domenica 5 febbraio 2017

"La marchesa von O. – Il trovatello” di Heinrich von Kleist

LA MARCHESA VON O.
IL TROVATELLO
di Heinrich von Kleist
IL SOLE 24 ORE
Heinrich von Kleist (Francoforte 1777 – Berlino 1811) è considerato uno dei massimi drammaturghi e scrittori vicini al movimento romantico tedesco. Il suo capolavoro più conosciuto è forse il dramma “Il principe di Homburg”. Tra i suoi più celebri racconti invece possiamo ricordare uno tra i tanti  “La marchesa von O.”  di cui parleremo proprio in questo post.
Heinrich von Kleist visse una vita piuttosto travagliata, segnata da una persistente angoscia esistenziale, sempre alla costante ricerca di una illusoria felicità ideale impossibile da raggiungere.
La sua instabilità psichica lo portò a togliersi la vita insieme alla sua amica Henriette Vogel, malata terminale. La uccise infatti con un colpo di pistola, lei consenziente, per poi spararsi egli stesso un colpo alla testa.

L’edizione da me scelta è un volume della collana “I classici della domenica” in uscita con Il Sole 24 ORE.
In realtà il titolo fa riferimento al solo racconto “La marchesa von O.” ma, a sorpresa, terminata la lettura ci si imbatte inaspettatamente in un altro più breve racconto intitolato “Il trovatello”.

“La marchesa von O.” è ambientato in una città del nord Italia di cui l’autore volutamente non riporta il nome, ma ne indica solo la lettera iniziale “M”.
Gli stessi personaggi sono individuati solo attraverso una lettera puntata: il conte F., il signor G., il generale K. e via di seguito. Quasi che la vicenda narrata sia un fatto realmente accaduto e che l’autore voglia salvaguardare la privacy dei protagonisti della storia.
La marchesa, giovane vedova e madre di due bimbi piccoli, ha appena messo un annuncio sul giornale nel quale chiede al padre del bambino che sta aspettando di presentarsi poiché intenzionata a sposarlo.
Un annuncio quanto mai singolare che, oltre a stupire l’opinione pubblica, sfida ogni decoro e regola imposti dalla buona società.
Attraverso la tecnica del flashback l’autore inizia il racconto dell’antefatto che ha portato la marchesa a compiere questo gesto quanto mai singolare.
Qualche mese prima, mentre dimorava presso la fortezza del colonnello, suo padre, scoppiò improvvisamente una guerra ed il bastione venne conquistato dai soldati russi.
Durante l’assalto la marchesa era stata accerchiata da un manipolo di soldati pronti ad usarle violenza, ma questi furono messi in fuga da un ufficiale in comando dei russi, il conte F., che dopo averla condotta in salvo nell’ala destra del palazzo, la lasciò lì svenuta dove venne raggiunta in seguito dalla sue cameriere.
Alla marchesa ed ai suoi familiari venne permesso, come consuetudine in questi casi, di lasciare la fortezza incolume.
Dopo qualche tempo a Giulietta (questo il nome di battesimo della marchesa) ed alla sua famiglia giunse voce che il conte F. era purtroppo morto in battaglia.
Un giorno però egli si ripresentò, nello stupore generale, a casa della marchesa per chiedere la sua mano, impaziente di ottenere risposta positiva e disposto pure a rischiare la corte marziale, disobbedendo agli ordini, pur di non lasciare la casa finché non avesse raggiunto il suo scopo.
Rassicurato sul fatto che nessun altro pretendente sarebbe stato preso in considerazione fino al suo ritorno, si lasciò convincere a partire alla volta di Napoli.
Al rientro però trovò una situazione completamente mutata: la marchesa era stata cacciata di casa, ripudiata dal padre perché in attesa di un figlio illegittimo.
La marchesa, sconvolta dal suo stato, non ricordava assolutamente nulla; da qui il suo sconsiderato gesto di rendere pubblica la sua situazione purché venisse riconosciuta la sua innocenza.
Stranamente proprio il conte F. sembra non far caso a quanto accaduto e a credere all’innocenza della marchesa. E’ infatti lui il padre del bambino e, nonostante la marchesa acconsenta al matrimonio, dovrà passare un anno prima che Giulietta accetti la validità della loro unione.

