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martedì 22 agosto 2023

“Memorie della Grande Mademoiselle” De Montpensier

Anne Marie Louise De Montpensier (1627-1693) era figlia di Gaston d’Orléans, unico fratello di Luigi XIII, e della prima moglie Maria di Borbone, duchessa di Montpensier.

Alla morte di Monsieur, in mancanza di eredi maschi, il ducato d’Orléans fu assegnato al fratello di Luigi XIV, e Anne Marie Louise divenne la Grande Mademoiselle per distinguerla dalla nuova Mademoiselle, figlia del principe Philippe.

Le memorie della Montpensier sono composte da ben 95 quaderni. I manoscritti sono piuttosto difficili da decifrare perché, per sua stessa ammissione, aveva una calligrafia pessima tanto che anche il padre le suggerì di far scrivere al segretario la corrispondenza a lui destinata.

Buona parte di queste memorie furono scritte negli anni 50 del XVII secolo durante l’esilio di Anne Marie Louise e la scrittura riprese successivamente nel decennio dal 1670 al 1680 per combattere la depressione sopraggiunta a seguito di un momento difficile.

Il libro, edito da Luni Editrice, ripropone ovviamente solo una piccola parte degli scritti della Grande Mademoiselle. Il volume è suddiviso in tre parti, ognuna di esse è dedicata ad un particolare evento significativo della sua vita.

Fanciulle a corte. La madre di Anne Marie Louise morì poco dopo la sua nascita e lei venne affidata ad una governante. Erano gli anni del cardinale Richelieu.

Eroina della Fronda. Racconta degli anni burrascosi in cui la De Montpensier non si risparmiò per la causa e, al contrario del padre sempre indeciso e opportunista, non esitò a mantenere le proprie posizioni pagando in prima persona per le proprie idee.

L’amore. Fin da adolescente erano state prese in considerazione per lei le più importanti teste coronate, un elenco infinito di pretendenti, tra cui figuravano il futuro re d’Inghilterra, il delfino di Francia e l’imperatore d’Austria. Non se ne fece mai nulla. All’età di 43 anni, però, Anne Marie Louise si innamorò come una ragazzina del duca di Lauzun, un partito talmente al di sotto del suo rango da scandalizzare l’intera Corte. Il re prima diede il suo consenso, ma pochi giorni dopo lo ritirò. Lauzun venne incarcerato a Pinerolo dove restò imprigionato per ben dieci anni.

Anne Marie Louise De Montpensier, il miglior partito d’Europa, morì senza essersi mai sposata e senza eredi.

Ogni sezione del libro è corredata da alcune interessanti pagine introduttive (note del curatore) in cui si inquadra minuziosamente il periodo storico a cui si riferiscono i fatti narrati dalla Grande Mademoiselle e, allo stesso tempo, si traccia un profilo dettagliato dei personaggi che vi presero parte.

A leggere frasi del tipo “Soffrirei a vedervi ballare e divertirvi, invece di andare dove vi spacchino la testa oppure ci rimettano sopra la corona” non si può non sorridere e non pensare alla sorellastra Marguerite Louise d’Orléans e alle sue amorevoli lettere indirizzate al consorte Cosimo III de’ Medici.

Anne Marie Louise De Montpensier fu una donna del suo tempo, più vicina alla moda della Corte di Luigi XIII che a quella del Re Sole. Estremamente calata nella parte che il suo rango le imponeva, teneva in massimo conto lo stile di vita che poteva mettere in risalto la sua posizione. Per lei i balli, lo sport, le feste e la possibilità di convolare a nozze con una testa coronata erano una priorità.

Eppure, a differenza del padre che con i suoi comportamenti ipocriti, voltagabbana e opportunisti la mise spesso a disagio, Anne Marie Louise fu una donna a suo modo fedele ai propri principi, per quanto talvolta discutibili, e un’amica leale.

Può far sorridere quel suo amore nato in tarda età che la portò a coprirsi di ridicolo e le costò letteralmente una fortuna, ma anche questo in fin dei conti non fa che confermare che la passione e la determinazione che seppe dimostrare in battaglia erano un qualcosa che le apparteneva sia nel pubblico che nel privato.

Forse la grazia e la misura non furono proprio le sue principali doti, ma sinceramente e, non l’avrei mai pensato prima di leggere questo libro, alla fine questa Grande Mademoiselle che si descrive come una donna dall’aria altera, ma non supponente, gentile e alla mano, ma che sa farsi rispettare, che sa parlare in pubblico, ma anche tacere se non conosce l’argomento trattato, che non è schiava dell’abbigliamento, ma è lontana dall’apparire sciatta, forse un po’ collerica, ma giusta e con un gran senso dell’onore, insomma alla fine a me è risultata particolarmente simpatica. L’ho trovata a suo modo una figura femminile forte, volitiva e di grande fascino.

Ho scoperto questo volume per caso al Salone del Libro. Un’edizione davvero molto bella e ben curata; una casa editrice che merita un occhio di riguardo per le sue pubblicazioni. L’unico appunto, proprio a voler essere pignoli, non ho compreso la scelta di mettere sulla copertina un ritratto di Maria Antonietta anziché quello di Anne Marie Louise De Montpensier.

 

venerdì 22 aprile 2022

“Cesare Borgia. Il principe spietato” di Lorenzo Demarinis

Il libro si apre con l’episodio che passerà alla storia come la strage di Senigallia, quando tra il 31 dicembre 1502 e il 18 gennaio 1503, Cesare Borgia si vendicherà in modo teatrale di coloro che lo avevano tradito.

Per Vitellozzo Vitelli, Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo che credevano, non solo di poter nuovamente tornare al servizio del Valentino, ma poterlo fare addirittura alle loro condizioni non ci sarà alcuno scampo; la vendetta del Borgia, sempre fedele al proprio motto aut Caesar aut nihil, si abbatterà implacabile su di loro.

È Niccolò Machiavelli, dal suo esilio all’Albergaccio, a narrare le vicende ad un mercante olandese che, dopo aver conosciuto la Toscana durante la propria attività lavorativa, ha deciso di eleggere questa terra a luogo del suo ritiro.

La scelta della figura di Machiavelli come narratore da parte dell’autore ha un duplice scopo. Nella finzione letteraria Machiavelli, rievocando i fatti, può fare il punto su quanto è intenzionato a scrivere su Cesare Borgia futuro protagonista del settimo capitolo di quello che diventerà il suo capolavoro “Il Principe”, ma allo stesso Lorenzo Demarinis riesce a trasmettete così al lettore il pensiero del fine politico e dei suoi contemporanei sul tanto chiacchierato figlio di Alessandro VI.

Sulla scena intervengono altri due personaggi Lucrezia Borgia, sorella di Cesare, e Francesco Guicciardini che conversando con Machiavelli ci espongono anche i loro punti di vista su una figura tanto controversa come quella del Valentino.

Il volume fa parte della collana intitolata I volti del male” in uscita in edicola e dedicata ai grandi criminali della storia. Nonostante il mio scetticismo, il libro si è rivelato una lettura piacevole e molto scorrevole.

