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giovedì 29 febbraio 2024

“Cosimo I de’ Medici” di Eugenio Giani

Perché scrivere un altro libro su Cosimo I quando tanto è già stato scritto sull’argomento? Inizia con questo interrogativo il saggio di Eugenio Giani. Invero, lo stesso che mi ero posta io prima di accingermi alla lettura. Domanda lecita dalle risposte molteplici e non banali.

Il libro di Eugenio Giani è un saggio dal carattere divulgativo che indaga tutte le sfaccettature della complessa personalità di Cosimo I de’ Medici. In queste pagine viene evidenziata, attraverso connessioni e suggestioni, l’importanza che Cosimo ebbe non solo per Firenze ma per l’intera Toscana. Il sottotitolo che lo definisce “il padre della Toscana moderna” è senza dubbio un titolo evocativo ma anche un’incontrovertibile verità. 

Se è vero, infatti, che tutti ricordano quello che di grande fece il Magnifico per Firenze, è indubbio che altrettanti meriti vadano riconosciuti proprio al primo Granduca di Toscana, colui che fece di questa terra uno Stato moderno in grado di dire la propria accanto alle grandi potenze dell’epoca, certo non in virtù dell’estensione territoriale, davvero esigua, ma grazie ad un’efficiente macchina governativa.

Cosimo scelse come suo motto Festina lente (affretti lentamente) e come impresa una tartaruga con una vela sul suo carapace. Fu un uomo dotato di una determinazione e una lungimiranza non comuni, ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, seppe essere anche molto paziente, attendendo sempre il momento propizio per agire e comunque mai prima di essersi ampiamente documentato.

Per molti egli fu un uomo ambizioso, accentratore e umorale. Certamente Cosimo I non ebbe un carattere facile; fu sempre poco incline a fidarsi del prossimo, retaggio degli insegnamenti materni e di un’infanzia piuttosto complicata per via degli eventi politici del tempo, e agì anche in modo spietato contro chi osò sfidare la sua autorità. Va però detto, almeno a sua parziale discolpa, che fu un grande legislatore e, tenendo conto di quelle che dovevano essere la moralità e la cultura dell’epoca, egli agì sempre secondo la legge.

Quando Cosimo salì al potere la situazione finanziaria dello Stato era prossima alla bancarotta. Nei suoi 37 anni di governo ridisegnò l’economia della Toscana e non ci fu settore al quale egli non mise mano, dall’attività estrattiva fino addirittura alla pesca e alla piscicoltura.

Comprese fin da subito l’importanza degli sbocchi sul mare sia per aiutare l’espansione economica del territorio sia per rafforzare il peso del Ducato sullo scacchiere politico del tempo.

Cosimo non fu un condottiero, non scese mai in battaglia in prima persona, fu  piuttosto un uomo di penna dotato di grande lucidità ed eloquenza.

Ebbe la straordinaria capacità di saper scegliere e circondarsi dei più validi collaboratori in ogni settore; questo lo condusse alla vittoria in quelle guerre che dovette combattere.

Firenze fu indubbiamente il centro del potere, ma Cosimo comprese l’importanza di fare sentire la propria presenza su tutto il territorio e lo fece anche attraverso innumerevoli viaggi. La stessa Pisa, l’antica rivale, la Repubblica sconfitta dai fiorentini, diverrà a tutti gli effetti una sorta di seconda capitale del Granducato.

Cosimo sostituì il vecchio sistema della Corte con delle magistrature che noi oggi noi definiremmo ministeri. Tra questi potremmo identificare tra gli altri un ministero dei beni culturali, a cui fece capo il Vasari, e un ministero dei beni ambientali affidato al vecchio Ordine di Parte Guelfa a cui venne data nuova vita attraverso la Legge dell’Unione.

Persino il paesaggio della Toscana venne rimodellato per volere di Cosimo: furono costruite nuove città e ne furono ammodernate altre, grande impulso venne dato alla costruzione di mura e fortificazioni, vennero costruiti nuovi acquedotti e molti terreni vennero bonificati per essere resi produttivi.

Cosimo diede molta importanza agli archivi, alla stampa, alla cultura e all’arte non meno che all’economia.

Ebbe la fortuna di essere affiancato da una consorte quale Eleonora di Toledo, donna colta, raffinata e dotata di un fiuto per gli affari non inferiore al suo. Il loro fu un matrimonio politico ma anche un’unione molto felice. Purtroppo Eleonora morì molto giovane e questo fu un duro colpo per Cosimo. Eleonora morì con il titolo di duchessa, non poté partecipare alla gioia del marito per la consacrazione a primo Granduca di Toscana.

Il libro di Eugenio Giani è una lettura estremamente piacevole, dettagliata e ampiamente documentata. Seguendo le tracce dei tanti luoghi disseminati in Toscana che ancora oggi portano il segno dell’opera del primo Granduca Medici, Giani ci regala un vivido ritratto di quel fine politico e statista che fu Cosimo I senza tralasciare di dipingerne anche, attraverso curiosi particolari e aneddoti, i connotati più umani, legati al suo essere anche uomo comune, figlio, marito e padre oltre che capo di Stato.

“(…) a volte sono proprio le vicende a margine che danno il senso di un’esistenza”



giovedì 1 febbraio 2024

“Giuliano de’ Medici” di Rita Delcroix

Quando ci si sofferma ad osservare la splendida tomba del duca di Nemours (1479-1516), con la bellissima rappresentazione del giorno e della notte, opera di Michelangelo, pochi si interrogano su chi davvero fosse stato Giuliano de’ Medici, pochi ne conoscono la storia.

Rita Delcroix ha colmato questa lacuna regalandoci, a mio avviso, una delle più belle biografie che siano mai state scritte su questo personaggio le cui sembianze sono a noi giunte grazie ad un meraviglioso dipinto di Raffaello

Pochi come l’Urbinate furono capaci di cogliere l’anima dei personaggi ritratti e così fu anche per Giuliano. Non solo i dettagli fisici non sfuggirono all’occhio attento di Raffaello, come la falange mancante del dito indice della mano destra, ma anche quel suo essere gentile e quella sua bontà d’animo, qualità che lo resero benvoluto da tutti tanto da piangerlo ovunque quando per lui sopraggiunse la morte a soli 37 anni.

