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domenica 13 settembre 2015

“Keats. Lettere sulla poesia”

KEATS
LETTERE SULLA POESIA
a cura di Nadia Fusini
MONDADORI
Le lettere di John Keats sono una testimonianza fondamentale della sua attività letteraria.

Il suo epistolario contiene, infatti, non solo le più belle lettere mai pubblicate in lingua inglese, ma anche alcuni fondamentali principi della sua poetica.

L’epistolario di Keats copre un periodo di cinque anni; la selezione delle lettere del volume a cura di Nadia Fusini coprono il periodo che va dal 17 aprile 1817 (lettera a John Hamilton Reynolds) al 30 novembre 1820 (lettera a Charles Brown).

Le lettere sono caratterizzate da un tono intimo, modesto e familiare; nella fretta della scrittura a volte queste risultano persino un po’ sgrammaticate.
Sono dialoghi intrattenuti non solo con i famigliari (la sorella, i fratelli e la donna amata), ma anche con gli amici (Brown, Bailey, Haydon, Dilke solo per citarne alcuni), gli editori (John Taylor e James Augustus Hessey) e con personaggi del calibro di Percy Bysshe Shelley, che nutriva un’opinione altissima di John Keats.

A tal proposito molto interessanti ed esaustive sono le “Notizie sui corrispondenti di Keats” poste al termine del volume.

Due sono i temi principali delle lettere di Keats: la poesia ed il “pensiero dominate” della propria morte.

La vita di Keats era strettamente legata alla poesia; egli viveva, respirava poesia ogni attimo della propria vita, così che va da sé che non solo le lettere stesse contengano le poesie, ma le poesie stesse nascano proprio da queste.

Ho scoperto che non riesco a vivere senza la poesia – senza la poesia eterna – non mi basta metà della giornata – mi ci vuole tutta. Ho cominciato con poco, poi l’abitudine mi ha reso un Leviatano.
(lettera a Reynolds del 18 aprile 1817)

Secondo Keats al poeta non è necessaria l’individualità, ma piuttosto la perdita di essa.
La poesia dovrebbe venire all’uomo spontaneamente, naturalmente; la parola deve venire come “all’albero le Foglie, o non venire affatto (lettera a Taylor del 27 febbraio 1818).

La poesia dovrebbe essere grande, ma non indiscreta, qualcosa che ti entra nell’animo, ma non lo sconcerta, né lo stupisce, se non per il suo contenuto.
(lettera a Reynolds del 3 febbraio 1818)

La poesia per Keats non ha potere salvifico, salvare il mondo non può essere il suo scopo. La poesia è apertura verso l’al di là, verso il mondo dell’Altro.
La poesia è risposta al manifestarsi dell’infinito nel mondo finito delle cose e degli esseri, la poesia risiede tra il mondo dei sensi e quello del pensiero, il poeta vive sospeso tra i due mondi.

Il poeta non ha un’identità, non ha un io ed è la “più impoetica di tutte le creature”.
La più grande qualità che un poeta deve possedere per Keats è la Capacità Negativa qualità che egli riconosceva in massimo grado a Shakespeare, ovvero la capacità “di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione”. (lettera a George e Tom Keats del 21 dicembre 1817).

Keats morì giovane, ad appena 25 anni, lasciandoci tra le sue opere sei odi tra le più belle che mai furono scritte, ma insoddisfatto della sua produzione, sempre in attesa di scrivere la poesia perfetta.

Bellissime le lettere a Fanny Browne, la donna amata dal poeta, che meritano senza dubbio un breve accenno.
Se siete comunque interessati alle lettere di Keats a Fanny, vi consiglio il volume “Leggiadra Stella. Lettere a Fanny Brawne” edito da Archinto.

Le lettere di John Keats a Fanny sono intense, commoventi e terribilmente romantiche.
Quando incontrò il poeta Fanny era una ragazza di appena diciotto anni allegra, vivace e curiosa, Keats invece era estremamente geloso, sospettoso, esigente, facilmente irritabile e spesso contradditorio. La loro storia d’amore fu profonda e tormentata.

Devo confessare che ti amo ancora di più perché credo che ti sono piaciuto per me stesso e nient’altro – ho incontrato donne che avrebbero voluto sposare una Poesia e si sarebbero date con tutto il cuore a un Romanzo.
(lettera a Fanny Brawne dell’ 8 luglio 1819)

Sono sempre rimasto stupefatto dinnanzi a chi moriva da martire per la religione – l’amore è la mia religione – io potrei morire per amore – potrei morire per te. Il mio unico credo è l’amore e tu il mio solo dogma. Mi hai rapito in virtù di un potere a cui non so resistere: eppure ho resistito fino a quando ti ho visto, e anche dopo che ti ho visto ho cercato spesso “di ragionare contro le ragioni dell’amore”. Non posso più farlo – la sofferenza sarebbe troppo grande – il mio amore è egoista – non respiro senza di te.

