lunedì 20 agosto 2012

“Barry Lyndon” di William M. Thackeray (1818-1863)


Thackeray diede inizio alla stesura di “Barry Lyndon”, pubblicato a puntate nel 1844 sul Fraser’s Magazine, quattro anni prima della pubblicazione del romanzo che gli diede la fama “La fiera della vanità”.
Nell’edizione BUR che ho acquistato c’è una breve descrizione del libro a cura di Flavio Santi che riporto di seguito:
“Ecco la dimostrazione lampante che il Settecento contiene già l’intera modernità. Tutta questa adrenalina fatta di fughe, duelli, amori, peripezie non è cinema puro? Non sono i fotogrammi di una pellicola in anticipo di due secoli sui Lumiere? Una volta tanto non dovrete incollarvi allo schermo: lasciatevi trascinare dalle avventure di Redmond Barry. Il romanzo è uno strepitoso technicolor di parole ed emozioni”.
Confesso che, nonostante l’evidente errore di attribuzione errata del romanzo al Settecento, questa descrizione ha attirato la mia curiosità e ha contribuito a far sì che leggessi il libro. Dopo averlo letto però mi è venuto spontaneo chiedermi se le parole di Santi siano davvero una descrizione del romanzo o non siano state piuttosto ispirate dalla visione del film che Stanley Kubrick ha liberamente tratto dal romanzo stesso. Ammetto di non aver ancora  avuto occasione di vedere il film, ma spero di colmare presto questa lacuna, sono infatti piuttosto curiosa di conoscere che taglio il regista abbia dato alla storia e di sapere come risulti la vicenda riportata sul grande schermo.
Tornando al libro, devo ammettere che l’ho trovato terribilmente noioso e lento, un monotono susseguirsi di aneddoti e racconti monotematici (gioco d’azzardo, donne sedotte, corti europee e campagne militari) relativi alla vita del protagonista. Scritto come un’autobiografia, il romanzo narra in prima persona le vicende di Barry Lyndon, un personaggio d’invenzione, ispirato alla figura dell’irlandese Andrew Robinson Bowes, la cui pessima reputazione e la cui cattiva condotta si adattano perfettamente al protagonista del romanzo di Thackeray. Le vicende di Andrew Robinson Bowes forniscono all’autore solamente gli elementi essenziali del romanzo, entrambi i personaggi infatti, sia quello reale che quello di pura finzione letteraria, appartengono alla piccola borghesia irlandese ed entrambi attraverso il matrimonio vengono elevati al rango nobiliare oltre ad ottenere un consistente patrimonio sposando delle ereditiere che alla fine si riveleranno più scaltre dei mariti riuscendo a metterli fuori gioco. Entrambi dilapideranno la fortuna delle consorti e saranno oppressi dai debiti di gioco, ma nelle pagine del romanzo, Barry Lyndon sarà anche un giocatore d’azzardo di professione oltre ad essere il protagonista di una discutibile carriera militare.

Forse, nel corso delle mie molteplici avventure non mi sono mai imbattuto nella donna adatta per me, e ho dimenticato, poco dopo, tutte le creature che avevo adorato; ma credo che, se mi fossi imbattuto in quella giusta, l’avrei amata per sempre.

Acquistare qualche migliaio di sterline l’anno a costo di una moglie odiosa è un pessimo investimento per un giovane di spirito e di talento.

Barry Lyndon è un personaggio irritante e senza scrupoli, è un antieroe. In un periodo storico in cui gli autori scrivono romanzi di formazione quello di Thackerey è tutto l’opposto.
Il lettore fin dalle prime pagine, ben guidato in tal senso da Thackeray, prova una sorta di diffidenza nei confronti del protagonista che si rivela da subito un personaggio antipatico e irriverente. Nel racconto della sua storia, dall’ascesa sino al suo declino, Barry Lyndon, distorce continuamente i fatti, non provando alcuna vergogna. Non cerca mai scuse per il suo comportamento scorretto e se, in rari casi, è costretto dagli eventi a cercare una sorta di giustificazione, lo fa con una naturalezza al limite dell’imbarazzante: la colpa è sempre degli altri.
Scrive le sue presunte memorie dalla prigione di Fleet ma non guarda al suo passato con tristezza, né con rimorso, la sua persona è tutto ciò che conta, l’attenzione è sempre puntata su sé stesso e il suo declino non è altro che la prova delle sue conquiste del passato.

Ma come è mutevole il mondo! Quando consideriamo quanto grandi ci sembrano i nostri dolori e quanto sono piccoli nella realtà; quante volte pensiamo di essere sul punto di morire di dolore e quanto rapidamente dimentichiamo tutto, penso che dovremo vergognarci di noi stessi e della mutevolezza del nostro cuore.

Thackeray dimostra di essere un profondo conoscitore dell’animo umano nonché un capace scrittore di satire; Barry Lyndon è indubbiamente un personaggio ben riuscito secondo l’intento moralistico prefissatosi dall’autore, servendosi di sarcasmo ed ironia Thackeray crea un personaggio che noi oggi potremmo definire uno snob. Attraverso la descrizione di quest’uomo privo di morale inoltre Thackeray mette in guardia i lettori da una società corrotta, dissoluta e ipocrita abitata da uomini privi di scrupoli, disonesti e depravati.

I grandi e i ricchi sono sempre ben accolti con grandi sorrisi sullo scalone del mondo, ma i poveri che hanno aspirazioni debbono arrampicarsi sulle pareti, o spingersi lottando sulle scale di servizio, o strisciare come talpe lungo le fogne della casa, non importa se sporche o strette purché portino in alto. I pigri senza ambizioni asseriscono che non vale la pena di arrivare in cima, abbandonando la lotta dichiarano di essere filosofi. Io dico che sono codardi poveri di spirito. A che cosa serve la vita se non per ottenere onori? E questi sono tanto indispensabili che vogliamo raggiungerli ad ogni modo.

Osare e il mondo si arrende sempre o, se qualche volta vi sconfigge, osate ancora ed esso soccomberà.