Lorenzo il Magnifico era solito dire dei suoi tre figli maschi che fossero uno saggio, uno buono e uno pazzo. Il pazzo era Piero, il primogenito, colui che morì nel Garigliano senza mai poter fare ritorno a Firenze dopo la cacciata del 1494; il buono, Giovanni, colui che salì al soglio pontificio con il nome di Leone X e infine, il saggio, Giuliano, quello a cui era più legato, l’ultimogenito nato l’anno dopo la Congiura dei Pazzi e a cui aveva dato il nome dell’amato fratello assassinato nel Duomo di Firenze il giorno 26 aprile 1478.

Giuliano, forse più degli altri figli, soffrì per la morte del padre al quale era sinceramente affezionato e per il quale nutriva quasi una venerazione. Per tutta la vita Giuliano, che verrà anch’egli appellato Magnifico come il padre, cercò invano di ricreare intorno a sé quell’ambiente famigliare e intriso della dottrina neoplatonica che aveva conosciuto durante la sua infanzia. 

Troverà però, per un breve periodo, qualcosa di simile ad Urbino, alla Corte dei Montefeltro, ultimo baluardo di cavalleria e neoplatonismo, dove stringerà solide amicizie e ritroverà vecchie conoscenza.

Malinconico, disilluso, sempre alla ricerca di un suo equilibrio in un’epoca tanto violenta e voltagabbana in cui stentava a riconoscersi, lui così leale e sincero, pervaso da un sentimento di fedeltà orgogliosa al passato e dalla volontà di essere all’altezza del nome di suo padre, Giuliano non possedeva né i difetti né le qualità necessarie per essere un politico. L’amore per il bello e per lo studio ne fecero l’emblema del cortigiano ideale, tanto che lo stesso Baldassare Castiglione ne fece uno dei protagonisti del suo celebre “Cortegiano”.

In un’epoca dove l’Italia era terra di conquista, dove ogni giorno alleanze, fedeltà, amicizie venivano continuamente negate e tradite, l’esule Giuliano,  unico Medici ovunque ben accetto per il suo buon carattere, viaggiò costantemente tra Venezia, Bologna, Roma, Urbino, fino al suo tanto agognato ritorno a Firenze. La città però era mutata e il palazzo di Via Larga non era più lo stesso, le sue mura non risuonavano più delle voci amate e famigliari dei protagonisti della Corte di Lorenzo Il Magnifico. Giuliano, spaesato e solo, preferì dunque fare ritorno a Roma, ancora una volta in cerca di quel mondo perduto, sempre nel vano tentativo di far rivivere un giorno i fasti della vecchia corte medicea perduta.

Giuliano de’ Medici fu molte cose: un soldato valoroso e sfortunato, un poeta e un letterato, un mecenate amico degli artisti, ma soprattutto, ammantato della suprema eleganza della sprezzatura, egli fu uno degli ultimi rappresentanti di un mondo al crepuscolo.

Il libro di Rita Delcroix è caratterizzato da una prosa elegante e fluida, le immagini scorrono vivide dinnanzi al lettore che sente, pagina dopo pagina, quasi di partecipare in prima persona agli eventi che incalzanti si susseguono.

L’opera della Delcroix è una biografia romanzata che presenta qualche imprecisione storica senza dubbio, ma nell’insieme è un libro davvero ben scritto: commovente, avvincente ed emozionante.

Una delle caratteristiche più apprezzabili di questo libro è l’interdisciplinarità degli argomenti perché, indagando a trecentosessanta gradi il personaggio di Giuliano e di coloro che vissero accanto a lui, Pietro Bembo , il Castiglione, Leonardo da Vinci, Raffaello solo per citarne alcuni,  Rita Delcroix indaga a tuttotondo anche la sua epoca dal punto di vista artistico, politico, storico, filosofico e letterario.

Difficile davvero condensare in poche righe i tanti stati d’animo suscitati da queste pagine ricche di storia e partecipazione emotiva.

Una lettura decisamente consigliata al di là della passione o meno condivisa per la famiglia Medici e per il periodo storico in cui i fatti narrati si svolsero.

(…) quell’esule povero e splendido che temperava l’orgoglio degli Orsini con l’intelligente umanità dei Medici.




sabato 20 gennaio 2024

“I Diari di Dante” di Riccardo Starnotti

Secondo una leggenda medievale la Divina Commedia sarebbe stata spiegata nella sua totalità solo dopo settecento anni dalla sua stesura o dalla morte del suo autore.

30 Marzo 2009. Riccardo compie 25 anni, non è nel mezzo del cammin della sua vita, ma ha pur sempre raggiunto un traguardo, il quarto di secolo.  Il tempo della profezia sta per scadere e lui da qualche notte fa uno strano sogno, sempre lo stesso. E se fosse proprio lui il prescelto per risolvere l’enigma? Una serie di coincidenze lo conducono alla scoperta di una pergamena antica. La pergamena riporta una bellissima poesia in terzine dantesche che fa pensare che il suo autore potrebbe essere addirittura il Sommo in persona.

Inizia così un affascinante viaggio alla scoperta del significato del testo poetico, un percorso che parte da Firenze e attraversa diverse località del Casentino, un viaggio fatto di incontri speciali e di testi antichi, di luoghi singolari, senza mai perdere di vista la letteratura dantesca.   

Più volte Riccardo si sentirà dinnanzi alle terzine che celano il mistero con le loro “parole di colore oscuro” come Dante di fronte alla porta dell’Inferno, ma non si scoraggerà mai, sostenuto sempre dalla presenza della dolce compagna Irene.