E malgrado questo sono contrario a vederti, non sopporto uno sprazzo di luce per poi tornare nelle tenebre.
(…)
Vorrei che tu mi infondessi un po’ di fiducia nel genere umano. Io non so trovarne nessuna – il mondo è troppo brutale per me – sono contento che ci siano le tombe – sono sicuro che non avrò riposo se non li.
(lettera a Fanny Brawne, agosto 1820)

Concludo il post con un'informazione definiamola di servizio. Per chi fosse interessato al libro, il volume è purtroppo attualmente fuori catalogo.
Io ho avuto la fortuna di riuscirne a reperire una copia anche se un po’ ingiallita presso una piccola libreria tra le giacenze di magazzino, ma nel caso non riusciste a scovarne alcuna, il consiglio è di dare un’occhiata ogni qualvolta vi troviate nei pressi di qualche bancarella di libri usati.

Buona caccia al tesoro!



lunedì 2 giugno 2014

“Come un incantesimo” di Carla Sanguineti

COME UN INCANTESIMO
di Carla Sanguineti
KAPPA VU
“Come un incantesimo” riporta il sottotitolo “Mary e Percy Shelley nel Golfo dei Poeti”, sottotitolo non proprio fedele perché, se è vero che ampio spazio è dato al periodo del soggiorno della coppia a San Terenzo, è pur vero anche che il libro abbraccia un arco di tempo molto più ampio che va dall’incontro di Mary e Percy fino alla tragica morte del poeta in mare con qualche accenno all’infanzia di Mary Shelley e alla vita turbolenta della madre di lei.

Che tipo di libro è “Come un incantesimo”? E’ un saggio o un romanzo? A tal proposito riporto le parole stesse della sua autrice:

Di qui il carattere ibrido di questo libro biografico, non saggio, anche se abbonda di riferimenti a testi, lettere, diari con titoli e date, e non romanzo, perché lo stile di narrazione che più vi si avvicina è limitata a poche pagine soltanto.

Ciò che ho apprezzato in particolare modo oltre ovviamente all’essere un testo ricco di citazioni e che riporta frammenti di poesie, stralci di corrispondenza, pagine di diari e quant’altro dei protagonisti, è il fatto che Carla Sanguineti abbia messo in primo piano la figura di Mary Wollstonecraft Godwin.

Carla Sanguineti, già autrice di diversi scritti su Mary, è alla guida dell’Associazione amiche e amici di Mary Shelley, associazione nata nel 1997 per far conoscere questa figura quasi dimenticata.

Mary Shelley fu una figura letteraria di grande spessore ma, troppo spesso oscurata dalla grandezza del celebre marito P.B. Shelley, viene ricordata quasi esclusivamente come autrice della sua opera più famosa “Frankenstein”.

Perché questo? Senza dubbio perché era una donna che viveva in un’epoca in cui il gentil sesso subiva forti discriminazioni ma soprattutto perché aveva scelto di vivere in un modo anticonvenzionale all’interno di una società conformista e bigotta.

Mary Shelley era figlia di Mary Wollnestoncraft, morta per le complicazioni del parto, la Wollnestoncraft era una donna dalla vita avventurosa che ebbe diverse relazioni burrascose sino al matrimonio con il padre di Mary, il filosofo William Godwin anch’egli personaggio molto singolare e dalle idee rivoluzionarie.
Con tali genitori la strada di Mary Shelley sembrava quindi già segnata.

Mary viveva nel ricordo della madre, leggeva e studiava i suoi scritti e nel contempo presenziava agli incontri con artisti, letterati, poeti, filosofi e scienziati che si riunivano nella casa del padre.

Non stupisce quindi che a soli 16 anni Mary decida di seguire il suo cuore e scelga di fuggire in Europa con l’allora ventunenne Percy Bysshe Shelley, poeta affascinante e di belle speranze che incarnava quegli ideali di cui tante volte aveva sentito parlare e discutere nella casa paterna. 

Shelley era all’epoca ancora sposato con Harriet Westbrook dalla quale ebbe due figli, ma quando questa si uccise, egli fu libero di sposare in seconde nozze l’amata Mary.

Shelley era un sostenitore del libero amore, nulla di strano quindi nel fatto che egli fosse sempre costantemente innamorato e che ebbe diverse relazioni con altre donne, tra cui la sorellastra di Mary stessa ovvero Claire Clairmont.
Claire a sua volta ebbe una breve storia con Lord Byron dalla quale nacque una figlia che morì in giovane età.

La storia degli Shelley e dei loro amici, tra i nomi più illustri ricordiamo Lord Byron e Polidori, personaggi con cui condivisero l’esilio forzato, allontanati dall’Inghilterra per la loro vita dissoluta, affascina il lettore moderno almeno quanto all’epoca aveva scandalizzato i loro contemporanei.

