domenica 16 agosto 2015

“Piccoli esperimenti di felicità” di Hendrik Groen

    PICCOLI ESPERIMENTI DI FELICITA’
di Hendrik Groen
LONGANESI
Hendrik Groen ha 84 anni e un quarto e vive in una casa di risposo di Amsterdam.
Non ha nessuno al mondo a parte una moglie che soffre da anni di sindrome maniaco depressiva ed è ricoverata in un altro istituto. Va a trovarla ogni sei mesi circa, ma lei ormai sembra non riconoscerlo più. Avevano una sola figlia morta bambina all’età di appena quattro anni.

Hendrik Groen sa di essere considerato da tutti un uomo affabile e gentile, ma ripensando alla sua vita si rende conto che lui non è proprio così come gli altri lo vedono.
Troppe volte si è ritrovato nel corso degli anni a dire “sì” quando avrebbe voluto urlare “no” e questo semplicemente perché non ha mai trovato il coraggio di essere altrimenti e di agire diversamente.
Ma ora ha deciso che le cose dovranno cambiare, per una volta darà voce al vero Hendrik Groen, così per un anno terrà un diario fedele, aggiornato e senza censure di ciò che accade nell’ospizio.
Al termine dell’anno, che per la precisione è il 2013, Hendrik deciderà se continuare a vivere ed attendere una nuova primavera oppure se procurarsi la pillola del dolce sonno perché non più in grado di sopportare l’idea di vivere nella desolante attesa della fine.

Compagni di avventura sono gli altri cinque componenti del club VEMAMIMO ovvero vecchi-ma-mica-morti.
Insieme ai suoi compagni di viaggio Ever, Edward, Grietje, Eefjee Graeme ai quali si aggiungeranno in un secondo tempo una coppia, marito e moglie, di anziani cuochi, Hendrik Groen esaurirà desideri sempre repressi e farà nuove esperienze alla ricerca di un po’ di felicità.

A turno ogni socio dovrà organizzare un’uscita per i membri del club tenendo ovviamente conto delle difficoltà motorie e non solo dei partecipanti: leggeremo quindi di lezioni di golf, tour enogastronomici, lezioni di cucina, di arti marziali, di disegno.

E pur vero che anche all’interno del ricovero il personale è solito organizzare attività ricreative per gli ospiti tra cui perfino un corso di ginnastica, ma tutto oltre ad essere regolamentato da una disciplina ferrea, è sempre proposto in modo impersonale ed organizzato freddamente così come con civile freddezza vengono trattati gli anziani.

I componenti del club vecchi-ma-mica-morti invece sono un gruppo un po’ goliardico che vuole provare a dare un senso alla propria vita per quanto breve essa possa ancora essere, sono sei anziani che si vogliono divertire secondo le loro regole.
I membri del club VEMAMIMO sono molto affiatati tra loro, sono profondamente legati dall’amicizia e dal rispetto reciproco, inoltre sono sempre disponibili se uno di loro ha bisogno di aiuto.

Proprio questo fa la differenza: l’umanità, il senso di appartenenza ad un gruppo e la consapevolezza di poter essere ancora utili a qualcuno è ciò che permette a Hendrik Groen di voler proseguire l’avventura della vita.

Tutto può essere riassunto in due frasi tratte dal diario di Hendrik Groen:

finchè ci sono progetti c’è vita
  
avere belle prospettive è importante per mantenere la voglia di vivere

Sono proprio i progetti, i sogni ancora da realizzare, la voglia di mettersi in gioco ed il desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo che ci fa desiderare di vivere, sta a noi riuscire a trovare gli stimoli giusti per andare avanti anche se ormai intravediamo il capolinea della nostra esistenza.

Il libro è divertente e comico, l’anziano che fa truccare la carrozzina elettrica dal nipote come fosse un ragazzino alle prese con il suo motorino, gli scherzi e le battute di Evert, il traffico da ore di punta per l’ingresso e l’uscita dagli ascensori tra sedie a rotelle, bastoni e girelli, le esercitazioni antincendio dall'improbabile riuscita.
Non si può dimenticare però che “Piccoli esperimenti di felicità” è un libro che parla di persone anziane con tutto ciò che questo comporta: malattie, pillole, pannoloni, lutti ed allora inevitabilmente scende spesso anche un velo di tristezza.

Con tanta ironia e grazia Hendrik Groen porta il lettore a riflettere su temi delicati come l’eutanasia, la qualità della vita degli anziani nelle case di riposo, i costi della pubblica assistenza.

