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domenica 4 luglio 2021

“La sorella minore – volume I” di Catherine Hubback

Primo volume di una trilogia “La sorella minore” racconta la storia di Emma Watson la più piccola dei figli del reverendo John Watson.

A differenza delle tre sorelle e dei due fratelli Emma è cresciuta lontano da casa, allevata dalla sorella della madre e dallo zio, il dottor Maitland, a cui Emma era molto affezionata.

La zia però, rimasta vedova e unica erede dei beni del marito, decide inaspettatamente di risposarsi con uno uomo senza sostanze e trasferirsi in Irlanda con il nuovo consorte; ad Emma non resta quindi che tornare a casa dalla propria famiglia d’origine.

La giovane si deve confrontare di punto in bianco con una mentalità e uno stile di vita totalmente diversi da quelli a cui era abituata; fratelli e sorelle sono per lei dei perfetti estranei così come il padre che si rivela essere sin da subito un indolente invalido incline alla depressione.

Emma è una ragazza bella e gentile, ma allo stesso tempo anche forte e orgogliosa.

Proprio queste sue caratteristiche faranno sì che venga notata fin dal primo ballo a cui parteciperà non solo dai giovani del luogo, ma anche dai membri dell’alta società ed in particolare da Lord Osborne suscitando l’invidia di una delle sorelle.

Se il nome Watson vi ricorda qualcosa, sappiate che siete nel giusto. I Watson era infatti il titolo di un racconto iniziato da Jane Austen verso il 1803 e poi abbandonato a seguito della morte del padre. 

Catherine Hubback è la nipote di Jane Austen, figlia del fratello Francis. L’autrice non lesse mai il manoscritto originale, ma ne ascoltò senza dubbio più volte il racconto dall’altra sua zia Cassandra, che era invece in possesso dello stesso, e dalla quale venne anche a conoscenza di come la zia Jane avrebbe voluto proseguire la storia.

Il racconto di Catherine Hubback non riprende la storia dove terminava il racconto della più celebre scrittrice, ma la riporta integralmente dall’inizio rifacendola sua.

Il racconto degli Watson della Austen coincide quindi con i primi cinque capitoli di questo primo volume della Hubback.

L’autrice rimane comunque fedele alla trama originaria ad eccezione di alcuni piccoli particolari (ad esempio l’età del piccolo Charles Willis) e di alcune precisazioni in cui si fa chiara menzione che gli avvenimenti narrati sono ambientati non nell’Inghilterra contemporanea, ma sessant’anni prima ai tempi dei balli di campagna, prima che quadriglie, valzer e polke cambiassero l’aspetto delle sale da ballo.

È sempre rischioso mettere mano ad un racconto scritto da altri tanto più se l’autore è del calibro di Jane Austen, ma Catherine Hubback non delude assolutamente il lettore e scrive il libro che tutte noi Janeites  avremmo voluto leggere.

I Watson era un racconto davvero promettente e ognuna di noi dopo aver partecipato al ballo con Emma si è interrogata a lungo su quale sviluppo avrebbe potuto avere la storia: l’accattivante Lord Osborne si sarebbe rivelato un nuovo Mr Darcy? Oppure l’ottima impressione del più posato Mr Howard sarebbe stata confermata agli occhi della inappuntabile e orgogliosa Emma? Cosa aspettarsi poi dall’affettato e ricercato Mr Tom Musgrove? Quale futuro avrebbe atteso la mite e rassegnata Elizabeth? Cosa pensare della sventata Margaret così simile alla frivola Lydia Bennet di "Orgoglio e Pregiudizio"?

Grazie a Catherine Hubback possiamo avere il nostro finale certe che la sua penna non deluderà le nostre aspettative, dobbiamo solo avere un po’ di pazienza in quanto la Vintage Editore ha deciso di rispettare il piano di pubblicazione originale dell’opera in tre volumi.

Non ci resta quindi che attendere la seconda uscita…

 

 

 

sabato 12 ottobre 2019

“Castelli di sabbia” di Alice e Claude Askew

CASTELLI DI SABBIA
di Alice e Claude Askew
Scrittura & Scritture

Maggie Carvel ha ventitré anni e fin da piccolissima, quando i suoi genitori morirono in un terribile incidente stradale, vive con l’anziana zia Anna a Sandstone, un piccolo villaggio in Inghilterra, dove tutti si conoscono e  la vita scorre lentamente.

L’esistenza monotona di Maggie viene però sconvolta di punto in bianco quando il suo amico del cuore Howard Burton, il ragazzo che conosce da sempre e che ha sempre pensato sarebbe un giorno diventato suo marito, le comunica invece che ha deciso di lasciare il paese per cercare fortuna in Rhodesia.

Col cuore spezzato e umiliata Maggie non vede l’ora di poter sfuggire alla compassione della gente del villaggio dove la sua triste vicenda è ormai sulla bocca di tutti.

L’occasione non tarda molto a presentarsi e ha le fattezze di un bel giovane irlandese che risponde al nome di Pierce Maloney.
Pierce con modi molto galanti conquista subito la fiducia e l’affetto della giovane Maggie tanto che la ragazza accetta immediatamente di sposarlo.

Dopo appena tre mesi dal loro primo incontro i coniugi Maloney sono in viaggio verso il bellissimo Castello di Glenn, l’antica proprietà di famiglia.

Purtroppo si sa che gli irlandesi sono gente abile con le parole e bravissima ad infiorettare la realtà e così la povera e giovane Maggie si ritroverà a fare i conti con verità scomode e cocenti delusioni.

L’amore che prova per Pierce sarà sufficiente a darle la forza di affrontare tutte le avversità e le dure prove che la vita metterà sul suo cammino?

“Castelli di sabbia” potrebbe sembrare all’inizio un libro in puro stile Jane Austen, ma proseguendo nella lettura molti sono gli autori e i generi che si rincorrono tra sue le pagine.

Charles Dickens è il primo autore che mi viene in mente perché a tutti gli effetti “Castelli di sabbia” è un romanzo di formazione, Maggie Carvel cresce e diventa una donna matura nel corso degli anni trasformandosi da ragazzina impulsiva e anche un po’ viziata in una donna altruista e riflessiva.

Le tinte fosche in cui vengono descritti alcuni personaggi ed alcuni luoghi oltre a Dickens non possono non richiamare alla mente autori suoi contemporanei quali ad esempio Wilkie Collins, collaboratore e amico dello stesso Dickens, autore di romanzi gialli dal fascino misterioso.

Le descrizioni dell’Irlanda e del castello di Glenn hanno poi indubbiamente anche un che di fiabesco e così a tratti ci si aspetterebbe da un momento all’altro di veder apparire dal nulla un folletto o un leprechaun  che danzano sulle note di un'antica ballata irlandese.

Con Maggie, protagonista indiscussa del romanzo, si muovono sulla scena tre figure maschili; tre uomini che, seppur molto diversi tra loro, sono tutti innamorati di Maggie e sono da lei ricambiati anche se in modi differenti.

Quali siano questi modi e cosa Maggie apprezzi maggiormente di ciascuno di loro lascio a voi il piacere di scoprirlo attraverso la lettura di questo romanzo davvero particolare.