Non è facile oggi riuscire a comprendere quel loro mondo così esclusivo e profetico, quel senso di ineluttabilità e di sventura che così fortemente essi avvertivano gravare sulle loro giovani vite. Essi vivevano ogni istante come fosse l’ultimo, sfidando la morte e temendola allo stesso tempo. 

Carla Sanguineti in questo volume cerca di indagare e di spiegare la ragione di certi di comportamenti, di scoprire il perché di certe scelte di vita e lo fa analizzando e confrontando quanto di essi ci è rimasto: opere, diari, lettere…

“Come un incantesimo” ha un taglio indubbiamente diverso da quello dei soliti saggi su Mary e Percy Shelley, un taglio interessante ed avvincente che mette in evidenza la grande passione ed il grande fascino che queste figure letterarie hanno esercitato anche sull’autrice del libro.




domenica 9 febbraio 2014

“Gli ultimi giorni di P.B. Shelley” di Guido Biagi

GLI ULTIMI GIORNI
DI P.B. SHELLEY
di Guido Biagi
LA VITA FELICE
“Spirito di titano, entro virginee forme” così il Carducci definì Percy Bysshe Shelley, ma del celebre poeta inglese abbiamo innumerevoli definizioni “un uomo impazzito, un uomo distrutto” per De Quincey, “un angelo mancato che batte le luminose ali nel vuoto” per Arnold, “cieco per ideali al calor bianco” per Browning mentre per la moglie Mary Shelley semplicemente “non uno di noi”.

Percy Bysshe Shelley era un sognatore, un uomo che si autodefiniva ateo e che metteva al centro del suo universo l’uomo e il suo piacere. 
Shelley era un uomo che bramava la libertà per il genere umano e proprio al raggiungimento di questa piena e totale libertà di pensiero e di sentimenti dedicò tutta la sua esistenza.
Egli era un idealista e un anticonformista che visse seguendo i suoi ideali di libertà in ogni sua forma anche in campo sentimentale e sessuale.
Poeta dalla formazione classica, proprio dalla sua passione per lo studio dei classici greci e latini sviluppò il suo amore per la mitologia.

Guido Biagi in “Gli ultimi giorni di P.B Shelley” cerca di fare chiarezza, analizzando i documenti dell’epoca raccolti negli archivi di Firenze, Lucca e Livorno, sul naufragio nel quale il poeta perse la vita il giorno 8 luglio del 1822.

L’ultima residenza di Shelley fu Villa Magni a San Terenzo, nel comune di Lerici (La Spezia), una villa con l’accesso diretto sulla spiaggia. 
Durante il soggiorno in Liguria Shelley si fece costruire nei cantieri di Genova una goletta. L’imbarcazione in un primo momento doveva essere battezzata con il nome di “Don Juan” in onore di Byron ma in seguito, essendo sorte alcune divergenze con quest’ultimo, Shelley decise di cambiarle nome in “Ariel”.
Durante il viaggio di ritorno da Livorno, a causa di una violenta tempesta e delle condizioni proibitive del mare, la Ariel affondò senza neppure rovesciarsi. Il corpo di Shelley fu ritrovato dopo 10 giorni sulla spiaggia di Viareggio.
Qui secondo le leggi dell’epoca venne sepolto sulla spiaggia e solo dopo svariate richieste fu possibile disseppellirlo e cremarlo sulla medesima spiaggia.
Il funerale di P.B. Shelley
(dipinto di Louis Édouard Fournier)
Tra i presenti alla cerimonia l’amico Trelawny e Lord Byron. Assente Mary Shelley che, in quanto vedova del defunto secondo le regole vigenti in Inghilterra, non poteva presenziare alle esequie del marito.
Guido Biagi oltre a riportare parte dei documenti scovati negli archivi, riporta anche quanto appreso in prima persona dai suoi interrogatori effettuati agli anziani ancora in vita che avevano assistito al funerale sulla spiaggia e al recupero del relitto.
Ci riporta inoltre numerosi dettagli su come la moglie venne a conoscenza della disgrazia e non ultimo cerca di dirimere la questione del cuore incombusto del poeta.
Si narra infatti che il cuore di Shelley fosse stato estratto intatto dal rogo e dopo essere stato ridotto in cenere fosse stato posto in un sacchettino di seta e consegnato da Hunt a Mary Shelley che lo conservò fino alla propria morte in un cassetto della scrivania del defunto marito insieme ad una copia del poema Adonais, poema che P.B. Shelley scrisse in onore di John Keats.
I resti di P.B. Shelley, ad eccezione probabilmente del teschio, della mandibola e di qualche frammento osseo che si ritiene siano stati accolti nella piccola chiesa di Boscombe a Bournemouth, furono inumati a Roma nel cimitero acattolico, quello stesso cimitero che aveva già accolto i resti dell’amico John Keats.