Pensavo si trattasse di un saggio invece le vicende sono raccontate sotto forma di romanzo e, sebbene gli argomenti non vengano sviscerati in maniera esaustiva e capillare, l’insieme risulta comunque efficace.

Al termine del volume si trova una scheda curata da Vicente Garrido dedicata al profilo psicologico di Cesare Borgia. Ecco, questa scheda mi ha lasciata un po’ perplessa soprattutto per l’interpretazione troppo semplicistica del pensiero di Machiavelli che d’altra parte difficilmente può prestarsi ad essere sintetizzato in così poche pagine senza incorrere nell’evidente rischio di essere falsato e distorto.

Tornando invece al libro, ho molto apprezzato come  la descrizione della figura di Lucrezia Borgia, colei che per secoli è passata alla storia come un’avvelenatrice priva di scrupoli e di facili costumi, venga invece qui ritratta tenendo conto di quel revisionismo storico a cui è stata giustamente sottoposta negli ultimi anni.

Cesare Borgia era affascinante, coraggioso, risoluto e intelligente, ma è altrettanto vero che sapesse essere anche terribilmente spietato. Non si può certo negare questo aspetto del suo carattere, ma la sua figura andrebbe quantomeno storicamente contestualizzata. L’epoca in cui egli visse fu un’epoca dove tradimenti, crimini e assassinii erano all’ordine del giorno, eppure, egli passò alla storia come il più spietato di tutti. Stessa sorte toccò al tanto vituperato Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, sebbene il papato avesse già conosciuto papi altrettanto corrotti e nepotisti. Non possiamo dimenticare, per esempio, che solo pochi anni prima nel 1478 Sisto IV fu uno dei più potenti alleati della famiglia Pazzi in quella congiura che si concluse durante la messa nel Duomo di Firenze con l’assassinio di Giuliano de’ Medici e dalla quale per pura fortuna il Magnifico riuscì ad uscirne solo lievemente ferito.

La figura di Cesare Borgia, come molto raramente accade nella storia, assurse alla gloria del mito quando egli era ancora in vita ed è davvero apprezzabile l’idea di riproporre una rilettura moderna della leggenda del Valentino rifacendosi agli scritti e all’esperienza del Machiavelli, per cui se cercate una lettura valida, ma non troppo impegnativa sull’argomento questo libro potrebbe fare al caso vostro.

 

 

sabato 26 febbraio 2022

“Le magnifiche dei Medici” di Daniela Cavini

Dodici brevi ritratti dedicati alle donne dei Medici, figure femminili sconosciute alla maggior parte delle persone a meno che non siano storici o cultori della Toscana medicea come scrive Paolo Ermini nella presentazione del libro.

Se tutti più o meno conoscono, anche solo i nomi, degli esponenti maschili della dinastia, pochi sono informati o si soffermano sull’importanza che ebbero alcune donne di questa illustre famiglia.

Daniela Cavini (autrice di “Storia di un’altra Firenze”), attraverso questi dodici camei prova a fare luce su queste figure femminili che furono a loro modo protagoniste della storia sebbene spesso dimenticate o peggio ancora talvolta vilipese.

Il primo ritratto che incontriamo è quello della madre di Lorenzo il Magnifico Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero il gottoso, colei che il suocero Cosimo il Vecchio definì l’unico uomo della famiglia. Dapprima sostegno per il marito spesso malato e poi per il figlio al quale di fatto consegnò praticamente intatto il patrimonio familiare, patrimonio che Lorenzo non fu altrettanto bravo a gestire.

Fu proprio la mente acuta di Lucrezia a ritenere che fosse giunto il momento adatto per fare il salto di qualità procurando al figlio una moglie di nobile stirpe e la scelta ricadde su Clarice Orsini.

Clarice Orsini fu la prima straniera ad entrare nella famiglia Medici e come tutte le straniere non fu mai accettata dal popolo. Non fu un matrimonio d’amore, Clarice onorò il suo compito e diede al magnifico nove figli, ma non si adatto mai ai costumi fiorentini e si scontrò spesso con il marito per l’educazione da impartire alla prole. Fu lei ad individuare nella cugina Alfonsina Orsini la moglie più adatta al primogenito Piero, detto in seguito Piero il fatuo.

Alfonsina Orsini è forse una delle meno conosciute di queste figure femminili. Quando nel 1494 i Medici furono nuovamente cacciati da Firenze a seguito dell’arrivo dei francesi lei restò da sola per un anno nel palazzo di via Larga a presidiare i beni di famiglia prima di risolversi a riunirsi al marito. Dopo la morte di questi poté dare sfogo a quella che la storia definì ambizione smisurata, ma che se fosse appartenuta ad un uomo probabilmente sarebbe passata per astuzia e intraprendenza. Sta di fatto che riuscì ad accasare i figli in modo molto conveniente: la figlia Clarice sposò infatti il banchiere Filippo Strozzi e il figlio Lorenzo, per il quale la madre era riuscita ad ottenere dal cognato papa Leone X il Ducato di Urbino, sposò la nipote del re di Francia Madeleine de la Tour d’Auvergne, Purtroppo Lorenzo e la moglie morirono entrambi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, dopo solo un anno di matrimonio quando la figlia Caterina aveva solo qualche giorno di vita.

Oltre alle pagine dedicate a Caterina de’ Medici e a Maria de’ Medici le due regine di Francia, la prima passata alla storia come la regina nera, l’avvelenatrice e la discepola di Machiavelli e la seconda come la mercantessa di Firenze superficiale, superba e dallo scarso senso politico, troviamo le pagine dedicate a Caterina Sforza ricordata dalla storia anche come la Tigre di Forlì.

Caterina Sforza fu la madre di Giovanni dalle Bande Nere che sposò la nipote di Lorenzo il Magnifico, Maria Salviati, figura femminile della quale si parla pochissimo, ma che fu fondamentale per la formazione e l’educazione del figlio Cosimo, destinato a divenire il primo Granduca di Toscana.

Cosimo sposò Eleonora di Toledo, sovrana superba e di una bellezza marmorea, come la definisce Daniela Cavini; il loro fu un matrimonio politico basato su forti interessi economici, ma che si rivelò, stranamente per l’epoca, anche un matrimonio d’amore.

Altre pagine sono dedicate a Isabella de’ Medici, la figlia prediletta di Cosimo I, donna colta e libera che trovò la morte molto probabilmente per mano del marito Paolo Giordano Orsini con la complicità del fratello di lei Francesco I, e a Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici andata in sposa a Ferdinando I succeduto al fratello Francesco dopo la morte di questi sopraggiunta quasi contemporaneamente a quella della sua seconda moglie, la famosa Bianca Cappello, a cui non poteva ovviamente mancare in questo libro un capitolo a lei dedicato.

Infine, l’ultimo ritratto non poteva essere che riservato a lei, ad Anna Maria Luisa de’ Medici, l’Elettrice Palatina, ultima della sua stirpe colei a cui spettò il gravoso e ingrato compito di consegnare il Granducato nelle mani degli Asburgo-Lorena non senza avergli fatto sottoscrivere prima quel famoso Patto di Famiglia grazie al quale Firenze possiede ancora oggi il suo immenso patrimonio artistico che ne fa una delle città d’arte più belle del mondo.

