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lunedì 18 ottobre 2021

“La ragazza delle camelie” di Julie Kavanagh

Alphonsine Plessis, conosciuta con il nome di Marie Duplessis, fu la giovane cortigiana più ammirata della Francia di metà Ottocento.

Nacque in Normandia nel 1824 da Marie, una donna di modeste origini ma dai modi aristocratici, e da Marin Plessis, un venditore ambulante molto attraente ma anche squattrinato e violento.

Alphonsine e la sorella Delphine, abbandonate dalla madre che morì poco dopo, vennero allevate separatamente da alcuni parenti. Alphonsine, appena dodicenne, venne però rimandata a casa dal padre e Marin non si fece scrupolo di sfruttarne la bellezza nel più abietto dei modi.

Qualche tempo dopo la ragazza giunse a Parigi forse fuggita da un gruppo di zingari a cui era stata venduta dal padre o forse accompagnata dallo stesso Marin.

Dopo un primo periodo da grisette ossia da sartina di facili costumi, una di quelle ragazze che frequentavano gli studenti squattrinati e bohémienn, Alphonsine venne notata da ammiratori di alto lignaggio e facoltosi in grado di farle fare il salto da grisette a lorette.


Da lorette, Alphonsine non dovette più concedersi per poco ma, messole a disposizione un appartamento tutto per sé, poté finalmente iniziare a vivere nel lusso.

Conti, marchesi, duchi, uomini potenti e artisti di fama come Alexandre Dumas figlio e Franz Liszt fecero a gara per contendersi le grazie di Marie Duplessis che grazie a loro riuscì ad avere un accesso privilegiato a quel mondo ricco di stimoli culturali precluso alle donne oneste della buona società.


Marie Duplessis era un’autodidatta, un’avida lettrice e una regolare frequentatrice di teatro determinata a sfruttare ogni possibilità che le venisse concessa per approfittare della vivace cultura parigina dell’epoca. 


Julie Kavanagh ci restituisce la storia di uno dei personaggi di metà Ottocento più celebrati dalla letteratura e non solo.

Quando nel 1847 Marie Duplessis morì di tisi ad appena 23 anni, la sua scomparsa venne considerata un evento di portata nazionale tanto che i giornali non scrissero d’altro per giorni e persino Charles Dickens all’epoca a Parigi fu sorpreso e divertito dal clamore suscitato dalla scomparsa di una gloria del demi-monde.


Marie Duplessis è la protagonista romanzata del celebre romanzo di Alexandre Dumas figlio, La signora delle Camelie. 

Marguerite Gautier è la trasposizione romantica di Marie mentre Armand Duval raccoglie in sé le caratteristiche di diversi amanti della bella cortigiana tra cui anche lo stesso Dumas.


Altra celebre opera incentrata sulla Signora delle Camelie è senza dubbio La Traviata di Giuseppe Verdi, libretto di Francesco Maria Piave, dove Marguerite/Marie assume il nome Violetta e Armand quello di Alfredo.


Ma la storia è piena di echi di questa romantica e struggente storia d’amore e non ultimo possiamo ricordare il celebre film del 2001 Moulin Rouge! dove Nicole Kidman interpreta il personaggio di Satin/Marie mentre a Ewan McGregor spetta il ruolo di Christian, l’innamorato.


Fonte principale del saggio di Jiulie Kavanagh è il libro “La Verite Sur La Dame Aux Camelias (Marie Duplessis),” di Vienne Romain, amico d’infanzia di Aplhonsine, il quale pur innamorato di lei per tutta la vita non ne diventò mai l’amante. L’autrice ha però scavato a fondo negli archivi e ha consultato molti altri testi, vasta infatti è la bibliografia riportata, per restituirci l’immagine quanto più veritiera possibile di quella ragazza che ancora oggi riesce ad affascinare l’immaginario collettivo per il suo fascino e la sua gioia di vivere tanto che a Gacé, in Normandia, si trova un museo a lei dedicato, il Museé de la Dame aux camélias.

Il ritratto di Marie Duplessis è molto diverso da quello dell’eroina romantica che musica e letteratura ci hanno voluto restituire, ma non per questo meno affascinante.

Marie Duplessis sarebbe forse stata in grado di un gesto d’amore clamoroso come quello di Marguerite/Violetta, ma mai sarebbe stata capace di rinunciare, e infatti quando ne ebbe la possibilità non lo fece, al fervore della vita parigina, al lusso, alle feste e ai piaceri edonistici.

Marìe Duplessis era una donna caparbia, volitiva, pratica e manipolatrice che seppe imporsi e incantare il bel mondo con il suo fascino, la sua eleganza e la sua cultura.

Forse conoscere la vera storia di Marie Duplessis potrebbe ridimensionare in parte il mito della Signora delle camelie, ma contribuisce senza dubbio a crearne uno nuovo, quello della bella, seducente e carismatica Ragazza delle camelie.




sabato 12 ottobre 2019

“Castelli di sabbia” di Alice e Claude Askew

CASTELLI DI SABBIA
di Alice e Claude Askew
Scrittura & Scritture

Maggie Carvel ha ventitré anni e fin da piccolissima, quando i suoi genitori morirono in un terribile incidente stradale, vive con l’anziana zia Anna a Sandstone, un piccolo villaggio in Inghilterra, dove tutti si conoscono e  la vita scorre lentamente.

L’esistenza monotona di Maggie viene però sconvolta di punto in bianco quando il suo amico del cuore Howard Burton, il ragazzo che conosce da sempre e che ha sempre pensato sarebbe un giorno diventato suo marito, le comunica invece che ha deciso di lasciare il paese per cercare fortuna in Rhodesia.

Col cuore spezzato e umiliata Maggie non vede l’ora di poter sfuggire alla compassione della gente del villaggio dove la sua triste vicenda è ormai sulla bocca di tutti.

L’occasione non tarda molto a presentarsi e ha le fattezze di un bel giovane irlandese che risponde al nome di Pierce Maloney.
Pierce con modi molto galanti conquista subito la fiducia e l’affetto della giovane Maggie tanto che la ragazza accetta immediatamente di sposarlo.

