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lunedì 14 giugno 2021

“Misteri ed enigmi nell’archeologia e nell’arte” di Claudio Saporetti

Un’opera d’arte può essere più misteriosa di un thriller? Se l’investigatore che conduce le indagini è l’assirologo Claudio Saporetti, classe 1938, la risposta alla domanda della quarta di copertina non può essere che affermativa.

Il libro è una raccolta di sessanta articoli più o meno brevi, alcuni inediti e altri già pubblicati su riviste nel corso degli anni.

Gli argomenti trattati sono i più disparati e spaziano dall’arte moderna come con Giuditta I, opera di Gustav Klimt, fino all’arte rupestre. Anche la collocazione delle opere è molto ampia: Italia ed Europa, Medio Oriente, Africa e Sud America solo per accennare ad alcuni dei luoghi. 

Ovviamente non è possibile entrare nel particolare di tutte le opere e le tematiche affrontate dal libro, ma si può dire che ogni tematica, per quanto specifica, non è mai fine a se stessa.

Ogni analisi, ogni indagine spinge infatti il lettore ad interrogarsi su altre opere presenti o meno nel libro e stimola la sua voglia di ricerca e comprensione di elementi comuni tra esse. Proprio in questa prospettiva viene affrontato uno dei temi principali del volume ossia l’analisi della simbologia nelle opere d’arte.

Ovviamente non tutti i saggi possono interessare il lettore allo stesso modo, ognuno troverà argomenti che più lo coinvolgono. Io, ad esempio, ho apprezzato particolarmente le pagine dedicate alla costruzione delle cattedrali, all’arte di Benedetto Antelami, al confronto tra simbologia canonica tipica della pittura e quella invece tipica delle maestranze scultoree.

Saporetti ci mette in guardia dal prendere per buone tutte le interpretazioni che gli storici dell’arte ci hanno proposto e ci propongono perché spesso nel corso degli anni queste si sono rivelate fallaci alla luce di nuove scoperte. È importante quindi mantenere sempre la mente aperta e un atteggiamento critico nei confronti dell’opera.

Spesso è l’autore stesso a confutare in queste pagine una tesi di un collega lasciando però sempre aperto uno spiraglio per nuove interpretazioni.

Non è raro il caso in cui autorevoli professori e ricercatori abbiano elaborato teorie molto fantasiose per descrivere ad esempio quadri o per spiegare la funzione di alcuni particolari oggetti. Se ci pensiamo è la stessa cosa che accade quando si cerca di interpretare un testo letterario o una poesia leggendo tra le righe o tra i versi qualcosa che in realtà l’autore non aveva mai neppure lontanamente pensato.

Il libro edito da La Lepre Edizioni è una pubblicazione se vogliamo coraggiosa, una storia dell’arte e dell’archeologia sui generis raccontata con passione e anche con un pizzico di ironia sotto forma di indagine investigativa.

Va detto che a volte si fa un po’ fatica a seguire il testo mancando una completa documentazione fotografica di quanto descritto negli articoli, ma questo è abbastanza comprensibile poiché il volume non è, e non ha nessuna pretesa si essere, un libro d’arte illustrato.

Leggendo queste pagine si può avere a volte l’impressione che interpretare simboli, significati e iconografie sia una cosa semplice, invece non c’è nulla di più difficile e fuorviante. Questo volume ci aiuta a identificare molte soluzioni, ma apre anche tanti interrogativi a cui non vi è una soluzione immediata e chissà mai se si troverà.

Un libro da tenere a portata di mano, una guida da consultare e rileggere ogni qualvolta si è assaliti da un dubbio interpretativo o magari anche da una semplice curiosità. 




giovedì 20 agosto 2020

“Genius familiaris, Genius loci, Eggregori e Forme Pensiero” di Alessandro Orlandi

Il libro, dedicato al culto degli antenati nel mondo antico e alla trasmissione iniziatica, è suddiviso in due parti.

Nella prima parte Alessandro Orlandi si propone di illustrare al lettore quali siano le analogie esistenti tra il Genius Loci, il culto degli antenati nell’antica Roma, le Forme-Pensiero e gli Eggregori.

Nella seconda parte invece l’autore analizza il ruolo della tradizione nel mondo antico ed esamina quanto venisse trasmesso attraverso l’iniziazione. 

Si chiede inoltre se si possa parlare ancora oggi di tradizione e iniziazione e, in caso affermativo, quale sia l’aspetto da esse assunto nel mondo moderno.

Senza entrare nel merito specifico della materia esposta, poiché ritengo che la lettura di queste pagine sia un percorso ricco e interessante che ogni lettore debba affrontare assolutamente senza interferenze di sorta e libero da ogni tipo di sollecitazione esterna, mi concedo di darvi solo alcune informazioni propedeutiche agli argomenti trattati.

Cosa si intende per Genius familiaris, Genius loci, eggregori, forme-pensiero?