Questo romanzo è stata una delusione rispetto alle mie aspettative, il ritmo lento e la storia ripetitiva e monotona ne fanno un libro terribilmente noioso; mi aspettavo molto di più dall’autore di un capolavoro quale “Vanity Fair”. Il personaggio di Barry Lyndon è davvero troppo indisponente, ma il romanzo lascia però intravedere la grande capacità di Thackeray di descrivere l’animo umano, la sua visione cinica della società dove non sono sempre il bene e la virtù a prevalere.
Se volete leggere qualcosa esclusivamente per distrarvi e passare qualche ora lieta, vi consiglio di leggere un altro libro; da leggere assolutamente invece se desiderate conoscere più a fondo l’autore e le sue opere perché Barry Lyndon è un abbozzo del personaggio ben più riuscito di Becky Sharp (La fiera delle vanità), un’arrampicatrice sociale, priva di scrupoli e principi, che riuscirà a raggiungere il successo manipolando il prossimo. Becky Sharp come Barry Lyndon è fredda e calcolatrice, egoista ed arrivista, ma al contrario di Lyndon ha anche dei pregi: è una donna intelligente e colta mentre Lyndon disprezza la cultura e deride, guardandolo dall’alto in basso, chiunque la possieda. Becky sa riconoscere le proprie sconfitte e soffre quando deve cedere a bassi compromessi perdendo tutto ciò che ha guadagnato; solo lei è la causa dei suoi mali ed il lettore non può certamente giustificarla, ma è comunque portato a volte a provare un po’ di compassione nei suoi confronti. Non ci può essere nessun sentimento di pietà invece da parte del lettore per Barry Lyndon che è talmente sicuro di sé da non riconoscere neppure la propria caduta; il suo atteggiamento ed i suoi modi lo rendono un personaggio insopportabile, odioso ed irritante dalla prima all’ultima pagina.

lunedì 23 luglio 2012

“La Vergine azzurra” di Tracy Chevalier


Primo romanzo scritto da Tracy Chevalier, è stato pubblicato in Italia per la prima volta dopo il grande successo ottenuto dall’autrice con “La ragazza con l’orecchino di perla”.
Le vicende narrate in questo libro, come in tutta la produzione letteraria della Chevalier, sono inserite in un preciso momento storico descritto dettagliatamente che ci permette di conoscere non solo l’epoca di riferimento ma anche i particolari che caratterizzano i luoghi in cui la storia è ambientata.
A differenza degli altri però, in questo libro, il racconto si svolge in due epoche differenti, il passato (XVI secolo) e il presente: abbiamo così due storie parallele che si svolgono su due piani temporali diversi e che mantengono la loro indipendenza nei vari capitoli, svelandoci pagina dopo pagina indizi (il cognome Tournier/Turner, la professione levatrice/ostetrica) e punti di contatto (il colore dei capelli, la psoriasi, l’attrazione provata per un “altro” uomo), fino a convergere e sovrapporsi nel finale.
Il racconto inizia nel XVI secolo in un villaggio della Francia, Isabelle Du Moulin è una giovane dai capelli rossi che, proprio per questa sua caratteristica fisica, viene soprannominata “la Rossa”, nome dato anche alla statuetta della Vergine posta nell’edicola sul portale della chiesa del paese.
Un giorno arriva in paese un predicatore calvinista, Monsier Marcel, che con i suoi sermoni infiamma a tal punto gli animi degli abitanti del villaggio che questi, accecati dal fanatismo religioso, abbracciano totalmente e senza riserve la Riforma. Isabelle che già prima era vista con sospetto dai suoi compaesani per il colore dei capelli e per la professione della madre, una sage-femme, spesso sospettata di essere una strega, è costretta anch’essa alla conversione al calvinismo. Calvino sosteneva che i fedeli dovessero rivolgersi direttamente a Dio, non riconoscendo più il valore delle preghiere rivolte ai Santi e alla Madonna. Isabelle, per essere accettata dalla nuova comunità religiosa, è costretta a compiere un gesto estremo: distruggere con un rastrello la statuetta della Vergine Maria. Nonostante tutto però la ragazza non riuscirà mai ad dimenticare la dottrina della sua infanzia e segretamente continuerà a professare il cattolicesimo e ad essere devota al culto della Madonna. Isabelle, rimasta incinta di Etienne Tournier, un giovane fanatico, violento e succube della madre, diventerà sua moglie legando così la propria vita ed il proprio destino alla famiglia Tournier. Quando anni dopo, nella famosa notte di San Bartolomeo, i cattolici attaccheranno il villaggio per dare la caccia ai nobili ugonotti ed ai loro servi più fedeli, Isabelle con il marito, i tre figli (il crudele e coraggioso Petit Jean, il taciturno Jacob e la prediletta Marìè) insieme alla perfida suocera, sarà costretta a fuggire in Svizzera.
L’altra vicenda, quella che si svolge nel presente, vede protagonista Ella Turner, una giovane ostetrica americana, giunta in Francia dove ha deciso di trasferirsi con il marito Rick, un giovane architetto, che ha appena accettato un lavoro presso uno studio di Tolosa.
Ella nonostante le sue origini francesi, ha difficoltà ad ambientarsi nel nuovo paese non riuscendo a farsi accettare dai suoi nuovi concittadini, le stesse difficoltà che secoli prima aveva avuto Isabelle, la Rossa. Visto il molto tempo libero a disposizione, decide di prendere lezioni di francese e dedicarsi alla ricerca dei suoi antenati. Inizierà così un periodo di consultazione di biblioteche e archivi che la condurrà fino in Svizzera per fare la conoscenza di alcuni cugini di cui fino a pochi mesi prima ignorava l’esistenza. Tra le varie persone incontrate una su tutte sconvolgerà la sua vita, Jean Paul, un bibliotecario che la porterà ben presto a mettere in discussione non solo il suo metodo di indagine e le sue aspettative, ma anche il suo matrimonio.
Il punto di contatto tra la vicenda che si svolge nella metà del Cinquecento e quella del XX secolo è il sogno di Ella. Quando infatti quest’ultima, di comune accordo con il marito, decide di avere un bambino, improvvisamente inizia ad essere perseguitata da uno strano ed inquietante sogno che di volta in volta diviene più nitido fino a farle apparire una veste azzurra, di un azzurro luminoso e cupo allo stesso tempo. Durante le sue ricerche ritroverà la tonalità di quel colore nel manto di una Madonna raffigurata in un quadro del Seicento dipinto da Nicolas Tournier.
Nicolas Tournier è in effetti un pittore francese, realmente esistito, che nel periodo dal 1619 al 1626 visse a Roma, dove subì l’influenza delle opere del Caravaggio.
Il sogno è il vero  filo conduttore della vicenda che aiuta a svelare il legame che unisce le due donne: Isabella ed Ella.
Confesso che all’inizio questo romanzo mi è sembrato piuttosto lento e noioso, stentava a decollare e, in maniera inaspettata, la mia attenzione è stata risvegliata solo nel momento in cui ho iniziato a leggere il primo dei capitoli ambientati nell’epoca contemporanea.
Dopo un primo momento di comprensibile smarrimento, sono riuscita ad entrare nella storia ed alla fine devo ammettere che ho trovato questo libro una lettura piacevole.
Molti romanzi sono ambientati in diverse fasi storiche, sia che le vicende si svolgano tra passato e presente o più semplicemente si sviluppino nel corso dei secoli, non è quindi la struttura del romanzo in sé che mi ha stupita quanto piuttosto il fatto che Tracy Chevalier, la scrittrice di libri quali “L’innocenza” e “Strane creature” ne abbia fatto uso.
Questo libro non ha forse lo spessore degli altri romanzi, a volte può risultare anche un po’ banale e ingenuo, ma nell’insieme è un romanzo dalla scrittura scorrevole e dalla trama originale e piuttosto inquietante, insomma un bel mix di storia e mistero.