Dopo appena tre mesi dal loro primo incontro i coniugi Maloney sono in viaggio verso il bellissimo Castello di Glenn, l’antica proprietà di famiglia.

Purtroppo si sa che gli irlandesi sono gente abile con le parole e bravissima ad infiorettare la realtà e così la povera e giovane Maggie si ritroverà a fare i conti con verità scomode e cocenti delusioni.

L’amore che prova per Pierce sarà sufficiente a darle la forza di affrontare tutte le avversità e le dure prove che la vita metterà sul suo cammino?

“Castelli di sabbia” potrebbe sembrare all’inizio un libro in puro stile Jane Austen, ma proseguendo nella lettura molti sono gli autori e i generi che si rincorrono tra sue le pagine.

Charles Dickens è il primo autore che mi viene in mente perché a tutti gli effetti “Castelli di sabbia” è un romanzo di formazione, Maggie Carvel cresce e diventa una donna matura nel corso degli anni trasformandosi da ragazzina impulsiva e anche un po’ viziata in una donna altruista e riflessiva.

Le tinte fosche in cui vengono descritti alcuni personaggi ed alcuni luoghi oltre a Dickens non possono non richiamare alla mente autori suoi contemporanei quali ad esempio Wilkie Collins, collaboratore e amico dello stesso Dickens, autore di romanzi gialli dal fascino misterioso.

Le descrizioni dell’Irlanda e del castello di Glenn hanno poi indubbiamente anche un che di fiabesco e così a tratti ci si aspetterebbe da un momento all’altro di veder apparire dal nulla un folletto o un leprechaun  che danzano sulle note di un'antica ballata irlandese.

Con Maggie, protagonista indiscussa del romanzo, si muovono sulla scena tre figure maschili; tre uomini che, seppur molto diversi tra loro, sono tutti innamorati di Maggie e sono da lei ricambiati anche se in modi differenti.

Quali siano questi modi e cosa Maggie apprezzi maggiormente di ciascuno di loro lascio a voi il piacere di scoprirlo attraverso la lettura di questo romanzo davvero particolare.

Howard Burton, il primo amore di Maggie, ci viene presentato all’inizio come un ragazzo piuttosto goffo ed impacciato, ma si rivelerà essere un uomo tenace e capace di costruire la propria fortuna facendo affidamento solo sulle proprie forze, incarnando così l’esempio del self-made man tipicamente dickensiano.

Pierce Maloney è invece l’eterno ragazzo, generoso e altruista, ma purtroppo anche portato a vivere in un mondo tutto suo, un mondo creato dalla sua fantasia che lo spinge il più delle volte a comportarsi da irresponsabile.
È un uomo dal carattere debole che fugge sempre dinnanzi alle proprie responsabilità ed è totalmente incapace di affrontare i più banali problemi quotidiani.

E infine c’è lui,  il terzo uomo, Lord Revelstone, colui che appena appare sulla scena con il suo modo di fare altezzoso e scontroso riporta alla mente subito il famoso Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio.
Per onestà devo anticiparvi che il suo personaggio non raggiunge certo le vette del forse più ammirato ed amato personaggio austeniano, ma nel suo piccolo vi posso assicurare che anche Lord Revelstone riuscirà a conquistare il cuore di più di una lettrice.
Il disilluso e disincantato Richard Revelstone si rivelerà, nonostante il suo carattere all’apparenza asociale e scorbutico,  un amico costante e fedele sia per l'inaffidabilr Pierce Maloney che per l’orgogliosa Maggie Carvel.

Qualche parola merita di essere spesa anche sui coniugi Askewautori del romanzo.

Alice (1874 1917) e Claude Askew (1865-1917) furono una coppia di acclamati scrittori londinesi che scrissero diversi romanzi a quattro mani.
Il successo arrivò per loro con il romanzo intitolato The shulamite che diede vita ad un film muto, prodotto dalla Paramount Pictures, dal titolo Sotto la frusta.
Ebbero una vita avventurosa durante la quale viaggiarono moltissimo.
Morirono durante la navigazione verso Corfù a causa di un siluro tedesco che colpì e affondò il piroscafo sul quale stavano viaggiando.

“Castelli di sabbia” fa parte della collana VociRiscoperte della casa editrice Scrittura & Scritture.

Con la collana VociRsicoperte questa casa editrice indipendente ha deciso di pubblicare alcuni grandi romanzi del passato ormai introvabili in Italia.

Non ci resta quindi che ringraziare Scrittura & Scritture per l’impegno profuso nel cercare di restituire a noi lettori questi romanzi dimenticati e nel regalarci la possibilità di fare la conoscenza con interessanti autori del passato spesso a noi ignoti.





domenica 7 gennaio 2018

“I Miserabili” di Victor Hugo (1802 – 1885)

I MISERABILI
di Victor Hugo
RUSCONI
“I Miserabili” sono forse l’opera più famosa di Victor Hugo. Il romanzo, letto da intere generazioni e diffuso in numerosissime edizioni integrali e ridotte, economiche e rilegate, è stato reso celebre anche dalle sue innumerevoli trasposizioni cinematografiche, televisive e teatrali.
Non possiamo a tal proposito non ricordare l’ultimo film del 2012 ”Les Misérables”, diretto da Tom Hooper e basato sull’omonino musical tratto dal romanzo, che vanta un cast stellare di attori quali Hugh Jackman, Russell Crowe, Anne Hathaway e Eddy Redmayne, solo per citarne alcuni.

