morbo di Alzheimer, malattia che anni prima aveva colpito suo padre privandola così del genitore ad appena dieci anni.

Claire, è una donna forte, abituata a combattere ogni battaglia nella sua vita, è tenace e caparbia, ma anche lei deve arrendersi davanti ad una malattia degenerativa che non lascia scampo e che nel suo caso procede più velocemente che in altri.

Rowan Coleman è bravissima a descrivere gli stati emotivi non solo della protagonista, ma anche di ogni singolo membro della famiglia come ad esempio i dubbi, le ansie e le paure di Ruth, la madre di Claire, che dopo aver accudito fino alla morte il marito, è costretta a rivivere lo stesso dramma e a prendersi cura non solo della figlia, ma anche delle nipoti.

Greg è il primo a soccombere sotto i sintomi della malattia di Claire. La donna, infatti, sembra aver dimenticato ogni sentimento provato nei suoi confronti e per questo lo allontana ogni giorno di più perché per lei egli è ormai poco più che un estraneo.

Caitlin è spaventa perché non si sente ancora pronta a camminare con le proprie gambe e a farsi carico anche della sorella.
La giovane inoltre è in un momento difficile della propria vita, deve prendere decisioni importanti che cambieranno il corso della sua esistenza, e ora più che mai avrebbe bisogno di tutto l’affetto e la comprensione di Claire che invece proprio in questo periodo entra e esce continuamente dal mondo della realtà.

Esther è colei che al momento avverte meno il disagio della madre, troppo piccola per comprendere cosa stia accadendo. Vive tranquilla, felice per la vicinanza di Claire che, ormai confinata in casa a causa della malattia, è diventata la sua perfetta compagna di giochi.

E infine c’è Claire che lotta ogni giorno per restare se stessa, per restare aggrappata al mondo reale, ma che ogni giorno si perde un po’ più nella nebbia e ogni giorno fa sempre più fatica a ritornare al presente.  
Claire che combatte continuamente per non “perdere le parole”, costretta a lasciare il suo amato lavoro di insegnante, disperata e arrabbiata quando si accorge di non essere più in grado neppure di leggere le favole a Esther.
Terrorizzata dall’idea di essere dimenticata dalle persone care, presa dal panico all’idea di non poter essere presente nella vita delle figlie per aiutarle a crescere e sostenerle, stritolata dai sensi di colpa per aver inflitto alla madre un calvario che la povera donna aveva già vissuto con il marito e infine smarrita e afflitta per il dolore che suo malgrado sta infliggendo a Greg.

“Tutto quello che so di noi” è un libro emozionante e struggente. Una storia che coinvolge il lettore fin dalla prima pagina e che sa toccare il suo cuore. Un romanzo che fa commuovere fino alle lacrime, ma è capace anche di fare sorridere.

Rowan Coleman racconta una storia dolorosamente vera e lo fa con delicatezza e sensibilità straordinarie, riuscendo nonostante la drammaticità del racconto a regalare anche un po’ di speranza.

Si può dimenticare una data.
Si può cancellare un viso.
Si può confondere un nome.
Ma l’amore resta per sempre.

“Tutto quello che so di noi” è un libro “onesto”, vero e intelligente, un romanzo da leggere tutto d’un fiato.
                           



domenica 5 aprile 2015

“Reykjavík Café” di Sólveig Jónsdóttir

Reykjavík Café
di Sólveig Jónsdóttir
SONZOGNO

Sólveig Jónsdóttir, laureata in scienze politiche, ha lavorato come giornalista alla redazione di Lifestyle Magazine ed è ora a capo della comunicazione di Unicef Islanda.
Reykjavík Café è il suo primo romanzo.

La storia, come si evince dal titolo stesso, è ambientata nella capitale islandese; protagoniste del romanzo sono quattro giovani donne sulla trentina che apparentemente non hanno nulla in comune tranne una vita sentimentale deludente, confusa e insoddisfacente.
Le quattro donne non si conoscono tra loro, ma in un certo modo sono tutte legate al Reykjavík Café, un caldo ed accogliente bar nel buio inverno islandese.

Hervor è laureata in economia, ma lavora come barista al Reykjavík Café, lo stesso locale nel quale ancora studentessa aveva accettato di lavorare per mantenersi agli studi.
Ha una relazione con il professore con cui si è laureata, relazione iniziata ancora quando era una studentessa. Hervor non vive, si lascia vivere. Sogna di viaggiare e vedere il mondo, ma resta poi immobile, bloccata in una situazione sentimentale inconcludente e legata ad un posto di lavoro insoddisfacente.