Howard Burton, il primo amore di Maggie, ci viene presentato all’inizio come un ragazzo piuttosto goffo ed impacciato, ma si rivelerà essere un uomo tenace e capace di costruire la propria fortuna facendo affidamento solo sulle proprie forze, incarnando così l’esempio del self-made man tipicamente dickensiano.

Pierce Maloney è invece l’eterno ragazzo, generoso e altruista, ma purtroppo anche portato a vivere in un mondo tutto suo, un mondo creato dalla sua fantasia che lo spinge il più delle volte a comportarsi da irresponsabile.
È un uomo dal carattere debole che fugge sempre dinnanzi alle proprie responsabilità ed è totalmente incapace di affrontare i più banali problemi quotidiani.

E infine c’è lui,  il terzo uomo, Lord Revelstone, colui che appena appare sulla scena con il suo modo di fare altezzoso e scontroso riporta alla mente subito il famoso Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio.
Per onestà devo anticiparvi che il suo personaggio non raggiunge certo le vette del forse più ammirato ed amato personaggio austeniano, ma nel suo piccolo vi posso assicurare che anche Lord Revelstone riuscirà a conquistare il cuore di più di una lettrice.
Il disilluso e disincantato Richard Revelstone si rivelerà, nonostante il suo carattere all’apparenza asociale e scorbutico,  un amico costante e fedele sia per l'inaffidabilr Pierce Maloney che per l’orgogliosa Maggie Carvel.

Qualche parola merita di essere spesa anche sui coniugi Askewautori del romanzo.

Alice (1874 1917) e Claude Askew (1865-1917) furono una coppia di acclamati scrittori londinesi che scrissero diversi romanzi a quattro mani.
Il successo arrivò per loro con il romanzo intitolato The shulamite che diede vita ad un film muto, prodotto dalla Paramount Pictures, dal titolo Sotto la frusta.
Ebbero una vita avventurosa durante la quale viaggiarono moltissimo.
Morirono durante la navigazione verso Corfù a causa di un siluro tedesco che colpì e affondò il piroscafo sul quale stavano viaggiando.

“Castelli di sabbia” fa parte della collana VociRiscoperte della casa editrice Scrittura & Scritture.

Con la collana VociRsicoperte questa casa editrice indipendente ha deciso di pubblicare alcuni grandi romanzi del passato ormai introvabili in Italia.

Non ci resta quindi che ringraziare Scrittura & Scritture per l’impegno profuso nel cercare di restituire a noi lettori questi romanzi dimenticati e nel regalarci la possibilità di fare la conoscenza con interessanti autori del passato spesso a noi ignoti.





martedì 2 agosto 2016

“Amy Snow” di Tracy Rees

AMY SNOW
di Tracy Rees
NERI POZZA
Gennaio 1831. Aurelia Vennaway, figlia unica di Lord Charles e Lady Celestina Vennaway, una delle famiglie più in vista della contea dello Hertfordshire, trova ai margini della foresta una neonata abbandonata nella neve.

Nonostante i genitori si oppongano con fermezza alla decisione della figlia di fare crescere la neonata ad Hatville Court, Aurelia con la sua caparbietà riesce ad ottenere il permesso dei genitori.
La bimba decide di chiamare la trovatella Amy Snow: Amy come la sua bambola preferita e Snow ovviamente perché ritrovata nella neve.

La madre di Aurelia cerca in tutti i modi di tenere Amy distante dalla figlia, ma senza risultato, in quanto niente e nessuno sembra essere abbastanza forte da riuscire a tenere le bambine lontana l’una dall’altra evitando che crescano insieme come due inseparabili sorelle.

La storia del romanzo inizia nel gennaio 1848. Amy è prossima a lasciare Hatville Court dopo la prematura morte di Aurelia, avvenuta alla giovane età di soli 25 anni, a seguito di una malattia cardiaca.

Aurelia ha lasciato ad Amy una somma di appena 100 sterline o almeno ciò è quello che tutti credono alla lettura del testamento, ma la giovane ha lasciato molto di più all’amica del cuore.

Per entrare in possesso della cospicua eredità e conoscere i segreti di Aurelia, Amy Snow però dovrà lasciare quella casa a lei ostile, ma pur sempre l’unica che abbia mai conosciuto, ed addentrarsi nel vasto mondo a lei ignoto.
Come unica guida avrà le lettere che l’amica le ha lasciato e che la condurranno lungo un difficile ed impegnativo cammino, scandito dalle tappe della caccia al tesoro che, per un’ultima volta, l’amica ha predisposto per lei, così come era solita fare quando era bambina.

Il viaggio di Amy Snow inizia a Londra e da lì la ragazza raggiungerà diverse città dell’Inghilterra in ognuna delle quali farà la conoscenza di persone di ogni tipo.
Aurelia ha messo in guardia Amy sul fatto di dover stare molto attenta a non farsi rintracciare dai suoi genitori onde evitare di dover restituire il cospicuo lascito.
E se all’inizio la paura di essere scoperta sarà legata al timore di dover difendere l’eredità dalle mani dei vendicativi Vennaway, ben presto Amy comprenderà che in gioco c’è molto di più di questo perché l’amica le ha celato un grande segreto che solo ora, dopo la sua morte, intende rivelarle.

Tracy Rees riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. La storia è avvincente ed i personaggi sono affascinanti.

Attraverso le pagine di questo libro rinasce il romanzo vittoriano.
Numerosi sono gli accenni a Charles Dickens, tra l’altro autore preferito dalle eroine del libro, che influenza non solo le aspettative di Amy sulla città di Londra, ma si ritrova nelle atmosfere, nei diversi personaggi e persino nella descrizione delle case.

“Amy Snow” ha però molto in comune anche con i romanzi austeniani: i due protagonisti maschili Garland e Henry potrebbero benissimo essere usciti dalla penna di Jane Austen così come le descrizioni caustiche e sferzanti dell’alta società inglese dell’epoca.

L’affresco storico che ne risulta è perfetto, l’autrice si è ben documentata e traspare in ogni riga quanto questo periodo sia da lei amato; ritroviamo nel romanzo della Rees tutti i temi cari al romanzo vittoriano: la ferrovia, i riferimenti all’industrializzazione del nord, la società di Bath, la filantropia...solo per citarne alcuni.

Ogni personaggio meriterebbe una menzione particolare, ma non essendo questo possibile, lascio al lettore il piacere di scoprire la bella galleria che l’autrice è riuscita a regalarci.

Mi concentrerò solo sui quattro personaggi principali: Amy, la vera protagonista, Aurelia la cooprotagonista la cui storia viene raccontata attraverso le lettere inviate all’amica nonché dalla voce del ricordo dell’amica stessa, il signor Garland e Henry Mead.

Aurelia ed Amy sono due donne molto forti e coraggiose, più scapestrata ed appassionata la prima, più riflessiva e attenta la seconda.
Amy è cresciuta all’ombra di Aurelia e quando deve prendere in mano la sua vita e affrontare il mondo a lei sconosciuto ha indubbiamente paura, ma è anche abbastanza forte nella sua insicurezza per tirare fuori la grinta e le capacità necessarie per superare ogni ostacolo.