Non possiamo dire che le donne dei Medici rivestirono sempre un ruolo passivo perché furono mogli e madri di uno spessore straordinario. A mio avviso, i Medici per primi compresero il valore e l’importanza delle figure femminili nello scacchiere politico e sociale tanto che spesso attribuirono alle loro donne, diremmo oggi, un ruolo mediatico di rilievo. Le donne Medici si distinsero alcune anche per bellezza, ma soprattutto per la loro componente intellettuale e la loro eleganza. È vero che oggi solo gli appassionati della famiglia Medici e gli storici ne ricordano i nomi e l’importanza, ma se guardiamo al passato non fu sempre così o almeno non per tutte le figure femminili della famiglia.

Il libro di Daniela Cavini è un validissimo compendio per colmare le lacune del lettore sul ruolo della donna in seno alla famiglia Medici e per spingerlo ad approfondire la storia di quelle figure femminili che più l’hanno colpito e incuriosito.

“Le magnifiche dei Medici” è un breve saggio puntuale, ben documentato e dalla veste grafica preziosa ed accattivante.





sabato 19 febbraio 2022

“Paolino Dolci nobile Ruspante fiorentino” di Alberto Bruschi

Eccoci nuovamente alla Corte del Granduca Gian Gastone de’ Medici. Ricorderete che più volte vi ho parlato dell’esecrato Giuliano Dami, ebbene, ricorderete dunque anche che il Dami aveva scelto accuratamente alcuni personaggi della sua risma affinché lo affiancassero nei suoi disonesti traffici.

La cronaca del tempo ci riporta in particolare i nomi dello speziale Branchi, quello di un certo Fumanti, personaggio di non facile identificazione, e quello di Paolino Dolci.

Il libro di Alberto Bruschi si pone come intento proprio quello di provare a redigere una biografia di questo discusso personaggio, degno accolito di quella combriccola di scellerati. Se dell’affascinate quanto freddo e calcolatore Giuliano Dami ci è pervenuto un solo ritratto, di Paolino al momento non sembra esserci giunta alcuna immagine. L’unica possibilità potrebbe essere forse l’identificazione del fiorentino, ormai già avanti negli anni, con un personaggio in abito civile da cerimonia in un dipinto di Claude Marie Gordot, datato 1774 o secondo altri 1776, in cui viene rappresentato l’ingresso del Vice Legato nel Palazzo dei Papi ad Avignone.

Da questa affermazione potete già comprendere quanto fu avventurosa la vita del nostro Paolino Dolci, una vita ricca senza dubbio di avvenimenti così come di furti, bassezze e perversità. Lunga è infatti la strada che portò il nostro protagonista dalla Corte medicea, a Roma e infine addirittura ad Avignone dove lo troviamo vestire i panni di capitano delle Guardie Svizzere.

Attraverso una capillare ricerca, fatta di consultazioni di fonti d’archivio e visite a quei luoghi teatro delle vicende narrate, attraverso l’analisi delle opere d’arte senza tralasciare l’importanza delle preziose informazioni desunte dalla disciplina araldica, Alberto Bruschi inizia il suo racconto partendo delle origini della famiglia Dolci.

 “Nobile Ruspante fiorentino” una definizione che merita qualche precisazione.

Paolino Dolci, al contrario del suo sodale Giuliano Dami che era di umili origini, proveniva da una famiglia nobile. La nobiltà dei Dolci non aveva nulla a che vedere con quella che si potrebbe definire “nobiltà di razza”, ma piuttosto si intendeva che la famiglia apparteneva alla classe agiata ovvero quella dei mercanti e dei proprietari terrieri.

Dei Ruspanti abbiamo parlato altre volte specie in occasione dei libri dedicati alla figura di Gian Gastone e a quella di Giuliano Dami. I Ruspanti erano i giovani, ma vi erano tra loro anche delle giovani, che gravitavano intorno al Granduca e che venivano pagati settimanalmente in ruspi, da qui l’appellativo Ruspanti. Esistevano due liste: quella dei “Provvisionati palesi” e quella dei “Provvisionati occulti”. Coloro che erano iscritti nella seconda lista erano coloro che perché nobili o cavalieri o simili dovevano essere trattati con un certo riguardo e pertanto ricevevano quanto dovuto a domicilio e non direttamente dalla Stanza dello Scrittoio.

Una curiosità: i ruspi erano monete che venivano così chiamate perché per essere state coniate da poco tempo si presentavano ruvide al tatto.

Questo libro di Alberto Bruschi si differenzia un po’ per forma rispetto ai precedenti presentando un guazzabuglio, nell’accezione buona del termine,  di registri linguistici amalgamati perfettamente tra loro. Non è un mistero che io sia affascinata dalla prosa e dallo stile di questo autore, ma devo ammettere che ancora una volta è riuscito davvero a stupirmi.

In questo volume abbiamo pagine caratterizzate da un severo rigore storico alternate a pagine romanzate di grande effetto che sono a loro volta contrassegnate da un linguaggio che varia da quello più aulico a quello più scurrile in special modo quando vengono riportati alcuni tra i più impudenti proverbi e detti toscani. Eppure, nonostante questo, nonostante a volte il racconto si faccia estremamente dissacrante, caustico e ironico non risulta mai sconveniente.

La prosa di Alberto Bruschi ha la rara capacità di riuscire a mantenersi elegante pur nell’insolenza e nella volgarità dei temi trattati.

Il solito Alberto Bruschi, umano e diciamolo forse anche po’ sdolcinato, riappare poi ogni qualvolta si affaccia nel racconto la figura di Gian Gastone e la scelta delle parole a lui dedicate emoziona sempre.

Il libro è corredato di ampia documentazione, trovate in appendice persino gli inventari delle aste degli arredi di Paolino Dolci oltre ad una sezione dedicata alle satire e ai sonetti contro gli Aiutanti di Camera del Granduca Gian Gastone scritti da uno sconosciuto autore del XVIII secolo.

Credo che anche questo volume come gli altri di Alberto Bruschi sia ormai fuori catalogo e che sia stata fortunata a reperirne ancora una copia. Eppure, questi volumi meriterebbero davvero una ristampa.

 

 

 


giovedì 20 gennaio 2022

“Caterina de’ Medici” di Magdalena Lasala Pérez

Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo duca d’Urbino, nipote di Lorenzo il Magnifico, e Madeleine de La Tour d'Auvergne, contessa di Boulogne, strettamente imparentata con i reali di Francia, nasce a Firenze nel 1519.

Rimasta orfana a pochi mesi dalla nascita, Caterina non ha un’infanzia facile, rischia più volte la vita e conosce anche la prigionia. La giovane Caterina muove i primi passi nel mondo degli intrighi di palazzo alla corte papale dello zio Clemente VII e sono proprio queste esperienze insieme alle letture e allo studio delle più svariate discipline a formarla per il ruolo di primo piano che la storia le ha destinato.