La trama del romanzo è nota a tutti. “I Miserabili” narra le vicende di un forzato, Jean Valjean, imprigionato per aver rubato un pezzo di pane e trattenuto in carcere per ben diciannove anni a causa dei suoi continui tentativi di evasione falliti.
Un giorno Jean Valjean riesce finalmente ad evadere e viene accolto nella casa di un vescovo, dalla quale fugge durante la notte portando con sé parte dell’argenteria. Arrestato e ricondotto in casa del prelato, viene da questi salvato. Il vescovo infatti dichiara alla polizia di aver donato lui stesso l’argenteria all’uomo e anzi che lo stesso aveva dimenticato di prendere con sé anche i due candelabri.
Jean Valjean, commosso e stordito dal generoso gesto del vescovo, decide di cambiare vita e, sotto il nome di signor Madeleine, dedica la propria esistenza al soccorso dei poveri e dei derelitti.
Anni dopo un uomo viene arrestato con l’accusa di essere l’evaso Jean Valjean, a questo punto il vero Jean Valjean non può esimersi dal farsi avanti per salvare quell’innocente. L’uomo viene quindi nuovamente arrestato e questa volta condannato al carcere a vita.
Nonostante tutto riesce di nuovo ad evadere e, ritornato in libertà, tenta di costruirsi una nuova vita creandosi una terza identità.
Tra le persone alle quali presta soccorso c’è anche la piccola Cosetta, una bimba figlia di una giovane prostituta, affidata da questa ad una coppia, proprietari di una taverna. Purtroppo però, nonostante le migliori intenzione della madre e ad insaputa di questa, la bimba viene trattata in modo disumano dalla coppia. Jean Valjean prende con sé la piccola e la cresce come fosse sua figlia.

Il romanzo è un vasto ed affascinante affresco della società francese dall’età della Restaurazione a quella di Luigi Filippo, fatto attraverso un racconto dagli intrecci piuttosto complicati e talvolta anche piuttosto forzati.

I personaggi del romanzo sono innumerevoli, ma è proprio avvalendosi delle singole vicende dei protagonisti che Victor Hugo riesce a provocare lo spirito di carità del lettore.
Attraverso le pagine del romanzo, l’autore interroga il lettore su temi di complessità sociale, ponendolo dinnanzi a casi di natura terribile e desolante.

Victor Hugo combatte una grande battaglia in difesa degli umiliati e degli offesi, sostenendo con grande fervore gli ideali di democrazia e giustizia sociale.

Egli condanna lo sfruttamento della classe sociale più debole e riconosce ad essa, pur nell’abbruttimento e nella degradazione nella lotta giornaliera per procurasi il pane, alcuni importanti valori quali dignità, virtù ed eroismo.

Non è certamente possibile parlare in modo esaustivo di un classico di questa portata, condensando tutto in un semplice post e comunque a questo scopo sono stati scritti fiumi e fiumi di pagine da importanti critici letterari, ci sono poi numerose storie della letteratura e antologie pronte ad adempiere a questo a compito; io, quindi, preferisco fermarmi qui e chiudere con qualche breve considerazione personale da semplice lettrice.

Come già per "Anna Karenina" di Lev Tolstoj, non ho voluto vedere alcun film o musical prima della lettura del libro per non essere influenzata nel mio giudizio sul romanzo; ora mi chiedo però quanto avrebbe potuto incidere positivamente una mia diversa scelta in merito.

Lo stile di Victor Hugo è piuttosto enfatico, i toni sono portati all’esagerazione, insomma il suo è uno stile piuttosto lontano dai gusti del lettore moderno; sinceramente però non credo sia stato questo il motivo per cui non sono riuscita ad apprezzare appieno il romanzo.
Adoro i romanzi di Dickens, ho amato “I promessi sposi” di Manzoni e la stessa “Anna Karenina” di Tolstoj eppure nessuno di questi autori si distingue per una scrittura scorrevole e moderna, le loro opere inoltre sono tutte molto descrittive.

La difficoltà maggiore che ho riscontrato nella lettura de “I Miserabili” è la digressione storica fine a se stessa.
Quanto l’autore racconta di Parigi o del suo popolo, la narrazione è sì pertinente al racconto ma, diversamente a quanto accade nei romanzi degli altri autori, ne “I Miserabili” si ha sempre l’impressione che il racconto sia portato avanti secondo due registri che raramente si fondono e si incontrano: uno puramente narrativo (la storia di Jean Valjean, l’amore di Cosetta e Mario, le disavventure di Fantine ecc.) e uno prettamente storico-divulgativo.

Il romanzo di Victor Hugo è però un classico della letteratura e, nonostante la fatica necessaria per portare a termine la lettura non sempre agevole di un volume di quasi 1500 pagine, non si può non rimanere affascinati dai suoi numerosi personaggi, da tutti i suoi personaggi, nessuno escluso.

Ognuno di essi infatti ha qualcosa che cattura l’interesse del lettore e ne smuove la coscienza: la povera Eponine riesce a commuoverlo quanto se non più di Cosetta stessa, non si può non provare compassione per le sue pene; il freddo e rigoroso Javert, che soccombe dinnanzi al disorientamento provato dall’apprendere che anche la legge e le istituzioni a cui ha votato tutta la sua vita non sono infallibili, turba inevitabilmente il lettore; persino un personaggio come Thénadier, la cui miseria morale si rivelerà senza rimedio, riesce in qualche modo a suscitare stupore per la sua capacità di trovare sempre e comunque qualche espediente per trarsi di impaccio da ogni situazione.

Nonostante io faccia sempre parte dei sostenitori della teoria “prima il libro e poi il film”, nell’augurarvi una buona lettura, in questo caso, consiglio di lanciarsi nell’impegnativa avventura solo dopo aver visto il film, magari proprio l’ultima versione del 2012 premiata con ben tre Oscar oltre a Golden Globe, British Academy Film Awards…






                                  


martedì 2 agosto 2016

“Amy Snow” di Tracy Rees

AMY SNOW
di Tracy Rees
NERI POZZA
Gennaio 1831. Aurelia Vennaway, figlia unica di Lord Charles e Lady Celestina Vennaway, una delle famiglie più in vista della contea dello Hertfordshire, trova ai margini della foresta una neonata abbandonata nella neve.

Nonostante i genitori si oppongano con fermezza alla decisione della figlia di fare crescere la neonata ad Hatville Court, Aurelia con la sua caparbietà riesce ad ottenere il permesso dei genitori.
La bimba decide di chiamare la trovatella Amy Snow: Amy come la sua bambola preferita e Snow ovviamente perché ritrovata nella neve.

La madre di Aurelia cerca in tutti i modi di tenere Amy distante dalla figlia, ma senza risultato, in quanto niente e nessuno sembra essere abbastanza forte da riuscire a tenere le bambine lontana l’una dall’altra evitando che crescano insieme come due inseparabili sorelle.