Per prima cosa dobbiamo ricordare che, secondo la visione cristiana, l’uomo ha tre componenti fondamentali: corpo - spirito - anima, ma gli antichi avevano una ben diversa concezione, per gli Egizi ad esempio le componenti del corpo umano erano addirittura nove.

Secondo i Greci alla nascita ogni uomo veniva affidato dalle tre Moire o Parche (Cloto, colei che filava il destino degli uomini, Lachesi, colei che distribuiva le sorti e Atropo, colei che recideva il filo al momento della morte) ad un daimon che non lo avrebbe mai abbandonato per tutto il corso della sua vita.

Il daimon era anche fonte di ispirazione delle creazioni e delle intuizioni per poeti, indovini, scienziati e artisti.

Seppur con alcune differenze, il daimon era quanto di più simile al Genius latino; proprio nel mondo romano, infatti, il demone individuale veniva spesso chiamato Genio.

A grandi linee si potrebbe dire che mentre il Genius loci esprimeva il carattere e la natura profonda dei luoghi, il Genius familiaris (o Genio della stirpe) era connesso alla casa, alla natura della famiglia e agli spiriti degli antenati.

Nelle case dell’antica Roma di solito c’era poi un luogo dedicato al culto dei diversi dèi domestici: Lari, Penati, Genius Familiaris e dèi Mani.

I Penati erano di solito dèi del pantheon greco o romano, i Lari erano gli spiriti degli antenati virtuosi e che si erano distinti in vita e infine gli dèi Mani erano gli spiriti di tutti gli antenati defunti.

Le forme-pensiero sono entità emanate all’esterno dall’uomo alimentate dai suoi pensieri, dalle sue paure, dalle sue speranze e dalle sue energie; quando queste forme-pensiero scaturiscono dall’attività immaginativa di un gruppo che condivide un intento comune vengono definite eggregori.  

Abbiamo detto che nella seconda parte del libro si parla di tradizione e iniziazione. Che cosa si intende con tali termini?

Per tradizione (in greco paràdosis – trasmissione; in latino tradere – trasmettere) si intende la trasmissione non solo di contenuti e insegnamenti, ma anche dell’energia che il maestro trasmette al discepolo, energia che permette al discepolo di ampliare la propria percezione del mondo.

L’iniziazione nasce e si propaga attraverso il passaggio e lo scambio di energie che avviene attraverso uno specifico rituale.

Nell’antichità nelle iniziazioni ai culti misterici gli iniziati erano tenuti al segreto e pertanto poco o nulla è trapelato e giunto fino a noi sui riti che venivano celebrati.

Ogni cultura nel corso dei secoli ha sviluppato le proprie tradizioni spirituali e ancora oggi esistono organizzazioni iniziatiche, la Massoneria e il Neotemplarismo ad esempio sono alcune di esse.

Nella seconda parte del libro si indaga sul cambiamento verificatori nel corso dei secoli nelle tradizioni iniziatiche che col tempo, perdendo di vista il loro scopo primario, ossia quello di cercare di armonizzare il microcosmo (Uomo) con il macrocosmo (Universo), si sono indirizzate invece verso il raggiungimento di un sempre maggiore potere personale, polarizzando così l’attenzione dell’iniziato verso il mondo esterno invece che verso la propria interiorità.

Possiamo ancora parlare di realtà della Tradizione e dell’Iniziazione nel XXI secolo?

Su questo e su altri numerosi interrogativi relativi alla spiritualità nel mondo antico e in quello moderno Alessandro Orlandi cerca di gettare luce attraverso le pagine di questo saggio che, partendo dall’analisi dei culti iniziatici, quali ad esempio i Misteri Eleusini, quelli di Cibele, di Dionisio, passando poi per la sacralità attribuita alla commedia e alla tragedia dagli antichi greci, esaminando l’importanza della tradizione alchemica, arriva infine, senza tralasciare quelle tendenze legate allo spiritismo, all’occultismo, alla veggenza, al mesmerismo, ad analizzare la più moderna spiritualità, la cosiddetta “New Age” che, senza riferirsi ad una particolare tradizione, mescola vari elementi.

Quello di Alessandro Orlandi è un saggio breve, sono appena un centinaio di pagine, ma davvero molto articolato e approfondito.

Da sottolineare inoltre la grande capacità dello scrittore di saper esporre un argomento tanto complesso in modo semplice e chiaro così che possa essere accessibile anche ai neofiti della materia.   

Dello stesso autore vi ricordo “Dionisio nei frammenti dello specchio”.




domenica 9 agosto 2020

“Dionisio nei frammenti dello specchio” di Alessandro Orlandi

Parafrasando le parole dell'autore potremmo dire che la civiltà occidentale è vittima di una grave crisi spirituale e noi, afflitti come siamo da un profondo individualismo, non siamo in grado di sviluppare alcuna visione che ci possa proiettare in un futuro provvisto di un intento comune.

