martedì 20 agosto 2019

“Resto qui” di Marco Balzano

RESTO QUI
di Marco Balzano
EINAUDI
Il romanzo è ambientato in Val Venosta nel Südtirol, una terra di confine e di lacerazione che, con l’avvento del fascismo, fu segnata dalla forte politica di italianizzazione; Mussolini, nella messa al bando della lingua tedesca, arrivò persino ad imporre il cambiamento dei nomi sulle lapidi.

Trina, ormai avanti con gli anni, decide di scrivere la storia della sua vita e lo fa rivolgendosi immaginariamente alla figlia, quella figlia scomparsa quando era appena una bambina senza lasciare traccia.

Sono passati tanti anni da quel giorno, Marica ormai sarà diventata donna, ma Trina può solo immaginarne l’aspetto ed interrogarsi su che tipo di madre sarebbe stata per lei.
                                                                                
Trina inizia raccontando il suo desiderio di diventare maestra, un sogno realizzato solo in parte poiché, l’anno  in cui aveva conseguito il diploma, le scuole del paese erano state sostituite dalla scuole di lingua italiana dove venivano assunti solo maestri che arrivavano da fuori.

Trina però non si era data per vinta e aveva iniziato ad insegnare nelle catacombe ossia a fare la maestra clandestina.

Sulla sua decisione aveva influito anche il voler far colpo su Erich, un ragazzo che faceva il contadino e che sarebbe divenuto di lì a breve, grazie all’intervento paterno, suo marito.

La vita di Erich e di Trina era stata una vita difficile segnata prima dall’ingerenza fascista, poi dall’intromissione di Hitler nella politica del Südtirol e subito dopo dallo scoppio della seconda guerra mondiale a cui aveva fatto seguito un dopoguerra che non aveva portato nessuna pace per le loro terre.

Trina, pagina dopo pagina, ci racconta del dolore provato per la scomparsa della figlia, della delusione per un figlio seguace del Führer e di quei giorni in cui insieme al marito, disertore sulle montagne, aveva imparato a non temere più nulla, neppure la morte.

Trina è una donna caparbia ed intelligente, una donna che non si lascia intimorire facilmente e che crede nel potere salvifico della parola, forte e resiliente come solo la gente di montagna sa essere.

Il racconto di Trina è il racconto di Curon e della sua gente, di quella gente che era rimasta e di quella che aveva lasciato il paese; è il racconto di coloro che erano tornati invalidi dalla guerra e di coloro che invece non ce l’avevano fatta; è il racconto dell’angoscia delle madri per i figli dispersi e della tristezza di quelle madri i cui figli, invece sopravvissuti, avevano scelto volontariamente di non tornare più al paese natio che non aveva più nulla da offrire loro.

Così leggendo degli eventi che si susseguono nella vita di Trina, pagina dopo pagina ci ritroviamo ad osservare anche la costruzione della diga, quella diga che per anni aveva tenuto con il fiato sospeso gli abitanti di Resia e di Curon nella speranza che il progetto non sarebbe mai stato portato a termine.

Invece, un giorno, l’acqua inonderà le case e le strade, e, nel nome del progresso, tutto verrà sommerso; là in mezzo al lago artificiale resterà visibile solo un campanile a ricordare che sotto quell’acqua un tempo viveva una comunità.

Quella punta di campanile oggi è diventata un’attrazione turistica, il pontile sul lago è il luogo ideale per scattarsi foto.
La coda per fare un selfie è piuttosto lunga, ma pochi si soffermano a pensare al dolore, alla delusione, alla rabbia e al senso di lacerazione provati dalla gente di Resia e Curon quando furono costretti ad abbandonare le loro case, le loro vite e a scordare la propria identità in nome di un sedicente progresso.

Il libro di Marco Balzano è un romanzo sulla contrapposizione tra chi vuole esercitare con prepotenza un potere improvviso e chi, invece, ha tutto il diritto di rivendicare le proprie radici.

Un romanzo che parla di una pagina della storia d’Italia dolosa e controversa intorno alla quale c’è senza dubbio ancora molto da raccontare.

“Resto qui” è un libro che cattura fin dalla prima pagina perché, pur raccontando una storia accaduta quasi un secolo fa, ci sorprende per la sua attualità spingendoci, non solo a riflettere sull’atteggiamento degli Altoatesini e di come furono traditi dalla politica in passato, ma ad interrogarci anche seriamente sul nostro futuro e sul prezzo che siamo disposti a pagare in nome del tanto decantato progresso.

Una diga si può costruire altrove, un paesaggio una volta devastato non può rinascere più. Non si può rimediare né replicare, un paesaggio.




2 commenti:

  1. Ho amato molto questo libro è sofferto con la sua protagonista: l'autore è stato in grado di trasmettere il dolore lacerante di un'intera comunità.

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    1. Anche a me è piaciuto molto. Una storia davvero bella, intensa e raccontata benissimo.

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