Ciò che è davvero apprezzabile del diario di Hendrik Groen è che il protagonista non si piange mai addosso o almeno non più di quanto sia umanamente possibile.
Non tralascia ovviamente di evidenziare i lati negativi della vecchiaia e condanna la freddezza e la superficialità con cui gli anziani sono trattati, ritenuti solo un costo ed un peso per la società in quanto non più produttivi.

Allo stesso tempo però è imparziale nell’evidenziare che se da un lato ci sono comportamenti irrispettosi da parte dei giovani nei confronti degli anziani questi stessi talvolta non fanno nulla per rendersi più gradevoli.
Per Hendrik Groen gli anziani potrebbero essere ancora una risorsa per la società moderna, ma troppo spesso si lascino andare trascurando il loro aspetto esteriore, emanando cattivi odori e lamentandosi continuamente di tutto e di tutti, rimpiangendo i tempi andati come se ogni cosa nel passato fosse stata migliore:

(…) all’epoca e solo all’epoca. Vivete un po’ il presente, mummie!

“Piccoli esperimenti di felicità” è un libro che fa sorridere, riflettere e talvolta rattrista, ma fa tutto parte della vita ed il segreto sta proprio nel riuscire ad accettarlo.

Due parole ancora sull’autore. Hendrik Groen è uno pseudonimo dietro il quale si cela uno scrittore misterioso, quasi nulle sono le informazioni sulla sua identità.
Le ipotesi sono diverse qualcuno ritiene che sia uno scrittore olandese famoso, qualcuno un comico, altri che sia davvero un anziano signore.
Qualunque sia l’identità dell’autore, di certo il libro si è rivelato un caso editoriale in Olanda con la sua permanenze per numerose settimane ai vertici delle classifiche ed è stato già pubblicato in moltissimi paesi.  

In Italia il romanzo uscirà in libreria il primo ottobre 2015 edito da Longanesi.
Colgo l’occasione per ringraziare la casa editrice per avermi dato la possibilità di leggerlo in anteprima e fare così la conoscenza dell’intrigante e irresistibile Hendrik Groen, vecchietto adorabile, ma non troppo che non potrà non conquistarvi.




giovedì 13 agosto 2015

“Austenland: a novel” di Shannon Hale

AUSTENLAND
A NOVEL
di Shannon Hale
BLOOMSBURY
Protagonista del libro è Jane Hayes, apparentemente una normalissima trentaduenne newyorkese, ma nella realtà una giovane ossessionata da un’insana passione per Mr. Darcy.

Amante di Jane Austen e delle sue opere, è affascinata dalla trama di “Orgoglio e Pregiudizio”, ma ancor di più è affascinata dal Mr. Darcy interpretato da Colin Firth nell’adattamento della BBC del 1995.

Quella di Jane per Mr. Darcy è una vera e propria malattia che le impedisce di vivere serenamente qualunque relazione con uomini reali, cosa che getta nello sconforto non solo sua madre, ma anche la sua più cara amica Molly poiché entrambe vorrebbero vederla felicemente accasata.

Alla morte della sua prozia Carolyn, riceve da questa una strana e gradita eredità: un viaggio in Inghilterra e un soggiorno di tre settimane ad Austenland.

Austenland è una specie di villaggio turistico nel quale gli ospiti possono immergersi totalmente nell’atmosfera dell’epoca Regency.
All’interno di Austenland non è permesso portare nulla di moderno che sia biancheria intima o uno smartphone, non è permesso inoltre nessun contatto con il mondo esterno.

Il viaggio non è rimborsabile e Jane accetta felice di poter partecipare a questa entusiasmante avventura, certa che lì potrà incontrare finalmente il gentleman perfetto che attende da una vita, poco importa se sia tutta una finzione.

Nonostante l’amore per i romanzi della Austen, non sarà facile però per Jane calarsi immediatamente nella parte assegnatale e destreggiarsi, agghindata di pizzi e merletti, sulla scena laddove non si capisce più dove finisca la realtà e inizi l’inganno.

Gli incontri non mancheranno: sarà Martin, il bel tenebroso giardiniere o l’ideale e compunto Mr. Nobley, perfetta incarnazione di Mr. Darcy, a conquistare il cuore di Jane Hayes? Riuscirà Jane a guarire dalla sua ossessione?

Il libro non è mai stato tradotto in italiano e la sua prima edizione negli Stati Uniti è del 2007. Ad “Austenland: a novel” l’autrice ha fatto seguito con un altro volume intitolato “Midnight in Austenland”.