Il desiderio di Alessandro Orlandi è quello di risalire, attraverso le pagine di questo saggio, alle origini di quel rapporto da cui trae senso la cultura occidentale e che affonda le sue radici nella saggezza dell’antica Grecia e della tradizione giudaico-cristiana.

Il volume si articola a grandi linee in tre parti: nella prima parte l’autore analizza l’opera alchemica, nella seconda indaga il mito di Dionisio e nella terza affronta il tema dell’amore come ricerca del Sé.

Nei capitoli dedicati all’Opus alchemicum, dopo una prima interessante introduzione sulla storia dell’alchimia e sull’etimologia della parola (il termiche deriverebbe dal greco chymè – lingotto, metallo fuso – oppure dall’egiziano kemi – terra nera, il limo del Nilo), si entra nel vivo dell’argomento parlando degli elementi e delle loro proprietà (il femminile e volatile mercurio, il maschile zolfo, dotato del potere di fissare e coagulare, il sale in grado di resistere all’incinerazione e infine il Leone Verde) e delle tre fasi dell’opera (l’opera al nero o nigredo, l’opera al bianco o albedo e l’opera al rosso o rubedo).

In questo stesso capitolo si dà anche un nuovo tipo di interpretazione dell’opera alchemica, non strettamente legata alla chimica della materia, ma piuttosto alla sfera della psicanalisi.

Il fine ultimo dell’Opus non è più inteso come la trasmutazione della materia, ma bensì secondo la moderna interpretazione junghiana come l’individuazione del Sé.   

Interessanti sono poi i vari punti di collegamento con le diverse culture; ad esempio, nelle coppie di opposti, troviamo lo zolfo simbolo maschile e il mercurio simbolo femminile, ma la stessa dualità la si ritrova anche nel Taoismo nel concetto di yin e yang.

Dopo aver illustrato gli antichi culti (Iside, la Grande Madre ecc.) e la simbologia ad essi associata, si passa ai capitoli dedicati a Dionisio e ai Misteri del mondo antico

Qui si ripercorrono tutte le versioni del mito di Dionisio con tanto di dettagliato resoconto dei culti a lui riservati e degli dei a lui strettamente collegati.

Secondo Orlandi Dionisio e Apollo non sono da considerarsi due divinità contrapposte bensì piuttosto strettamente unite, è Apollo infatti colui che ricompone il corpo di Dionisio Zagreo smembrato dai Titani; il terzo e più perfetto stadio dell’Opus, la congiunzione.

Nella terza parte Alessandro Orlandi indaga il rapporto uomo-donna e si interroga sulla possibilità di poter raggiungere l’equilibro perfetto, il ricongiungimento con il Sé, all’interno di tale rapporto ovvero impedendo che l’uno prevarichi l’altro o proietti se stesso e le sue immagini sull’altro, riuscendo nel contempo anche a bilanciare la parte femminile del maschio e la parte maschile della femmina; la relazione armonica che si vuole raggiungere infatti non è mai in realtà tra due sole entità, uomo – donna, ma piuttosto tra otto entità diverse.

Al termine del volume troviamo un’interessante postfazione ossia tra trascrizione del discorso che l’autore fece in occasione della presentazione del libro avvenuta a Roma nel 2003.

“Dionisio nei frammenti allo specchio” non è, come avrete compreso, quello che si può definire un saggio semplice e di immediata comprensione.

Ho cercato, per quanto possibile, di riepilogarvi a grandi linee gli argomenti analizzati così che possiate farvi il più possibile un’idea di quanto esposto nel libro.

Il mio vuole essere solo un suggerimento di lettura e pertanto non sono volutamente scesa nei dettagli; il materiale è davvero corposo e le tematiche alquanto ricche, non sarebbe quindi semplice, anche volendo, condensare in poche righe i numerosi concetti esposti.

Non posso negare che la lettura di questo saggio per gli argomenti trattati richieda una certa concentrazione e un certo impegno, ma l’esposizione è sempre molto chiara ed esaustiva, inoltre il volume è corredato da molte immagini che facilitano la comprensione del testo e aiutano a fissare meglio quanto viene analizzato.

Ho apprezzato molto la lettura di questo libro sia per quanto riguarda la parte strettamente legata allo studio dell’alchimia, così come la conoscevo, sia per quella parte di nuova, almeno per me, interpretazione delle fasi dell’Opera.

Ho trovato inoltre molto interessanti le diverse interpretazioni dei miti, alcuni dei quali spesso ormai dimenticati, e molto stimolanti i collegamenti che nascono con la filosofia orientale, il Taoismo e lo Yoga Kundalini. 