Diverse furono le ipotesi relative al naufragio: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno ipotizzò pure un attacco da parte di pirati.
Certo è che come ricorda Giulio Cesare Maggi nella postfazione del libro “erano tempi calamitosi nel Regno Unito per chi fosse portatore di messaggi libertari e progressisti, e questo rischio lo correva anche Shelley, le cui opinioni erano esse pure avversate, perchè ritenute rivoluzionarie” pertanto oggi non possiamo totalmente escludere che qualcuno lo avesse speronato volontariamente per eliminarlo magari su commissione di oppositori politici, così come non possiamo ignorare che qualcuno potesse ritenere che a bordo ci fosse magari Lord Byron e che proprio questi fosse il vero bersaglio.
L’ipotesi più attendibile resta comunque quella del naufragio dovuto alle avverse condizioni del mare, ma se l’Ariel sia affondata da sola o sia stata speronata da un’altra imbarcazione, resterà sempre un mistero.

L'epigrafe sulla lapide, su desiderio di Mary Shelley,  riporta l’indicazione 
COR CORDIUM 
seguita dalle date di nascita e di morte, e più sotto alcuni versi del canto di Ariel dalla "Tempesta" di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange"
(Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano)

                                                                                                                                              

domenica 1 settembre 2013

“Frankenstein” di Mary Shelley (1797 – 1851)

FRANKENSTEIN
di Mary Shelley
LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA

Prima di parlarvi del romanzo mi piacerebbe accennarvi qualche nota biografica sulla sua autrice. Tutti conoscono il mostro creato dalla sua penna, ma chi era Mary Shelley?

Mary, nata Wollstonecraft Godwin, era figlia del filosofo e politico William Godwin e di Mary Wollstonecraft, filosofa e scrittrice considerata oggi la fondatrice del movimento femminista.
Poiché la madre muore di parto pochi giorni dopo averla data alla luce, Mary Shelley viene allevata dal padre in modo molto informale. Incoraggiata a partecipare alle riunioni tenute da questi su argomenti politici, filosofici e letterari, sviluppa ben presto uno spirito indipendente e moderno.
Nel 1814 conosce e si innamora del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, discepolo del padre. Nonostante Shelley fosse già sposato con Harriet Westbrook, Mary decide ugualmente di fuggire con lui.
Dopo il suicidio della moglie del poeta, nel 1816 Mary e Shelley regolarizzano la loro situazione e si sposano. Dalla loro unione nascono diversi figli ma solo uno, Percy Florence, sopravvivrà ai genitori.
“Frankenstein” risente molto dei lutti che avevano colpito Mary Shelley durante la sua vita: i figli, la madre, la prima moglie del marito.

L’idea di “Frankenstein” nasce per caso. Nel 1817 durante il soggiorno della coppia a Ginevra, Mary e Shelley si riuniscono con due amici il medico John Polidori e Lord Byron. Tra loro viene lanciata la sfida su chi riuscirà a scrivere il migliore racconto dell’orrore.

Frankenstein è uno dei personaggi fantastici più conosciuti al mondo. Chiunque nella sua vita ha visto almeno un film che abbia come protagonista questa creatura o faccia riferimento alla sua immagine mostruosa. Non tutti però sanno che “Frankenstein” è un romanzo avvincente la cui storia nel corso degli anni, a seguito dei vari adattamenti televisivi e cinematografici, ha perso le sue originali caratteristiche.
Molti per esempio ignorano che nel romanzo la Creatura non ha nome e che Victor Frankestein in realtà è il nome dello scienziato che ha creato il mostro.

Il romanzo inizia con le lettere che Robert Walton, un giovane esploratore, scrive alla sorella raccontando le impressioni e le aspettative sul viaggio che ha intrapreso per mare. Giunto al polo la sua nave resta incagliata tra i ghiacci e qui presta soccorso ad un uomo, il dottor Victor Frankenstein.
Questi, spaventato dall’ossessione di Robert Walton di voler raggiungere ad ogni costo i propri obiettivi, decide di raccontargli la sua storia per metterlo in guardia dai pericoli che si corrono quando si diventa schiavi di una sfrenata ambizione.
Victor Frankenstein racconta della sua infanzia e della sua adolescenza, della sua famiglia e dei suoi studi. Racconta della sua ossessione per la creazione e di come abbia dato vita al “mostro” che l’ha perseguitato per tutta la vita, togliendogli uno ad uno tutti gli affetti più cari.

La trama del libro è suggestiva e affascinante. Spesso assistiamo ad un racconto nel racconto, ma la lettura resta sempre agile e scorrevole. Sembra quasi, passatemi l’espressione, un sistema di scatole cinesi: le lettere di Robert Walton fanno da cornice alla storia che Victor Frankenstein racconta in prima persona, ma ad un certo punto è la Creatura stessa a prendere la parola e a narrare le sue esperienze di vita, raccontandoci anche la storia della famiglia francese che ha conosciuto e alla quale si è affezionata, storia che non ha nulla a che vedere comunque con il racconto principale del romanzo.