“I Diari di Dante. La leggenda si avvera” si preannuncia essere il primo volume di una trilogia. Un testo molto diverso da quello che mi sarei aspettata, ma conoscendo l’autore non stupisce che la sorpresa potesse nascondersi dietro l’angolo. Invero, questo libro ha un taglio molto particolare che non permette in alcun modo di inserirlo in uno specifico genere letterario.

Sulle parole di Dante Riccardo Starnotti ci conduce alla scoperta delle località meno conosciute del Casentino, ci fa conoscere i misteri del luogo da dove il viaggio ebbe inizio, San Miniato al Monte a Firenze, ci porta nella burella del bellissimo castello di Poppi.

Tra queste pagine, però, non troviamo solo luoghi, poesia e alchimia, ma anche tanti personaggi affascinanti e una gustosa guida enogastronomica perché, come non manca mai di ricordare Riccardo, anche la fase “mastica” ha la sua importanza quanto quella mistica.

Il libro di Riccardo Starnotti è anche uno zibaldone di pensieri che inducono il lettore ad interrogarsi su tante tematiche, che non necessariamente debbono essere ricondotte alla poetica dantesca, come il vero significato della filosofia, la necessità di ritrovare un ritmo lento, il piacere della scoperta, il piacere di imparare cose nuove solo per il gusto di farlo.

A questo punto credo sia doveroso spendere qualche parola sull’autore di questo libro. Riccardo Starnotti è davvero un personaggio. Guida turistica e ambientale, è solito condurre visite dantesche nei luoghi dove il poeta nacque e visse durante l’esilio e in quei posti menzionati nella Divina Commedia. Riccardo si è tanto calato nella parte che ormai anche i suoi amici stentano a riconoscerlo quando si presenta loro in borghese.

Il suo libro per quanto romanzato è fortemente autobiografico. Riccardo, infatti, ha fatto propria la missione di riuscire a rendere fruibile e comprensibile a tutti la Divina Commedia. È presidente dell’Associazione Culturale Amici di Dante in Casentino che si  occupa di far riscoprire i luoghi danteschi e dal 2021 ha lanciato la prima piattaforma e-learning per spiegare in maniera semplice e chiara il testo che ha dato vita alla lingua italiana, DANTFLIX. Trovate Riccardo Starnotti su Instagram e Facebook come @viajandocondante 






giovedì 4 gennaio 2024

“Volpi e leoni: i misteri dei Medici” di Marcello Simonetta

Con la morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta il giorno 8 aprile 1942, si apre per gli stati italiani un periodo complicato e ricco di contraddizioni che culminerà con il terribile sacco di Roma nel maggio del 1527.

Il saggio di Marcello Simonetta si pone l’obiettivo di esaminare come i vari membri della famiglia Medici si mossero sulla complessa scena politica italiana dopo la morte di colui che il Guicciardini aveva definì l’ago della bilancia d’Italia. 

Simonetta prende fin da subito le distanze dal finto buonismo mediceo mettendo i discendenti del Magnifico sullo stesso piano della famiglia più controversa della storia:

I Borgia erano orgogliosi portatori del male, i Medici furono ipocriti sostenitori del bene”.

In queste pagine incontriamo Piero il Fatuo, l’erede designato del Magnifico, il fratello Giovanni, il futuro Leone X, e il cugino Giulio, il futuro Clemente VII, oltre a tante altre figure, solo apparentemente di minor spicco, ma non meno importanti per la scena politica del tempo. Tra queste troviamo Alfonsina Orsini, la moglie di Piero, una donna dal carattere indomito e volitivo, che non si tirava mai indietro quando c’era da lottare per ottenere favori per il figlio Lorenzo, per il quale pretese dal papa Leone X il ducato di Urbino, o per la figlia Clarice, moglie di Filippo Strozzi.

Proprio Filippo Strozzi incarnava il fautore per eccellenza dell’inciucio tra politica e finanza. Avventuriero, seduttore e privo di scrupoli, Filippo Strozzi, fu uno dei protagonisti principali della storia. Una figura, la sua, che stupisce oggi per la sua contemporaneità.

Un personaggio che incuriosisce, e credo meriti un ulteriore approfondimento, è quello di Giuliano de’ Medici, il terzogenito del Magnifico, futuro duca di Nemours.  Dandy ante litteram, Giuliano, aveva ereditato dal padre, al quale sembra fosse stato molto affezionato, l’abilità del verseggiare in stile petrarchesco. Egli risulta il membro più piacevole e affascinante della famiglia e fu molto amato presso le corti del suo tempo.

Le due figure a cui Simonetta dedica più spazio sono ovviamente quelle dei due papi Medici: Leone X e Clemente VII.

Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, quando venne eletto a soli 38 anni era già sovrappeso e la sua complessione risultava poca sana. Verrà ricordato per il suo comportamento gaudente, le spese folli e la sua inaffidabilità. Perderà definitivamente la reputazione di “buono”, a cui tanto teneva, in occasione di quella che è passata alla storia come “la congiura dei cardinali”.

Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, figlio illegittimo di Giuliano, riuscì a far rimpiangere addirittura il papato del cugino Giovanni. Se da cardinale diede l’impressione di essere persona accorta e lungimirante, una volta assurto al soglio pontificio si rivelò violento, ambizioso e vendicativo. Più di tutto furono però la sua doppiezza e la sue continue esitazioni nel prendere decisioni a condurre Roma e il papato alla rovina.

Un solo breve accenno viene fatto a Giovanni dalle Bande Nere, ma va detto che il saggio analizza maggiormente l’aspetto politico della storia piuttosto che il dispiegarsi degli eventi sul campo di battaglia vero e proprio.

Il libro è un saggio ben documentato, corredato da numerosissime note e da una ricca bibliografia. Pur volendo essere di natura divulgativa, il testo è comunque dettagliato e rigoroso nel metodo. I dati riportati, tutti verificabili, si rifanno non solo a lettere e fonti di archivio ma anche ad una precisa e attenta analisi dei testi letterari dell’epoca. La lettura non risulta però sempre scorrevole.