“Dionisio nei frammenti allo specchio” è inoltre una lettura che non termina con l’ultima pagina perché lascia molti interrogativi su cui riflettere sia a livello a personale, spingendoci almeno a provare ad intraprendere quel viaggio alla ricerca del Sé, sia a livello collettivo interrogandoci sulla natura del mondo in cui viviamo e sulla velocità che caratterizza la vita moderna.  

 

 

 

giovedì 31 agosto 2017

“L’assassinio di Socrate” di Marcos Chicot

L’ASSASSINIO DI SOCRATE
di Marcos Chicot
SALANI EDITORE
Cherefonte e Socrate sono stati istruiti dallo stesso pedagogo, sono amici da quando avevano sette anni. Cherefonte è profondamente legato a Socrate uomo che stima più di ogni altro al mondo.

Un giorno Cherefonte si reca a Delfi ad insaputa dell’amico, poiché sa che il filosofo disapproverebbe il suo comportamento, per porre due domande all’oracolo; suo desiderio è infatti avere conferma di chi sia l’uomo più sapiente di tutti, ma soprattutto a lui preme conoscere la verità su come avverrà la morte dell’amico.
Apollo conferma che Socrate è il più saggio di tutti e, per quanto riguarda la sua morte, la Pizia risponde che “La sua morte sarà violenta, per mano dell’uomo dallo sguardo più chiaro”.

Inizia quindi con questo enigma il nuovo atteso romanzo di Marcos Chicot, autore acclamato dalla critica per il suo romanzo “L’assassinio di Pitagora”, libro che ha riscosso un vastissimo successo di pubblico e che è stato pubblicato in Italia sempre dalla casa editrice Salani così come l’altro suo romanzo “Il teorema delle menti”.

“L’assassinio di Socrate” è ambientato nella Grecia classica.

La guerra tra Sparta e Atene che per anni aveva insanguinato la Grecia è solo momentaneamente interrotta, la pace dei trent’anni sta ormai per concludersi e il conflitto sta per riaccendersi più aspro che mai.

A Sparta Deianira dà alla luce il suo secondo figlio. La donna, vedova di Eusseno, è stata costretta a sposare in seconde nozze il fratello di questi, Aristone.
Aristone, contrariamente al primo marito, è un uomo violento, arrogante e ambizioso.
Nipote di uno dei due diarchi che regnano su Sparta, ha ottenuto il permesso di sposare la cognata nonostante non avesse ancora compiuto 25 anni. Agli Spartani per legge non era infatti consentito contrarre matrimonio fino all’età di 30 anni.
Per paura che il bambino possa essere però creduto figlio del fratello deceduto, Aristone ottiene anche un’altra concessione dallo zio: nonostante il neonato, che ha ereditato gli occhi chiari della madre, sia sanissimo il Re Archidamo decreta che venga portato al Taigeto.
Il bambino però, all’insaputa di tutti, riesce a sopravvivere e viene adottato da Eurimaco, un vasaio ateniese che sta tornando in patria.
Durante il viaggio tra Argo ed Egea Eurimaco e la moglie incinta vengono assaliti da un gruppo di ladroni e Altea non sopravvive alle ferite riportate.
Eurimaco giunge ad Atene con un bimbo dagli occhi chiarissimi e dichiara a tutti che Perseo è figlio suo e della defunta moglie.

Eurimaco è amico di Socrate e di Cherefonte. Quest’ultimo, appena vede lo sguardo del neonato, impallidisce ricordando la profezia, ma Socrate gli intima che mai dovrà rivelare ciò che la Pizia gli aveva predetto perché nessuno è in grado di interpretare correttamente le parole degli oracoli inoltre gli fa promettere che avrebbe trattato il figlio dell’amico come se i suoi occhi fossero stati del colore del carbone.

Non vado oltre con la presentazione degli altri numerosissimi personaggi né vi anticipo alcun intreccio della storia perché davvero questo romanzo merita di essere assaporato pagina dopo pagina.
Il libro non è brevissimo, in realtà è un tomo di più di 700 pagine, ma non spaventatevi perché la lettura vola talmente che ho impiegato meno di una settimana a leggerlo.

La trama è avvincente e ben costruita, i personaggi così affascinanti che è impossibile interrompere la lettura e non si può fare a meno di correre a riprendere in mano il volume appena possibile.

Marcos Chicot ha saputo ricreare magnificamente il mondo nel quale ha ambientato il suo racconto.

Mentre leggiamo del dramma famigliare di Deianira, dell’amore contrastato di Perseo e Cassandra, dell’odio e della cattiveria che animano personaggi quali Aristone e Anito, entriamo anche in un mondo quello della Grecia classica descritto nei minimi particolari.

Non solo l’autore riesce a riportare in vita uomini come Pericle, Alcibiade, Euripide, solo per citarne alcuni, oltre ovviamene allo stesso Socrate, uno dei protagonisti del romanzo, ma Chicot riesce in verità a ricostruire quello stesso mondo così che ci sembra di sentirli parlare, ascoltare le loro idee e insieme a loro ci sembra di passeggiare nell’agorà, ammirare le opere della pinacoteca dei Propilei, partecipare alle assemblee, consultare l’oracolo di Delfi, assistere ai giochi a Olimpia, combattere battaglie, modellare, decorare e cuocere vasi.