Caterina comprende presto di essere un’importante pedina sullo scacchiere politico del suo tempo e accetta senza remore il matrimonio con il figlio cadetto del Re di Francia combinato per lei dallo zio papa Clemente VII.

Ricevuta freddamente nella sua nuova terra perché di natali non nobili, deve fare i conti con un marito distante che ha occhi solo per la sua amante, la bella Diana de Poitiers.

Con la morte improvvisa del delfino di Francia nel 1536, per Caterina e il marito Enrico, futuro Enrico II, mutano totalmente le prospettive. Per Caterina diventa sempre più pressante la necessità di dare un erede alla Francia e dopo dieci anni di matrimonio arriva il tanto sospirato primogenito Francesco che gli garantirà definitivamente il suo posto a corte. Nel giro di pochi anni Caterina partorirà molti altri figli.

Nel 1559 il re muore tragicamente in un torneo, al trono sale il primogenito Francesco appena quattordicenne. Caterina vedrà sedere sul trono di Francia tre dei suoi figli e sarà sempre loro accanto come reggente o come ministro.

Caterina de’ Medici fu una regina saggia, capace, determinata e sempre propensa alla mediazione laddove possibile in un mondo dove imperversavano cruente guerre di religione, dovette affrontarne ben otto.

Nonostante ciò, solo negli ultimi anni il suo operato è stato oggetto di revisionismo storico, perché per secoli la sua figura è stata tramandata come quella di una regina crudele e sanguinaria. Indubbiamente a pesare sulla leggenda nera della regina maledetta furono soprattutto i terribili fatti occorsi nella notte di San Bartolomeo in cui si perpetrò il terribile massacro degli ugonotti di cui lei sola la storia ha incolpato come unica responsabile.

Persino in letteratura, pensiamo a scrittori quali Honoré del Balzac o Alexandre Dumas, venne dipinta come una regina malvagia capace di occuparsi personalmente dell’avvelenamento dei propri avversari.

Questo libro, come già quello dedicato alla figura di Maria de’ Medici, fa parte della collana “Regine e ribelli” in uscita in questi mesi nelle edicole con cadenza settimanale.

Il volume presenta, come tutta la collana, una breve introduzione e una serie di valide schede riassuntive al termine della lettura oltre ad una concisa cronologia.

Il libro è molto discorsivo e la lettura risulta quindi molto piacevole e scorrevole. Un ottimo volume per chi voglia conoscere a grandi linee la storia di Caterina de’ Medici e poi magari approfondirne alcuni aspetti in seguito. A tal proposito sarebbe stata gradita una bibliografia che invece è totalmente mancante.

Tempo fa vi avevo parlato di un un’altra biografia di Caterina de’ Medici scritta da Mariangela Melotti. Quel libro presentava una prosa stilisticamente molto raffinata, ma purtroppo anche molte imprecisioni.

Se volete leggere una biografia completa, non troppo impegnativa, ma che riporti i dati salienti della vita di Caterina de’ Medici e ne inquadri discretamente anche il periodo storico, questo libro è decisamente molto più valido a tale scopo.






domenica 16 gennaio 2022

“Anna Maria Francesca” di Alberto Bruschi

Una Principessa boema… una Fiorentina mancata così recita il sottotitolo del libro. 

Ma chi era davvero Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg?

La Signora di Reichstadt era una donna libera e volitiva che amava profondamente la sua gente, le sue terre, la vita all’aria aperta, la caccia e i cavalli.

Dopo essere rimasta vedova ancora giovane del primo marito il conte palatino Filippo Guglielmo Augusto di Neuburg dal quale aveva avuto due figlie, di cui una sola ancora in vita, non avrebbe avuto evidenti necessità di risposarsi. Probabilmente però stanca delle continue pressioni accettò il suggerimento del cognato di sposare il fratello di sua moglie. Il cognato di Anna Maria Francesca era l’Elettore Palatino Giovanni Guglielmo marito di Anna Maria Luisa de’ Medici.

Anna Maria Francesca accettò quindi quella che si sarebbe rivelata una delle unioni più mal riuscite della storia medicea: il matrimonio con Gian Gastone de’ Medici, terzogenito del Granduca di Toscana Cosimo III, venne celebrato il 2 luglio del 1697 a Düsseldorf e, contrariamente alle usanze del tempo, fu il principe cadetto di casa Medici a trasferirsi nelle terre della moglie e non viceversa.

Di fatto Anna Maria Francesca non vedrà mai Firenze, non accompagnerà Gian Gastone in occasione del suo breve rientro a Firenze nel 1705, dal quale egli ritornerà accompagnato dal tristemente famoso aiutante di camera Giuliano Dami, e neppure quando vi rientrerà definitivamente essendo ormai chiaro a tutti che sarebbe toccato a lui sedere sul trono granducale alla morte del padre Cosimo III. Anna Maria Francesca diventerà Granduchessa di Toscana, ma neppure questo evento la convincerà a lasciare la sua casa e la sua gente.

L’intento di Alberto Bruschi è quello di cercare di fare un po’ di chiarezza e liberare per quanto possibile la figura di Anna Maria Francesca dai luoghi comuni ormai storicizzati nei quali si tende a cadere quando si parla di lei e del suo matrimonio con Gian Gastone.

Rozza, spilorcia, priva di spirito e di ogni attrattiva sono solo alcuni degli attributi più comuni che da sempre sono stati associati alla sua persona. Dalle pagine del libro però inizia a farsi strada una donna diversa, una donna sì ostinata, ma anche un’ottima amministratrice delle sue terre, capace di trattare in prima persona con i suoi dipendenti, una signora scrupolosa e attenta alle esigenze dei suoi contadini.

Il rapporto con Gian Gastone fu un rapporto conflittuale fin dall’inizio, ma la rottura divenne definitiva solo quando Giuliano Dami, giunto a Reichstadt con la sua astuzia e la sua malvagità, annullò definitivamente ogni possibilità di mediazione tra i coniugi per il proprio tornaconto personale.

Attraverso le descrizioni della tenuta di Reichstadt, oggi Zákupy, Alberto Bruschi ci conduce a conoscere quei territori freddi e nevosi dai quali Gian Gastone sembrava tanto infastidito. In verità questo luogo non mancava di una certa eleganza e di un certo fascino, ma certamente poco si addiceva a un uomo con le caratteristiche di Gian Gastone melanconico e abituato al mite clima delle soleggiate colline toscane.

Anna Maria Francesca era una donna pratica, indipendente, abituata ad imporre la propria volontà, senza dubbio figlia di una cultura ben diversa da quella di Gian Gastone principe raffinato, malinconico, amante dell’arte, figlio di una civiltà che ormai da secoli faceva della bellezza una religione, un uomo che, viste la sua infanzia e le sue difficoltà, avrebbe avuto bisogno di una donna che lo amasse e lo comprendesse non di una moglie pronta anch’essa a comandarlo senza alcuna premura.

La differenza di costumi, l'incapacità di dialogo e l’incontro di Gian Gastone con Giuliano Dami furono alla base del fallimento dell’unione tra il futuro ultimo Granduca di casa Medici e Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg.