Complotti, vendette, alleanze e tradimenti sono il leitmotiv di quest’epoca tanto confusa e oscura. A tal proposito, per chi ancora non l’avesse visto, consiglio il bellissimo film diretto da Ermanno Olmi “Il mestiere delle armi” (2001)  






giovedì 21 dicembre 2023

“Il Banco Medici” di Raymond De Roover

Ho inseguito questo libro a lungo in quanto fuori catalogo in lingua italiana ormai da tempo. Sono riuscita a scovarne una copia a Roma in una libreria di libri antichi e introvabili anche se non proprio a buon mercato trattandosi di una prima edizione datata 1970. Il volume nell’edizione in lingua inglese è invece ancora regolarmente disponibile.

Quando si pensa al Banco Medici si pensa di solito alla sola attività finanziaria dimenticando che dietro ve ne fossero state altre, tra cui quella commerciale e quella assicurativa sebbene in codesta i Medici ebbero, in verità, un ruolo molto trascurabile.

Il 1397 può considerarsi l’anno di fondazione del Banco Medici. A quel tempo, Giovanni di Bicci che aveva gestito il Banco di Roma decise di trasferire la sede principale a Firenze. Il Banco Medici sopravvisse tra alti e bassi fino al 1494 quando vennero cacciati da Firenze.

L’attività del Banco Medici raggiunse la sua massima espansione alla morte di Cosimo il Vecchio, dopo di lui iniziò il lento ed inesorabile declino. Molti hanno incolpato il Magnifico di troppa prodigalità, ma un fattore da non trascurare è quello che i Medici furono sovrani di fatto, se non di diritto, e per questa loro posizione spesso nelle loro scelte il calcolo politico ebbe il sopravvento sulle mere condizioni economiche.

Di fatto quattro possono essere indicate come le cause primarie del crollo: cattiva amministrazione, direttive sconsiderate, debolezza strutturale e avverse congiunture.

Il Banco Medici non raggiunse mai le dimensioni che in passato ebbero le banche dei Bardi e dei Peruzzi; sotto questo aspetto il Quattrocento viene visto dagli storici come un periodo di ristagno se non addirittura di regresso economico.

Nonostante ciò, la potenza raggiunta con il Banco consentì ai Medici d’impadronirsi del potere politico, consentendogli allo stesso tempo di affidare importanti commissioni ad artisti, promuovere gli studi umanistici e impiegare ingenti somme nella costruzione di monumenti.

Si deve precisare che prima di questo studio effettuato dal De Roover l’argomento non era mai stato approfonditamente indagato.

I documenti d’affari del Banco Medici sono tali da riuscire a ricostruire un quadro abbastanza particolareggiato del funzionamento della banca e dei problemi di amministrazione. Solo il famoso archivio Datini di Prato può considerarsi più completo di quello mediceo.

Per il periodo anteriore al 1451 la fonte principale consultata dal De Roover sono stati i libri segreti. Questi furono scoperti nel 1950 in una busta che era stata malamente archiviata. Purtroppo per questi anni manca però la corrispondenza che è invece presente per gli anni successivi al 1450, anni in cui però sono giunti a noi solo frammenti dei libri contabili.

Quello che si evince dallo studio del De Roover è che i problemi di ieri erano molto simili a quelli attuali tanto che sembra si usassero anche gli stessi escamotage come l'evasione fiscale, le fughe di capitali, l'occultamento e l'alterazione dei libri contabili.

I Medici non inventarono nulla di nuovo. Di fatto la loro opera di innovatori sta nell’aver attivato un’organizzazione simile alle moderne holding e nell’avere dato vita a quello che potrebbe avvicinarsi al primo cartello della storia con l’affare dell’allume.

De Roover analizza ogni aspetto delle attività economiche dei Medici non solo del Banco, delle numerose filiali italiane ed europee e della Tavola dei Medici, ma anche del commercio internazionale, dell’affare dell’allume e dell’industria tessile.

Il saggio indaga anche dettagliatamente il sistema monetario della Firenze del Quattrocento basato su due distinti sistemi monetari: uno sull’oro, di cui l’unità monetaria era il fiorino, e l’altro sull’argento.

Questo aspetto è stato oggetto di indagine anche di Tim Parks con il suo “La fortuna dei Medici” (2005) di cui vi ho parlato tempo fa e che nella bibliografia cita tra gli altri anche il testo del De Roover.

Il testo di Parks è più centrato, e forse anche più chiaro nell'esposizione, di quello del De Roover in merito alla questione legata al duplice sistema monetario e alle notevoli complessità che ne seguirono.

Entrambi sono testi molto validi che si integrano a vicenda e la cui lettura è imprescindibile per chiunque voglia conoscere nel dettaglio la storia dei Medici e di come fosse nata la loro fortuna, ma anche per chiunque voglia accrescere la propria conoscenza  sulle origini del contemporaneo mondo degli affari.




domenica 12 novembre 2023

“Tana Alighieri” di Elena Petrioli

La cosa bella della Storia è la sua capacità di riuscire a meravigliarci di continuo perché ci sarà sempre qualcosa rimasto a noi celato nelle pieghe del tempo.

Ecco quindi che non stupisce se la maggior parte di noi fino ad oggi ha ignorato che Dante Alighieri avesse una sorella di nome Gaetana (o Tana). 

La vita talvolta riserva delle sorprese come è accaduto all’autrice di questo saggio. Mai, Elena Petrioli avrebbe immaginato che, per una concatenazione di eventi inaspettati, si sarebbe ritrovata un giorno addirittura ad impersonare Tana Alighieri facendo visite guidate teatralizzate.

Ognuno durante la pandemia ha reagito a suo modo ed Elena Petrioli, affermata guida turistica da oltre venticinque anni nonché appassionata di storia locale, ha rivolto in quei giorni il suo sguardo verso il Sommo.

Senza rendersene conto si è trovata a seguire le tracce della sorella di Dante, immedesimandosi così tanto nella sua storia da riuscire persino, a distanza di secoli, a riportarla in vita per le vie di Firenze.