Il romanzo della Rees può essere definito un romanzo di formazione proprio come quelli dickensiani in cui l’eroe/l’eroina nel suo percorso crescono e raggiungono la piena maturità.

I due uomini inducono non poco in difficoltà il lettore.

Il signor Garland è educato, raffinato ed elegante. Uno che ha l’aria che neppure il vento potrebbe spettinare e i cui abiti nemmeno la volontà divina sarebbe in grado di stazzonare.

Anche il signor Henry Mead è affascinante seppur in maniera diversa. È cordiale, franco e allegro. Sta cerando di trovare la sua strada e, come ogni giovane, è assediato dalle incertezze e dalle delusioni dei mortali.

Chi dei due però è colui che davvero non nasconde inganni? E se entrambi non fossero ciò che sembrano? Le domande assillano il lettore fino alle pagine conclusive del romanzo.

Ciò che incanta più di ogni altra cosa in questo libro è che nulla può essere dato per scontato, e se vero che forse ad un certo punto si intuisce quale sia il segreto di Aurelia, fino all’ultimo non si ha mai alcuna certezza sui reali sentimenti e intenzioni dei due pretendenti di Amy.

“Amy Snow” è un romanzo assolutamente da leggere consigliato a tutti gli appassionati del romanzo vittoriano e ai lettori che hanno ormai consumato le pagine dei libri di Jane Austen in loro possesso, agli amanti del romanzo storico, agli appassionati della vecchia Inghilterra…

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che ci riporta indietro nel tempo e che ha la capacità di farci sognare come solo i grandi classici hanno saputo fare.







sabato 22 agosto 2015

“Effie” di Suzanne Fagence Cooper

EFFIE
Storia di uno scandalo
di Suzanne Fagence Cooper
NERI POZZA
Il libro è stato pubblicato da Neri Pozza per la prima volta nel settembre 2012 con il titolo “Effie” e poi successivamente nel maggio 2015 la stessa casa editrice lo ha riproposto con una nuova veste grafica e con il titolo di “Effie Grey”. In entrambi i casi il sottotitolo era lo stesso: “Storia di uno scandalo”.

Mentre la prima copertina, tra l’altro secondo me molto più appropriata, riproduceva il quadro di John Everett Millais “Portrait of a girl – Sophy Grey” (1857), la successiva pubblicazione riportava invece un’immagine tratta dal’omonimo film.
Nel 2014, infatti, dal libro di Suzanne Fagence Cooper è stato tratto il film “Effie Gray” nel quale Dakota Fanning vestiva i panni di Effie.
Il film, almeno per quanto io sappia, non è mai arrivato sul grande schermo italiano nonostante più volte ne sia stata annunciata una sua imminente programmazione nelle nostre sale cinematografiche.

Suzanne Fagence Cooper è stata curatrice e ricercatrice presso il Victoria & Albert Museum di Londra per dodici anni. Ha studiato le collezioni vittoriane e l’arte preraffaellita, ed è autrice di diversi libri e saggi sull’argomento.

“A Model Wife” (titolo originale dell’opera) è un saggio molto ben documentato e dettagliato sulla vita di Effie Gray.
L’autrice ha attinto per scrivere questa splendida biografia ad una copiosa bibliografia e consultato il lavoro di Mary Lutyens che curò la pubblicazione delle lettere di Effie risalenti al periodo del matrimonio della donna con John Ruskin.
Inoltre, grazie alla generosità di Sir Geoffroy Millais, nel 2009 gli è stato concesso il privilegio di poter studiare e consultare per la prima volta le lettere di Effie da parte di suo padre, di sua madre, dei suoi figli e delle sue sorelle.
Inutile dire che questi documenti sono stati preziosi e fondamentali per portare alla luce la vera storia della donna che sposò in prime nozze un genio come John Ruskin ed in seconde nozze un affascinante e ribelle pittore quale John Everett Millais.

Effie Gray (1828 – 1897) aveva 19 anni quando sposò il grande e famoso critico d’arte John Ruskin.
Probabilmente Effie sposò Ruskin non per amore, ma piuttosto per ciò che egli avrebbe potuto offrirle ovvero una gratificante vita di società e forse anche perché attratta dall’idea di poter affiancarlo nei suoi studi e nelle sue ricerche.
L’unione si rivelò fin fa subito un totale fallimento. John Ruskin non volle mai consumare il matrimonio ed Effie si ritrovò allontanata dalla sua famiglia alla quale era particolarmente legata, detestata e avversata dai suoceri, respinta dal marito.
Nell’aprile del 1854 la venticinquenne Effie, con il sostegno dei genitori e consigliata da alcuni amici, decise di porre fine alla sua relazione malsana con Ruskin durata sei anni.
Portò la sua situazione in tribunale, si sottopose ad umilianti ma necessarie visite mediche, dovette affrontare penosi interrogatori, ma riuscì ad ottenere l’annullamento del suo matrimonio.
La donna si ritrovò libera di potersi rifare una vita e con la possibilità di poter avere finalmente una famiglia tutta sua.
Effie Grey divenne dopo qualche tempo Mrs Millais poiché sposo il pittore preraffaellita John Everett Millais che aveva conosciuto e del quale si era innamorata corrisposta quando ancora era la moglie di Ruskin.

La biografia scritta da Suzanne Fagence Cooper si legge tutto d’un fiato come uno splendido romanzo anche perché la vita di Effie Gray assomiglia davvero alla trama di un romanzo.

Il racconto della vita di Effie Gray non è solo la storia di una donna che ebbe il coraggio di sfidare la società dell’epoca rendendo pubblico il suo doloroso segreto, ma è anche la storia di uno dei più grandi artisti britannici dell’epoca, John Everett Millais.

La biografia di Effie è inoltre un viaggio nel mondo vittoriano che ci appare vivo, fresco e brillante attraverso le testimonianze dirette di coloro che vissero in quel periodo tra balli, teatri, mostre, cacce e viaggi attraverso l’Europa; tra le pagine del libro incontriamo la Regina Vittoria, Elizabeth Gaskell, Charles Dickens, Beatrix Potter e molti altri personaggi dell’epoca.
Un mondo che stava cambiando e del quale possiamo scorgere ogni minima trasformazione anche solo paragonando la gioventù e la vita di Effie a quella delle sue figlie, mutamenti che si possono osservare soprattutto nel delinearsi di un nuovo ruolo della donna nel corso degli anni.

L’immagine che Suzanne Fagence Cooper ci porge di Effie è quella di una donna forte che ha avuto il coraggio di combattere per la sua libertà, ma che ha anche dovuto pagarne un prezzo molto alto, infatti, se tanti le furono vicini altrettanti le girano le spalle disgustati dal suo comportamento svergognato.