Nel 2013 “Austenland” è stato portato sul grande schermo (titolo del film in italiano “Alla ricerca di Jane”) ed il ruolo di Jane Hayes è stato interpretato da Keri Russell mentre i ruoli di Martin e di Mr. Nobley sono andati rispettivamente a Bret McKenzie e JJ Field.

Credo che sia uno dei pochi casi in cui la trasposizione cinematografica sia migliore del libro da cui è stata tratta.
Non sto dicendo che il film sia un capolavoro, ma senza dubbio risulta più scorrevole e piacevole del romanzo; una visione più che gradevole per gli appassionati del genere come me.

Devo ammettere che il film è a tratti davvero demenziale, ma è divertente e comico nel suo essere sopra le righe, riuscendo sempre a strappare un sorriso allo spettatore.
Il libro invece non risulta convincente perché troppo abbozzato; non altrettanto spiritoso e spassoso della versione cinematografica, tradisce inoltre l’aspettativa del lettore di potersi confrontare con riferimenti e richiami alle opere di Jane Austen molto più profondi e numerosi.

Lo stesso personaggio di Jane Hayes uscito dalla penna di Shannon Hale sembra piuttosto scialbo e sbiadito, privo di carattere e forza, così come piuttosto discutibili sono i racconti dei vari fidanzati di Jane che fanno da introduzione ad ogni capitolo del libro.
E’ vero che nella seconda parte del romanzo Jane decide di prendere in mano le redini del gioco, ma non convince mai totalmente.
Diverso invece nel film dove il cambiamento di rotta è ben marcato grazie anche ad una buona interpretazione di Keri Russell.
Del resto mentre nel libro Jane ha ricevuto in eredità la possibilità di vivere la sua avventura, qualcuno quindi la indirizza e lei nonostante tutto prova indecisione; nel film la protagonista sceglie volontariamente di andare in Inghilterra ed è disposta a tutto anche a rinunciare ai risparmi di una vita pur di coronare il suo sogno adolescenziale.

L’idea di base di questo romanzo è di per sé molto accattivante, milioni di Janeites avrebbero trovato piacevole rispecchiarsi nella protagonista di “Austenland”, chi non ha mai sognato di poter vivere qualche giorno nell’epoca Regency?

Mentre il romanzo quindi non mantiene ciò che promette, restando sempre in bilico tra il romanzo rosa e la parodia; il film sceglie decisamente la strada della parodia, però lo fa nel migliore dei modi, caricando al massimo alcuni personaggi senza preoccuparsi di renderli anche grotteschi ma allo stesso tempo riuscendo a dare spazio ad una bella storia d’amore.

Nel film come già accennato precedentemente sono state apportate alcune modifiche alla storia. Qualche differenza è di per sé poco influente: per esempio nel film non appaiono la zia Saffronia ed il marito, sostituiti direttamente dalla proprietaria/direttrice di Austenland ovvero Mrs. Wattlesbrook e consorte.

Altre variazioni invece sono più rilevanti e a tutti gli effetti sono quelle che cooperano a fare del film una storia più viva e godibile di quella del romanzo: così Mr. Nobley non è più un semplice attore tra i tanti, ma è il nipote di Mrs. Wattlesbrook che partecipa per la prima volta ad una vacanza nell’epoca Regency, scelta che rende tutto molto più austeniano.

Lo stesso finale del film è molto più romantico e più vicino al modo di sentire delle fans di Jane Austen.
Nel libro Mr. Nobley, un semplice attore che da molto tempo recita il suo ruolo all’interno di Austenland, raggiunge Miss Jane Erstwhile (nome che viene assegnato a Jane durante la sua permanenza sul suolo britannico) per dichiararle il suo amore sull’aereo che la sta riportando in America, scelta diciamolo piuttosto banale e scontata.
Nel film invece scelta decisamente più indovinata, Mr. Nobley che in realtà è un professore di storia e che è stato fedele a se stesso per tutta la durata della permanenza di Jane ad Austenland, si presenta un po’ intimidito a casa di Jane negli Stati Uniti, con la scusa di riportarle il quaderno degli schizzi che lei aveva dimenticato.

Personalmente darei dieci all’autrice per l’idea, ma cinque al suo romanzo; un bell’otto invece va decisamente al film ed alle capacità di regista e attori per essere riusciti a trasformare in modo eccellente la materia letteraria a loro disposizione.