“Il trovatello” è il secondo racconto del libro. Antonio Piachi, agiato mercante di Roma, parte alla volta di Ragusa, portando con sé il figlio Paolo, avuto dalla prima moglie. Lascia a casa ad attenderlo Elvira, la sua giovane seconda sposa.
Poco prima di arrivare a Ragusa, giunge la voce che la città sta per essere messa in quarantena a causa di un’epidemia.
La paura per l’incolumità del figlio vince su ogni interesse commerciale e Piachi decide quindi di tornare indietro.
Durante il viaggio di ritorno però un ragazzino malato, Nicolò, colpito dalla malattia gli chiede aiuto e quando sviene davanti a lui, Antonio non se la sente di abbandonarlo a se stesso.
Le guardie però li scoprono nell’albergo dove alloggiano e li scortano fino al lazzaretto a Ragusa. Qui si ammalano di peste sia il Piachi che il figlio Paolo, il primo riuscirà a guarire ma il bambino purtroppo non sopravvivrà.
Antonio Piachi torna quindi a casa portando con sé il giovane Nicolò, anch’egli guarito, che viene accolto come un figlio anche dalla sua giovane moglie.
Antonio ed Elvira riversano su di lui l’amore e le speranze che avevano un tempo riposto in Paolo, e sono molto orgogliosi del loro figliolo non fosse per la sua eccessiva passione per le donne e per la sua bigotteria che lo porta sempre più spesso ad intrattenere strette relazioni con il vicino convento dei monaci carmelitani.
Elvira custodisce però un segreto. La donna aveva perso l’amore della sua vita in giovanissima età, era infatti molto legata ad un giovane genovese che, quando lei era appena tredicenne, era rimasto gravemente ferito nell’impresa eroica di salvarla dalle fiamme. Per tre anni Elvira aveva assistito il giovane, dal nome Colino, presso la casa del marchese suo padre, ma nonostante le sue amorevoli cure il giovane morì. Proprio nella casa del marchese, Antonio conobbe Elvira e dopo la morte di Colino decise di portarla via con sé e sposarla.
Elvira non dimenticherà mai Colino tanto da tenerne un’immagine a grandezza naturale nella sua stanza.
Un giorno, al ritorno da una delle sue fughe notturne, Nicolò rientra abbigliato da antico patrizio genovese e la sua somiglianza con Colino è talmente forte che la povera Elvira crede che questi sia  tornato dal regno dei morti.
Nicolò scopre così il segreto della donna e, desideroso di vendicarsi perché crede che questa voglia allontanarlo dalle grazie di Antonio, decide di giocarle un brutto tiro.
In realtà il padre adottivo che a lui aveva intestato ormai tutto, cerca il modo di tornare sui suoi passi, non perché sobillato da Elivia, ma semplicemente perché irritato dalla condotta immorale del figlio.
Nicolò una sera cerca di approfittare della madre adottiva, ma viene colto sul fatto dal padre.
I genitori vorrebbero cacciarlo da casa, ma lui andandosene gli ricorda che in realtà ormai è lui il solo proprietario di tutti i loro beni.
Elvira muore a seguito della disperazione provata quella notte e Piachi, sconvolto dagli avvenimenti e dal fatto che lo stesso magistrato abbia dato ragione a Nicolò riguardo alle proprietà, affronta il figlio e lo uccide.
Condannato a morte, Antonio Piachi, arriverà addirittura a rinunciare per tre giorni all’assoluzione pur di essere sicuro di poter incontrare nuovamente il figlio adottivo all’inferno dove è sicuro che questi sia andato.

I racconti sono caratterizzati da una prosa scorrevole, frasi brevi e abbondanza di dialoghi. In entrambi Von Kleist usa sapientemente la tecnica del flashback: nel primo per narrare l’antefatto che ha portato la protagonista a mettere l’annuncio sul giornale e nel secondo per ricordare la vicenda di Elvira tredicenne.