Spesso nella critica moderna si è voluto dare una connotazione scientifica e di condanna morale alla ricerca estrema, ma il romanzo di Mary Shelley è semplicemente un romanzo che indaga le passioni umane: la solitudine, la paura del diverso, il desiderio di essere amati e accettati dagli altri, la voglia di far parte della società.

“Frankenstein” è un romanzo romantico che presenta elementi gotici. Numerose sono le citazioni di versi di P.B. Shelley, William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge.
E’ evidente inoltre che Mary Shelley abbia letto i romanzi gotici della Radcliffe, di Matthew Gregory Lewis, di William Beckford e da questi sia stata influenzata traendone ispirazione.

“Frankenstein” è il moderno Prometeo, come recita il titolo originale dello stesso romanzo (Frankenstein, or the modern Prometheus).
Il mito di Prometeo, colui che rubò il fuoco per donarlo agli uomini suscitando così l’ira di Zeus, era un tema caro alla letteratura romantica.
Lo stesso P.B. Shelley scrisse un dramma lirico in versi su questo eroe ribelle ed indomito. Ma mentre il “Prometeo liberato” (Prometheus Unbound) di P.B. Shelley è un eroe positivo che porta il bene e l’amore tra gli uomini, il Prometeo di Mary Shelley porta solo odio e violenza.

Quando la Creatura racconta della sua solitudine, di come sola osservi di nascosto la vita degli altri, impossibilitata a partecipare alla loro felicità “che io non ero fatto per godere del piacere”, viene spontaneo richiamare alla mente alcuni versi del Leopardi in cui egli esprime tutta la sua lacerazione per non poter partecipare alle gioie della vita, dell’amore e della gioventù che a lui solo sono precluse.

La trasposizione cinematografica del 1994, diretta da Kennet Branagh in cui Robert De Niro recita nel ruolo della Creatura, si avvicina forse più di altre alla storia originale, ma anche’essa presenta sempre moltissime differenze più o meno evidenti con il testo originale di Mary Shelley.

Mi sono avvicinata alla lettura del libro in maniera piuttosto scettica poiché, lo ammetto, non sono una particolare estimatrice dell’immagine “popolare” di Frankenstein.
Il romanzo invece si è rivelato una piacevolissima sorpresa, “Frankenstein” di Mary Shelley è un classico tutto da riscoprire, assolutamente da leggere.



domenica 18 agosto 2013

“Difesa della poesia” di Percy Bysshe Shelley

DIFESA DELLA POESIA
di Percy Bysshe Shelley
RUSCONI
Il post nasce quasi per caso così come per caso mi sono imbattuta qualche tempo fa in questo volume mentre mi aggiravo tra le bancarelle della Fiera del Libro che una volta all’anno si svolge nella mia città.
Vi anticipo subito che queste poche righe non vogliono essere né una recensione né tanto meno una mini-lezione su Shelley e il Romanticismo.
Sono semplicemente una proposta di lettura un po’ diversa dal solito.

La “Difesa della poesia” è stata scritta da P.B. Shelley nel 1821 come risposta al saggio intitolato “Le quattro età della poesia” di T.L. Peacock nel quale l’autore sosteneva l’inutilità della poesia in un’epoca di progresso e innovazione.

L’epoca in cui nacque Shelley (1792-1822) è conosciuta anche come l’epoca delle tre rivoluzioni: la rivoluzione francese e la rivoluzione americana di pochi anni precedenti alla nascita del poeta e la rivoluzione industriale che ebbe inizio proprio in quegli anni.
Il Romanticismo che si sviluppò alla fine del XVIII secolo ebbe caratteristiche diverse nelle varie nazioni: in Francia e in Italia ebbe un carattere rivoluzionario e patriottico, in Germania filosofico e in Inghilterra ebbe invece un carattere poetico - letterario.
Shelley fu insieme a John Keats e Lord Byron uno dei massimi esponenti di quella che fu definita la seconda generazione romantica.
Lo spirito classico era un elemento fondamentale del romanticismo, ma mentre Keats si ispirava agli oggetti e ai manufatti dell’epoca classica, Shelley era interessato soprattutto alla filosofia classica. Le sue opere sono infatti permeate da un idealismo panteista e il suo modello è Platone.
Come scrive nella sua introduzione Angiola Mazzola “Shelley fu il cantore della Bellezza, della Libertà e dell’Amore”.