La storia del romanzo inizia nel gennaio 1848. Amy è prossima a lasciare Hatville Court dopo la prematura morte di Aurelia, avvenuta alla giovane età di soli 25 anni, a seguito di una malattia cardiaca.

Aurelia ha lasciato ad Amy una somma di appena 100 sterline o almeno ciò è quello che tutti credono alla lettura del testamento, ma la giovane ha lasciato molto di più all’amica del cuore.

Per entrare in possesso della cospicua eredità e conoscere i segreti di Aurelia, Amy Snow però dovrà lasciare quella casa a lei ostile, ma pur sempre l’unica che abbia mai conosciuto, ed addentrarsi nel vasto mondo a lei ignoto.
Come unica guida avrà le lettere che l’amica le ha lasciato e che la condurranno lungo un difficile ed impegnativo cammino, scandito dalle tappe della caccia al tesoro che, per un’ultima volta, l’amica ha predisposto per lei, così come era solita fare quando era bambina.

Il viaggio di Amy Snow inizia a Londra e da lì la ragazza raggiungerà diverse città dell’Inghilterra in ognuna delle quali farà la conoscenza di persone di ogni tipo.
Aurelia ha messo in guardia Amy sul fatto di dover stare molto attenta a non farsi rintracciare dai suoi genitori onde evitare di dover restituire il cospicuo lascito.
E se all’inizio la paura di essere scoperta sarà legata al timore di dover difendere l’eredità dalle mani dei vendicativi Vennaway, ben presto Amy comprenderà che in gioco c’è molto di più di questo perché l’amica le ha celato un grande segreto che solo ora, dopo la sua morte, intende rivelarle.

Tracy Rees riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. La storia è avvincente ed i personaggi sono affascinanti.

Attraverso le pagine di questo libro rinasce il romanzo vittoriano.
Numerosi sono gli accenni a Charles Dickens, tra l’altro autore preferito dalle eroine del libro, che influenza non solo le aspettative di Amy sulla città di Londra, ma si ritrova nelle atmosfere, nei diversi personaggi e persino nella descrizione delle case.

“Amy Snow” ha però molto in comune anche con i romanzi austeniani: i due protagonisti maschili Garland e Henry potrebbero benissimo essere usciti dalla penna di Jane Austen così come le descrizioni caustiche e sferzanti dell’alta società inglese dell’epoca.

L’affresco storico che ne risulta è perfetto, l’autrice si è ben documentata e traspare in ogni riga quanto questo periodo sia da lei amato; ritroviamo nel romanzo della Rees tutti i temi cari al romanzo vittoriano: la ferrovia, i riferimenti all’industrializzazione del nord, la società di Bath, la filantropia...solo per citarne alcuni.

Ogni personaggio meriterebbe una menzione particolare, ma non essendo questo possibile, lascio al lettore il piacere di scoprire la bella galleria che l’autrice è riuscita a regalarci.

Mi concentrerò solo sui quattro personaggi principali: Amy, la vera protagonista, Aurelia la cooprotagonista la cui storia viene raccontata attraverso le lettere inviate all’amica nonché dalla voce del ricordo dell’amica stessa, il signor Garland e Henry Mead.

Aurelia ed Amy sono due donne molto forti e coraggiose, più scapestrata ed appassionata la prima, più riflessiva e attenta la seconda.
Amy è cresciuta all’ombra di Aurelia e quando deve prendere in mano la sua vita e affrontare il mondo a lei sconosciuto ha indubbiamente paura, ma è anche abbastanza forte nella sua insicurezza per tirare fuori la grinta e le capacità necessarie per superare ogni ostacolo.

Il romanzo della Rees può essere definito un romanzo di formazione proprio come quelli dickensiani in cui l’eroe/l’eroina nel suo percorso crescono e raggiungono la piena maturità.

I due uomini inducono non poco in difficoltà il lettore.

Il signor Garland è educato, raffinato ed elegante. Uno che ha l’aria che neppure il vento potrebbe spettinare e i cui abiti nemmeno la volontà divina sarebbe in grado di stazzonare.

Anche il signor Henry Mead è affascinante seppur in maniera diversa. È cordiale, franco e allegro. Sta cerando di trovare la sua strada e, come ogni giovane, è assediato dalle incertezze e dalle delusioni dei mortali.

Chi dei due però è colui che davvero non nasconde inganni? E se entrambi non fossero ciò che sembrano? Le domande assillano il lettore fino alle pagine conclusive del romanzo.

Ciò che incanta più di ogni altra cosa in questo libro è che nulla può essere dato per scontato, e se vero che forse ad un certo punto si intuisce quale sia il segreto di Aurelia, fino all’ultimo non si ha mai alcuna certezza sui reali sentimenti e intenzioni dei due pretendenti di Amy.

“Amy Snow” è un romanzo assolutamente da leggere consigliato a tutti gli appassionati del romanzo vittoriano e ai lettori che hanno ormai consumato le pagine dei libri di Jane Austen in loro possesso, agli amanti del romanzo storico, agli appassionati della vecchia Inghilterra…

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che ci riporta indietro nel tempo e che ha la capacità di farci sognare come solo i grandi classici hanno saputo fare.







sabato 22 agosto 2015

“Effie” di Suzanne Fagence Cooper

EFFIE
Storia di uno scandalo
di Suzanne Fagence Cooper
NERI POZZA
Il libro è stato pubblicato da Neri Pozza per la prima volta nel settembre 2012 con il titolo “Effie” e poi successivamente nel maggio 2015 la stessa casa editrice lo ha riproposto con una nuova veste grafica e con il titolo di “Effie Grey”. In entrambi i casi il sottotitolo era lo stesso: “Storia di uno scandalo”.

Mentre la prima copertina, tra l’altro secondo me molto più appropriata, riproduceva il quadro di John Everett Millais “Portrait of a girl – Sophy Grey” (1857), la successiva pubblicazione riportava invece un’immagine tratta dal’omonimo film.
Nel 2014, infatti, dal libro di Suzanne Fagence Cooper è stato tratto il film “Effie Gray” nel quale Dakota Fanning vestiva i panni di Effie.
Il film, almeno per quanto io sappia, non è mai arrivato sul grande schermo italiano nonostante più volte ne sia stata annunciata una sua imminente programmazione nelle nostre sale cinematografiche.