Ciò che però più di ogni altra caratteristica fa di Marcos Chicot un grande romanziere è la sua magistrale capacità di riuscire a scrivere un romanzo dalla trama coinvolgente e ricreare sulla carta in modo rigoroso l’epoca in cui la storia è ambientata, senza mai risultare noioso o pedante, riuscendo a tenere incollato il lettore alle pagine grazie ad una scrittura scorrevole e un ritmo incalzante.

Nulla in questo romanzo è approssimativo e vago, ogni particolare è minuziosamente studiato e valutato, come in grande puzzle dove ogni tessera combacia perfettamente con l’altra. Qui ogni tessera rappresenta una materia: archeologia, storia dell’arte, storiografia, teatro, letteratura, politica e filosofia fanno da sfondo a una rievocazione storica perfetta.

“L’assassinio di Socrate” è un romanzo decisamente in grado di fare rivivere la storia davanti ai nostri occhi, pagina dopo pagina le immagini ci scorrono innanzi quasi le stessimo guardando su un grande schermo, ma non sono solo le immagini a colpire la nostra fantasia perché, grazie alla bravura dell’autore, ci sembra persino di essere in grado di percepire profumi e sapori di quella Grecia che pagina dopo pagina riaffiora dal passato.

Un romanzo imperdibile di cui, come avrete capito, è impossibile non innamorarsi grazie anche ai personaggi indimenticabili che ci regala.






domenica 19 giugno 2016

“San Pietro” di Alberto Angela

SAN PIETRO
di Alberto Angela
RIZZOLI
“Segreti e meraviglie in un racconto lungo duemila anni”: Alberto Angela ci conduce alla scoperta dei segreti di San Pietro, simbolo della cristianità, ma allo stesso tempo sintesi di quasi duemila anni di storia, arte, scienza e creatività.

La storia di San Pietro inizia con il martirio del santo, crocifisso a testa in giù, e sepolto in quel luogo, il Vaticanum, dove un tempo Nerone aveva fatto costruire il suo circo e accanto al quale, proprio all’epoca della morte di San Pietro, si stava sviluppando una necropoli.

A fare da continuum è l’obelisco portato a Roma da Caligola nel 40 d.C., collocato al centro del circo di Nerone, vide le persecuzioni cristiane, assistette alla costruzione della prima basilica commissionata da Costantino ed ai successivi rimaneggiamenti, nonché alla costruzione della nuova San Pietro.
Nell’estate del 1586, su volere di Papa Sisto V, fu trasferito davanti all’ingresso della basilica, trasferimento che suscitò emozione e apprensione in coloro che potettero assistere al momento più difficile ovvero al momento in cui venne eretto nel luogo della sua attuale collocazione.

E’ proprio questa storia millenaria dalle origini ai giorni nostri che Alberto Angela ci racconta.

Angela ci conduce in un viaggio che ha inizio in quel luogo denominato Vaticanum dove nel corso dei secoli, grazie al frutto dell’ingegno e del lavoro di oltre sessanta generazioni, prese vita la più grande chiesa della cristianità, ricca di tesori e teatro di ogni genere di eventi, basti ricordare tra gli altri l’incoronazione di Carlo Magno.

Veniamo a conoscenza degli artisti Sangallo, Michelangelo, Raffaello, Bramante, Bernini e di tutti gli altri che hanno contribuito a rendere San Pietro quella che è oggi o quella di cui purtroppo nel corso negli anni si sono perse completante le tracce a causa dei continui rimaneggiamenti e dei saccheggi che si sono susseguiti nel corso della storia.

Facciamo conoscenza con i papi che si sono succeduti sul soglio pontificio e uno dopo l’altro hanno voluto lasciare la loro impronta non solo nella storia della cristianità, ma anche in quella del mondo attraverso l’arricchimento della basilica.

Il luogo della sepoltura di Pietro fu meta di pellegrinaggi fin dall’antichità facendo quindi di Roma il centro del mondo cristiano.
Nonostante sin dalle origini si fosse a conoscenza della presenza della tomba di San Pietro nel Vaticano, la scoperta vera e propria della sua sepoltura è piuttosto recente così come recente è la scienza archeologica; fu infatti Papa Pio XII che nel 1940 coraggiosamente volle intraprendere una serie di esplorazioni archeologiche nell’area della Confessione Vaticana e nella parte centrale delle Sacre Grotte.

Tutto viene raccontato come sempre in modo avvincente da Alberto Angela che riesce a farci rivivere la storia come se fosse un bellissimo romanzo e lo fa con quella passione e quell’intensità che lo contraddistinguono nei suoi libri così come nelle sue trasmissioni televisive.