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sabato 7 luglio 2012

“Via col vento” di Margaret Mitchell (1900 – 1949)


Universalmente riconosciuto come uno dei capolavori del cinema, spesso ci si dimentica che “Via col vento” è prima di tutto un romanzo o meglio un classico della letteratura moderna americana. “Gone with the wind” (titolo che riprende un verso di una poesia datata 1891 di Ernest Dowson (1867-1900)  intitolata “Cynara”) fu pubblicato nel 1936 ed ebbe subito uno strepitoso successo di pubblico, regalando alla sua autrice Margaret Mitchell il premio Pulitzer nel 1937 e  la candidatura al premio Nobel per la letteratura nel 1938. A seguito del sorprendente numero di copie vendute, un caso senza precedenti 176.000 copie in meno di un mese, iniziarono quasi immediatamente le trattative col produttore cinematografico David O. Selznick per poter portare la storia sul grande schermo. Il film, prodotto dalla Metro Goldwyn Mayer, uscì nelle sale cinematografiche statunitensi nel 1939.

“Via col vento” è ambientato nel Sud degli Stati Uniti nel periodo della Guerra Civile. La storia ha inizio nell’aprile del 1861 a Tara, la piantagione di proprietà della famiglia O’Hara, dove la sedicenne Rossella O’Hara sta allegramente flirtando con i giovani Tarleton che le rivelano che il giorno successivo alle Dodici Querce, in occasione del pic-nic e del ballo, verrà annunciato il fidanzamento di Ashley Wilkes con la cugina Melania Hamilton. Il giorno dopo Rossella, segretamente innamorata di Ashley decide di dichiararsi ma viene rifiutata da quest’ultimo. Delusa e indispettita Rossella si accorge che Retth Butler ha assistito alla dichiarazione; umiliata e offesa la ragazza ha il primo di una lunga serie di scontri verbali con l’uomo di Charleston appena conosciuto. Nel frattempo scoppia la guerra e, poiché Ashley deve arruolarsi, il matrimonio viene anticipato; Rosella per ripicca decide di sposare il fratello di Melania, Carlo Hamilton. Il matrimonio ha una durata brevissima, Carlo parte quasi immediatamente per la guerra e muore poco dopo a causa di una malattia, lasciando la moglie vedova e madre del piccolo Wade. Rossella si trasferisce ad Atlanta dalla cognata a casa della zia di quest’ultima, zia Pittypat ma mal sopporta il suo stato di vedovanza e non manca di dare scandalo danzando in pubblico con il capitano Butler ad una festa di beneficienza. La guerra arriva ad Atlanta proprio quando Melania deve dare alla luce il figlio di Ashley, Beau. Mentre i Nordisti mettono a ferro e fuoco la città, Retth corre in soccorso delle due donne e, dopo aver rubato un vecchio ronzino e un carro, le conduce fuori da Atlanta. Da qui le donne proseguiranno in compagnia dei figli e della bambinaia, la sciocca ed impreparata Prissy, verso Tara. La situazione è disperata: la piantagione è in rovina, la madre di Rossella, Mrs Elena è morta ed il padre Mr. Geraldo è impazzito per il dolore. Rossella prende in mano le redini della situazione, rendendosi da subito conto di essere l’unica in grado di sopportare il pesante fardello. Nel 1865, finita la guerra, Ashley torna a casa e raggiunge Melania ed il figlio a Tara. Nel tentativo di superare le difficoltà economiche, Rossella si reca da Retth, ma questi in carcere con l’accusa di aver rubato i soldi dei Confederati, non può concederle il prestito. Pressata dall’urgenza di dover pagare le tasse, per non perdere Tara, Rossella decide di contrarre un matrimonio di interesse e sposa Frank Kennedy, fidanzato con una delle sue sorelle, proprietario di un emporio ed in procinto di allargare il suo giro di affari con l’acquisto di una segheria. Da questo secondo matrimonio nascerà una bambina di nome Ella. Rossella, approfondisce giorno dopo giorno la conoscenza con Retth, e alla fine il capitano Butler decide di prestarle il denaro per l’acquisto della segheria permettendo così alla donna di sottrarre l’affare al marito. Dopo la morte di Geraldo O’Hara, Ashley accetta la compartecipazione della segheria offertagli da Rossella e si trasferisce così ad Atlanta con la famiglia. Frank Kennedy rimane ucciso durante un’azione armata, nella quale lo stesso Mr Wilkes rimane ferito, contro degli sbandati che hanno assalito Rosella mentre si recava al lavoro. Questa, rimasta nuovamente vedova, accetta di sposare Retth. Il matrimonio all’inizio sembra funzionare, Retth vizia Rossella e soddisfa ogni suo capriccio (feste, gioielli, la costruzione di nuova casa arredata fastosamente ecc.) ma la lei non ha mai dimenticato Ashley e nel suo cuore continua a sperare di poter coronare un giorno il suo sogno d’amore. Retth riversa quindi il suo affetto sulla bambina nata dall’unione con Rosella, Diletta. Quando però la bambina muore, a seguito di una caduta da cavallo, il matrimonio naufraga definitivamente. A questa tragedia fa seguito quasi immediatamente una nuova disgrazia, la morte di Melania. L’amore tra Ashley e Rossella sembra a questo punto non avere più ostacoli, ma proprio in questo momento la donna si rende conto che il suo amore per Ashley non esiste più o meglio era solo un’infatuazione infantile ormai completamente superata, l’unico che lei abbia amato ed ama è suo marito.

“Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia” pensò con tristezza. “Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta con Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, così bello, così diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare il fantoccio… ma non lui.”
 
Consapevole ormai dei suoi veri sentimenti, corre a casa per dichiarare il suo amore a Retth, ma ormai è troppo tardi. Il capitano Butler stanco di lottare, la lascia. Rossella non si dà per vinta ed il libro, come il film, si conclude con la celebre frase:

“Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarò più forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo. Dopo tutto, domani è un altro giorno”.

A grandi linee ecco la trama di questo lunghissimo romanzo (872 pagine nell’edizione Oscar Mondadori) che, nonostante la mole, risulta scorrevole e avvincente, mai scontato o noioso. La trasposizione cinematografica, pur con una durata di 3 ore e 40 minuti, presenta inevitabilmente il taglio di alcune parti del racconto, perdendo così la completezza e la ricchezza di particolari che sono presenti nel libro. Il film ha dato particolare risalto alla storia d’amore tra Rossella e il capitano Butler, tanto che molte scene sono incentrate su questi due personaggi magistralmente interpretati da Vivien Leigh e Clark Gable.
Ci si è spesso interrogati nel corso degli anni se “Via col vento” sia da ritenersi un romanzo d’amore oppure un romanzo storico. Il libro effettivamente può essere letto sia come una storia d’amore sia come un resoconto storico della Guerra di Secessione e della successiva ricostruzione. Margaret Mitchell, dichiarò di aver pensato spesso allo sfondo storico di “Via col vento” senza però l’intenzione di inserirlo in un romanzo. Quando il libro fu accettato dall’editore il più grande timore dell’autrice fu proprio quello di aver commesso qualche errore di carattere storico; il suo lavoro però risultò così dettagliato e minuzioso da essere apprezzato persino da Henry Steele Commager, noto storico della Columbia University. Benché spesso l’interesse del pubblico e quello della critica sia stato attratto nel corso degli anni soprattutto dall’intreccio della vicenda sentimentale, Margaret Mitchell riteneva il suo libro il romanzo del Sud, dove Rossella O’Hara doveva essere la personificazione di Atlanta, il simbolo della caduta e della capacità di rialzarsi della città stessa. Il filo conduttore del romanzo è il mito del vecchio Sud e dell’innocenza perduta oltre ad un messaggio di speranza con cui affrontare i problemi della ricostruzione. Messaggio che fu ben accolto dal pubblico contemporaneo che aveva ancora un vivo il ricordo delle vicende storiche narrate nel romanzo e che, negli anni Trenta, era proprio all’inizio della ricostruzione del paese reduce dalla Grande Depressione.
Non tutta la critica fu ovviamente benevola nei confronti del romanzo non mancarono detrattori che accusarono la Mitchell di aver appoggiato valori di un mondo scomparso, di aver dato alla storia un alone mitico e troppo romantico; non mancarono inoltre critici che la accusarono di appoggiare troppo apertamente la causa sudista.
Margaret Mitchell non solo è riuscita a creare un affresco storico dettagliato e fedele alla realtà dell’epoca in cui si volgono le vicende ma ha avuto anche la grande capacità di renderlo vivo attraverso la descrizione dei suoi numerosi personaggi. Tutti, che siano protagonisti oppure semplici figure di passaggio, sono descritti con estrema precisione, e pur trattandosi di personaggi di pura finzione letteraria sembrano persone “vive” e reali.
Oltre a Rossella, la vera protagonista del romanzo, gli altri personaggi principali sono Ashley Wilkes, Melania Hamilton e Retth Butler; ognuno di essi rappresenta un modo diverso di affrontare il cambiamento, in un nuovo mondo dove o si hanno delle capacità di adattamento o inevitabilmente si soccombe.
Rossella è all’inizio del romanzo una ragazzina egoista e capricciosa, “troppo giovane e viziata per aver mai saputo che cosa fosse una sconfitta”. Vive circondata dall’affetto della sua inseparabile Mammy e da quello dei suoi genitori: la dolce e gentile Mrs Elena, della nobile famiglia dei Robillard, e Mr Gerardo O’Hara, un irlandese giunto in Georgia senza un soldo e che ha costruito con le proprie mani il suo impero, un uomo all’apparenza burbero e collerico, ma in realtà un’ottima persona. Rossella è circondata, grazie al suo carattere frivolo e civettuolo, da una moltitudine di giovani pretendenti, ma proprio per queste sue caratteristiche non è in grado di avere amicizie femminili ed ha un pessimo rapporto persino con le sorelle.
Retth Butler è un personaggio che può essere considerato il pendant maschile di Rossella, il capitano è una simpatica canaglia, una persona che non si trattiene dal dire quello che pensa qualunque siano le conseguenze, una persona che non si fa scrupoli per il proprio tornaconto. Entrambi si curano poco o nulla delle convenzioni sociali e delle buone maniere, ma mentre Rossella è mossa solo da egoismo, ogni sua azione anche meritevole viene da lei compiuta sempre in previsione di ottenere qualcosa che desidera, Retth dimostrerà in più di un’occasione di possedere gentilezza e bontà d’animo.

“Dite delle cose scandalose!”
“Scandalose e vere. Purché si abbia coraggio… e denaro, si può fare a meno della reputazione.”