Come nasce l’idea di questo breve saggio? Poiché risultava ovviamente impossibile trasmettere tutte le informazioni su Tana Alighieri, per quanto  purtroppo alquanto esigue, durante una visita guidata, Elena Petrioli ha avvertito la necessità di mettere per iscritto, in maniera ordinata e puntuale, una summa di quanto già pubblicato e dibattuto su questa figura quasi sconosciuta, ma alquanto importante nella vita di Dante.

Elena Petrioli, però, non si è limitata ad una mera ricerca bibliografica, ma ha confrontato tra loro le ipotesi e le argomentazioni a sostegno delle stesse dei vari storici che si sono succeduti nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Ha esaminato gli stessi testi danteschi e gli scritti degli autori a lui contemporanei e, infine, ha verificato in prima persona ed esaminato documenti d’archivio in maniera minuziosa e capillare così che non venisse tralasciato alcun dettaglio utile alla ricerca. Si è dedicata anche ad un attento studio topografico con l'intento di identificare, quanto più possibile, i luoghi dove si svolsero gli eventi trattati.

In questo saggio, non solo troverete la storia di Tana Alighieri, sorella maggiore di Dante e moglie del ricco mercante Lapo Riccomanni, ma anche una breve sintesi di come si presentasse la Firenze dell’epoca dal punto di vista politico, economico, sociale e topografico.

Le contraddizioni, ad un occhio moderno, potrebbero sembrare molte, per questo l’autrice ha ritenuto necessario fornire qualche breve indicazione al lettore affinché questi avesse le giuste coordinate per meglio addentrarsi nella storia. Era indispensabile per prima cosa, poi, fare chiarezza sull’annosa questione relativa alle differenze tra magnati e popolani.

“Tana Alighieri” è una lettura piacevole e interessante che riesce a far convivere nelle sue pagine due storie parallele: quella contemporanea, dell’autrice, con le sue passioni, le sue aspirazioni e le sua esperienze, e quella medievale, prettamente storica, legata al personaggio di cui si narra e di cui viene tracciato un profilo, se vogliamo, anche romantico di sorella premurosa e di moglie discreta ma capace, se necessario, anche di affiancare il marito negli affari.





martedì 10 ottobre 2023

“La figlia più amata” di Carla Maria Russo

I duchi passano. Firenze resta. Il romanzo di Carla Maria Russo si apre con il racconto di un incontro segreto. In una piccola stanza ricavata nelle segrete della Torre Volognana due personaggi stringono un patto di ferro. L’uno è un giovane freddo e razionale, l’altro un uomo potente e vigoroso sebbene non più nel fiore dell’età. È l’uomo anziano che ha scelto di legarsi alla causa del giovane.

Cosimo I de’ Medici, uomo potente e autoritario, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e nipote di Caterina Sforza, domina Firenze con il pugno di ferro, nessuno osa contraddire l’orgoglioso e dispotico duca, eppure anch’egli ha le sue debolezze: la moglie Eleonora di Toledo, che ama profondamente, e le sue figlie, in particolare Bia e Isabella. Ebbene sì, contrariamente ad ogni logica di potere, Cosimo non cerca neppure di mascherare la sua preferenza per le figlie femmine e questo suo sentire fuori dal comune non fa che alimentare rancori e gelosie tra i suoi eredi.

Dopo la morte di Bia, la bimba avuta prima del matrimonio, Cosimo sembra non riuscire a riprendersi dalla grave perdita. Quando Eleonora gli annuncia di aspettare un altro figlio, egli le fa promettere che sarà una bambina. Isabella non sostituirà mai Bia nel cuore di Cosimo, ma diventerà per lui altrettanto preziosa. Purtroppo per Isabella, però, il troppo amore di Cosimo si rivelerà per lei anche una terribile condanna.

Il romanzo è un’opera di fantasia, ma si comprende che l’autrice ha svolto ampie ricerche per scrivere questa storia. Infatti, per quanto i fatti vengano reinterpretati e romanzati liberamente, essi conservano una solida base di verità storica e una verosimile rispondenza allo svolgersi dei fatti.

La storia di Cosimo I de’ Medici e della sua numerosa famiglia sì presta perfettamente ad essere trasformata in un romanzo. Tanti eventi furono oggetto di illazioni, chiacchiere, maldicenze già all’epoca in cui tali fatti avvennero. Non entro ovviamente nello specifico per non spoilerare e rovinare così l’effetto sorpresa al lettore digiuno di storia medicea per il quale certi avvenimenti storici risulteranno certamente sconosciuti.

Carla Maria Russo ha la straordinaria capacità di saper riportare in vita i personaggi del passato, farli interagire e dialogare tra di loro, ricreare la perfetta atmosfera dei luoghi attraverso i quali farli agire e muovere.

La narrazione si volge su tre piani: quello legato al complotto e alle lettere che si scambiano i due personaggi che hanno stretto il patto segreto, alcuni frammenti di racconto estrapolati da ciò che si è salvato di un diario scritto da Isabella de’ Medici e giunto nella mani del figlio Virginio e infine il racconto vero e proprio, quello in cui si narra la storia di Cosimo I e della sua famiglia.

Uno degli aspetti più singolari della famiglia di Cosimo I de’ Medici fu che nonostante l’amore fuori dal comune che legò questi alla moglie e alla figlie, nonostante alcuni particolari comportamenti che, almeno  all’apparenza, avrebbero dovuto cementare lo spirito familiare, come il desiderio del capofamiglia di riunirsi ogni giorno per pranzare tutti insieme, in verità, mai nucleo familiare fu più disunito e mai dei congiunti svilupparono tanta ostilità gli uni nei confronti degli altri come i figli del primo Granduca di Toscana.

Ogni personaggio è caratterizzato in maniera magistrale dalla penna di Carla Maria Russo sia sotto il profilo fisico che sotto il profilo psicologico.