Suzanne Fagence Cooper è stata curatrice e ricercatrice presso il Victoria & Albert Museum di Londra per dodici anni. Ha studiato le collezioni vittoriane e l’arte preraffaellita, ed è autrice di diversi libri e saggi sull’argomento.

“A Model Wife” (titolo originale dell’opera) è un saggio molto ben documentato e dettagliato sulla vita di Effie Gray.
L’autrice ha attinto per scrivere questa splendida biografia ad una copiosa bibliografia e consultato il lavoro di Mary Lutyens che curò la pubblicazione delle lettere di Effie risalenti al periodo del matrimonio della donna con John Ruskin.
Inoltre, grazie alla generosità di Sir Geoffroy Millais, nel 2009 gli è stato concesso il privilegio di poter studiare e consultare per la prima volta le lettere di Effie da parte di suo padre, di sua madre, dei suoi figli e delle sue sorelle.
Inutile dire che questi documenti sono stati preziosi e fondamentali per portare alla luce la vera storia della donna che sposò in prime nozze un genio come John Ruskin ed in seconde nozze un affascinante e ribelle pittore quale John Everett Millais.

Effie Gray (1828 – 1897) aveva 19 anni quando sposò il grande e famoso critico d’arte John Ruskin.
Probabilmente Effie sposò Ruskin non per amore, ma piuttosto per ciò che egli avrebbe potuto offrirle ovvero una gratificante vita di società e forse anche perché attratta dall’idea di poter affiancarlo nei suoi studi e nelle sue ricerche.
L’unione si rivelò fin fa subito un totale fallimento. John Ruskin non volle mai consumare il matrimonio ed Effie si ritrovò allontanata dalla sua famiglia alla quale era particolarmente legata, detestata e avversata dai suoceri, respinta dal marito.
Nell’aprile del 1854 la venticinquenne Effie, con il sostegno dei genitori e consigliata da alcuni amici, decise di porre fine alla sua relazione malsana con Ruskin durata sei anni.
Portò la sua situazione in tribunale, si sottopose ad umilianti ma necessarie visite mediche, dovette affrontare penosi interrogatori, ma riuscì ad ottenere l’annullamento del suo matrimonio.
La donna si ritrovò libera di potersi rifare una vita e con la possibilità di poter avere finalmente una famiglia tutta sua.
Effie Grey divenne dopo qualche tempo Mrs Millais poiché sposo il pittore preraffaellita John Everett Millais che aveva conosciuto e del quale si era innamorata corrisposta quando ancora era la moglie di Ruskin.

La biografia scritta da Suzanne Fagence Cooper si legge tutto d’un fiato come uno splendido romanzo anche perché la vita di Effie Gray assomiglia davvero alla trama di un romanzo.

Il racconto della vita di Effie Gray non è solo la storia di una donna che ebbe il coraggio di sfidare la società dell’epoca rendendo pubblico il suo doloroso segreto, ma è anche la storia di uno dei più grandi artisti britannici dell’epoca, John Everett Millais.

La biografia di Effie è inoltre un viaggio nel mondo vittoriano che ci appare vivo, fresco e brillante attraverso le testimonianze dirette di coloro che vissero in quel periodo tra balli, teatri, mostre, cacce e viaggi attraverso l’Europa; tra le pagine del libro incontriamo la Regina Vittoria, Elizabeth Gaskell, Charles Dickens, Beatrix Potter e molti altri personaggi dell’epoca.
Un mondo che stava cambiando e del quale possiamo scorgere ogni minima trasformazione anche solo paragonando la gioventù e la vita di Effie a quella delle sue figlie, mutamenti che si possono osservare soprattutto nel delinearsi di un nuovo ruolo della donna nel corso degli anni.

L’immagine che Suzanne Fagence Cooper ci porge di Effie è quella di una donna forte che ha avuto il coraggio di combattere per la sua libertà, ma che ha anche dovuto pagarne un prezzo molto alto, infatti, se tanti le furono vicini altrettanti le girano le spalle disgustati dal suo comportamento svergognato.

Effie era una donna bellissima, elegante, intelligente e colta; ma aveva un forte temperamento e una perenne aria sfida nei confronti della vita, non sempre era facile relazionarsi con lei.
Aveva sposato in prime nozze Ruskin non per amore, ma per il rispetto che nutriva per la sua intelligenza e per la possibilità di una vita agiata e salottiera che questi avrebbe potuto offrirle.
Effie amava ricevere ed era una perfetta padrona di casa. Oltre ad essere un’abile intrattenitrice era particolarmente dotata nell’arte di tessere rapporti con le persone che contavano qualità che riuscì finalmente a mettere a frutto una volta divenuta Mrs Millais.

La Copper non esclude che forse la passione di Effie per Everett quando decise di accettarne la proposta di matrimonio si era ormai affievolita, forse anche in questo caso Effie era stata spinta ad abbandonare il suo stato di donna libera perché aveva intravisto nel giovane pittore una nuova possibilità di ritornare in società, ritorno che comunque non volle fare subito dopo le nozze.
Resta comunque il fatto che il matrimonio durò più di quarant’anni. La loro fu unione solida, basata sulla complicità e sulla cooperazione. Un’unione benedetta inoltre dalla nascita di numerosi figli.

Qualcuno accusò Effie di essere stata la causa per cui John Everett Millais abbandonò i suoi principi preraffaelliti in cambio di facili guadagni.
Indubbiamente lo stile di Everett negli anni successivi al matrimonio cambio e il ritmo della produzione aumentò. Indubbiamente su questo poterono influire la necessità di dover mantenere una famiglia che con il tempo diveniva sempre più numerosa.  
Ma a difesa di Effie va detto che, come ci fa notare la Cooper, “Everett aveva sempre evitato le trappole convenzionali di uno stile di vita artistico; non aveva mai indossato l’uniforme bohémiene che prevedeva cravatta svolazzante, colletto aperto e giacca di velluto” e mentre gli altri preraffaelliti sostenevano di non ambire alla popolarità, Everett era ben contento di vendere i suoi quadri e di vederli riprodotti sulle riviste”.
Nel 1885 la Regina Vittoria nominò Everett baronetto, un onore senza precedenti per un artista.
Il 20 febbraio 1896 John Everett Millais fu eletto presidente dell’Accademy, ricevendo così l’onore più alto che il mondo dell’arte potesse offrirgli.