Con piacere ho scoperto tra queste pagine un accenno alla storia di altri personaggi ai quali spesso anch'io mi sono ritrovata a pensare leggendo delle vicende dell'ultimo Granduca Medici. Mi riferisco alla storia del fratello del Re Sole, Filippo d'Orléans e al suo rapporto con Filippo di Lorena, conosciuto anche come lo Chevalier e alla sua seconda moglie Elisabetta Carlotta del Palatinato soprannominata Liselotte.

“Anna Maria Francesca” è un volume prezioso, ben scritto e ben documentato, corredato di ampia documentazione fotografica. Un libro che ancora una volta assolve allo scopo che Alberto Bruschi si era prefissato ovvero fare di se stesso un “suscitatore di memorie”.

Purtroppo, come già per altri volumi di cui vi ho parlato ultimamente anche questo, edito da SP 44 Editore nel 1995, è fuori catalogo e l’unico modo per reperirlo è rivolgersi al mercato dell’usato.




domenica 9 gennaio 2022

“Maria de’ Medici” di Cristina Castillón Puig

Maria de’ Medici (1573-1642), figlia di Francesco I e Giovanna d’Austria, rimase orfana in giovane età. Ad occuparsi di lei fu lo zio Ferdinando I che era succeduto al fratello sul trono del Granducato di Toscana. Fu lui che combinò il matrimonio con il re di Francia Enrico IV che Maria sposò per procura a Firenze il 5 ottobre dell’anno 1600.

Giunta nella sua nuova patria Maria fu fin da subito osteggiata in quanto straniera e cattolica; l’essere una Medici, poi, non la rese certamente ben voluta alla Corte che ancora serbava un ostile ricordo di Caterina de’ Medici

Le casse francesi erano vuote e la dote della sposa aveva rappresentato un vero sollievo per il paese, ma questo non le fruttò alcuna simpatia anzi venne spesso derisa proprio per le sue origini legate ad una famiglia di banchieri.

Maria de’ Medici venne incoronata regina di Francia solo nel 1610, quando aveva già dato alla luce sei figli. Enrico IV venne assassinato proprio il giorno dopo l’incoronazione della moglie e questo non fece che alimentare i sospetti di un suo possibile coinvolgimento.

Divenuta regina reggente Maria favorì l’ascesa del proprio consigliere Concino Concini, marito di Leonora Dori la dama di compagnia fiorentina che l’aveva seguita in Francia. Questa sua simpatia per Concino Concini e per Leonora le attirò addosso accuse e generò molto malcontento.

Nel 1615 Maria convocò gli Stati Generali e in tale occasione conobbe Richelieu il quale, se dapprima si rivelò per lei un affidabile alleato, non esitò in seguito a decretarne la sua fine politica giocando un ruolo predominate nella definitiva rottura dei rapporti tra lei e il re del quale col tempo Richelieu era divenuto l’indispensabile primo ministro nonché colui che di fatto reggeva le redini della Francia.

Maria de’ Medici morì in esilio nel 1642 ospite della famiglia di Pieter Paul Rubens, il pittore con il quale aveva stretto amicizia e al quale aveva commissionato nel 1622 una serie di ventiquattro dipinti per il Palazzo del Lussemburgo, fatto costruire ad imitazione di Palazzo Pitti, dipinti che illustravano la storia della sua vita e celebravano il suo operato.

Una delle tante accuse che le furono rivolte fu proprio quella di sperperare denaro in opere d’arte, gioielli e vestiti. Maria era una vera Medici e il mecenatismo così come l’importanza di esso come strumento politico facevano parte del suo retaggio culturale. Diede di fatto grande impulso alle arti in Francia rivitalizzando un paese cupo e segnato da anni di guerre.

La figura di Maria de’ Medici è stata relegata per molto tempo ad un ruolo secondario della storia moderna europea e solo ultimamente questo ruolo è stato rivalutato. Pagò senza dubbio il fatto di essere donna e di non aver mai remissivamente accettato una posizione secondaria come gli veniva richiesto dalle convenzioni del tempo.

Il rapporto con il figlio Luigi XIII fu un rapporto sempre conflittuale, avendo fatto affidamento entrambi su stretti collaboratori dalla forte personalità più interessati al proprio tornaconto e all’acquisizione del potere personale che al bene del paese.

Maria de’ Medici venne accusata di incompetenza e ignoranza, non tenendo conto della difficoltà dello scacchiere politico sul quale ella fu costretta a muoversi. Il carattere forte, volitivo e orgoglioso di cui era dotata non le valse certamente alcuno sconto o simpatia.

Il libro di Cristina Castillón Puig è edito da RBA, fa parte di una collana “Regine e ribelli” dedicata ai personaggi femminili della storia i cui volumi stanno uscendo in edicola con cadenza settimanale.

Il volume è discretamente strutturato. Ad una introduzione generale segue il racconto della vita di Maria de’ Medici in forma molto discorsiva, un romanzo-saggio che si rivela la scelta narrativa più adatta per questo tipo di pubblicazione che vuole essere un’opera divulgativa di buona qualità, ma non eccessivamente impegnativa. Chiudono il volume alcune brevi schede riassuntive che aiutano il lettore a fissare i concetti principali e una breve cronologia.

Nell’insieme, a parte qualche piccola imprecisione, è un libro che permette al lettore di farsi un’idea generale del personaggio ed eventualmente spingerlo ad approfondire l’argomento. Proprio in quest’ottica sarebbe stata gradita e auspicabile la presenza di una bibliografia che invece risulta totalmente assente.

In caso preferiste invece leggere un bel romanzo storico incentrato sulla figura di Maria de’ Medici, vi consiglio l’ultimo romanzo della quadrilogia medicea di Matteo Strukul intitolato “Decadenza di una famiglia”.

 

 


giovedì 6 gennaio 2022

“Don Antonio de’ Medici. Un principe alchimista nella Firenze del ‘600” di Paola Maresca

Don Antonio de’ Medici (1576-1621) era figlio del Granduca di Toscana Francesco I e della sua seconda moglie Bianca Cappello. Quando nacque però il padre era ancora sposato con la prima moglie Giovanna d’Austria che morì solo due anni più tardi nell’aprile del 1578.

Don Antonio, sebbene fosse stato riconosciuto dal genitore, rimaneva di fatto un figlio illegittimo. Con le seconde nozze del padre e con la morte dell’erede designato Filippo, figlio di Francesco I e di Giovanna d’Austria, Antonio mutò la sua condizione. L’istruzione che gli venne impartita fu quindi consona al ruolo di principe ereditario quale egli era di fatto divenuto.

La vicenda di Bianca Cappello e di Francesco I è ricordata come una delle pagine più oscure della storia medicea.

Ferdinando I, non vide mai benevolmente la relazione prima e le nozze poi del fratello con la bella veneziana. Quando entrambi morirono a poche ore di distanza l’uno dall’altra durante un soggiorno nella Villa di Poggio a Caiano dove si trovava ospite lo stesso Ferdinando si pensò subito che entrambi fossero stati da lui avvelenati, ipotesi che resta ancora oggi tra le più accreditate anche se ci sono studi che lo assolverebbero.