Il consiglio: se volete godervi la storia e magari farvi due risate, guardatevi il film.
Se decidete però sia di leggere il libro che di vedere il film, leggete prima il romanzo. Io purtroppo ho visto prima il film e questo ha indubbiamente influito negativamente sul mio giudizio sul romanzo.







                                                                

mercoledì 5 agosto 2015

“L’altra riva del Bosforo” di Theresa Rèvay

L’ALTRA RIVA DEL BOSFORO
di Theresa Révay
SUPERBEAT
Dopo essere stata affascinata da “Le luci bianche di Parigi”, ero impaziente di poter leggere un altro romanzo di Theresa Rèvay, sicura che anche questo nuovo libro mi avrebbe conquistata.

Ora, dopo averlo letto, posso affermare che “L’altra riva del Bosforo” (titolo originale “L’autre rive de Bosphore”) è indubbiamente un altro grande capolavoro uscito dalla penna della bravissima Theresa Révay.

Anche questa volta però, come per la precedente, ho il timore di non essere in grado di comunicare pienamente ai lettori del blog l’intensità delle emozioni che l’autrice riesce sempre a trasmettere attraverso le sue storie.

“L’altra riva del Bosforo” è ambientato per la maggior parte ad Istanbul nel periodo che va dal novembre del 1818 all’ottobre del 1923.

Per meglio inquadrare la storia, credo sia necessario fare una piccola premessa e riassumere molto brevemente il periodo storico in cui si svolgono i fatti del romanzo.

Gli Ottomani hanno perso la guerra e firmato un armistizio con gli inglesi il 30 ottobre 1818.
Gli alleati inglesi, francesi, italiani e greci gettano l’ancora nel Bosforo e si spartiscono i quartieri della città. Nel frattempo la Turchia continua a subire la minaccia proveniente dal movimento separatista curdo e dal nuovo stato d’Armenia.
La reazione all’occupazione alleata non tarda a farsi sentire e sorge così il movimento nazionalista turco sotto la guida del generale Mustafa Kemal.
Mentre il Sultano Mehmet VI segue una linea politica alquanto discutibile agli occhi del suo popolo, continuando a scendere a patti con gli inglesi pur di cercare di salvare il sultanato, il movimento nazionalista turco continua la sua battaglia.
Nel 1923 infine Mustafa Kemal diventa presidente della Repubblica Turca. La Turchia diventa a tutti gli effetti una vera nazione. La capitale dello stato viene spostata ad Ankara.

Protagonista femminile della storia del romanzo è Leyla Hanim moglie di Selim Bey, segretario del Padiscià Menmet VI.
Leyla ha sposato Selim all’età di sedici anni; cresciuta in una famiglia più progressista, vive malamente il rapporto con la suocera Gulbahar Hanim, ancora legata alle più antiche tradizioni, che soffoca ogni desiderio di libertà della nuora.
Leyla ha due figli Ahmet di sette anni e la piccola Perihan di appena cinque anni.
Il fratello di Leyla, Orhan studia archeologia a Berlino. I rapporti tra Orhan e Selim non sono idilliaci, in quanto spesso Selim accusa il cognato di essere una testa calda che si lascia trascinare troppo facilmente mettendo a repentaglio il buon nome e l’onore della famiglia.

Due saranno gli avvenimenti che muteranno il corso degli eventi e che cambieranno per sempre la vita di Leyla e dei suoi famigliari.

Il primo la requisizione da parte dei francesi del konak dove vive la famiglia del segretario del Padiscià, confisca che avviene solo in parte poiché l’ufficiale Louis Gardelle destinato all’alloggio decide di occuparne solo una parte, permettendo alla famiglia di Selim di continuare a vivere nell’altra metà della casa.

Il secondo quando Orhan, ormai attivista del movimento nazionalista, porta a casa della sorella un compagno ferito durante un’azione.
Hans Kastner è un archeologo tedesco, celebre per i suoi scavi in Anatolia e per le sue scoperte in merito alla civiltà Hittita.
Hans è innamorato della Turchia, un terra che sente sua ed alla quale è legato profondamente fin da bambino, per questo ha deciso di schierarsi a favore del movimento nazionalista al quale prende parte attivamente nonostante la sua nazionalità tedesca.