Avete presente il detto attribuito a Virginia Woolf che “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”? Effie Gray può essere annoverata tra quelle grandi donne.
Tra loro mi viene spontaneo citarne altre due dalle quali sono sempre stata particolarmente affascinata: Mary Shelley compagna e poi moglie del poeta Percy Bysshe Shelley e Lady Emma Hamilton amante e compagna del grande Lord Nelson.

A chi consigliare la lettura di “Effie. Storia di uno scandalo”?  A chi ama l’epoca vittoriana, la pittura preraffaellita, le grandi storie romantiche o anche semplicemente a tutti coloro che amano le buone letture.




domenica 21 luglio 2013

“La casa sfitta” di Ch. Dickens, E. Gaskell, W. Collins, A.A. Procter



 LA CASA SFITTA
di Dickens – Gaskell – Collins - Procter
Jo March Agenzia Letteraria
Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e Adelaide Anne Procter, quattro illustri personalità del mondo letterario di epoca vittoriana, sono gli autori di “A house to let”, storia pubblicata per la prima volta nel 1858 nell’edizione natalizia di Household Words, rivista diretta dallo stesso Dickens.

La signorina Sophonisba è una donna avanti negli anni, nubile e sola, alla quale il dottore ha prescritto una “vacanza londinese” ritenendo necessario un cambio d’aria per curare la depressione da cui è afflitta.
L’anziana signora lascia quindi la sua casa di Tunbridge Wells per trasferirsi in una casa in affitto nella capitale.
La sistemazione a Londra risponde perfettamente alle sue esigenze; l’unica nota stonata risulta essere la casa sfitta di fronte, una costruzione “parecchio malmessa, ma non in rovina”.
Un giorno Sophonisba avverte un’inquietante presenza nell’edificio di fronte e da quel momento non riesce più a pensare ad altro, la casa sfitta diventa la sua ossessione.
Per aiutare la donna ad uscire da questo suo stato d’ansia Trottle, il suo affidabile maggiordomo, e Jabez Jarber, il suo ex-spasimante ancora innamorato di lei, si improvvisano investigatori per risolvere il mistero della casa sfitta.
Alla voce di Jarber è affidato il racconto di tre storie slegate dalla vicenda principale, ovvero le storie degli inquilini che hanno affittato la casa nel corso degli anni.

Ognuno di questi racconti è opera di un diverso autore.

Il primo episodio “Il matrimonio di Manchester” scritto da Elizabeth Gaskell è la storia dei coniugi Openshaw: del passato della signora Alice prima di sposare il Signor Openshaw, del loro incontro e del loro trasferimento a Londra a seguito della promozione ottenuta dal signor Openshaw.

Il secondo episodio è opera di Charles Dickens ed è intitolato “Ingresso in Società”. Il racconto è narrato in prima persona dal signor Magsman il quale un tempo aveva preso in affitto la casa per i suoi spettacoli circensi. Egli ci narra la storia di un suo dipendente, il signor Chops, un nano con la fissazione di voler entrare in Società.

Il terzo episodio è affidato alla penna di Adelaide Anne Procter, una poetessa molto amata dalla regina Vittoria. “Tre sere nella casa” si differenzia dai precedenti racconti in quanto scritto in versi. La protagonista della poesia è Bertha, una giovane donna che per amore del fratello rinuncia a farsi una vita propria. Un giorno il fratello si sposa e lei capisce di aver rinunciato all’uomo amato ed alla sua felicità per nulla, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.

L’ultimo racconto “Il rapporto di Trottle” altro non è, come si evince dal titolo stesso, che il resoconto del maggiordomo a Sophonisba di quanto scoperto in merito alla casa. Questo ultimo episodio, opera di Wilkie Collins, si lega nuovamente alla vicenda principale e chiarisce il mistero della casa sfitta.

La cornice narrativa del romanzo è stata scritta a quattro mani da Dickens e Collins, ma l’influenza di Dickens si avverte anche nel racconto scritto dal solo Wilkie Collins.
L’umorismo e la satira che caratterizzano i personaggi dickensiani si integrano perfettamente con il racconto pieno di suspense e ricco di colpi di scena di Collins, maestro del sensational novel vittoriano.

Ogni racconto rispecchia lo stile del proprio autore. Così riconosciamo la penna di Elizabeth Gaskell nell’episodio de “Il matrimonio di Manchester” dall’introspezione psicologia dei personaggi e dalla particolare attenzione dell’autrice alla situazione economico-sociale all’interno della quale questi stessi personaggi si muovono.
Non è difficile riconoscere la penna di Dickens da alcune delle tematiche fondamentali dei suoi romanzi: il bambino orfano, il circo, l’ambiguità della società…
Una piacevole sorpresa è la poesia della Procter, poetessa molto famosa alla sua epoca ma non altrettanto ai giorni nostri. I suoi versi sono delicati e struggenti, malinconici e toccanti.