La “Difesa della poesia” si può dividere in tre parti: la prima parte nella quale il poeta ne elenca caratteristiche, principi ed elementi, la seconda parte nella quale Shelley riassume la storia della poesia dalle sue origini (Omero) fino all’epoca contemporanea e ne descrive gli effetti da questa prodotta nel corso dei secoli sulla società e l’ultima e terza parte nella quale difende e sostiene il valore della poesia in quanto questa rende immortale la “Bellezza” del mondo.

Quali sono le differenze secondo P.B. Shelley tra poesia e prosa?

“La differenza tra  il racconto e il componimento poetico è che il primo è un catalogo di fatti separati che non hanno altro legame se non tempo, spazio, circostanze, causa ed effetto, il secondo è creazione di azioni secondo le immutabili forme della natura umana come sono nella mente del creatore, che è essa stessa l’immagine di tutte le menti. Il primo è parziale e si riferisce solo a un determinato periodo di tempo e a una combinazione di eventi che non si ripeterà mai; il secondo è universale e contiene in sé il germe di una relazione con qualsiasi motivo o azione possa aver luogo nella varietà della natura umana”.

Non posso dire che la “Difesa della poesia” sia una lettura scorrevolissima anzi alcuni passaggi sono piuttosto ardui, ma questo saggio è un tassello importante per conoscere e capire meglio Shelley e la sua poetica.
La poesia per il poeta romantico è qualcosa di divino, è il centro della conoscenza, comprende tutte le scienze e a questa tutte le scienze debbono fare riferimento.

E’ probabile che l’edizione Rusconi (anno di pubblicazione 1999) che ho acquistato io sia ormai fuori catalogo ed è un vero peccato perché è ricca di note e corredata di un’interessante appendice dedicata alle parole chiave per sintetizzare e chiarire meglio i concetti fondamentali del saggio. Inoltre l’ampia introduzione a cura della professoressa Angiola Mazzola è davvero esaustiva e facilita notevolmente la lettura e la comprensione del testo.


domenica 16 dicembre 2012

“Zastrozzi” di Percy Bysshe Shelley


Shelley scrisse “Zastrozzi” all’età di 17 anni mentre frequentava l’ultimo anno ad Eton College. Due furono i romanzi scritti dal poeta durante questo periodo “Zastrozzi” e “St. Irvyne or the Rosicrucian” entrambi pubblicati nel 1810. 
Come più volte sottolineato dalla critica, entrambe le opere sono di scarso valore letterario, ma hanno un loro valore in quanto anticipano tematiche che saranno poi ampiamente sviluppate nella poetica di Shelley.
“Zastrozzi” è a tutti gli effetti un romanzo gotico che molto deve alla tradizione di questo genere e ai suoi autori, primi tra tutti si possono notare i molti i richiami ad Anne Radcliffe (The Mysteries of Udolpho, 1794) e a Matthew Gregory Lewis (The Monk, 1797).
La trama del romanzo è in realtà molto semplice:
Zastrozzi aiutato dai suoi due compari, Bernardo ed Ugo, rapisce Verezzi che alloggia in una locanda e lo nasconde in una caverna dove lo tiene incatenato al buio nutrendolo solo con pane ed acqua. A seguito di un forte temporale, il tetto della caverna crolla e, a causa delle pessime condizioni di salute del prigioniero, Zastrozzi, che lo vuole comunque mantenere in vita, decide di lasciarlo alle cure di una domestica di fiducia in una dimora nascosta ed isolata. Una volta ritrovate le forze, Verezzi riesce a fuggire ed arriva nella località di Passau. Qui viene raggiunto da Matilda, contessa di Laurentini che lo convince a trasferirsi a casa sua. Matilda, innamorata di Verezzi è in realtà d’accordo con Zastrozzi. Mentre quest’ultimo vuole vendicarsi di Verezzi a causa dei torti subiti dalla madre (sedotta e abbandonata proprio dal padre di questo), Matilda vuole annientare e uccidere la sua rivale in amore, la bella Giulia, promessa sposa dello stesso Verezzi.
L’ambientazione di "Zastrozzi" è tipica del romanzo gotico: ombre cupe e minacciose, case e castelli solitari, prigioni e segrete, boschi bui e minacciosi, su uno sfondo caratterizzato dall'infuriare di tempeste e dallo scatenarsi violento di tutti gli elementi naturali.
Nel romanzo shelleyano però i mostri leggendari ed i fantasmi che animano la storia sono di tipo diverso da quelli presenti nel romanzo gotico vero e proprio. In "Zastrozzi" l’elemento magico scompare per lasciare posto all'indagine dei processi mentali e della psicologia dei protagonisti; il racconto è in realtà il racconto delle passioni (amore, lussuria e sete di vendetta) che muovono i quattro personaggi principali di questo breve dramma: Matilda e Giulia, Zastrozzi e Verezzi.
Matilda e Zastrozzi (i malvagi) sono uniti dalle loro macchinazioni contro la coppia di innamorati formata da Giulia e Verezzi (gli eroi del bene).
Percy Bysshe Shelley  (1792 - 1822)
Mentre Matilda, la crudele seduttrice ossessionata e dominata dall'oggetto della sua lussuria nelle ultime pagine si pentirà della sua condotta e, riconciliatasi con la religione, proverà rimorso per i crimini commessi, Zastrozzi il suo coraggioso complice, al contrario, affronterà la morte dignitosamente, fermamente convinto di aver agito per il meglio, fiero del suo comportamento. 
Giulia è l’antitesi della contessa di Laurentini, così come quest’ultima rappresenta la sensualità, così Giulia rappresenta la bellezza angelica e la purezza; sarà proprio questo sentirsi oppresso e preso in trappola tra questi due impulsi opposti ed inconciliabili che porterà il povero Verezzi ad uccidersi pugnalandosi a morte.