Antonio, ancora undicenne, era comunque un ostacolo per Ferdinando il quale per liberarsi del legittimo erede si affidò a prezzolati testimoni affinché dichiarassero che il ragazzo non era figlio del fratello e di Bianca Cappello, ma che questa aveva ingannato Francesco facendo passare per suo il figlio di una popolana, una certa Lucia.

Tolto di mezzo lo scomodo nipote e condannata alla damnatio memoriae la tanto detestata cognata, Ferdinando, abbandonato l’abito cardinalizio, salì al trono granducale e sposò Cristina di Lorena.

Vuoi per mettersi al riparo da eventuali rivendicazioni da parte del nipote, vuoi a causa di un semplice senso di colpa, Ferdinando non abbandonò il giovane Antonio, ma lo accolse in seno alla famiglia alla condizione che, raggiunta la maggiore età, egli pronunciasse i voti come Cavaliere di Malta rinunciando in tal modo per sempre alla possibilità di avere eredi a cui poter trasmettere le proprie sostanze.

Gli venne così assegnato un appartamento a Palazzo Pitti e gli venne riconosciuto l’usufrutto di alcune ville oltre che del Casino di San Marco che ospitava ancora l’officina alchemica di Francesco I.

Don Antonio che aveva ereditato proprio dal padre la passione per le scienze alchemiche e la spagirica ne fece il suo quartier generale e, facendo eseguire ingenti lavori per renderlo consono alle sue esigenze abitative, lo trasformò in una splendida reggia.

Don Antonio fu un personaggio che dal nonno Cosimo I e dal bisnonno Giovanni dalle Bande Nere aveva ereditato la passione per le armi, combatté per mare riportando nette vittorie contro i pirati e si recò anche in aiuto di Rodolfo II che si trovava in difficoltà contro i Turchi che premevano ai confini dell’Impero.

A causa delle numerose ferite riportate in battaglia il suo stato di salute subì un peggioramento e dovette quindi abbandonare la carriera militare e ripiegare su quella diplomatica.

Ebbe così molto più tempo da dedicare alla sua vera passione: l’opera alchemica.

L’aver pronunciato i voti come Cavaliere di Malta non gli impedì di avere quattro figli, ma nonostante le suppliche che rivolse al cugino Cosimo II, divenuto nel frattempo il nuovo Granduca di Toscana, gli fu negata ogni possibilità di lasciare loro alcun bene.

Don Antonio de’ Medici è uno dei personaggi forse meno conosciuti e meno indagati della famiglia Medici, ma dal libro di Paola Maresca si intuisce chiaramente che fu una figura dal fascino non comune, intelligente e intraprendente, appassionato di musica ed arte, fece del Casino di San Marco un centro di riferimento per la cultura musicale oltre che uno dei principali centri di diffusione delle teorie di Paracelso non solo della Toscana ma di tutta l’Italia.

Paola Maresca riesce mirabilmente a condensare in appena un centinaio di pagine moltissime notizie sulla vita di Don Antonio, sulla sua famiglia, sugli studi da lui condotti, sulla ristrutturazione del Casino di San Marco e non ultimo su tutte quelle figure che ruotarono intorno al suo personaggio e lo affiancarono nella sua ricerca.

Il volume è corredato da una discreta bibliografia e da un’ampia e interessante documentazione fotografica.

Un valido volume per chi si accosti per la prima volta alla figura di Don Antonio e un buon punto di partenza per chi desideri approfondirne la conoscenza.

Se siete interessati all’argomento “alchimia e Medici” vi ricordo un altro libro di Paola Maresca di cui vi avevo parlato qualche tempo fa intitolato “Alchimia,magia e astrologia nella Firenze dei Medici” sempre edito da Angelo Pontecorboli Editore.



sabato 3 luglio 2021

“Caterina de’ Medici. Una vita tra splendori e intrighi” di Mariangela Melotti

La storia di Caterina de’ Medici suscita ancora oggi sentimenti contrastanti; per alcuni figura femminile di grande saggezza politica, per altri “la regina maledetta” che non si fece scrupolo di ricorrere al veleno e alla stregoneria pur di raggiungere i propri scopi.

Caterina de’ Medici nasce a Firenze nel 1519, figlia di Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino (figlio di Piero il Fatuo e nipote di Lorenzo il Magnifico) e di Madeleine de La Tour d'Auvergne. Rimane orfana dopo pochi giorni dalla nascita, il padre muore di tubercolosi, o forse di sifilide, e la madre di febbre puerperale.

Sono anni difficili quelli della sua infanzia anche se lo zio papa Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, figlio del Magnifico, ne ottiene la custodia.

A Roma Caterina imparerà a conoscere come ci si debba muovere tra intrighi e complotti. La vita alla corte papale sarà per lei una vera palestra e gli insegnamenti di quegli anni le torneranno molto utili quando un giorno siederà sul trono di Francia. È una ragazzina sveglia e ha già compreso che lei altro non è che un’importante pedina sullo scacchiere politico ed in particolare su quello mediceo.

Quando papa Clemente VII concluderà per lei un prestigioso matrimonio con Enrico, figlio cadetto del re di Francia Francesco I, saprà accettare serenamente il suo destino.

Caterina riuscirà a farsi benvolere dal suocero e avrà la capacità di sapersi imporre, grazie alla sua innata eleganza, al suo buongusto e alla sua intelligenza, in una corte che fin da subito la guarderà con malanimo in quanto straniera.

La Medici non si abbatterà neppure di fronte ai continui tradimenti del consorte per il quale lei invece nutrirà sempre un affetto sincero e quando, all’improvviso morirà il cognato Francesco, lei ancora senza eredi saprà giocare bene le sue carte per mantenere saldo il suo posto a fianco del marito, nuovo Delfino di Francia.

La sua fermezza e la sua saggezza saranno ben ricompensate poiché lei siederà sul trono prima come consorte e poi come reggente.

Gli anni in cui Caterina fu al potere furono anni di guerra e di sanguinosi conflitti religiosi. A lei venne data la colpa per la strage perpetrata dai cattolici ai danni degli Ugonotti la notte di San Bartolomeo.

Caterina venne spesso accusata di tergiversare, di non prendere decisioni volontariamente così da fomentare le discordie, in realtà molto più probabilmente la penuria di mezzi economici e la debolezza del trono non le permisero di agire diversamente.

Volevo leggere un saggio su Caterina de’ Medici, un personaggio che negli ultimi tempi ha suscitato la mia curiosità, e così girando tra le librerie di Firenze mi sono imbattuta in questo libro che non avevo mai visto prima.

Si tratta di un saggio molto discorsivo e quindi di facilissima lettura, ben scritto e scorrevole; affascinanti sono le descrizioni dei luoghi e dell’ambiente di corte.

Una prima parte del libro è dedicata alle origini della famiglia Medici, una sorta di lunga introduzione per inquadrare meglio il personaggio; con la morte dei genitori di Caterina si entra poi nel pieno del racconto della vita della futura sovrana di Francia.