Entrambi però, pur restando nei loro cuori fedeli al Sud, non si fanno scrupolo di sfruttare a loro beneficio la situazione venutasi a creare nel paese e, senza alcun senso di colpa, non disdegnano di far affari e frequentare i loro “conquistatori” pur non condividendone modi ed opinioni. Alla fine però Retth risulterà più debole di Rossella che dimostrerà fino all’ultimo una forza di carattere straordinaria. Nella loro storia d’amore il capitano Butler soccomberà davanti alla capricciosa e indomita Rossella, al punto di darsi per vinto e abbandonarla nonostante ne sia stato suo malgrado innamorato. Anche davanti alla morte dell’adorata figlia, Diletta, mentre Rossella sconvolta dal dolore riesce comunque ad elaborare il lutto, Retth cade in una profonda depressione che lo porta quasi alla follia. Rispetto al film, il libro mette in maggiore evidenza i punti deboli del carattere del capitano Butler indagando molto più a fondo i suoi sentimenti e mettendo in evidenza i suoi errori di gioventù ed i rapporti con la sua famiglia; il romanzo riesce quindi a darci un quadro più completo della sua complessa personalità.
Retth Butler è un personaggio bellissimo, dolce, forte, contradditorio ed amabile, non si può non innamorarsi di lui fin dalla sua prima apparizione; nessuno in cuor suo può capire perché Rossella sia così ottusa da non rendersi conto subito che Retth vale mille volte di più del “decadente” Ashley… Rossella invece o la si ama o la si odia, non esistono mezze misure nei sentimenti che si possono provare verso di lei, resterà fino alla fine una bambina frivola e viziata, spesso irritante, ma darà prova di una forza di volontà, di una pronta intelligenza, di una scaltrezza che non la si può comunque che ammirare al di là di essere d’accordo o meno con i suoi metodi. Rossella ama solo se stessa e Tara, ma anche l’amore per Tara è in fin dei conti un amore egoistico, perché da buona irlandese, figlia di Mr Geraldo O’Hara, da quella terra riesce a trarre non solo sostentamento ma anche la forza per affrontare le avversità e i momenti bui della vita:

“La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa” urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione “perché è la sola cosa al mondo che rimane e, non dimenticarlo! La sola per cui valga la pena di lavorare, di lottare…di morire”.

L’altra coppia, quella formata da Ashley e Melania, è la coppia rivolta al passato. Melania è una donna apparentemente debole, ma che proprio grazie alla sua debolezza riesce ad essere fonte di forza per tutti coloro che ruotano intorno a lei: il marito, Rossella e lo stesso Retth che ha per lei un rispetto incondizionato. Melania ama Rossella come una sorella, non concepisce il tradimento e la cattiveria perché sono lontani dal suo cuore, non può vedere il male perché per lei il male non esiste. Pur nella sua debolezza dimostra più di una volta la forza di una tigre quando si tratta di difendere le persone che ama. Melania continua a vivere nel passato pur rendendosi conto che le cose sono cambiate, ma riesce a farlo con il sorriso, nel cambiamento preferisce accontentarsi del poco che le rimane pur di non soccombere e dimenticare se stessa, le proprie idee e la propria identità. Nel libro Melania è un personaggio positivo e, anche se a volte la sua infinita bontà risulta un po’ imbarazzante e al limite della credibilità, è una persona vera con sentimenti veri, paure e preoccupazioni come ogni altro. Nel film invece il suo è un personaggio stucchevole e ne viene data l’immagine che ne ha Rossella cioè quella di un’inutile bambola di porcellana, senza tener conto della vera personalità di Melania né dell’opinione che le persone che la circondano hanno di lei.
Ashley Wilkes, nel libro come nel film, è l’opposto di Rossella. Lei è una donna piena di vita, vivace, allegra ma priva di cultura; lui è invece un uomo colto, che ha viaggiato nel vecchio continente, i cui principali interessi sono l’arte, la letteratura, la poesia, ma è anche una persona che vive in un mondo tutto suo, è un sognatore, un uomo che passa le sue giornate a riflettere, che ama pensare, ma non agire.

 “egli viveva in un mondo interiore molto più bello della Georgia, e tornava malvolentieri alla realtà”.

Ashley è l’emblema di chi non è riuscito ad affrontare il cambiamento, lui che aveva sempre vissuto in una realtà tutta sua, non riesce a trovare né la volontà né la forza di adattarsi al nuovo mondo. Vive aggrappandosi al passato e, come un parassita, trae sostentamento e forza da sua moglie Melania e da Rossella che lo accudiscono come se fosse un bambino.

“Ashley è un bravissimo uomo!” lo difese Rossella con fervore.
“Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c’è Melania che vince le difficoltà; non Ashley”.

Ormai disilluso comprende di essere stato sconfitto dalla vita, è quando muore la moglie resta solo un uomo terrorizzato, smarrito e debole.
Ho visto il film innumerevoli volte e ogni volta è stata un’emozione, per questo motivo per molto tempo sono stata restia a leggere il libro, temevo che potesse essere una delusione. Ora posso dire che mi spiace non aver letto prima il romanzo. Per quanto possa essere intrigante ed interessante, il film non eguaglierà mai la completezza e la ricchezza del libro. Come ho già sottolineato precedentemente alcune parti nel film sono state tagliate, perdendo così non solo il racconto della maggior parte degli avvenimenti storici dell’epoca, come il racconto di alcune celebri battaglie o i riferimenti al Ku Klux Klan, e la possibilità di conoscere molti personaggi secondari interessanti che non figurano sul grande schermo come ad esempio Mrs Tarleton, Cade Cavet, Franco Picard, i figli di Rossella Wade ed Ella avuti rispettivamente dal Carlo Hamilton e da Frank Kennedy, e molti altri come lo zio Pietro, Dilcey, Will Benteen… ma soprattutto nel film non abbiamo nessun riferimento alle interessantissime pagine che raccontato la storia di Mr O’Hara e della bella e nobile Elena Robillard. Inoltre ci sono alcuni punti del film che hanno decisamente semplificato la storia, come la morte di Geraldo O' Hara avvenuta sì per una caduta da cavallo, ma in circostanze ben diverse da quelle raccontate sul grande schermo…
Basta, mi fermo qui, ho già anticipato troppe cose! Se avete amato il film dovete leggere assolutamente il libro!
Un’ultima cosa: il romanzo merita davvero di essere letto, ma dovrete avere tanta pazienza per la traduzione (mi riferisco all’edizione Classici Moderni Oscar Mondadori), incontrerete infatti moltissime frasi dove le scelte dei tempi e dei modi verbali sembrano essere estratte a caso da un bussolotto…qualche esempio?