Effie era una donna bellissima, elegante, intelligente e colta; ma aveva un forte temperamento e una perenne aria sfida nei confronti della vita, non sempre era facile relazionarsi con lei.
Aveva sposato in prime nozze Ruskin non per amore, ma per il rispetto che nutriva per la sua intelligenza e per la possibilità di una vita agiata e salottiera che questi avrebbe potuto offrirle.
Effie amava ricevere ed era una perfetta padrona di casa. Oltre ad essere un’abile intrattenitrice era particolarmente dotata nell’arte di tessere rapporti con le persone che contavano qualità che riuscì finalmente a mettere a frutto una volta divenuta Mrs Millais.

La Copper non esclude che forse la passione di Effie per Everett quando decise di accettarne la proposta di matrimonio si era ormai affievolita, forse anche in questo caso Effie era stata spinta ad abbandonare il suo stato di donna libera perché aveva intravisto nel giovane pittore una nuova possibilità di ritornare in società, ritorno che comunque non volle fare subito dopo le nozze.
Resta comunque il fatto che il matrimonio durò più di quarant’anni. La loro fu unione solida, basata sulla complicità e sulla cooperazione. Un’unione benedetta inoltre dalla nascita di numerosi figli.

Qualcuno accusò Effie di essere stata la causa per cui John Everett Millais abbandonò i suoi principi preraffaelliti in cambio di facili guadagni.
Indubbiamente lo stile di Everett negli anni successivi al matrimonio cambio e il ritmo della produzione aumentò. Indubbiamente su questo poterono influire la necessità di dover mantenere una famiglia che con il tempo diveniva sempre più numerosa.  
Ma a difesa di Effie va detto che, come ci fa notare la Cooper, “Everett aveva sempre evitato le trappole convenzionali di uno stile di vita artistico; non aveva mai indossato l’uniforme bohémiene che prevedeva cravatta svolazzante, colletto aperto e giacca di velluto” e mentre gli altri preraffaelliti sostenevano di non ambire alla popolarità, Everett era ben contento di vendere i suoi quadri e di vederli riprodotti sulle riviste”.
Nel 1885 la Regina Vittoria nominò Everett baronetto, un onore senza precedenti per un artista.
Il 20 febbraio 1896 John Everett Millais fu eletto presidente dell’Accademy, ricevendo così l’onore più alto che il mondo dell’arte potesse offrirgli.

Avete presente il detto attribuito a Virginia Woolf che “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”? Effie Gray può essere annoverata tra quelle grandi donne.
Tra loro mi viene spontaneo citarne altre due dalle quali sono sempre stata particolarmente affascinata: Mary Shelley compagna e poi moglie del poeta Percy Bysshe Shelley e Lady Emma Hamilton amante e compagna del grande Lord Nelson.

A chi consigliare la lettura di “Effie. Storia di uno scandalo”?  A chi ama l’epoca vittoriana, la pittura preraffaellita, le grandi storie romantiche o anche semplicemente a tutti coloro che amano le buone letture.




domenica 22 marzo 2015

“Gli innamorati di Sylvia” di Elizabeth Gaskell

GLI INNAMORATI DI SYLVIA
di Elizabeth Gaskell
JO MARCH 
Nel 1859 l’autrice trascorse una quindicina di giorni in vacanza a Whitby, una cittadina sulle coste dello Yorkshire. In questa nebbiosa località ebbe la possibilità di fare delle ricerche non solo sulle baleniere, ma anche sulle press gang ovvero le bande di arruolamento che forzosamente arruolavano marinai per la flotta britannica impegnata nella guerra contro la Francia.

“Gli innamorati di Sylvia” è ambientato negli anni delle guerre napoleoniche a Monkshaven, nome di pura invenzione letteraria, ma la cui descrizione del luogo corrisponde perfettamente alla località visitata dalla Gaskell ovvero una cittadina di mare dotata di un piccolo porto, caratterizzata da coste spazzate dal vento e da brughiere alle spalle del centro abitato.

Protagonista della storia è la bellissima Sylvia Robson, una ragazza che proprio per la sua avvenenza suscita nei suoi concittadini sentimenti e impressioni contrastanti.
Gli abitanti del luogo, infatti, si dividono tra coloro che, totalmente soggiogati dalla sua avvenenza, la ritengono una giovane virtuosa, simpatica e dolce e chi, forse anche un po’ roso dall’invidia, ritiene che, bellezza a parte, Sylvia sia in realtà semplicemente una ragazzina viziata e superba.
La verità come sempre sta nel giusto mezzo, la giovane, figlia unica adorata dai genitori, in realtà è sì una ragazzina viziata e a volte capricciosa, ma è anche una ragazzina gentile e di buon cuore.

La vicenda raccontata da Elizabeth Gaskell è in breve la storia di Sylvia e dei suoi due innamorati: il giovane e avvenente, nonché coraggioso e virile ramponiere Charley Kinraid e il cugino di Sylvia, il tranquillo e misurato Philip Hepburn, che lavora come commesso in un negozio di tessuti.

Ovviamente lo spirito ribelle e sbarazzino di Sylvia fanno sì che ella ricambi appassionatamente l’amore di Charley mentre Philip non riesce a darsi pace al pensiero di dover rinunciare per sempre alla cugina.

Quando Kinraid viene rapito dalla press gang, Philip unico testimone del fatto, non consegna il messaggio del rivale all’amata e, lasciandole credere che Charley sia morto affogato, cerca di prendere il suo posto nel cuore di Sylvia.

Gli eventi precipitano, il padre di Sylvia viene condannato per tradimento e impiccato, il lutto per il marito fa perdere la ragione alla signora Robson e Sylvia, trovandosi sola con una madre invalida, senza più punti di riferimento, decide che per il bene di tutti è giunto il momento che lei accetti di sposare quel cugino che fino a poco tempo prima aveva tanto disprezzato, ma che le è stato così vicino nel momento del bisogno.

Sylvia non riuscirà mai a dimenticare il suo primo e unico amore e inevitabilmente giungerà il giorno in cui Charley Kinraid farà ritorno a Monkshaven e allora…

“Gli amanti di Sylvia” non ha avuto particolare successo quando fu pubblicato, la stessa autrice definì il romanzo come la storia più triste che avesse mai scritto.

Il romanzo per nulla breve (569 pagine) è molto descrittivo e per questo forse non totalmente scorrevole, ma ad Elizabeth Gaskell va però riconosciuta una magistrale capacità nel riuscire a descrivere minuziosamente i paesaggi oltre ad una grande abilità nell’indagare profondamente gli animi dei suoi personaggi.

Sylvia e Philip crescono pagina dopo pagina e, col passare degli anni, mutano i loro animi e i loro caratteri. Ed è proprio questo mutare di sentimenti, di capacità di sentire, di relazionarsi gli uni con gli altri che la Gaskell è bravissima a descrivere.

Tutto questo fa sì che nel lettore l’impressione ricevuta da ogni personaggio non resti fissa ed immobile per tutta la storia, ma anzi vari insieme ad essa.
I personaggi riescono a stabile un’empatia con il lettore passatemi il termine “intermittente” ovvero a secondo del momento il lettore è portato a simpatizzare per un personaggio salvo poi trovarsi ad accordare la propria simpatia ad un altro, proprio perché l’evolversi della storia e il mutare dei sentimenti dei protagonisti lo coinvolgono al punto da renderlo totalmente partecipe del loro sentire.