Il libro è piuttosto breve, neppure 200 pagine, per cui inutile dire che non può essere considerata una biografia esaustiva, ma piuttosto un invito ad approfondire l’argomento.

La scelta di questo tipo di copertina per un saggio, cosa che mi ha lasciata un po’ perplessa fin dal primo momento, insieme ad una completa assenza di bibliografia avrebbero dovuto allertare fin da subito il mio sesto senso.

Il libro, infatti, non manca di imprecisioni e omissioni alcune oserei dire piuttosto imbarazzanti come il mettere in relazione i tre gigli caricati sulla palla più in alto dello stemma mediceo con la scelta di Firenze di adottare proprio il giglio come simbolo della città. Subito ho pensato di aver male interpretato le parole dell’autrice, ma purtroppo la stessa asserzione viene riportata qualche pagina più avanti sgombrando ogni dubbio sulla possibilità di malintesi.

Un’altra inesattezza, per esempio, è l’errata identificazione del committente per la Cappella dei Magi, opera di Benozzo Gozzoli. Nel libro è scritto che fu commissionata da Lorenzo il Magnifico invece che dal padre di questi Piero il Gottoso.

Troppe sviste per un saggio e mi chiedo, non conoscendo la storia di Caterina, quante inesattezza io possa aver letto senza rendermene conto.

Peccato davvero perché la prosa è stilisticamente molto raffinata e piacevole, perfetta per un romanzo e come tale l’avrei magari anche apprezzato, ma trattandosi di un saggio non mi sentirei di consigliarne la lettura.


 

 

domenica 14 aprile 2019

“Nel nome di Dante” di Marco Martinelli


NEL DI NOME DANTE
di Marco Martinelli
PONTE ALLE GRAZIE
Dante è ritenuto il padre indiscusso della lingua italiana basti pensare che ancora oggi l’80% delle parole che noi usiamo sono contenute nella Divina Commedia.

Dante è il nostro monumento nazionale, il sommo poeta, il grande genio conosciuto e celebrato in tutto il mondo, ma chi era l’uomo Dante? E soprattutto ha ancora senso oggi leggere la Commedia di Dante, quella che fu definita poi Divina da Boccaccio, suo primo estimatore? Cosa ha ancora da dire ai giorni nostri il testo dantesco e cosa può trasmettere ai nostri giovani?

Sono proprio questi gli interrogativi a cui l’autore vuole dare una risposta e per farlo ci racconta di un Dante diverso da quello che viene celebrato e incensato per la sua poetica sui banchi di scuola.
Marco Martinelli ci racconta di un Dante bambino, un Dante ragazzino e poi di un Dante poeta, ma anche uomo politico.
Sarà proprio la politica infatti che farà di Dante l’esule che noi tutti oggi conosciamo.

Il libro presenta un doppio piano narrativo: ai capitoli dedicati al racconto della vita e delle opere di Dante, si alternano altri capitoli incentrati sulla vita dell’autore, vita raccontata soprattutto attraverso il ricordo del padre e del ruolo fondamentale da lui svolto nell’istruzione del figlio.

Vincenzo Martinelli era un personaggio particolare; unico figlio maschio di una famiglia contadina, ebbe la fortuna di avere un padre generoso e di buon senso che, riconoscendo le capacità intellettive del figlio, decise di dare ascolto ai consigli degli insegnanti e gli permise così di proseguire gli studi.
Proprio quegli studi in seguito consentirono a Vincenzo di intraprendere una carriera politica nell’immediato dopoguerra, nei cosiddetti anni della ricostruzione, e la sua scelta ricadde sulla Democrazia Cristiana.
Marco Martinelli tiene molto a precisare che il ruolo ricoperto dal padre, quale addetto alla segreteria tecnica, fu ruolo esclusivamente di tipo tecnico appunto e non politico.

L’autore gioca molto sul confronto tra ciò che ai giorni nostri è rimasto uguale o è totalmente cambiato rispetto ai tempi di Dante; in particolar modo è attratto dalla lotta politica tra Guelfi e Ghibellini e dalla successiva scissione del partito Guelfo in Guelfi Bianchi e Guelfi Neri.
La storia della Democrazia Cristiana che Martinelli applica, seguendo l’insegnamento di suo padre, alla politica del tempo di Dante ne è un chiaro esempio.  

I Guelfi erano i democristiani e i Ghibellini i comunisti. E nella DC c’erano i Bianchi, come Moro e Zaccagnini, e i Neri, come Andreotti.

Una spiegazione un po’ troppo semplicistica? Forse sì ma, ma indubbiamente molto efficace.
Il libro infatti non vuole assolutamente essere un saggio, l’intento dell’autore non è scrivere per gli specialisti, ma piuttosto rivolgersi ai ragazzini e alle ragazzine di oggi.

Non è certo mia intenzione generalizzare e lungi da me voler offendere i ragazzi del giorno d’oggi, ma mi sembra un po’ utopistico da parte dell’autore sperare che molti di loro possano scegliere di leggere spontaneamente questo libro.
Credo però che se qualcuno di loro riuscisse a mettere da parte la propria diffidenza ed i propri pregiudizi, indubbiamente resterebbe affascinato all’argomento e con molta probabilità vi si appassionerebbe pure molto.

Forse la visione della Democrazia Cristina contrapposta al Partito Comunista risulterebbe ai giovanissimi di oggi una lettura un po’ ostica quasi quanto quella tra Guelfi e Ghibellini, ma senza dubbio, nessuno di loro resterebbe estraneo al paragone delle lotte della Firenze di Dante con la guerra per bande tra i Di Lauro e gli “spagnoli”, gli “scissionisti”, raccontata da Roberto Saviano in Gomorra, oggi resa ancora più famosa grazie alla serie televisiva.

Non vi nascondo che questo paragone sulle prime mi ha parecchio infastidito e mi ha fatto storcere non poco il naso, ma poi ho dovuto ammettere che tale raffronto non è poi così sconsiderato, certo una volta superati gli inevitabili pregiudizi.

Troppo spesso infatti Dante intimidisce lo studente proprio perché a scuola la Divina Commedia viene spiegata parlando del poeta Dante, facendo sì riferimento alla politica del tempo, ma tralasciando di parlare dell’uomo Dante con le sue debolezze, le sue esperienze, i suoi dubbi e le sue paure.

Poco tempo fa ho letto un libro che ho molto apprezzato proprio sulla vita di Dante e su quanto l’esilio abbia segnato la sua vita, è un saggio di Chiara Mercuri intitolato “Dante. Una vita in esilio (2018, Editori Laterza).
Questo volume tra l’altro viene citato proprio dallo stesso Marco Martinelli che, nelle note del suo libro, dichiara di averlo trovato particolarmente interessante, cosa che non stento a credere perché, leggendo alcune pagine di “Nel nome di Dante”, se ne sente fortemente l’influenza.