Se sorridere, civettare ed essere sventate poteva attrarlo, civetterebbe con piacere e sarebbe più sventata di Caterina Calvert. E se erano necessarie misure più ardite, ebbene! Le prenderebbe.

oppure

Sapeva che, se cominciasse, piangerebbe come quella volta nella criniera di cavallo, durante la tremenda notte della caduta di Atlanta (…)





martedì 26 giugno 2012

“Il giardino dorato” di Harry Bernstein


Harry Bernstein (1910-2011) nato vicino a Manchester, figlio di ebrei polacchi, emigrò con la famiglia negli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale. Lavorò dapprima come lettore per diverse case cinematografiche, selezionando soggetti per il grande schermo, e successivamente come redattore per alcune riviste commerciali. Collaborò inoltre come freelance per varie testate giornalistiche.
Dopo la morte della moglie, avvenuta nel 2003, all’età di 92 anni si dedicò alla scrittura del suo primo libro “The invisible wall” (Il muro invisibile), che ottenne subito un buon successo di critica e di pubblico. Tradotto in diversi paesi, fu finalista nel 2008 al Premio Bancarella.
Seguirono poi “The dream” (Il sogno infinito) e “The golden willow” (Il giardino dorato).
Il suo ultimo romanzo “ What happened to Rose?” (La sognatrice bugiarda) è stato pubblicato postumo nel 2012 ed è un omaggio dedicato alla sorella Rose.

I libri di Bernstein sono tutti romanzi autobiografici e l’autore risulta immediatamente abilissimo a tenere incollato il lettore alle pagine coinvolgendolo e appassionandolo alle sue storie di vita vissuta.
I romanzi sono toccanti, avvincenti e delicati. Non si può che rimanere commossi leggendo le vicende della famiglia Bernstein e delle persone che hanno fatto parte della loro vita.
Attraverso una scrittura semplice e scorrevole, conosciamo la madre di Harry una donna forte, coraggiosa e tenace, disposta a fare qualunque sacrificio per i propri figli e pronta a subire qualunque umiliazione per il loro benessere; la figura materna è in aperto contrasto con quella del padre, un uomo aggressivo, egoista e solitario, che sperpera al pub tutto ciò che guadagna. Facciamo inoltre conoscenza con i fratelli di Harry dai caratteri così diversi gli uni dagli altri e con le sorelle: la dolce e intelligente Lily e la ribelle Rose.

Ne “Il muro invisibile” Bernstein ci racconta la sua infanzia trascorsa in un quartiere operaio del Lancashire dove vivevano, separati da un'invisibile barriera, cristiani ed ebrei. Forte era l’avversione che le due comunità provavano l’una per l’altra; in quella strada fatta di povere case di mattoni tutte uguali si fronteggiavano due mondi distanti, separati da credenze e usanze diverse, da pregiudizi che portavano a continue lotte e scontri fra le due fazioni. Nonostante questo però c’era ancora spazio per la speranza, la possibilità di aprire una breccia in quel muro invisibile eppur così solido: Lily e Arthur, tra difficoltà ed ostacoli, riusciranno a coronare il loro sogno d’amore e far accettare la loro unione “mista” alle rispettive famiglie. Quando Harry avrà dodici anni, le speranze della madre finalmente si realizzeranno: un giorno il postino recapiterà una busta con i biglietti per poter raggiungere i parenti negli Stati Uniti. Inizierà così per Harry e la sua famiglia una nuova avventura, quella del sogno americano…

“Il sogno infinito” è proprio il racconto della vita di Harry una volta giunto negli Stati Uniti. Le cose finalmente sembrano girare nel verso giusto per la famiglia Bernstein, ma quando ogni desiderio sembra ormai essersi realizzato arriva la Grande Depressione. Tutto ricomincia daccapo: le liti col padre, la miseria, le umiliazioni, la difficoltà di trovare un lavoro…

“Il giardino dorato” potremmo definirlo la terza e conclusiva “puntata” della storia di Harry Bernstein. Il titolo originale dell’opera è “The golden willow”, in ricordo del salice dorato a Central Park simbolo dell’affetto e della passione tra Harry e la moglie che avevano fatto l’amore per la prima volta proprio sotto quei rami lunghi e sottili che ricadevano con grazia fino a toccare terra, gonfiandosi come la gonna di un abito da ballo di una volta. In questo libro Bernstein ripercorre gli anni trascorsi accanto a Ruby, 67 anni di gioia, tenerezza, amicizia, sogni, speranze, vittorie ma anche di sacrifici condivisi e di dolore per la perdita delle persone care. La narrazione si snoda tra il presente, il passato recente ed il ricordo degli anni ormai lontani nel tempo. E’ davvero struggente il sentimento di tenerezza con cui lo scrittore ricorda gli anni vissuti accanto alla moglie ed è estremamente toccante la rievocazione di ogni singolo semplice particolare. Ogni piccola cosa che sia un comune trasloco, un aneddoto sull’educazione dei figli, una cena in famiglia ci vengono raccontati con una delicatezza che non può non emozionare il lettore. Ma quello che colpisce di più è l’amore che unisce questa coppia, un amore totale fatto di comprensione, rispetto e complicità. Un amore incondizionato, assoluto che farà pronunciare ad Harry le seguenti parole: “guardandola e ascoltando il suo respiro, pensai: Beh, ecco la ricompensa per tutto quello che non ho fatto”.
Quando la moglie muore di leucemia, Harry si sente completamente e comprensibilmente solo, abbandonato. Nonostante tutti cerchino di convincerlo che solo il tempo potrà curare le sue ferite, lui sa, dentro di sé, che il tempo non potrà mai alleviare il dolore della perdita e capisce che l’unica cura che potrà aiutarlo a lenire il suo tormento sarà la scrittura.
In questo ultimo libro non ritroviamo né lo struggimento per i tempi andati che faceva da filo conduttore ne “Il muro invisibile” né la rabbia verso le continue difficoltà della vita, tema principale ne “Il sogno infinito”. “Il giardino dorato” è il romanzo della rassegnazione e dell’accettazione della vecchiaia. Malinconiche e davvero emozionanti sono le pagine in cui Harry deve prendere coscienza del decadimento fisico che è sopraggiunto: le sempre più frequenti cadute durante le passeggiate, le difficoltà sempre maggiori nell’affrontare la vita quotidiana, il doversi adattare ad usare il deambulatore nonostante l’ostinazione iniziale di volerne e poterne farne a meno…
Al di là dell’amarezza e dell’avvilimento però c’è anche la consapevolezza di aver vissuto una vita piena, di aver avuto accanto una persona eccezionale e dei figli meravigliosi, aver conosciuto delle persone speciali e aver realizzato, ormai ultranovantenne, il “suo” grande sogno: diventare uno scrittore.
                                                                                                                                      
2008
Adesso vivo da solo, ma non sono realmente solo. La mia mente è popolata dalle persone di cui scrivo da almeno cinque anni. Oggi che questo, il mio terzo libro, è finito ho raccontato tutta la storia della mia vita dal momento in cui sono nato all’istante in cui morirò, o quasi. Ormai sono vicino ai cent’anni, perciò immagino non possa essere troppo lontano.