Inutile dire che la storia è travolgente, coinvolgente e bellissima.
Come per il precedente romanzo ho trovato le prime pagine un po’ difficili, forse anche il ritmo è un po’ più lento, ma in questo caso credo sia dovuto anche al fatto che prima di far decollare il racconto vero e proprio, l’autrice ha dovuto fare un lavoro certosino nell’inquadrare non solo il periodo storico, ma anche le etnie che convivevano in quella terra, le usanze, le religioni, le alleanze ecc.

Siamo intorno agli anni ’20 in Turchia e, se pensiamo che persino in Europa la condizione femminile era completamente diversa da quella di oggi, possiamo solo immaginare quale sconvolgimento potessero comportare certe idee progressiste in un paese musulmano.

Istanbul è un paese di profughi, non ultimi i russi in fuga dopo la caduta dell’Impero dello Zar, è una città bella nella sua multietnicità, ma anche una polveriera pronta ad esplodere.

Non è per nulla facile riuscire a descrive un tale miscuglio di idee, popoli, credenze religiose ed allo stesso farvi muovere all’interno personaggi verosimili che intreccino tra loro storie altrettanto credibili.
Theresa Rèvay però è stata ancora una volta abilissima a trasportarci in questo mondo dalle mille sfaccettature e a farci entrare in sintonia con i suoi protagonisti.

Tutti i personaggi sono splendidamente descritti e per ognuno di loro l’autrice ha costruito un passato che ne giustifica e spiega il loro modo di agire, di essere, così da renderli tutti veri e convincenti.
I personaggi non sono mai totalmente positivi o negativi, ognuno porta con se un patrimonio genetico o un vissuto che lo ha reso ciò che è, con i suoi pregiudizi, i suoi valori, le sue idee.

Selim Bey ama sua moglie, ma al tempo stesso è terrorizzato dall’idea di dimostraglielo. Ossessionato dal ricordo ingombrante di un padre militare e pertanto uomo d’azione, si sente inadeguato perché uomo politico e poco importa che le sue capacità di mediazione siano comunque più che considerevoli tanto da essere più volte scelto per rappresentare il proprio paese in Europa.
Percorso piscologico simile per Louis Gardelle che, nonostante abbia seguito le orme del padre anch’egli militare di carriera, si porta dietro un senso di inadeguatezza per non essere mai stato sostenuto da lui oltre ad essere tremendamente segnato da missioni di guerra che gli hanno lasciato profonde cicatrici non solo fisiche.

Leyla è indubbiamente la protagonista di questo romanzo, a volte ricorda un po’ Anna Karenina ma al contrario dell’eroina di Tolstoj, Leyla non perde mai di vista i valori in cui crede: gli affetti, la religione, il dovere.
Vive intensamente il suo amore per un altro uomo, ma sacrifica sempre se stessa e il suo amore, per fare ciò che è giusto senza mai perdere la propria coerenza. Impossibile non amare questo personaggio anche se per certi versi così lontano dal nostro mondo e dal nostro modo di sentire.

I personaggi di Theresa Rèvay sono personaggi a tutto tondo, dalle mille sfaccettature come lo sono gli essere umani.
La stessa Gulbahar Hanim che all’apparenza è fredda e distaccata, chiusa al mondo esterno, scende a compromessi più di una volta anche se lo fa a suo modo, rivelando di non essere quella donna senza cuore che può sembrare nelle prime pagine.

La galleria di personaggi che l’autrice riesce a far muore in questo splendido affresco storico è straordinario e quello che colpisce è che ognuno di loro anche il più piccolo è magnificamente dettagliato, posso citare Nina ed il marito Malinin che sono i primi che mi vengono in mente, ma sono davvero innumerevoli.

Protagonisti di questo romanzo sono però anche i sentimenti:
L’amore in ogni sua forma da quello del rispetto di Leyla per il marito, all’amore totale di Leyla per Hans, dall’amore ossessivo di Luois Gardelle per Nina, a quello ormai appassito tra lui e la moglie Rose.
Ma l’amore ha molteplici forme e allora ritroviamo l’amore di una madre per i propri figli (Gulbahar, Leyla, Rose e Nina stessa), quello paterno e quello fraterno come il forte legame che lega Leyla e Orhan.
Protagonisti sono anche i sentimenti di amicizia, fratellanza, ma non solo, c’è infatti anche odio, intolleranza e rancore. L’odio ad esempio tra greci e turchi, un odio che troppo spesso sfocia nella violenza e nella vendetta.

La bellissima storia d’amore tra Leyla e Hans diventa fin dal loro primo incontro il filo conduttore dell’intero romanzo, sul quale si innestano tutti gli altri racconti ed avvenimenti.