“La mia regola è quella di apparire calmo, a dispetto degli eventi, a dispetto delle passioni più profonde. Di solito lo sono poiché non permetto che le ordinarie vicende o gli imprevisti mi tocchino: la mia anima si indurisce davanti alle prove più ardue. Ho uno spirito ardente, impetuoso come il tuo, ma la conoscenza del mondo mi ha indotto a celarlo, sebbene continui a bruciare dentro di me. Credimi, non ho alcuna intenzione di distoglierti dal tuo intento; io l’ho provato una volta, ma ora la vendetta ha ingoiato ogni altro sentimento e mi sento vivo soltanto per questo scopo. Ma anche se volessi dissuaderti dal proposito su cui ti sei fissata, non direi che è sbagliato tentare. Ogni cosa che procuri piacere è giusta e congeniale alla dignità dell’uomo, che è stato creato soltanto per essere felice; altrimenti a quale scopo avremmo le passioni? Perché quelle emozioni che si agitano nel petto e che fanno impazzire sono state impiantate in noi dalla natura? Quanto poi alla speranza confusa in una vita futura, perché mai dovremmo privarci della felicità, anche se ottenuta nel modo che i più sprovveduti chiamano immorale?”.
Così parlava Zastrozzi, in maniera sofisticata. La sua anima, resa insensibile dal crimine, non poteva che albergare idee confuse di felicità immortale.
  
Secondo l’opinione della critica, la vera importanza di questo breve romanzo va ravvisata proprio nel poter intravedere nella figura di Zastrozzi un abbozzo del futuro trasgressore prometeico, dell'eroe romantico delle opere più mature di Percy Bysshe Shelley.




Bigliografia:
Percy Bysshe Shelley, “Zastrozzi” con introduzione di Giovanna Silvana, Firenze 2002, Aletheia) 

mercoledì 14 novembre 2012

The Keats- Shelley House


Quello di oggi sarà un post un po’ diverso dal solito perché vorrei raccontarvi di una giornata davvero speciale. Spesso le emozioni forti non hanno voce e così ora mi ritrovo a fissare lo schermo cercando disperatamente di riuscire a trovare le parole più adatte per descrivere quel senso di agitazione misto a commozione ed ansia che mi hanno colta appena giunta al n. 26 di Piazza di Spagna.

Davanti a quel grande portone marrone, sovrastato dalla targa in marmo che recita “Keats Shelley Memorial House acquired and dedicated to the memory of the two poets by their admires in England and America”, la caotica Piazza di Spagna mi sembra ad un tratto un luogo silenzioso e solitario. Improvvisamente ci siamo solo io ed “il portone”: mentre lo apro chiedendomi quante volte Keats abbia fatto quello stesso gesto, comprendo che quella che sto per varcare non è semplicemente la soglia di una casa, ma la soglia del tempo stesso. Mentre salgo le strette scale di marmo bianco, circondata dalle figure dei personaggi del romanticismo inglese, cresce l’emozione al pensiero che sto camminando dove personaggi quali Byron, Shelley, Severn hanno camminato due secoli fa e sono sempre più affascinata dall’idea che di lì a pochissimo attraverserò quelle stesse stanze dove ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita uno dei poeti da me più amati, John Keats.



Al primo piano, alla biglietteria, mi accoglie una ragazza inglese molto gentile che, in un italiano stentato, mi consegna il ticket e mi accompagna in una saletta adiacente dove posso vedere un interessante video della durata di una quindicina di minuti, tutto rigorosamente in inglese, sulle vite di Byron, Keats e Shelley e sulla storia della Memorial House.



La Keats-Shelley House è, come dice il nome stesso, una “casa museo”. Non essendo su suolo britannico non può ricevere sovvenzioni pubbliche dal Regno Unito. Per sopravvivere pertanto si affida alla generosità dei suoi sostenitori, agli ingressi (il biglietto è davvero economico, costa solo € 4,50) ed alla vendita di alcuni articoli per la maggior parte libri e gadget di notevole qualità venduti a prezzi veramente congrui.