Dobbiamo ringraziare ancora una volta la Jo March Agenzia Letteraria per aver scovato questo romanzo dimenticato. Un regalo preziosissimo quanto inaspettato per tutti gli amanti della letteratura di epoca vittoriana.
Poiché la filosofia della casa editrice è quella di riscoprire ciò che è stato dimenticato, "i tasselli mancanti di un continente letterario sommerso”, a noi lettori non resta che rimanere in trepidante attesa della prossima uscita della collana Atlantide.


sabato 9 febbraio 2013

“Oliver Twist” di Charles Dickens


Pubblicato a puntate sulla rivista Bentely’s Miscellany dal febbraio 1837 all’aprile 1839, Oliver Twist, secondo romanzo dell’autore che aveva già ottenuto un grande successo con il suo primo lavoro “Il circolo Pickwick”, fu scritto da un Dickens appena venticinquenne.
A differenza del suo primo libro, Oliver Twist è in realtà il più deprimente e per certi aspetti il più irritante di tutti i romanzi dickensiani.  Dopo aver fatto ridere il suo pubblico, con un primo romanzo picaresco e divertente, Dickens offre al pubblico una storia cruda e melodrammatica, dimostrando al tempo stesso, di saper anche maneggiare elementi spettrali e sovrannaturali. Incontriamo, infatti, in Oliver Twist l’elemento “macabro”, elemento attinto dal romanzo gotico del ‘700. A differenza però di quest’ultimo, le cui storie erano spesso ambientate in paesi mediterranei quali la Spagna, la Corsica e l’Italia, Dickens ambienta questo suo libro in una città e per la precisione a Londra. Questa viene descritta a tinte fosche, come un luogo sporco e decadente, con strade piene di fango e infestate dai topi. Londra è in realtà una città comandata dalla “cittadella” dei malviventi, dove a farla da padrone sono l’avidità e l’ingordigia.
Dickens descrive il mondo dei criminali come un mondo dotato di una forza incredibile, per certi aspetti la loro forza è addirittura pari a quella delle istituzioni e spesso questi individui non sono descritti come degli emarginati, ma piuttosto come persone che conducono una vita quasi attraente.
Oliver Twist è un romanzo di formazione e crescita individuale; l’incontro/scontro di Oliver con i criminali con cui viene a contatto e che lo perseguitano è lo scontro tra il bene ed il male, uno scontro che assume anche spesso un valore didattico perché Dickens sottolinea che chiunque, grazie alla propria forza di volontà, può passare dalla parte del bene.
Il romanzo si apre proprio con la nascita di Oliver: una vagabonda muore dando alla luce un bambino che verrà affidato ad un orfanotrofio dove resterà fino all’età di nove anni quando verrà mandato a lavorare per un’impresa di pompe funebri. Oliver, maltrattato sia dalla moglie che dall’aiutante del suo padrone, fuggirà a Londra. Qui sarà costretto ad unirsi ad una banda di ladruncoli di strada e sarà obbligato a partecipare a furti e rapine dal loro capo, Fagin, stereotipo dell’ebreo taccagno. Solo dopo innumerevoli e tragiche peripezie, attraverso un intricato intreccio di avvenimenti e colpi di scena, Oliver scoprirà di avere una famiglia e, venuto a conoscenza delle sue origini, riuscirà anche a riscattarsi definitivamente.
Attraverso le pagine del libro Dickens coglie l’occasione per denunciare alcuni problemi che affliggono la società dell’epoca vittoriana, come lo sfruttamento minorile e le condizioni di degrado in cui vivono le persone più povere nelle città. Non manca di polemizzare con alcune istituzioni dell’epoca: lo stesso ospizio di mendacità, gestito dalla chiesa, nel quale è Oliver è ospitato, viene descritto come un luogo gestito da persone avide e prive di scrupoli che non si preoccupano affatto del bene dei bambini a loro affidati i quali riescono a sopravvivere a stento poiché le persone preposte ad occuparsi di loro li fanno vivere nella sporcizia e nella miseria per intascarsi il denaro destinato al loro mantenimento. La polemica di Dickens investe anche le associazioni filantropiche, così di moda nel periodo in cui lo scrittore vive, ritenendole prive di utilità; secondo lo scrittore la carità elargita da un filantropo fornisce semplicemente un alibi a chi vuole cercare di scaricarsi la coscienza davanti a problemi che dovrebbero invece avere una risposta dalla politica.
Nonostante questo però Dickens resta pur sempre un esponente della sua classe sociale e così inevitabilmente Oliver troverà riscatto solo quando verrà a contatto con la borghesia, in quanto luogo di rinascita spirituale. Poiché soltanto il possesso di denaro e un lignaggio aristocratico-borghese rendono una persona perbene, sarà solo nella cerchia dei suoi amici benestanti che Oliver potrà attuare la sua predisposizione al bene. Alla fine, per quanto il mondo criminale possa essere attraente, il malvivente deve morire, rispettando quella che secondo la mentalità borghese dell’epoca è “la giusta condanna”. Così Fagin muore impiccato e così soccombe Nancy, che poiché ha dimostrato affetto nei confronti di Oliver, prendendone spesso le difese, e dimostrandosi pentita per gli errori commessi durante la sua vita scellerata, viene assassinata da Sikes in un accesso d’ira, riscattandosi così attraverso la morte.
Oliver Twist è stato oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche: film, serie tv, miniserie; l’ultimo adattamento è quello del 2005, regia di Roman Polanski, di cui sono da sottolineare soprattutto la splendida fotografia e la magistrale interpretazione di Fagin da parte di Ben Kinsley.






lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale con “The Christmas Books” di Charles Dickens


Natale è arrivato! Tanti auguri a tutti voi ed alle vostre famiglie! Che possa essere un giorno pieno di gioia e che porti armonia e pace nelle vostre vite e in quelle dei vostri cari…

Ho pensato che il modo migliore per farvi gli auguri fosse quello di ricordare insieme i famosi “Libri del Natale” (The Christmas Books) scritti da Charles Dickens tra il 1843 ed il 1848:

“Un canto di Natale” (The Christmas Carol)

“Le campane” (The chimes)

“Il patto con il fantasma” (The haunted man)

“La battaglia della vita” (The battle for life)

“Il grillo del focolare” (The cricket on the hearth)

Nelle pagine di questi brevi racconti, così suggestivi e talvolta surreali, Dickens ci racconta il Natale e la sua magia. In queste pagine scritte per un pubblico adulto così come per i più piccoli, lo scrittore ci invita a cercare la semplicità delle cose, suscitando in noi sentimenti di tolleranza verso il prossimo e facendoci volgere lo sguardo verso i più bisognosi, verso coloro che sono stati meno fortunati di noi. Dickens sa ricreare perfettamente l’atmosfera natalizia, quell’atmosfera di pace e serenità che si può ritrovare solo davanti al focolare domestico e nelle piccole ed umili azioni quotidiane.