Ognuno di noi, come Dante, si è trovato nella sua vita in quella selva oscura ché la diritta via era smarrita, ed è meraviglioso poter pensare, come suggerisce Marco Martinelli, che Dante volesse con i suoi versi parlare a ciascuno di noi ed ancora più affascinante è poter credere che il sommo poeta lo riesca a fare ancora oggi a distanza di secoli.
                                                                                                                                               
In “Nel nome di Dante” Marco Martinelli è riuscito a far dialogare il Due-Trecento con il Novecento regalandoci una singolare rilettura della Divina Commedia oltre ad averci restituito l’immagine perduta di un Dante in carne ed ossa.
 




domenica 13 gennaio 2019

“Cuore di riccio” di Massimo Vacchetta


CUORE DI RICCIO
di Massimo Vacchetta
SPERLING & KUPFER

Dopo “25 grammi di felicità”, diventato un bestseller tradotto in moltissimi paesi, in cui Massimo Vacchetta ci raccontava di come avesse ritrovato se stesso grazie alla all’incontro fortuito con un cucciolino di riccio, la famosa Ninna, in “Cuore di riccio” il veterinario torna a parlarci dei suoi piccoli pazienti e del suo centro aperto nel 2014 a Novello nella splendida cornice delle Langhe.

Il Centro recupero ricci “La Ninna” è diventato in pochi anni un punto di riferimento a livello nazionale, ma come ogni realtà che si regge sul volontariato, sulle donazioni e sulla dedizione assoluta del suo fondatore, deve affrontare ogni giorno problemi non solo di tipo economico, ma anche dovuti alla carenza di personale specie in periodi particolari dell’anno.
Per fare qualche esempio: quando escono dal letargo i ricci in difficoltà sono davvero molto numerosi e ognuno di loro necessita di cure personalizzate e poi c’è il periodo delle cucciolate quando i piccoli, devono essere nutriti ad intervalli regolari e frequenti, necessitando così di un’assistenza costante e molto impegnativa da parte dei volontari.

Stress, fatica, ore di sonno perdute non sono nulla per Massimo Vacchetta rispetto all’affetto, alla riconoscenza che queste piccole creature riescono a trasmettere a chi si prende cura di loro e la soddisfazione nell’aiutarle non ha eguali.

In questo secondo libro il dottore dei ricci si confida ancora una volta, aprendo il suo cuore al lettore al quale racconta non solo dei suoi piccoli pazienti, ma anche di se stesso, delle sue paure e di come queste creature, con la loro semplicità ed il loro coraggio, siano state e siano tuttora per lui maestre di vita.

L’empatia che Massimo Vacchetta ha sviluppato nei confronti dei ricci e gli insegnamenti tratti da loro sulla pazienza, sul coraggio, sulla dedizione sono stati fondamentali per lui quando si è trovato a dover affrontare la grave malattia della madre, la sua Franchina.

La vita dà e la vita toglie, così proprio nel momento in cui la malattia della mamma di Massimo peggiora, egli incontra un’amica vera e sincera che subito riconosce come la sorella che non ha mai avuto.

Accettare la sconfitta e la perdita non è mai semplice per il dottore, ogni volta che un riccio ormai guarito viene liberato oppure quando purtroppo non ce la fa,  malinconia e tristezza si impadroniscono inevitabilmente di lui, ma quasi sempre c’è subito qualcun altro che bussa alla sua porta per chiedere aiuto e questo qualcuno non deve avere necessariamente le “spine”, ma ha magari il muso di un’impaurita e smarrita volpina colta di sorpresa da uno spaventoso temporale.

Il veterinario si è ritrovato spesso ad interrogarsi se sia giusto ostinarsi a tenere in vita alcuni disabili come Lisa colpita da un’emiparesi, Musetta sfigurata da un tosaerba o Ditina nata senza le zampine posteriori; ma la risposta per Massimo è sempre la stessa, sì, perché l’attaccamento alla vita che i suoi piccoli pazienti dimostrano deve essere preservato e la loro ostinazione premiata, sempre.

Proprio Lisa, la riccetta disabile a cui un trauma cranico ha provocato un’emiparesi, è la protagonista di questo secondo commovente e coinvolgente libro; trovata boccheggiante in un giardino, dopo essere stata probabilmente investita da un’auto, questa dolce riccia avrà molto da insegnarvi e raccontarvi attraverso le toccanti pagine di “Cuore di riccio”.

L’amore che Massimo nutre per gli animali è lo stesso che molti di noi provano e anche lui, come molti di noi, spesso si sente rivolgere le solite, scontate frasi come “aiutare le persone è un conto, ma i ricci” che possono essere poi cani, gatti, lucertole…
Ma chi ha stabilito che la loro vita valga meno della nostra? Senza contare che spesso  quelle stesse persone non fanno nulla neppure per aiutare i loro simili.

La sofferenza merita sempre conforto, che si tratti di una persona o di un riccio. Ci metto il cuore in entrambi i casi, gli animali, forse, mi sembrano più indifesi, o forse so meglio come aiutarli, ecco perché preferisco occuparmi di loro.

Questo è Massimo Vacchetta, un uomo che ha scelto di dedicare la sua vita a queste creature e che crede sia un  dovere rispettare la nostra Terra, animali compresi.

I ricci, ai quali spesso causiamo dolore e sofferenza senza neppure accorgercene, sono creature deboli ed indifese a rischio di estinzione.
Senza rendercene conto siamo proprio noi  la causa principale dei loro guai; i ricci infatti vengono investiti dalle auto mentre attraversano la strada oppure cadono vittime dei nostri lavori di giardinaggio, spesso venendo bruciati vivi insieme alle sterpaglie o avvelenati dall’uso di diserbanti, pesticidi e quant’altro; senza contare che a volte vengono attaccati dai nostri animali domestici che scorazzano in giardino.

Proprio per questo motivo alla fine del volume è stata inserita un’appendice molto utile e pratica che ci indica le dieci cose da fare e da non fare quando si incontra un riccio.

E’ vero, come Massimo Vacchetta afferma, i ricci sono maestri di vita in grado, grazie alla loro naturale semplicità, di aiutarci a riscoprirne la vera essenza, ma lui stesso è, grazie alla  la sua autenticità ed alla la sua dedizione, attraverso la passione che mette nel suo progetto, attraverso l’amore che dimostra ogni giorno verso queste piccole creature indifese, con il suo coraggio nell’accettare ogni giorno la possibilità della sconfitta e dell’’abbandono, perché l’amore purtroppo è fatto anche di lontananza e di perdita, è egli stesso un grande maestro per tutti noi.

Non è facile rimettersi in gioco, andare controcorrente per aiutare chi è indifeso e farlo ogni giorno senza mai risparmiarsi.
Non possiamo quindi che provare ammirazione per un uomo capace di tanto amore e dedizione, per il suo coraggio e ringraziarlo per tutto quanto sta facendo per queste creature speciali, ma ancora di più per l’esempio che riesce a darci ogni giorno con il suo lavoro.

Credo che abbiate capito che credo molto in questa causa, per cui spero di avervi un po’ incuriosito e avervi fatto venire voglia di leggere il libro con l’acquisto del quale, non solo contribuirete ad aiutare il centro, ma anche alla diffusione della sua attività.




Questi i link per poter approfondire la conoscenza del centro o trovare i contatti in caso di necessità:


   


Qui potete trovare la mia recensione di “25 grammi di felicità”