“La marchesa von O.” affronta un argomento gradito all’autore ovvero il conflitto tra la rigida morale borghese ed il mondo delle passioni umane. La marchesa rimuove ciò che le è accaduto perché essa stessa vittima delle convezioni sociali, la colpa commessa è talmente grave da non poterne sopportare il peso.
Pur di riuscire a riabilitare se stessa però trova il coraggio di compiere un gesto estremo, scegliendo il rischio di compromettere irrimediabilmente la sua reputazione.
Lo stesso conte F., vittima di quelle stesse ipocrite convenzioni, ha un solo pensiero ovvero quello di sanare l’errore commesso attraverso un matrimonio riparatore.
Il tema affrontato fa von Kleist è il tema del contrasto tra le passioni forti e la razionalità; non c’è posto per il sentimento, perché in un mondo dove regna sovrana la rigida e bigotta morale borghese, dove l’ipocrisia fa da padrona, tutto deve esser ridotto al raziocinio ed alla forma.
Il racconto ha però uno sviluppo divertente e leggero e, nonostante la tematica, il risultato è una piacevole avventura al limite del credibile e dal finale piuttosto prevedibile.

“Il trovatello” invece ricorda molto le novelle boccaccesche, vuoi per la presenza della peste, vuoi per la stessa storia dell’amato morto la cui immagine Elvira tiene nella sua camera, quasi una novella Lisabetta da Messina che sospira sul vaso di basilico dove è sepolta la testa del suo Lorenzo.
Ma questa novella rivela molto di più del suo autore: per esempio ci fa capire  quanto la cultura classica abbia influenzato von Kleist.
Come non ricordare ad esempio il mito greco di Pigmalione? Egli scolpì la statua di Galatea innamorandosene perdutamente e, solo grazie all’intervento divino di Afrodite che le fece prendere vita, Pigmalione riuscì a coronare il suo sogno d’amore e sposare la sua fanciulla.
Nonostante la brevità della novella lo studio psicologico dei protagonisti è davvero moto accurato, vedi ad esempio le reazioni nervose che bloccano Elvira, il modo di elaborare il lutto per la perdita del figlio Paolo trasponendo l’amore per questi sul trovatello Nicolò, il rapporto di amore-odio che Nicolò prova nei confronti della madre adottiva.

L’indagine psicologica dei personaggi è il punto di forza delle opere di von Kleist. In entrambi i racconti i sentimenti ed i comportamenti dei protagonisti vengono studiati ed analizzati fin nei minimi particolari. Egli è ossessionato dalla mente umana e dalla sua follia, così come dai contrasti e dall’illusorietà della vita.
Ossessione che, non dimentichiamo, lo porterà a compiere un gesto estremo quale il suicidio.

“La marchesa von O.” al contrario de “Il trovatello” ha un esito positivo. Ai personaggi del primo racconto è concesso infatti il lieto fine: Giulietta è una donna forte che riesce a ribaltare la situazione a suo favore e ad uscirne vincitrice.
Nel secondo racconto non c’è invece salvezza per nessuno, né in questo mondo né nel al di là; addirittura Piachi vuole seguire Nicolò all’inferno.

Nonostante “La marchesa von O.” sia uno dei racconti più famosi di von Kleist “Il trovatello” è secondo me un racconto più riuscito rispetto al primo.
L’esito positivo della prima vicenda, il voler far credere al lettore che esista sempre una via d’uscita nella vita, sembra quasi una forzatura da parte dell’autore che ho avvertito più vero nel finale senza speranza e cupo del secondo racconto, un finale che sembra decisamente più vicino alle sue corde.

Heinrich von Kleist è un genio tormentato il cui modo di sentire e la sua familiarità con quel male di vivere così contemporaneo, lo fa risultare un autore moderno nonostante la sua data di nascita risalga a più di due secoli fa.





2 commenti:

  1. Ho La marchesa von O. e spero di arrivare a leggerlo presto. Hai mai visto il film Il principe di Homburg? Molto particolare... penso che abbia reso bene la struttura narrativa a montagne russe di von Kleist.

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    1. No, non l'ho mai visto ma sarei curiosa. L'ho visto a teatro qualche anno fa e devo dire che mi è piaciuto molto.

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