Augurandovi ancora un sereno e lieto Natale, vi saluto con l’incipit di “Un canto di Natale”, forse il più famoso dei cinque racconti grazie anche alle sue numerose trasposizioni cinematografiche.

Marley era morto. Tanto per cominciare. Su questo non c’è alcun dubbio. Il certificato delle esequie era stato firmato dal pastore, dal segretario della parrocchia, dal becchino e da un parente. L’aveva firmato Scrooge. E in Borsa il nome Scrooge godeva gran credito, qualsiasi cosa decidesse di fare.
Il vecchi Marley era morto come un chiodo piantato in una porta.
Attenzione! Non intendo dire di sapere, per conoscenza personale, che cosa mai ci sia di particolarmente morto in un chiodo piantato in una porta. Per quanto mi riguarda, sarei stato propenso a credere che sia un chiodo piantato in una bara l’articolo di ferramenta più morto sul mercato. Ma la saggezza dei nostri antenati sta nella similitudine e le mie mani profane non debbono turbarla, o sarebbe la rovina del paese. Mi permetterete, dunque, di ripetere con enfasi che Merley era morto come un chiodo piantato in una porta.

sabato 17 marzo 2012

“Una storia tra due città” di Charles Dickens


Charles Dickens (1812 – 1870) scrisse soltanto due romanzi storici “Barnaby Rudge” (1841) e “A Tale of Two Cities” pubblicato a puntate nel 1859.
Ambientato tra Parigi e Londra nel burrascoso periodo che va dagli anni immediatamente precedenti alla rivoluzione francese ed il regno del Terrore, “Una storia tra due città” narra le vicende private di un gruppo di persone attraverso un susseguirsi di colpi di scena.
Sebbene l’ambientazione differisca notevolmente dall’Inghilterra vittoriana tipica dei romanzi di Dickens, questo romanzo contiene tutti i temi classici dell’opera dickensiana: la povertà, la nobiltà d'animo, il riscatto e il sacrificio.
L’incipit del romanzo chiarisce immediatamente il collegamento tra il passato che sta per essere raccontato ed il presente che viene vissuto:

Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta. A farla breve, era quello un tempo così simile al nostro che alcune fra le voci più autorevoli, quelle che più strillavano, insistevano a giudicarlo, nel bene e nel male, solamente per superlativi.

Dickens lancia attraverso il tempo passato, un monito al tempo presente in cui è ancora viva la minaccia della ripetizione dell’antico. Si deve, infatti, tener conto che nel 1859 (anno di pubblicazione del romanzo) è ancora ben vivo il ricordo dei tumulti e delle agitazioni dovute all’approvazione della Corn Law e quello dei moti rivoluzionari a seguito del movimento cartista, che con la sua richiesta di una radicale riforma elettorale, rievocava i fantasmi del Terrore francese.
Per Dickens la rivoluzione è una malattia, è febbre e delirio di autodistruzione il cui contagio si propaga a velocità spaventosa.
La società è continuamente minacciata a causa degli squilibri della distribuzione della ricchezza e la folla sottoposta a continui soprusi diventa facilmente crudele e incontrollabile:

a quel tempo la folla era un mostro molto temuto e che non si fermava davanti a nulla

Tra le molteplici vicende umane che si intrecciano in queste pagine spiccano quelle di Lucie Manette, donna virtuosa, che ispira amore e lealtà negli altri personaggi e quelle di suo padre, un medico ingiustamente incarcerato.
Il romanzo è soprattutto la storia del Dottor Alexandre Manette: la storia inizia, infatti, con il suo rilascio dalla Bastiglia e alla fine sarà proprio la lettura della sua lettera che, per un destino beffardo, decreterà la condanna a morte del genero Darnay, obbligando così Sydney Carton a sacrificare la propria vita.
Alexandre Manette, dottore di belle speranze in gioventù, è uno dei personaggi più complessi del racconto: da prigioniero che medita vendetta - attraverso un difficile percorso che alterna follia e lotta contro i propri fantasmi – riesce alla fine, per amore della figlia e della nipote, a mettere da parte l’odio e la rabbia e diventare egli stesso simbolo di perdono.
La tematica del “dualismo” si avverte in diversi personaggi: Lucie filo d’oro della vità di famiglia è contrapposta a Madame Defarge che lavora a maglia il filo dell’odio. Lucie, avrebbe le stesse ragioni di rancore di Madame Defarge, la cui famiglia è stata sterminata dall’arroganza e dalla prepotenza aristocratica, ma Lucie incarna la quintessenza dell’ideale femminile piccolo-borgese (dolcezza, amore e compassione). Madame Defarge, sanguinaria e vendicativa, è l’incarnazione di una femminilità sfigurata, è l’incarnazione della rivoluzione stessa e della perversione.
Il marito di Lucie, Charles Darnay (giustizia e senso del dovere), aristocratico francese espatriato in Inghilterra, indiscriminatamente accusato durante il Terrore, è il doppio di Sydney Carton, personaggio dalla vita dissoluta e dedito all’alcol. Carton riscatterà la sua apatica esistenza sacrificando la sua vita per amore di Lucie e della sua famiglia, diventando così un “eroe”.
Tema ricorrente è dunque anche quello della rinascita, della resurrezione: il Dottor Manette, Sydeny Carton e Darnay/Evrémonde sono tutti personaggi che sono stati “richiamati alla vita” anche se in modi diversi.
Lo stesso Jerry Cruncher, figura minore nell’economia del racconto, diviene forte simbolo di redenzione quando, pentendosi, rinuncerà al furto di cadaveri al quale era dedito riconciliandosi con la religione.
Considerato da Dickens stesso uno dei suoi romanzi più riusciti,  “A Tale of Two Cities” è un testo che appassiona fin dalla prima pagina per il suo mescolare verità storica e finzione.


Bibliografia
Dickens Charles, Una storia tra due città, Ed. Mondadori (2012 Cles -TN)
Mario Domenichelli, Introduzione in Dickens Charles, Una storia tra due città, Ed. Mondadori (2012 Cles -TN)