Personalmente all’inizio ho detestato Philip, ma poi nonostante il pessimo comportamento da questi tenuto, ci sono stati momenti in cui sono riuscita a comprenderlo e perfino a scusarlo per il suo agire nonostante il suo essere meschino.

Sono stata forse meno clemente nei confronti di Sylvia, perché al di là delle disgrazie accadute, disgrazie che certamente avrebbero indebolito la forza di volontà di chiunque, non sono comunque mai riuscita a perdonarle una certa debolezza di carattere nel lasciarsi comandare dagli eventi e quel suo cercare di addossare ad altri colpe che in parte erano solo sue proprie.

Un personaggio che ho apprezzato invece moltissimo perché ritengo sia a tutti gli effetti il personaggio “romantico” per eccellenza, è quello di Hester, la donna innamorata da sempre di Philip e da questi considerata semplicemente una sorella.
E’ lei la vera eroina che per amore ha saputo piegarsi ed accettare il suo triste destino, mantenendo inalterati nel tempo i suoi sentimenti per l’uomo amato, senza mai tirarsi indietro davanti alle sue richieste per quanto dolorose per lei potessero essere.

“Gli innamorati di Sylvia” è edito da Jo March Agenzia Letteraria e per la precisione è la sesta uscita della collana “Atlantide” con la quale la casa editrice si ripropone di riscoprire capolavori dimenticati della letteratura.

Assolutamente da leggere l’introduzione di Francesco Marroni intitolata: “Scene da una tragedia domestica. Note per una lettura di Sylvia’s Lovers”.

Il volume inoltre, come tutti i libri della stessa collana, è corredato da interessanti ed esaustive note a piè di pagina.

A chi consiglierei la lettura del romanzo? Ovviamente a tutti gli appassionati di Elizabeth Gaskell e del romanzo vittoriano.

Se ancora non l'avete letto, vi ricordo un altro libro di Elizabeth Gaskell sempre edito da Jo March Agenzia Letteraria ovvero "Nord e Sud".
Infatti, per quanto io abbia apprezzato la lettura de “Gli innamorati di Sylvia”, “Nord e Sud” resterà sempre il mio romanzo preferito di questa straordinaria autrice.



domenica 21 luglio 2013

“La casa sfitta” di Ch. Dickens, E. Gaskell, W. Collins, A.A. Procter



 LA CASA SFITTA
di Dickens – Gaskell – Collins - Procter
Jo March Agenzia Letteraria
Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e Adelaide Anne Procter, quattro illustri personalità del mondo letterario di epoca vittoriana, sono gli autori di “A house to let”, storia pubblicata per la prima volta nel 1858 nell’edizione natalizia di Household Words, rivista diretta dallo stesso Dickens.

La signorina Sophonisba è una donna avanti negli anni, nubile e sola, alla quale il dottore ha prescritto una “vacanza londinese” ritenendo necessario un cambio d’aria per curare la depressione da cui è afflitta.
L’anziana signora lascia quindi la sua casa di Tunbridge Wells per trasferirsi in una casa in affitto nella capitale.
La sistemazione a Londra risponde perfettamente alle sue esigenze; l’unica nota stonata risulta essere la casa sfitta di fronte, una costruzione “parecchio malmessa, ma non in rovina”.
Un giorno Sophonisba avverte un’inquietante presenza nell’edificio di fronte e da quel momento non riesce più a pensare ad altro, la casa sfitta diventa la sua ossessione.
Per aiutare la donna ad uscire da questo suo stato d’ansia Trottle, il suo affidabile maggiordomo, e Jabez Jarber, il suo ex-spasimante ancora innamorato di lei, si improvvisano investigatori per risolvere il mistero della casa sfitta.
Alla voce di Jarber è affidato il racconto di tre storie slegate dalla vicenda principale, ovvero le storie degli inquilini che hanno affittato la casa nel corso degli anni.

Ognuno di questi racconti è opera di un diverso autore.

Il primo episodio “Il matrimonio di Manchester” scritto da Elizabeth Gaskell è la storia dei coniugi Openshaw: del passato della signora Alice prima di sposare il Signor Openshaw, del loro incontro e del loro trasferimento a Londra a seguito della promozione ottenuta dal signor Openshaw.

Il secondo episodio è opera di Charles Dickens ed è intitolato “Ingresso in Società”. Il racconto è narrato in prima persona dal signor Magsman il quale un tempo aveva preso in affitto la casa per i suoi spettacoli circensi. Egli ci narra la storia di un suo dipendente, il signor Chops, un nano con la fissazione di voler entrare in Società.

Il terzo episodio è affidato alla penna di Adelaide Anne Procter, una poetessa molto amata dalla regina Vittoria. “Tre sere nella casa” si differenzia dai precedenti racconti in quanto scritto in versi. La protagonista della poesia è Bertha, una giovane donna che per amore del fratello rinuncia a farsi una vita propria. Un giorno il fratello si sposa e lei capisce di aver rinunciato all’uomo amato ed alla sua felicità per nulla, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.

L’ultimo racconto “Il rapporto di Trottle” altro non è, come si evince dal titolo stesso, che il resoconto del maggiordomo a Sophonisba di quanto scoperto in merito alla casa. Questo ultimo episodio, opera di Wilkie Collins, si lega nuovamente alla vicenda principale e chiarisce il mistero della casa sfitta.

La cornice narrativa del romanzo è stata scritta a quattro mani da Dickens e Collins, ma l’influenza di Dickens si avverte anche nel racconto scritto dal solo Wilkie Collins.
L’umorismo e la satira che caratterizzano i personaggi dickensiani si integrano perfettamente con il racconto pieno di suspense e ricco di colpi di scena di Collins, maestro del sensational novel vittoriano.

Ogni racconto rispecchia lo stile del proprio autore. Così riconosciamo la penna di Elizabeth Gaskell nell’episodio de “Il matrimonio di Manchester” dall’introspezione psicologia dei personaggi e dalla particolare attenzione dell’autrice alla situazione economico-sociale all’interno della quale questi stessi personaggi si muovono.
Non è difficile riconoscere la penna di Dickens da alcune delle tematiche fondamentali dei suoi romanzi: il bambino orfano, il circo, l’ambiguità della società…
Una piacevole sorpresa è la poesia della Procter, poetessa molto famosa alla sua epoca ma non altrettanto ai giorni nostri. I suoi versi sono delicati e struggenti, malinconici e toccanti.

Dobbiamo ringraziare ancora una volta la Jo March Agenzia Letteraria per aver scovato questo romanzo dimenticato. Un regalo preziosissimo quanto inaspettato per tutti gli amanti della letteratura di epoca vittoriana.
Poiché la filosofia della casa editrice è quella di riscoprire ciò che è stato dimenticato, "i tasselli mancanti di un continente letterario sommerso”, a noi lettori non resta che rimanere in trepidante attesa della prossima uscita della collana Atlantide.


domenica 30 giugno 2013

“La storia di una bottega” di Amy Levy (1861 – 1889)

LA STORIA DI UNA BOTTEGA
di Amy Levy
Jo March Agenzia Letteraria
Fai girare, o Fortuna, fai girare la ruota e umilia l’orgoglioso;
Fai girare la tua ruota selvaggia con il sole, la tempesta e la nebbia;
Non abbiamo né odio né amore per te e la tua ruota.