La debolezza di Cosimo nei confronti delle sue donne e la sua intransigenza quando si trattava di imporre la propria volontà senza guardare in faccia nessuno, la rigidità della duchessa Eleonora che si scioglieva al cospetto del marito, i sogni di Maria per sfuggire alla realtà, le pene di Lucrezia per il suo sentirsi perennemente inadeguata, la follia di Pietro, la fredda intelligenza di Ferdinando e l’incontrollata smania di esercitare il potere di Francesco, sono solo alcuni dei molteplici aspetti che caratterizzano i numerosi personaggi che animano le pagine del romanzo.

E poi c’è lei, Isabella de’ Medici, viziata e ribella. Una bambina a cui la madre non si riesce e il padre non vuole mettere un freno, che si comporta come un maschiaccio, che adora cavalcare e andare a caccia ma che, una volta divenuta adulta, si trasforma in una splendida donna colta e raffinata, appassionata di poesia e di musica, il fiore della Corte di Cosimo I de’ Medici, colei a cui tutti guardano come alla vera duchessa di Firenze.

Una trama affascinante, personaggi seducenti e un ritmo narrativo estremamente scorrevole rendono la lettura di questo libro davvero piacevole. Carla Maria Russo si conferma ancora una volta un’ottima autrice di romanzi storici.



lunedì 18 settembre 2023

“Dante” di Marco Santagata

Dante si sentiva un predestinato, lo si evince dalle sue opere e da come condusse la sua vita. Uno degli aspetti più rilevanti della sua personalità fu il suo sentirsi diverso. In ogni evento della sua esistenza, in ogni cosa detta e fatta, che si trattasse della morte della donna amata, della sua attività politica o della condanna all’esilio, egli vi intravide sempre la mano del destino.

Santagata si interroga su come potesse venire percepita dagli altri la personalità di un uomo tanto particolare e come potesse essere giudicato dai suoi contemporanei. L’immagine che noi abbiamo di Dante oggi è spesso quella di un uomo egocentrico e persuaso della propria eccezionalità. Un uomo che non proveniva da una famiglia magnatizia, ma che, come tale, aveva scelto di vivere. Aveva amicizie altolocate, aveva sposato una Donati e lo studio, la letteratura, la filosofia erano le uniche occupazione che riteneva adatte a lui, sebbene questo gli procurasse delle difficoltà economiche talvolta anche piuttosto rilevanti come si evince dalle fonti archivistiche.

Il libro di Marco Santagata è, come recita il sottotitolo, il romanzo della vita del Sommo Poeta. Un’esistenza che indubbiamente fu ricca di avvenimenti e consumata in un’epoca assai movimentata dal punto di vista sociopolitico. In verità, il libro è un saggio molto ben documentato e articolato, la cui lettura  si presenta scorrevole come quella di un’opera romanzata.

Il racconto della vita di Dante Alighieri non può prescindere dal racconto della storia di Firenze. Santagata ci riporta dettagliatamente gli eventi di quel tempo e ci racconta dei vari personaggi che vi presero parte regalandoci un quadro vivissimo di quell’epoca.

Dante non visse però sempre a Firenze ed ecco, allora, che Santagata ci narra anche delle diverse realtà al di fuori di Firenze e delle varie corti nelle quali l’esule trovò asilo. Lo storico indaga quindi anche i rapporti, famigliari e politici, che legavano tra loro i vari personaggi, gli appoggi sui quali Dante poté contare e quali furono i pericoli che corse.

Tra le pagine del libro non troviamo solo il racconto di Guelfi e Ghibellini, magnati e popolani, battaglie e scontri tra fazioni, ma Santagata va alla ricerca anche dei dettagli, se vogliamo, più intimi della vita di Dante.  Tenta di fare emergere ad esempio la figura del Dante bambino di cui è rimasta solo un’impercettibile traccia. All’epoca, infatti, si pensava che non fosse di alcuna utilità riportare i fatti privati dell’infanzia e della giovinezza di un individuo in quanto privi di valore morale esemplare. Cerca inoltre di comprendere quale fu il rapporto tra Dante e la moglie Gemma, che tipo di padre egli fu e che rapporto ebbe con le sorelle, in particolare con Tana, e con l fratello Francesco.

Il libro di Santagata prende in esame ogni aspetto della vita di Dante Alighieri riuscendo ad intrecciare gli eventi pubblici e privati della sua vita con le sue opere.  Marco Santagata rilegge i vari passi degli scritti mettendoli in relazione con i fatti occorsi nella vita del poeta in quegli stessi anni in cui le varie parti delle opere vennero elaborate riuscendo così a darcene un'interpretazione più completa e, anche se talvolta non proprio condivisibile, senza dubbio sempre interessante e affascinante.

Un saggio dettagliato, ben documentato, scorrevole. Una lettura estremamente piacevole che conferma l’ottimo giudizio su Santagata che avevo avuto leggendo il suo “Le donne di Dante”.





sabato 26 agosto 2023

“Democrazia machiavelliana” di John P. McCormick

Niccolò Machiavelli, secondo il pensiero di John P. McCormick, non fu né un consigliere di tiranni né un teorico repubblicano, ma un acuto studioso delle repubbliche del passato preoccupato di trovare degli strumenti di potere atti a contenere le élites.

Analizzando “Il Principe” e altri scritti, ma soprattutto prendendo in esame quanto scritto nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, il professor McCormick mette in risalto come, per il politico fiorentino, la libertà dipenda da istituzioni che incoraggino la diffidenza popolare nei confronti dei membri più ricchi e influenti della società e del governo. Machiavelli auspica un conflitto di classe in quanto ritiene che questo, se istituzionalizzato, possa favorire la libertà. 

Le élites tendono a scegliere un principe che appartenga alla loro stessa classe sociale perché pensano di poterlo in qualche modo manipolare in virtù degli interessi comuni. Esse desiderano il potere illimitato mentre il popolo chiede giustizia e uguaglianza, in quest’ottica quindi la partecipazione del popolo è costruttiva e positiva.

“Democrazia machiavelliana” è un articolato e corposo saggio in cui non si analizza solo il pensiero di Machiavelli, ma si prende in esame anche come questo sia stato, nel corso dei secoli, interpretato e talvolta applicato da statisti, filosofi e politici di correnti e paesi diversi.