Il libro è anche un libro di speranza, la speranza che nella vita non sia mai troppo tardi per realizzare i propri desideri perché la vita è possibilità…

Alla fine ho sperimentato quel momento di gloria che avevo sempre agognato, che forse tutti agognano, e mai nel corso di questi ultimi anni sorprendenti, che al massimo potevo aspettarmi di trascorrere in pace e tranquillità, mai mi sono sentito così gratificato come quando ho iniziato a ricevere premi per i miei libri.

Spesso ne “Il giardino dorato” Bernstein fa riferimento a storie ed eventi già raccontati nei precedenti romanzi e ciò rende inevitabilmente necessario aver letto gli altri volumi per poterne apprezzare a pieno la lettura.
Un consiglio: leggeteli tutti! Perché raramente si trovano storie vere che lasciano il segno come nel caso dei libri di Bernstein.



giovedì 14 giugno 2012

“Aspettami ed io tornerò” (Konstantin M. Simonov)


Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c'è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.

Aspettami ed io tornerò,
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più,
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro
in memoria dell'anima mia...
Aspettami. E non t'affrettare
a bere insieme con loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro.


Konstantin M. Simonov (San Pietroburgo 1915 – Mosca 1979), scrittore e uomo politico, riuscì a coniugare perfettamente la sua attività letteraria ed i suoi impegni istituzionali. Ricoprì, infatti, alte cariche di governo: fu deputato del Soviet Supremo dell’URSS e membro (dal 1949) del Praesidium del Comitato sovietico per la difesa della pace.
Esordì nel 1937 come letterato con alcuni poemi storici, ma è alla sua attività di drammaturgo che deve soprattutto la sua fama.
Durante la seconda guerra mondiale fu corrispondente dal fronte per il giornale “Stella Rossa” e pubblicò versi, schizzi e racconti di guerra. Ampia notorietà gli procurarono in questo periodo le sue poesie d’amore.
“Aspettami ed io tornerò”, in cui un soldato chiede alla sua amata di aspettarlo e credere ad un suo ritorno nonostante tutti intorno a lei abbiano ormai abbandonato le speranze, fu scritta da Simonov per la sua futura moglie, l’attrice Valentina Serova; questa poesia ebbe un grandissimo successo all’epoca ed ancora oggi è una delle più famose e conosciute poesie in lingua russa.
Ispirati alla guerra scrisse diversi drammi tra cui “Gente russa” (1941) oltre al romanzo “I giorni e le notti” (1943-44), dedicato alla difesa di Stalingrado.
Dopo la guerra la sua attenzione fu rivolta ai problemi di politica internazionale sia nei suoi versi che nei suoi drammi.
Da molte delle sue opere (drammi e romanzi) sono stati tratti dei film. 


sabato 9 giugno 2012

“Il trono di spade” di George R.R. Martin


Primo volume della saga scritta da George R.R. Martin che ha conquistato milioni di lettori, “Il trono di spade” è ambientato in un mondo fantastico con forti richiami all’epoca medievale, pervaso da intrighi politici e scandali, dove gli inverni e le estati durano intere generazioni.
Robert Baratheon, re dei Sette Regni, richiama a corte il suo vecchio amico e compagno d’armi, Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, per conferirgli il titolo di Primo Cavaliere, principale carica del regno, seconda solo a quella del sovrano stesso.
Nel frattempo Lady Lysa Tully di Delta delle Acque, moglie del defunto Primo Cavaliere Jon Arryn Lord di Nido dell’Aquila, avverte la sorella, Lady Catelyn moglie di Eddard Stark, dei suoi più che fondati sospetti sull’assassinio del marito per mano dei Lannister di Castel Granito (famiglia della regina Cersei, moglie di re Robert). Appena divenuto Primo Cavaliere, Lord Stark, giunto a corte inizia a svolgere indagini personali sul presunto assassinio del suo predecessore.
Al di là del mare, il giovane Viserys e sua sorella Daenerys, figli di Aerys II, detto il Re Folle, discendenti della famiglia reale dei Targaryen, Signori dei draghi, si adoperano per riconquistare il Trono di spade perso durante la sanguinosa guerra che aveva portato su quello stesso trono proprio Robert Baratheon.