L’introduzione di ogni capitolo del romanzo viene affidata ai versi di poeti francesi, inglesi e tedeschi. Ai versi di Tennyson è affidato il compito di introdurre l’inizio di questa storia che si svolge nella Londra di fine Ottocento e che prende avvio proprio da un inaspettato e sconvolgente ribaltamento di fortuna.

Le giovani sorelle Lorimer, a seguito dell’improvvisa morte del padre, si ritrovano sul lastrico e senza casa. Facendo una scelta anticonvenzionale, osteggiata dai parenti che vorrebbero dividerle per ospitarle, decidono di rinunciare alla sicura e confortevole protezione dei familiari per affrontare il loro destino unite. Consigliate dal Sig. Russel, un amico del padre, aprono una loro bottega di fotografia, la “G.&L. Lorimer: studio fotografico”.

Ma chi sono le sorelle Lorimer? 
Fanny la maggiore, sorella solo per parte di padre, ha trent’anni, non è sposata perché vittima di un amore “sfortunato”; è lei la più vittoriana delle quattro, ancora così strettamente legata all’idea di classe sociale, da non riuscire a superare le imposizioni dettate dalle regole della vecchia società.
Gertrude, ha ventitré anni ed è l’eroina del romanzo, la più intelligente delle sorelle, è colei alla quale tutti si affidano, la più responsabile, la roccia della famiglia. Gerty è una donna moderna, desidera l’indipendenza economica per sé e per le altre, vuole essere padrona della sua vita e delle sue scelte, ma nonostante questo non è completamente affrancata dalle convenzioni sociali tradizionali e spesso si trova combattuta su quale sia il giusto comportamento da tenere nelle diverse situazioni. Il suo è il personaggio che più di tutti incarna il passaggio, il mutamento epocale di fine Ottocento.
Lucy, ha circa vent’anni, ed insieme a Gertrude è colei che dà vita alla bottega di fotografia. E’ una ragazza seria, posata, ma moderna.
Ed infine la diciassettenne Phyllis, la più bella delle Lorimer, ma anche delicata e debole di costituzione. Proprio per questi suoi problemi di salute la più piccola è costantemente coccolata dalle sorelle.

“The Romance of a Shop”, titolo originale del romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1888, è per certi versi un romanzo d’avventura. Un’avventura non intesa in modo esotico, non c’è nessun viaggio in terre lontane, in mondi sconosciuti, ma quella che viene raccontata è l’avventura della vita con la difficoltà di riuscire a ritagliarsi un ruolo nella società, di affermare se stessi, di riuscire in quel mondo affascinante ma spesso pericoloso che è il mondo del commercio e degli affari. Ovviamente non manca poi l’elemento “romantico” con corteggiamenti, matrimoni, delusioni amorose, libertini, artisti…

Bellissime ed interessanti sono le descrizioni di Londra, una nuova realtà nella quale non ci si sposta più solo in carrozza, ma anche con nuovi e moderni mezzi di trasporto, con gli omnibus e con la metropolitana.
Le protagoniste del romanzo, vivendo in questo ambiente urbano e scegliendo di entrare nel mondo del commercio, hanno la possibilità di fare nuovi incontri, hanno la possibilità di socializzare anche con l’altro sesso in maniera molto più libera e spontanea, superando quei rigidi formalismi a cui noi stessi eravamo abituati leggendo i romanzi ambientati negli anni precedenti.
Ognuna delle quattro sorelle reagirà in maniera diversa a questa “nuova” libertà ed è proprio questo il lato più affascinante del romanzo. E’ una storia nuova, dove mai nulla può essere dato per scontato e, a differenza dei classici di epoca vittoriana, dove spesso si intuiva fin dalla prima pagina quale sarebbe stato il finale, “La storia di una bottega” riserva diverse sorprese.

Da sottolineare infine l’accuratezza delle note a piè di pagina che accompagnano il racconto, sempre interessanti ed esaustive, così come l’introduzione di Silvana Colella.
Dopo “Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell la Jo March Agenzia Letteraria è riuscita a fare di nuovo centro con questa sua seconda pubblicazione. 
“La storia di una bottega” è un bellissimo libro, un libro che gli appassionati di romanzi ottocenteschi inglesi non potranno non apprezzare e che finiranno senza dubbio per leggere più di una volta.


sabato 9 febbraio 2013

“Oliver Twist” di Charles Dickens


Pubblicato a puntate sulla rivista Bentely’s Miscellany dal febbraio 1837 all’aprile 1839, Oliver Twist, secondo romanzo dell’autore che aveva già ottenuto un grande successo con il suo primo lavoro “Il circolo Pickwick”, fu scritto da un Dickens appena venticinquenne.
A differenza del suo primo libro, Oliver Twist è in realtà il più deprimente e per certi aspetti il più irritante di tutti i romanzi dickensiani.  Dopo aver fatto ridere il suo pubblico, con un primo romanzo picaresco e divertente, Dickens offre al pubblico una storia cruda e melodrammatica, dimostrando al tempo stesso, di saper anche maneggiare elementi spettrali e sovrannaturali. Incontriamo, infatti, in Oliver Twist l’elemento “macabro”, elemento attinto dal romanzo gotico del ‘700. A differenza però di quest’ultimo, le cui storie erano spesso ambientate in paesi mediterranei quali la Spagna, la Corsica e l’Italia, Dickens ambienta questo suo libro in una città e per la precisione a Londra. Questa viene descritta a tinte fosche, come un luogo sporco e decadente, con strade piene di fango e infestate dai topi. Londra è in realtà una città comandata dalla “cittadella” dei malviventi, dove a farla da padrone sono l’avidità e l’ingordigia.
Dickens descrive il mondo dei criminali come un mondo dotato di una forza incredibile, per certi aspetti la loro forza è addirittura pari a quella delle istituzioni e spesso questi individui non sono descritti come degli emarginati, ma piuttosto come persone che conducono una vita quasi attraente.
Oliver Twist è un romanzo di formazione e crescita individuale; l’incontro/scontro di Oliver con i criminali con cui viene a contatto e che lo perseguitano è lo scontro tra il bene ed il male, uno scontro che assume anche spesso un valore didattico perché Dickens sottolinea che chiunque, grazie alla propria forza di volontà, può passare dalla parte del bene.
Il romanzo si apre proprio con la nascita di Oliver: una vagabonda muore dando alla luce un bambino che verrà affidato ad un orfanotrofio dove resterà fino all’età di nove anni quando verrà mandato a lavorare per un’impresa di pompe funebri. Oliver, maltrattato sia dalla moglie che dall’aiutante del suo padrone, fuggirà a Londra. Qui sarà costretto ad unirsi ad una banda di ladruncoli di strada e sarà obbligato a partecipare a furti e rapine dal loro capo, Fagin, stereotipo dell’ebreo taccagno. Solo dopo innumerevoli e tragiche peripezie, attraverso un intricato intreccio di avvenimenti e colpi di scena, Oliver scoprirà di avere una famiglia e, venuto a conoscenza delle sue origini, riuscirà anche a riscattarsi definitivamente.
Attraverso le pagine del libro Dickens coglie l’occasione per denunciare alcuni problemi che affliggono la società dell’epoca vittoriana, come lo sfruttamento minorile e le condizioni di degrado in cui vivono le persone più povere nelle città. Non manca di polemizzare con alcune istituzioni dell’epoca: lo stesso ospizio di mendacità, gestito dalla chiesa, nel quale è Oliver è ospitato, viene descritto come un luogo gestito da persone avide e prive di scrupoli che non si preoccupano affatto del bene dei bambini a loro affidati i quali riescono a sopravvivere a stento poiché le persone preposte ad occuparsi di loro li fanno vivere nella sporcizia e nella miseria per intascarsi il denaro destinato al loro mantenimento. La polemica di Dickens investe anche le associazioni filantropiche, così di moda nel periodo in cui lo scrittore vive, ritenendole prive di utilità; secondo lo scrittore la carità elargita da un filantropo fornisce semplicemente un alibi a chi vuole cercare di scaricarsi la coscienza davanti a problemi che dovrebbero invece avere una risposta dalla politica.
Nonostante questo però Dickens resta pur sempre un esponente della sua classe sociale e così inevitabilmente Oliver troverà riscatto solo quando verrà a contatto con la borghesia, in quanto luogo di rinascita spirituale. Poiché soltanto il possesso di denaro e un lignaggio aristocratico-borghese rendono una persona perbene, sarà solo nella cerchia dei suoi amici benestanti che Oliver potrà attuare la sua predisposizione al bene. Alla fine, per quanto il mondo criminale possa essere attraente, il malvivente deve morire, rispettando quella che secondo la mentalità borghese dell’epoca è “la giusta condanna”. Così Fagin muore impiccato e così soccombe Nancy, che poiché ha dimostrato affetto nei confronti di Oliver, prendendone spesso le difese, e dimostrandosi pentita per gli errori commessi durante la sua vita scellerata, viene assassinata da Sikes in un accesso d’ira, riscattandosi così attraverso la morte.
Oliver Twist è stato oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche: film, serie tv, miniserie; l’ultimo adattamento è quello del 2005, regia di Roman Polanski, di cui sono da sottolineare soprattutto la splendida fotografia e la magistrale interpretazione di Fagin da parte di Ben Kinsley.