Finito il filmato è giunta l’ora di affrontare la salita degli ultimi gradini per entrare nel cuore stesso della casa! La prima stanza è una stanza immensa, una vera e propria biblioteca, con le pareti di legno scuro ricoperte interamente dai libri. Il museo ospita una delle più importanti biblioteche della letteratura romantica oltre ad un’esclusiva collezione di manoscritti quadri ed oggetti memorabili. Tutto, dall’arredamento ai tendaggi, è curato alla perfezione sin nei minimi particolari. Qui possiamo ammirare un ritratto di Percy Bysshe Shelley mentre compone “ Il Prometeo liberato” alle Terme di Caracalla, un bellissimo dipinto di Joseph Severn eseguito nel 1845. Da questa sala si accede ad una stanza più piccola dove sono conservati oggetti legati a Byron, a Shelley e ai membri del loro circolo. Da questo ambiente che in realtà all’epoca era utilizzato dalla padrona di casa, la signora Angeletti, come cucina si accede ad una deliziosa piccola terrazza che si affaccia su Trinità dei Monti. E qui di nuovo il batticuore pensando che quasi due secoli prima Keats osservava quello stesso panorama che sto ammirando io! Sempre dal salone principale si accede ad altre due stanze: la prima che incontriamo è la stanza di Severn anch’essa piena di manoscritti, miniature, reliquie e prime edizioni di libri, tra cui una copia della prima edizione dell’Endymion di John Keats. Dalla stanza di Severn si accede direttamente alla stanza di Keats, dove il poeta spirò il 23 febbraio dell’anno 1821. Che emozione! La finestra della stanza dà su Piazza di Spagna e viene spontaneo chiedersi quante volte Keats seduto allo scrittoio abbia osservato la gente in strada, quante volte abbia sospirato immaginando magari di poter un giorno passeggiare in quella stessa piazza e per le altre strade della città eterna con la sua amata Fanny Brawne…purtroppo ogni speranza, ogni sogno gli sarà precluso, la morte lo coglierà, infatti, a soli 25 anni.

Questa la descrizione della stanza che si può leggere nella guida del museo che si può acquistare a € 3,50 direttamente alla biglietteria sia in italiano che in inglese:

Secondo la legge vaticana, dopo la morte di Keats tutto quanto era contenuto in questa stanza, incluso il letto e le tende, doveva essere bruciato. Si riteneva allora, erroneamente, che questo avrebbe impedito la diffusione dell’infezione. Il caminetto tuttavia, è originale ed è qui che Joseph Severn riscaldava il cibo per Keasts. I rumori che Keats poteva udire dal suo letto sono simili a quelli che sentiamo oggi – l’acqua che scorre nella Barcaccia o lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli sui sampietrini.
L’ultima acquisizione di rilievo alla collezione del Museo è del 2003 (centenario della fondazione della Keats-Shelley Memorial Association): è il letto collocato nella stanza, che risale al 1820 circa, in noce italiana, di forma semplice ma armoniosa, un classico letto “a barca”.

All’interno di una teca nella stanza di Keats è conservata la lettera che Severn scrisse a Charles Brown il giorno dopo la sepoltura di Keats nella quale ricorda gli ultimi momenti del poeta:

“Se n’è andato – è morto nel modo più tranquillo… il 23 (venerdì) alle quattro e mezzo si approssimò la morte – “Severn – S – tirami su perché sto morendo – morirò facilmente – non ti spaventare – grazie a Dio ci siamo”. – Lo tirai su tra le mie braccia, e il catarro sembrava ribollirgli nella gola – e andò aumentando fino alle 11 di notte, quando gradualmente scivolò nella morte – così quietamente che pensai dormisse…”

Si è conclusa così la visita ad uno dei musei più emozionanti che io abbia mai visitato, un’esperienza bellissima e commovente. Se amate ed adorate Keats quanto me sarà senza dubbio un’esperienza unica. Se amate la poesia romantica di Shelley, Byron e Keats dovete visitarlo assolutamente, non perdete l’occasione di entrare nella storia del romanticismo inglese e trascorre un’oretta con i suoi protagonisti.. .

Non sono mai stata molto brava con le parole, so bene di non essere stata in grado si trasmettervi nemmeno una piccolissima parte delle emozioni che ho provato, ma spero di essere riuscita almeno ad incuriosirvi un poco…
Per chi volesse dare un’occhiata virtuale alla Keats-Shelley House lascio qui il link della pagina ufficiale del museo.


A thing of beauty is a joy for ever:
Its loveliness increases; it will never
Pass into nothingness; but still will keep
A bower quiet for us, and a sleep
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing.
  

Una cosa bella è una gioia per sempre:
cresce di grazia; mai passerà
nel nulla; ma sempre terrà
una silente pergola per noi, e un sonno
pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato.

 (da "Endymion" John Keats)