Mentre leggiamo le pagine di San Pietro è come se ci scorressero davanti le immagini e ci viene spontaneo immaginarci l’autore mentre ci conduce nel viaggio alla ricerca delle origini della basilica.

Da segnalare inoltre che il volume è corredato da foto e tavole davvero esaustive e pertanto di grande supporto per la comprensione del testo; testo tra l’altro caratterizzato da una scrittura molto scorrevole che ne rende la lettura davvero piacevole.

Sono stata molto fortunata a poter assistere  alla presentazione dell’autore di questo volume al Salone del Libro di Torino, ma so anche di non essere altrettanto brava nel porgervi il sunto di un’opera che merita davvero di essere letta.
Spero comunque nel mio piccolo, grazie ai brevi cenni che avete trovato in questo mio post, di essere riuscita ad incuriosirvi tanto da spingervi alla lettura perché “San Pietro” è un libro coinvolgente o meglio un viaggio nella storia ricco di fascino assolutamente da fare.




martedì 30 giugno 2015

“Viaggio nella bellezza” Roberto Bolle

VIAGGIO NELLA BELLEZZA
Roberto Bolle
RIZZOLI
“Viaggio nella bellezza” è uno di quei volumi di cui ci si innamora appena lo si sfoglia; un libro fotografico dal grande formato 25,5 x 33 cm, cartonato con sovraccoperta, appare subito un oggetto del desiderio per qualunque bibliofilo.

Un libro da sfogliare, leggere, assimilare e poi lasciare a far bella mostra di sé nelle nostre librerie pronto per essere sfogliato ogni volta se ne senta la necessità.

Dal primo momento che l’ho scoperto in libreria ho capito che doveva fare parte della mia collezione e che non potevo assolutamente esimermi dal parlarne nel blog.

Non credo che Roberto Bolle abbia bisogno di presentazioni, chi non lo conosce?

Étoile della Scala di Milano dal 2004 e Principal dell’American Ballet Theatre dal 2009, ha ballato nei teatri più prestigiosi del mondo portando sulla scena nel corso della sua carriera tutti i ruoli più importanti del repertorio classico.

Con l’obiettivo di fare conoscere il balletto classico ad un pubblico sempre più vasto dal 2008 ha portato in luoghi mai raggiunti dalla danza il suo “Roberto Bolle and Friends” riscuotendo un enorme successo.

Attraverso un bellissimo percorso fotografico Roberto Bolle ci accompagna con questo libro in un viaggio alla riscoperta delle bellezze della nostra terra.

In più di un’intervista l’étoile ha sottolineato quanto per lui sia fondamentale far passare il messaggio dell'importanza di tutelare e proteggere il nostro patrimonio culturale che non ha eguali nel mondo.

Non sembra strano che questo “progetto fotografico” sia stato così fortemente voluto da Roberto Bolle se si pensa che tra i tanti riconoscimenti ricevuti, il ballerino che dal 2007 collabora con il FAI, nel 2012 è stato insignito del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica” grazie ai meriti acquisiti verso il Paese in campo culturale e nel 2014 a Parigi della Medaglia d’Oro dell’Unesco per il valore culturale universale della sua opera artistica.
Titoli che ne fanno a tutti gli effetti un perfetto ed autorevole ambasciatore della nostra cultura nel mondo.

Passiamo ora ad analizzare come è strutturato il libro i cui testi vivi e coinvolgenti sono a cura di Valeria Crippa, l’introduzione di Robert Wilson e l’interessante prefazione che riporta i bellissimi versi della celebre poetessa di Lesbo è ad opera di Giovanni Puglisi:

Chi è bello, lo è finché è sotto gli occhi, chi è anche buono lo è ora e lo sarà poi.
(Saffo, Liriche, VII-VI sec. a.C.)

Nella prima parte del volume intitolata “Pompei” (fotografie di Fabrizio Ferri) il fisico statuario del ballerino in perfetta sintonia con il sito archeologico ne mette in evidenza la grandiosità esaltandone la bellezza, ma sottolineandone allo tempo stesso anche la fragilità nonché la necessità di intervenire per salvaguardare questo nostro patrimonio troppe volte ignorato.

L’importanza della storia è messa in evidenza attraverso le foto delle rovine pompeiane, esse ci parlano del nostro passato invitandoci a risollevarci per riappropriarci della nostra identità attraverso un moto d’orgoglio, a ricordare la nostra grandezza per risorgere dalle nostre rovine in quanto eredi del prestigio dei nostri antenati.

La bellezza di Pompei è una bellezza fragile che ha bisogno del nostro aiuto per essere preservata affinché arte e conoscenza possano essere tramandate nel miglior modo possibile ai nostri posteri.