sabato 3 novembre 2012

“La donna in bianco” di Wilkie Collins


Wilkie Collins (1824 – 1889) è conosciuto come il padre del romanzo poliziesco grazie soprattutto alla sua capacità di narrare storie di delitti e di misteri avvalendosi di strutture narrative intricate e ben congegnate.
Il padre di Wilkie Collins, un noto pittore paesaggista dell’epoca, avrebbe voluto per il figlio una carriera ecclesiastica. Lo scrittore però, per nulla incline a seguire i desideri paterni, preferì intraprendere una carriera commerciale, dedicandosi nel frattempo a scrivere articoli e brevi racconti pubblicati con uno pseudonimo. In seguito, resosi conto di non essere tagliato al commercio del tè, decise d’accordo con il padre di dedicarsi allo studio della legge e riuscì ad essere ammesso ad esercitare la professione forense. Neppure questa però si rivelò essere la sua vera strada. Approdò così alla sua vera vocazione: la scrittura, grazie alla quale le conoscenze legali apprese trovarono una maggiore e creativa applicazione.
Un importante evento per la sua carriera letteraria fu la conoscenza di Dickens, avvenuta nel 1851, con il quale iniziò non solo una vera e sincera amicizia ma anche una collaborazione lavorativa. Wilkie Collins collaborò attivamente alle riviste di Dickens “Household Words” e “All the Year Round” e proprio su quest’ultima rivista il 26 novembre 1859 uscì la prima puntata de “La donna in bianco”. Fin dalla prima uscita il romanzo si rivelò un successo; non solo vi fu un indubbio aumento di tiratura della rivista ma a Londra si scatenò una vera e propria mania, insomma la pubblicazione del romanzo divenne un vero fenomeno commerciale. Le vicende narrate ne “La donna in bianco” divennero argomento di discussione per le strade e nei salotti; si arrivò persino a dedicare profumi alla misteriosa “dama” e ci furono addirittura abiti, balli e serate a tema dedicate a lei.
Il romanzo prende avvio dall’incontro di Mr Hartright, un insegnante di disegno, con una misteriosa donna vestita di bianco della quale solo più tardi si verrà a sapere che si chiama Anne Catherick e che è fuggita dal manicomio. Walter Hartright nel frattempo viene assunto per insegnare l’arte del disegno a due sorelle (solo da parte di madre) Mariam Halcombe, donna intelligente ed energica, e Laura Fairle, donna angelica e delicata.
Non voglio anticipare nulla di più perché è un libro ricco di colpi di scena che si susseguono ripetutamente. “La donna in bianco” è un romanzo carico di suspense, non esiste un “io onnisciente” ma i fatti sono riportati di volta in volta dai vari personaggi come fossero testimonianze di un processo. Proprio attraverso i vari punti di vista dei protagonisti e dei testimoni dei fatti il lettore partecipa al gioco di ricostruzione del complotto ordito. Un complotto che vede protagonista un’eroina che, per affermare e rivendicare i propri diritti ereditari e sociali, è costretta ad opporsi ai pregiudizi ed alle leggi dell’epoca vittoriana oltre a combattere contro personaggi malvagi e pericolosi.
Non mancano inoltre gli elementi tipici della letteratura gotica come la misteriosa apparizione della donna vestita di bianco che potrebbe sembrare un’apparizione ultraterrena oltre alle atmosfere cupe ed alle situazioni inquietanti, dovute spesso alla capacità dell’autore di giocare sul “tema del doppio”.
Non è un romanzo brevissimo, sono circa 690 pagine, ma non fatevi spaventare dalla mole perché “La donna in bianco” è a tutti gli effetti un libro che si legge tutto d’un fiato grazie ad una trama avvincente e ad una scrittura coinvolgente che tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina. Assolutamente consigliata la lettura.