John P. McCormick ritiene fondamentale, per una giusta interpretazione del corpus delle opere machiavelliane, considerare i destinatari delle opere stesse. In particolare, si occupa di esaminare da vicino i dedicatari dei Discorsi ovvero Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti.

Il professore McCormick, inoltre, vuole dimostrare come l’intento di Machiavelli scrivendo il Principe non fosse quello di istruire i regnanti a manipolare il popolo, ma piuttosto come la gente comune potesse controllate le élites. Desidera dimostrare come si siano spesso sottovalutati i tentativi fatti dal politico fiorentino di stabilire dei mezzi e delle istituzioni capaci di dotare i comuni cittadini del potere per resistere alla dominazione dei ricchi e scoraggiare la corruzione dei funzionari.

Indubbiamente “Democrazia machiavelliana” è un saggio molto completo, ben documentato in cui il professore McCormick ha saputo argomentare acutamente il proprio pensiero, dimostrandosi esperto conoscitore sia degli scritti di Niccolò Machiavelli che della politica sia contemporanea che di quella del passato più o meno prossimo.

Sinceramente questo libro non mi ha entusiasmato per diversi motivi, tra cui il fatto che troppo spazio è stato riservato a prefazioni e introduzioni, circa un terzo del testo. Inoltre, probabilmente perché non addentro alla materia politica e ancora legata alle più classiche, e se vogliamo anche obsolete, interpretazioni del pensiero machiavelliano, ho trovato alcune parti piuttosto forzate.

L’impressione da non addetta ai lavori, ci tengo a ribadirlo, è quello che in queste pagine si analizzino i testi di Machiavelli con l’intento di attualizzarli troppo e quasi piegarli al proprio scopo, arrivando così ad una reinterpretazione del pensiero del politico fiorentino che, a mio avviso, risulta un po’  esasperata.

La cosa certa è che, dopo aver letto questo lavoro, viene senza dubbio voglia di leggere, o rileggere, tutte le opere di Machiavelli per un interessante confronto con quanto sostenuto da John P. McCormick.

 

  

domenica 20 agosto 2023

“Il Barone. Corso Donati nella Firenze di Dante” di Silvia Diacciati

Nipote di Gualdrada Donati, colei che secondo la leggenda provocò la nascita delle più famose fazioni della storia, quelle dei Guelfi e dei Ghibellini, Corso Donati nacque intorno alla metà del Duecento.

Le ricchezze della famiglia Donati provenivano dai loro possedimenti fondiari sparsi nel contado fiorentino, dal prestito ad usura, dal finanziamento di imprese commerciali, mercantili e bancarie e infine dai proventi della guerra. 


I maschi della famiglia, infatti, così come quelli delle famiglie loro pari, eccellevano nell’arte delle armi e Corso non era ovviamente da meno.


Le cronache lo ricordano come un cavaliere di grande valore, suo fu il merito della vittoria nella battaglia di Campaldino (1289), un uomo bellissimo, oratore raffinato, impavido ma anche irrequieto, violento, collerico, dispotico e troppo ambizioso.

Corso Donati si macchiò della pena più infamante ovvero quella di aver anteposto il proprio interesse a quello di Firenze.


Fu seguito da molti e maledetto da altrettanti, ma di certo chi più di tutti odiò Bonaccorso di messer Simone dei Donati, detto il Barone, fu Dante Alighieri che, per vendicarsi, lo condanno alla damnatio memoriae. Corso, infatti, non viene mai nominato nell’opera più famosa del Sommo Poeta, la Commedia.


Il libro di Silvia Diacciati è molto particolare. Si legge velocemente come un romanzo, essendo scritto con una prosa estremamente piacevole e scorrevole, ma si tratta in verità di un saggio molto ben articolato e dettagliato. Nulla di ciò che viene riportato è frutto di fantasia anche se a volte si potrebbe stentare a crederlo.


Si tratta di un testo senza dubbio di carattere divulgativo, ma risulta comunque insolita la scelta dell’autrice di non aver inserito delle note che riportino quanto meno i riferimenti dei documenti d’archivio consultati e una ampia bibliografia a termine del volume.


In merito a questo saggio avevo letto qualche critica sul fatto che non aggiungesse nulla di nuovo a quanto conosciuto dai più. Non sono assolutamente d’accordo perché si tratta di un lavoro capillare e molto ben documentato. Tantissimi sono i riferimenti alle fonti letterarie, alla cronachistica e alla documentazione d’archivio.


Il testo riesce ad inquadrare perfettamente il personaggio nel periodo storico in cui visse senza limitarsi, come spesso accade, a prendere in esame solo la fase in cui si svolsero le lotte tra Bianchi e Neri. Numerosi sono anche gli interessanti aneddoti che riguardano la vita di Corso e dei suoi amici, famigliari e avversari.


Dalle pagine di questo saggio emerge la figura di un personaggio che, se pur con mille difetti, fu a suo modo una figura eroica ed estremamente affascinante, pertanto, più che degna di essere ricordata tra le più importanti figure della storia fiorentina.

 




mercoledì 16 agosto 2023

“Una notte a Firenze sotto Alessandro de’ Medici” di Alexandre Dumas

La vicenda narrata da Alexandre Dumas è nota. Siamo a Firenze dove i Medici sono tornati al potere grazie all’accordo stretto tra Carlo V e il papa Medici Clemente VII dopo il terribile Sacco di Roma.

Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, era ufficialmente il figlio illegittimo di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, ma la verità più accredita lo vuole figlio illegittimo dello stesso Clemente VII.

Alessandro fu un tiranno nell’accezione più negativa del termine, violento e irascibile, impose il suo governo con la forza, procurandosi per questo molti nemici. Il suo stesso motto Non vuelvo sin vencer (Non ritorno senza vincere) era esso stesso indice del suo temperamento aggressivo e impulsivo.