La seconda parte del volume intitolata “Viaggio in Italia” (fotografie di Luciano Romano) è invece dedicata alle foto di scena in cui vediamo come la danza entri in perfetta unione con luoghi pieni di arte e magia: l’Arena di Verona, le Terme di Caracalla ed il Colosseo a Roma, i Giardini di Boboli a Firenze, il Teatro Greco di Taormina, solo per citarne alcuni perché lascio a voi il piacere di scoprire gli altri…

Il libro non ci parla solo della bellezza dell’arte e della danza, ma anche della fatica e del lavoro che sono necessari per raggiungerla, perché raggiungere la perfezione che sia di un movimento di danza, che sia di un corpo perfettamente scolpito o che sia di un’opera d’arte necessita costanza, abnegazione e impegno.

“Viaggio nella bellezza” è l’esaltazione del bello in tutte le sue forme d’arte, sempre però con la consapevolezza che la bellezza non è mai solo fine a se stessa, ma è piuttosto lo strumento attraverso il quale l’uomo può e deve costruire un mondo migliore.






martedì 3 febbraio 2015

“I tre giorni di Pompei” di Alberto Angela

I TRE GIORNI DI POMPEI
di Alberto Angela
RIZZOLI
23-25 ottobre 79 d.C.: ora per ora la più grande tragedia dell’antichità

Sono le ore 13 del 24 ottobre e quello che sembrava un comune venerdì, si rivelerà essere invece il giorno di una tragedia di immani proporzioni.

Dal Vesuvius si sprigionerà, infatti, una quantità di energia pari a quella di cinque bombe atomiche e in meno di un giorno Pompei verrà sommersa da un diluvio di ceneri e gas.
Il crollo dei soffitti causato dall’imponente accumulo di pomici e dalle continue scosse sismiche causeranno numerosissimi decessi tra i Pompeiani.
Chi sopravviverà ai crolli non riuscirà comunque a trovare scampo da una morte che sopraggiungerà per soffocamento e per le ustioni causate dalle ceneri.

La vicina Ercolano resterà sepolta sotto metri e metri di fanghi compatti e lava.

Stessa drammatica sorte subiranno le campagne circostanti e le cittadine minori Terzigno, Oplontis, Murecine, Boscoreale, Stabia: ognuno di questi luoghi vivrà la sua personale tragedia.

Il mare impraticabile, le forti burrasche e l’attività vulcanica, impediranno ogni tipo di soccorso e Pompeiani, Ercolanesi…tutti saranno abbandonati al loro triste destino.

Pompei è stata colpita da una serie di catastrofi come raramente è avvenuto nella storia: terremoti, maremoti, piogge di pomici e rocce, valanghe roventi, torrenti di fango, gas irritanti, ceneri asfissianti…La vera “tempesta perfetta”.

E’ vero la storia di Pompei e di Ercolano, della grande eruzione del Vesuvius la conosciamo tutti, sin dalle elementari viene raccontata ad ogni alunno, allora perché scegliere di leggere un libro proprio sugli ultimi giorni di Pompei?
Perché ci sono tantissimi particolari interessanti che ancora ignoriamo e altrettanti elementi che magari abbiamo semplicemente rimosso nel corso degli anni.

Per esempio quanti di voi sanno che in realtà quello che distrusse Pompei, Ercolano e tutte le altre località circostanti non fu il Vesuvio che noi tutti conosciamo?
Il Vesuvio che vediamo oggi in realtà iniziò a crescere esattamente al centro del cratere del monte Somma (o Vesuvius nei testi antichi), il vero killer del 79 d.C.
L’immagine del Vesuvio della tipica “cartolina da Napoli” ha impiegato secoli a raggiungere l’attuale altezza tanto che nei dipinti medievali le sue dimensioni apparivano decisamente ridotte.

E’ vero che gli abitanti della zona di Pompei ed Ercolano, solo per citare le due cittadine più famose, ignorarono per anni gli avvertimenti che il vulcano inviava loro: dai terremoti sempre più frequenti e distruttivi sino a giungere a segnali molto più evidenti nelle ore precedenti l’eruzione, ma va detto a loro favore che, oltre a non essere in possesso delle moderne tecnologie di cui noi oggi disponiamo, l’aspetto del Vesuvius non era per nulla terrificante, non c’era ad esempio nessun cono come quello attuale ad indicare la presenza di un vulcano.
Il territorio si presentava come un monte lungo e basso, piuttosto pianeggiante al centro e con qualche rilievo ai margini.
  
Sappiamo per certo che qualche abitante riuscì a mettersi in salvo. Nella maggior parte dei casi non ne conosciamo i nomi e in qualche caso possiamo azzardarne invece anche l’identità. Tra i possibili superstiti c’è una certa Rectina, una ricca matrona, che sembrava poter vantare una certa familiarità con Plinio il Vecchio, l’ammiraglio della flotta di stanza a Miseno, famoso naturalista nonché zio di Plinio il Giovane, una delle nostre maggiori fonti della tragedia proprio perché egli stesso la visse in prima persona.