Bigliografia:
"La donna in bianco" di Wilkie Collins, 2012 Fazi Editore, introduzione di Paolo Ruffilli - traduzione Stefano Tummolini

lunedì 20 agosto 2012

“Barry Lyndon” di William M. Thackeray (1818-1863)


Thackeray diede inizio alla stesura di “Barry Lyndon”, pubblicato a puntate nel 1844 sul Fraser’s Magazine, quattro anni prima della pubblicazione del romanzo che gli diede la fama “La fiera della vanità”.
Nell’edizione BUR che ho acquistato c’è una breve descrizione del libro a cura di Flavio Santi che riporto di seguito:
“Ecco la dimostrazione lampante che il Settecento contiene già l’intera modernità. Tutta questa adrenalina fatta di fughe, duelli, amori, peripezie non è cinema puro? Non sono i fotogrammi di una pellicola in anticipo di due secoli sui Lumiere? Una volta tanto non dovrete incollarvi allo schermo: lasciatevi trascinare dalle avventure di Redmond Barry. Il romanzo è uno strepitoso technicolor di parole ed emozioni”.
Confesso che, nonostante l’evidente errore di attribuzione errata del romanzo al Settecento, questa descrizione ha attirato la mia curiosità e ha contribuito a far sì che leggessi il libro. Dopo averlo letto però mi è venuto spontaneo chiedermi se le parole di Santi siano davvero una descrizione del romanzo o non siano state piuttosto ispirate dalla visione del film che Stanley Kubrick ha liberamente tratto dal romanzo stesso. Ammetto di non aver ancora  avuto occasione di vedere il film, ma spero di colmare presto questa lacuna, sono infatti piuttosto curiosa di conoscere che taglio il regista abbia dato alla storia e di sapere come risulti la vicenda riportata sul grande schermo.
Tornando al libro, devo ammettere che l’ho trovato terribilmente noioso e lento, un monotono susseguirsi di aneddoti e racconti monotematici (gioco d’azzardo, donne sedotte, corti europee e campagne militari) relativi alla vita del protagonista. Scritto come un’autobiografia, il romanzo narra in prima persona le vicende di Barry Lyndon, un personaggio d’invenzione, ispirato alla figura dell’irlandese Andrew Robinson Bowes, la cui pessima reputazione e la cui cattiva condotta si adattano perfettamente al protagonista del romanzo di Thackeray. Le vicende di Andrew Robinson Bowes forniscono all’autore solamente gli elementi essenziali del romanzo, entrambi i personaggi infatti, sia quello reale che quello di pura finzione letteraria, appartengono alla piccola borghesia irlandese ed entrambi attraverso il matrimonio vengono elevati al rango nobiliare oltre ad ottenere un consistente patrimonio sposando delle ereditiere che alla fine si riveleranno più scaltre dei mariti riuscendo a metterli fuori gioco. Entrambi dilapideranno la fortuna delle consorti e saranno oppressi dai debiti di gioco, ma nelle pagine del romanzo, Barry Lyndon sarà anche un giocatore d’azzardo di professione oltre ad essere il protagonista di una discutibile carriera militare.

Forse, nel corso delle mie molteplici avventure non mi sono mai imbattuto nella donna adatta per me, e ho dimenticato, poco dopo, tutte le creature che avevo adorato; ma credo che, se mi fossi imbattuto in quella giusta, l’avrei amata per sempre.

Acquistare qualche migliaio di sterline l’anno a costo di una moglie odiosa è un pessimo investimento per un giovane di spirito e di talento.

Barry Lyndon è un personaggio irritante e senza scrupoli, è un antieroe. In un periodo storico in cui gli autori scrivono romanzi di formazione quello di Thackerey è tutto l’opposto.
Il lettore fin dalle prime pagine, ben guidato in tal senso da Thackeray, prova una sorta di diffidenza nei confronti del protagonista che si rivela da subito un personaggio antipatico e irriverente. Nel racconto della sua storia, dall’ascesa sino al suo declino, Barry Lyndon, distorce continuamente i fatti, non provando alcuna vergogna. Non cerca mai scuse per il suo comportamento scorretto e se, in rari casi, è costretto dagli eventi a cercare una sorta di giustificazione, lo fa con una naturalezza al limite dell’imbarazzante: la colpa è sempre degli altri.
Scrive le sue presunte memorie dalla prigione di Fleet ma non guarda al suo passato con tristezza, né con rimorso, la sua persona è tutto ciò che conta, l’attenzione è sempre puntata su sé stesso e il suo declino non è altro che la prova delle sue conquiste del passato.

Ma come è mutevole il mondo! Quando consideriamo quanto grandi ci sembrano i nostri dolori e quanto sono piccoli nella realtà; quante volte pensiamo di essere sul punto di morire di dolore e quanto rapidamente dimentichiamo tutto, penso che dovremo vergognarci di noi stessi e della mutevolezza del nostro cuore.

Thackeray dimostra di essere un profondo conoscitore dell’animo umano nonché un capace scrittore di satire; Barry Lyndon è indubbiamente un personaggio ben riuscito secondo l’intento moralistico prefissatosi dall’autore, servendosi di sarcasmo ed ironia Thackeray crea un personaggio che noi oggi potremmo definire uno snob. Attraverso la descrizione di quest’uomo privo di morale inoltre Thackeray mette in guardia i lettori da una società corrotta, dissoluta e ipocrita abitata da uomini privi di scrupoli, disonesti e depravati.

I grandi e i ricchi sono sempre ben accolti con grandi sorrisi sullo scalone del mondo, ma i poveri che hanno aspirazioni debbono arrampicarsi sulle pareti, o spingersi lottando sulle scale di servizio, o strisciare come talpe lungo le fogne della casa, non importa se sporche o strette purché portino in alto. I pigri senza ambizioni asseriscono che non vale la pena di arrivare in cima, abbandonando la lotta dichiarano di essere filosofi. Io dico che sono codardi poveri di spirito. A che cosa serve la vita se non per ottenere onori? E questi sono tanto indispensabili che vogliamo raggiungerli ad ogni modo.

Osare e il mondo si arrende sempre o, se qualche volta vi sconfigge, osate ancora ed esso soccomberà.

Questo romanzo è stata una delusione rispetto alle mie aspettative, il ritmo lento e la storia ripetitiva e monotona ne fanno un libro terribilmente noioso; mi aspettavo molto di più dall’autore di un capolavoro quale “Vanity Fair”. Il personaggio di Barry Lyndon è davvero troppo indisponente, ma il romanzo lascia però intravedere la grande capacità di Thackeray di descrivere l’animo umano, la sua visione cinica della società dove non sono sempre il bene e la virtù a prevalere.
Se volete leggere qualcosa esclusivamente per distrarvi e passare qualche ora lieta, vi consiglio di leggere un altro libro; da leggere assolutamente invece se desiderate conoscere più a fondo l’autore e le sue opere perché Barry Lyndon è un abbozzo del personaggio ben più riuscito di Becky Sharp (La fiera delle vanità), un’arrampicatrice sociale, priva di scrupoli e principi, che riuscirà a raggiungere il successo manipolando il prossimo. Becky Sharp come Barry Lyndon è fredda e calcolatrice, egoista ed arrivista, ma al contrario di Lyndon ha anche dei pregi: è una donna intelligente e colta mentre Lyndon disprezza la cultura e deride, guardandolo dall’alto in basso, chiunque la possieda. Becky sa riconoscere le proprie sconfitte e soffre quando deve cedere a bassi compromessi perdendo tutto ciò che ha guadagnato; solo lei è la causa dei suoi mali ed il lettore non può certamente giustificarla, ma è comunque portato a volte a provare un po’ di compassione nei suoi confronti. Non ci può essere nessun sentimento di pietà invece da parte del lettore per Barry Lyndon che è talmente sicuro di sé da non riconoscere neppure la propria caduta; il suo atteggiamento ed i suoi modi lo rendono un personaggio insopportabile, odioso ed irritante dalla prima all’ultima pagina.