Karen vive con i nonni sin dalla nascita, la madre l’ha abbandonata da piccola rifacendosi una vita lontano dall’Islanda e del padre non ha nessuna notizia.  La donna è in piena crisi emotiva perché deve superare una perdita molto importante che l’ha segnata profondamente. Non essendo stata in grado di trovare nessun modo per elaborare il lutto, ha scelto di annullare se stessa: così ogni sera esce di casa, si ubriaca fino a stordirsi ed ogni notte finisce nel letto di uno sconosciuto diverso.

Mìa vive con il compagno. Lui è un avvocato in carriera, lei una laureata in sociologia che trova lavori saltuari come commessa. Il rapporto tra loro non funziona, liti e riappacificazioni si susseguono giorno dopo giorno; fino a quando il compagno di Mìa le confessa di essersi innamorato di una collega e la lascia.
Mìa si ritrova sola, in una mansarda in affitto che non può permettersi, senza un lavoro, piena di debiti e una vita da ricostruire. Trascorre le sue giornate immersa negli scatoloni del trasloco senza riuscire a ritrovare il filo della sua vita, se mai ne avesse avuto uno…

E infine c’è Silja. Silja è un medico, lavora in ospedale. Il suo errore è stato quello di non voler vedere che tipo di uomo avesse accanto. Perdonato una volta colto sul fatto, nei dieci anni di matrimonio, il marito della donna non ha mai smesso di esserle infedele. Un giorno Silja torna dall’ospedale dopo il turno di notte e lo coglie nuovamente sul fatto.
Anche per lei una vita da ricostruire…

Il racconto inizia nel gelido e buio inverno islandese e termina all’inizio della primavera, una primavera ancora fredda, ma che rivela già i primi segni del risveglio della natura.
Così proprio come la natura ritorna alla vita, allo stesso modo le quattro donne si apriranno al mondo e tutte potranno intravedere una luce di speranza in fondo al tunnel.

Reykjavík Café viene presentato come una commedia brillante, le cui protagoniste potrebbero essere paragonate a delle novelle Bridget Jones. 
Mi rendo conto di andare controcorrente, ma io non ho visto nulla di tutto ciò.

L’unica per la quale mi sento di poter affermare che potrebbe avere qualche affinità con Bridget Jones, è forse Hervor. Tra tutte e quattro le donne sembra, infatti, quella più fresca, meno problematica o per lo meno alle prese con dei problemi molto più comuni.

Se vogliamo poi anche per quanto riguarda Silja la storia è quella di sempre: matrimoni falliti, tradimenti sono ormai all’ordine del giorno.

Indubbiamente il libro è ironico, divertente, fa spesso sorridere, ma non è per nulla così spensierato come lo si vuole fare credere.

Karen è una donna psicologicamente devastata ed i problemi di Mìa non sono legati solo al fatto di essere stata lasciata. Mìa ha serie difficoltà a trovare se stessa, perché non ha mai camminato con le proprie gambe, appoggiandosi prima alla famiglia e poi al compagno.

Fa sorridere, ma non è comunque divertente, scoprire che tutto il mondo è paese e che anche nella lontana Islanda, i laureati fatichino terribilmente a trovare un lavoro adeguato al titolo di studio conseguito.

Il romanzo è incentrato sulla difficoltà di rapportarsi con il prossimo.
Vengono affrontate non solo le problematiche dei rapporti famigliari genitori/figli o fratello/sorella, ma anche quelle legate all’amore e all’amicizia.
Vengono affrontati controversi interrogativi quali “può esistere solo amicizia tra un uomo e una donna?” oppure “se il partner ti ha tradito chi ti dice che non lo farà di nuovo?”
Tutte domande senza una risposta certa e, se vogliamo, anche un po’ scontate, ma sulle quali l’autrice è davvero bravissima a costringerci a riflettere ancora una volta attraverso la vita dei suoi personaggi e a farci scoprire aspetti forse mai presi in considerazione.

Vano è farsi illusioni, le difficoltà della vita e dei rapporti interpersonali sono uguali a tutte le latitudini del mondo, inutile scappare.
C’è un solo un sistema per sopravvivere dignitosamente ovvero essere se stessi e non permettere mai che siano altri a prendere le decisioni al nostro posto.
Per essere felici o almeno provare ad esserlo c’è solo un modo: amare di più se stessi,  ascoltarci di più e fare quello che sappiamo essere giusto per noi, senza farsi influenzare dagli altri.

Lo sapeva bene cosa desiderava fare, e non aveva voglia di mettersi a pensare se era meglio per lei o meno. L’aveva sempre fatto anche troppo di pensare e ripensare alle cose, e aveva sempre finito per non agire mai.
Era rimasta con un profondo rimpianto per le occasioni perdute. Così quella sera (…)
  
L’importante però è non disperare mai, rimanere saldi nelle difficoltà, perché la vita sa sempre regalare piacevoli sorprese come alle protagoniste del nostro libro.
Ricordate sempre che, vada come vada, dopo ogni inverno per quanto buio e triste questo possa essere stato, arriva sempre la primavera!