Ciò che affascina ne “I tre giorni di Pompei” è la capacità di Alberto Angela di riuscire a raccontare la storia come fosse un romanzo grazie anche a ricostruzioni verosimili di ciò che accadde nelle ore precedenti la tragedia e durante la tragedia stessa.
Senza tralasciare di raccontarci la vera storia dell’area vesuviana inquadrandola magistralmente nel più ampio quadro della storia romana, senza mancare di snocciolare dati scientifici e di illustrarci gli scavi e i ritrovamenti archeologici, Alberto Angela è riuscito a mantenere per ben 463 pagine un ritmo incalzante, regalandoci così una lettura piacevole il cui stile sembra molto più vicino a quello di un romanzo piuttosto che a quello di un saggio.
Mano a mano che ci si avvicina all’ora zero, l’ora dell’eruzione, l’ansia del lettore cresce e così la sua partecipazione quasi fosse egli stesso in prima persona ad essere trasportato dalla folla, colto dallo stesso panico che colse quasi certamente gli abitanti dell’area vesuviana.
Un’empatia che cresce pagina dopo pagina e che induce il lettore a chiedersi cosa avrebbe fatto e come avrebbe reagito se si fosse trovato davvero in prima persona a vivere quei terribili momenti.

Apprezzabili sono la sensibilità ed il profondo rispetto con cui Angela ci racconta gli ultimi istanti di una tragedia che fece migliaia di vittime, persone che morirono in una delle catastrofi più grandi che la storia conosca.
Ho gradito particolarmente il fatto che egli parli di esseri umani e non semplicemente di calchi umani, perché è giusto non dimenticare mai che quelle immagini di vittime giunte sino ai nostri giorni sono state “persone vere” e pertanto richiedono rispetto e dignità.

La storia spesso ci parla di guerre, di battaglie e di grandi eventi senza umanità, senza fare cenno a quanto questo sia costato in termini di vite umane, senza rispetto per i morti; la letteratura al contrario ci mostra il lato umano delle tragedie.
Quando leggete un libro di storia e leggete per esempio della peste, il racconto rimane freddo, lucido come se i morti non fossero persone, ma un semplice dato, un numero.
Pensate ora quanta differenza leggendo ad esempio i Promessi Sposi ed in particolare il racconto della madre di Cecilia che depone la figlia sul carro, pensate al pathos di quelle pagine.
“I tre giorni di Pompei” pur essendo a tutti gli effetti un’opera divulgativa, riesce grazie alla grande capacità espositiva del suo autore, a mantenere vive la pietas e l’umanità nel lettore nei confronti di esseri umani vissuti duemila anni fa.

Perché leggere questo libro? Un valido motivo potrebbe essere più o meno lo stesso che ha spinto l’autore a scriverlo ovvero tirare le fila di tutto il sapere acquisito in più di venti anni di riprese televisive e visite dell’area vesuviana.
“I tre giorni di Pompei” è un validissimo aiuto per fare il punto di tutte le proprie conoscenze sull’argomento.
Ho scoperto con piacere che c’erano molti elementi di cui non sapevo nulla. Che l’eruzione abbia avuto luogo nel 79 d.C, ad esempio, è notizia certa, ma io ignoravo il fatto che ci fossero dei dubbi sul mese dell’avvenimento ovvero che ci fossero due ipotesi di datazione: il 24 giugno e il 24 ottobre.
La tesi che l’eruzione sia avvenuta in autunno piuttosto che in estate è quella più attendibile secondo Angela che ha scelto di dedicare alla controversa questione l’intera appendice alla fine del libro esponendo gli elementi a favore e contro ciascuna datazione.

“I tre giorni di Pompei” demolisce quell’immagine che spesso film e letteratura ci hanno imposto presentandoci i Pompeiani sorpresi dall’eruzione mentre erano impegnati in banchetti o mentre si rilassavano alle terme.
Nulla di più sbagliato, Pompei era in piena emergenza. 
Quasi tutte le case avevano lavori in corso, alcune erano state abbandonate dopo il terremoto del 62 d.C. ed erano disabitate da anni, inoltre c’erano cantieri aperti un po’ ovunque.
A causa poi dell’attività sismica intensificatasi negli ultimi giorni, nelle ore prima dell’eruzione a Pompei mancava l’acqua mentre maleodoranti esalazioni sulfuree salivano dal terreno nelle zone circostanti.

Il libro di Alberto Angela è affascinante, esaustivo ed avvincente, ma se tutte queste qualità da sole non dovessero essere sufficienti per spingervi alla lettura, vi ricordo che acquistando “I tre giorni di Pompei” contribuirete al restauro di un importante affresco ovvero "Adone ferito" che si trova proprio a Pompei nell'omonima casa.