Il Medici trovò la morte per mano di un lontano cugino Lorenzo (o Lorenzino), appartenente al ramo Popolano della famiglia Medici, che, dopo l’efferato omicidio, si guadagnò il soprannome di Lorenzaccio. Si narra che Lorenzo avesse sfruttato la passione per le donne di Alessandro per tendergli un agguato in casa propria e qui assassinarlo.

Il romanzo si apre con una breve prefazione in cui l’autore parla dell’Italia e di Firenze traendo alcune conclusioni, più o meno condivisibili, sull’indole e i costumi degli italiani e di come questi siano stati influenzati nel corso dei secoli dalla loro storia.

La trama, per quanto romanzata, mantiene un fondo di verità storica e non mancano alcune brevi digressioni atte a rafforzare la veridicità del racconto. Da segnalare forse solo qualche ingenuo anacronismo a favore della miglior resa della narrazione.

Di fatto quello di Dumas è il racconto di una storia d’amore.

Lorenzino è innamorato di Luisa ed è da lei ricambiato. Il duca Alessandro è invaghito della bella Luisa che è tra l’altro figlia di quel Filippo Strozzi sulla cui testa è stata posta una taglia di diecimila fiorini per aver congiurato contro il duca stesso. Alessandro assume a tratti quasi le caratteristiche di un Don Rodrigo di manzoniana memoria. Lorenzino si presta ad essere il mezzano degli intrighi amorosi del duca, ma la sua è solo finzione in quanto il suo unico scopo è quello di salvare l’amata e liberare Firenze dalla tirannia. 

“Una notte a Firenze sotto Alessandro de’ Medici” è un romanzo storico ottocentesco sebbene vi si riconoscano moltissime caratteristiche tipiche dei testi teatrali romantici sia nella resa della trama sia nella caratterizzazione dei vari personaggi.

Un testo forse più vicino, a mio avviso, alle opere teatrali di Friedrich Schiller anziché ai celebri romanzi di Dumas stesso, vuoi anche perché la trama stessa si presta massimamente ad una resa drammaturgia. Moltissimi sono anche i riferimenti al teatro all’interno del racconto stesso.

Ho letto il romanzo nella traduzione del 1861 di Vittoria D’Asti edita da Amazon Italia Logistica. Purtroppo, devo segnalare che il numero di refusi e di errori di stampa è davvero fastidioso soprattutto nella prima parte del volume.

Per cui, vivamente consigliata la lettura del romanzo in quanto, soprattutto se amate i classici, si tratta di un testo davvero interessante per ambientazione e periodo storico, ma altrettanto sconsigliato l’acquisto di questa particolare edizione perché davvero faticosa la lettura a causa dei tanti errori tipografici.




domenica 13 agosto 2023

“1345. La bancarotta di Firenze” di Lorenzo Tanzini

Nel marzo del 1345 avvenne, secondo i calcoli degli studiosi del tempo, la congiunzione di Saturno e di Giove, una congiunzione astrale che, anche in passato, sembrava aver portato sempre con sé eventi rovinosi, quali la discesa di Carlo d’Angiò o l’inizio delle Crociate.

Datare il crack finanziario dei banchieri fiorentini in questo annus horribilis si potrebbe considerare un po’ una sorta di escamotage, una data che si presta meglio di altre a riassumere le dimensioni della catastrofe. Infatti, se è vero che nel 1345 i maggiori operatori commerciali si trovarono incapaci di restituire i prestiti, è altrettanto vero che le prime avvisaglie della crisi erano già apparse negli anni precedenti.

Lorenzo Tanzini indaga non solo le cause e gli eventi che caratterizzarono l’insieme di fallimenti e bancarotte, ma anche in quale modo il sistema cercò il modo di uscire dalla crisi.

Una delle più gravi conseguenze a cui si dovette fare fronte fu ripristinare quell’inestimabile tesoro del credito, inteso come fiducia, di cui il sistema commerciale-bancario fiorentino aveva goduto universalmente fino a quel momento. In verità, tale credito riuscì ad essere ripristinato in un arco di tempo relativamente breve se si pensa, ad esempio, all’importanza raggiunta dal banco Medici negli anni successivi.

Oltre alle pagine riservate alla storia delle grandi banche nel primo Trecento, altrettanto spazio viene dedicato da Tanzini a quello che accadde al sistema dopo il crack finanziario del 1345. È oltremodo interessante quindi vedere anche quali siano stati gli sviluppi e i cambiamenti del sistema stesso nel corso degli anni e il suo adattarsi agli eventi storico-economico-finanziari.

Certamente cambiarono gli attori, ovvero le famiglie a capo delle attività economico-finanziarie, e anche il sistema si adattò di conseguenza, ma tutto questo contribuì a dare vita alla Firenze del Rinascimento.

Tra i vari eventi analizzati spicca senza dubbio lo scoppio della peste che raggiunse Firenze nel 1348. Paradossalmente la pestilenza, dopo l’impatto traumatico avuto sul tessuto urbano, soprattutto per la fortissima riduzione della popolazione che ne conseguì, ebbe successivamente un effetto positivo sulla vita della popolazione più povera in quanto, essendosi ridotta la possibilità di trovare manodopera per cantieri e botteghe, i datori di lavoro furono costretti ad offrire condizioni salariali decisamente migliori.

Altro importante argomento trattato da Tanzini è quello della nascita del Monte ossia un particolare e articolato sistema di debito pubblico nato per il finanziamento della Repubblica.

Nel 1345 diversi furono i provvedimenti introdotti per cercare di rassicurare i creditori cercando sempre, però, di salvaguardare l’imprenditoria cittadina.

Il libro di Lorenzo Tanzini è un saggio davvero ben documentato ed articolato, la prosa è impeccabile e la lettura scorre in maniera molto fluida

L’argomento esposto, è vero, non è semplicissimo e la comprensione oggettivamente a tratti necessita quantomeno di una minima conoscenza di base della società e dei dati storici nell’epoca in cui avvennero gli avvenimenti trattati, nell’insieme, però, se davvero interessati alla materia, il testo, grazie alla sempre ottima capacità divulgativa del suo autore, risulta senza dubbio accessibile.