Nel frattempo i conflitti sempre più accesi tra le casate degli Stark, Lannister e Baratheon oltre a quelli con le altre nobili famiglie dei Tully, Arryn, Tyrrell e Greyjoy spingono gli eventi verso una guerra di proporzioni epiche.
Nell’estremo nord, alla Barriera – un’immensa muraglia eretta per difendersi da qualunque essere umano e non umano viva al di là di essa – i Guardiani della notte, sempre meno numerosi e sempre più abbandonati a se stessi, cercano di tenere lontani i pericoli che minacciano il regno.
Il motto degli Stark “L’inverno sta arrivando” è ogni giorno più realistico, l’inverno arriverà presto e con esso arriveranno anche gli Estranei, creature demoniache, una specie di “non morti” dagli occhi azzurri e gelidi…
I protagonisti della saga sono tantissimi, ma fortunatamente il libro è fornito di precise tavole descrittive dei vari personaggi e da mappe dettagliate del territorio. Lontanissimo dall’idea del fantasy del “Signore degli Anelli” di Tolkien, “Il trono di spade” è comunque una saga fantasy sotto tutti gli aspetti. E’ vero che all’inizio sembra non esserci nulla di fantastico, ma è solo apparenza, Martin, infatti, introduce l’elemento fantasy poco per volta; attraverso il racconto dell’estinzione dei draghi in un’epoca non molto remota, il ritrovamento dei cuccioli di meta-lupo da parte degli Stark, i continui riferimenti agli Estranei, l’autore ci introduce in un mondo dove comprendiamo che l’elemento magico avrà un ruolo essenziale nella storia.
Il racconto viene ripartito in capitoli dove si narrano le vicende suddivise in base al personaggio protagonista del brano. Questo ci regala un romanzo ben strutturato, che ci sottopone i punti di vista differenti dei personaggi, spingendoci a prendere posizione parteggiando ora per l’uno, ora per l’altro dei protagonisti. Intrighi, passione, amore, duelli, incesti, segreti, tradimenti, non sembra mancare proprio nulla in questa saga dove crudeltà e sete di potere sono gli elementi principali.
Non esiste però una netta divisione tra bene e male, la psicologia di ogni singolo personaggio viene ampiamente indagata e di ognuno vengono evidenziate caratteristiche e passioni umane (orgoglio, amore, passione, gelosia ecc.); vengono presentate infinite sfumature della personalità di ogni protagonista così come sono indagati a fondo i rapporti tra i vari personaggi. Jon Snow, il bastardo, figlio di Eddard Stark e di una donna misteriosa di cui tutti ignorano l’identità, ad esempio viene identificato non solo attraverso le sue caratteristiche fisiche e morali, ma anche attraverso i suoi rapporti con i vari fratellastri (la complicità con Arya, la freddezza di Sansa nei suoi confronti, il rispetto reciproco che lo lega a  Rob, l’affetto corrisposto verso i più piccoli Bran e Rickon), con il padre che lo ama come gli altri figli nonostante gli ricordi la sua debolezza, con Lady Catlyn che lo odia perché simbolo vivente del tradimento del marito, con Theon Greyjoy che lo disprezzo in quanto bastardo, con lo stesso Tyron Lannister che vede in lui riflessa la sua “diversità” e decide di dispensargli qualche perla della sua “saggezza”:

Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un’armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.

Non esistono eroi immortali, tutti possono morire, tutti possono cadere sia i protagonisti veri e propri, sia i personaggi minori; cadono i potenti, i ricchi, i colpevoli così come gli innocenti e i poveri; tutto questo rende il racconto molto reale e grazie anche alla capacità di Martin di descrivere perfettamente gli eventi, la storia è emozionante, appassionante, coinvolgente tanto da riuscire a tenere incollato il lettore fino all’ultima pagina del libro.
Esiste una trasposizione cinematografica della saga a cura della HBO, trasmessa in Italia da Sky, che ha già mandato in onda la prima e la seconda stagione della serie televisiva. Indubbiamente vedere la serie TV aiuta a conoscere meglio i personaggi perché sono davvero tantissimi, ma devo dire che non ho apprezzato affatto, soprattutto nella prima serie (corrispondente al primo volume o primi due volumi a seconda dell’edizione Mondadori scelta), le esasperate scene di sesso e violenza in quanto a differenza di quelle presenti nel libro sono il più delle volte fini a se stesse e, non essendo pertanto necessarie al racconto, risultano spesso fastidiose.
“Il trono di spade” è una saga lunghissima e il suo autore ritiene siano necessari 7 volumi per raccontare l’intera storia. In Italia, per le solite ragioni commerciali, i volumi già pubblicati ed editi da Mondadori, sono stati divisi in due libri, creando così non poca confusione.
Cercando di mettere un po’ di ordine…

Volume 1 – A Games of Thrones
Il trono di spade
Il grande inverno
pubblicati recentemente anche in unico volume

Volume 2 – A Clash of Kings
Il regno dei lupi
La regina dei draghi
pubblicati recentemente anche in unico volume

Volume 3 – A Stormo f Swords
I fiumi della guerra
Il portale delle tenebre

Volume 4 – A Feast for Crows
Il dominio della regina
L’ombra della profezia

Volume 5 – A Dance with Dragons
I guerrieri del ghiaccio
I fuochi di Valyria
La danza dei draghi 

I titoli dei volumi 6 e 7 dovrebbero essere “The Winds of Winter” e “A Dream of Springs”.
Buona lettura!




venerdì 1 giugno 2012

O Captain! My Captain! (Walt Whitman)


O Captain! My Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather'd every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring
But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.

O Captain! My Captain! rise up and hear the bells;
Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills;
For you bouquets and ribbon'd wreaths-for you the shores a-crowding;
For you they call, the swaying mass, their eager faces turning
Here Captain! dear father!
This arm beneath your head;
It is some dream that on the deck,
You've fallen cold and dead.

My Captain does not answer, his lips are pale and still;
My father does not feel my arm, he has no pulse nor will;
The ship is anchor'd safe and sound, its voyage closed and done;
From fearful trip the victor ship comes in with object won
Exult, O shores, and ring, O bells!
But I with mournful tread,
Walk the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.


O capitano! Mio capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l'ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia, l'audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O capitano! Mio capitano! alzati e ascolta le campane; alzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto, freddato.

Ma non risponde il mio capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio capitano
Caduto morto, freddato.


Walt Whitman (1819 – 1892), poeta e scrittore, è oggi considerato il maggior esponente della poesia dell’Ottocento americano. Fu autore della famosa raccolta di poesie “Foglie d’erba”, opera che venne pubblicata in diverse edizioni.
La poesia “O Captain! My Captain!” fu scritta nel 1865 per la morte del presidente Abraham Lincoln, assassinato quello stesso anno.
L’ode è infatti ricca di riferimenti metaforici alla vicenda: la nave che, sotto il comando del suo comandante porta a termine il duro viaggio, è un chiaro richiamo agli Stati Uniti d’America che, sotto il comando del loro Presidente/Padre della Patria, escono vittoriosi dalla sanguinosa guerra di secessione.
Questa poesia è stata resa celebre sul grande schermo grazie al bellissimo film del 1989, diretto da Peter Weir, “L’attimo fuggente” (titolo originale “Dead Poets Society”), di cui divenne il filo conduttore.
Il professor John Keating, interpretato da Robin Williams, si avvale proprio della poetica di Walt Whitman ed in particolare di questa ode, per spiegare ai ragazzi il vero senso della poesia:

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino, noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria, sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, sono queste le cose che ci tengono in vita.


“O Capitano, mio capitano!” Chi conosce questi versi? Non lo sapete? È una poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincoln. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”.