“L’altra riva del Bosforo” è un romanzo storico carico di passione che si divora in un attimo; amerete i suoi personaggi e le bellissime descrizioni di luoghi esotici e pieni di fascino, conoscerete nuove realtà e potrete entrare in un haremlik, visitare uno yali

Vorrei spendere ancora due parole per il finale. La storia si poteva prestare ad un finale scontato e invece anche il finale è decisamente ad effetto, l’autrice rimane fedele a se stessa senza voler compiacere il lettore.
Un finale che non ci si aspetta, ma che una volta letto ci si rende conto che è l’unico possibile per non cadere nel banale e rovinare così una storia perfetta.

Non mi resta che augurarvi buona lettura, certa che non potrete non essere travolti dalla forza dei sentimenti raccontanti in questo splendido romanzo.


    


giovedì 23 luglio 2015

“La porta delle tenebre” di Glenn Cooper

LA PORTA DELLE TENEBRE
di Glenn Cooper
NORD
“La porta delle tenebre” è il secondo capitolo della trilogia “Dannati” che prende il titolo proprio dal primo volume.

In “Dannati” la dottoressa Emily Loughty, scienziata del laboratorio del MAAC, durante un esperimento di fisica delle particelle sparisce nel nulla.
In verità è stata catapultata in un mondo parallelo chiamato Oltre, un luogo totalmente differente dal nostro pianeta, ma allo stesso tempo molto simile alla Terra.
Il responsabile della sicurezza del progetto, John Camp, militare con esperienza maturata in missioni in Afganistan e in Iraq, innamorato della bella dottoressa inglese è intenzionato a raggiungerla ovunque lei si trovi per riportarla a casa.
Per comprendere cosa possa essere realmente accaduto gli scienziati decidono di provare a riavviare il sistema e John Camp, posizionandosi nel medesimo punto in cui Emily si trovava al momento della sua sparizione, viene anch’egli catapultato nello stesso sconosciuto mondo parallelo.

L’Oltre in realtà non è altro che l’Inferno abitato dai dannati.
Nell’Oltre si possono incontrare non solo le persone comuni che hanno commesso efferati crimini, ma anche i grandi della storia che sono stati condannati alla dannazione eterna, possiamo così conoscere illustri personaggi quali Garibaldi, Il Barbarossa, Enrico VIII, Robespierre…

I dannati dell’Inferno vivono in un mondo senza tecnologia: non esistono impianti elettrici né luce artificiale; i materiali come la plastica, il titanio ecc. sono totalmente assenti; non ci sono armi moderne e si combatte per lo più con pugnali e spade.
Lo stile di vita condotto in questo luogo così opprimente è del tutto simile al mondo medievale.

I dannati poi sono continuamente perseguitati dagli erranti, la feccia dei dannati.
Gli erranti vagano di città in città in cerca di vittime da derubare e mutilare e, nel caso siano particolarmente affamati, arrivano persino a mangiare le loro prede.
Sono crudeli e malvagi tanto che non si accontentano di uccidere le loro vittime, ma si divertono a fare anche scempio dei loro corpi.

I dannati sono già morti e non possono ovviamene morire una seconda volta, per cui se “uccisi” sono condannati per l’eternità a marcire nelle celle di putrefazione.

Nel nuovo capitolo della saga “La porta delle tenebre” John ed Emily appena tornati nell’Inghilterra del XXI secolo, si rendono conto sin da subito che l'incubo purtroppo non è ancora finito.
Dovranno, infatti, quanto prima fare ritorno nell’Oltre perché durante il riavvio dell'acceleratore di particelle che ha permesso il loro rientro, non solo alcune persone tra cui la sorella e i nipoti di Emily, sono state spedite nell’Oltre, ma anche alcuni dannati sono stati a loro volta catapultati sulla Terra.

John e Emily insieme ad un gruppo di volontari ritornano all’Inferno per recuperare le persone scomparse, mentre sulla Terra gli scienziati cercano di trovare il modo di chiudere il varco tra i due mondi che sembra allargarsi sempre di più ad ogni accensione del MAAC.

I servizi segreti nel frattempo sono più che mai impegnati a dare la caccia ai dannati che si aggirano minacciosi sul suolo britannico seminando morte e terrore. 
Inoltre sono alla disperata ricerca di un blogger che sembra aver intuito tutta la verità e minaccia di renderla pubblica, rischiando di gettare la popolazione mondiale nel panico.

Il racconto si svolge così su due livelli: abbiamo da una parte la storia ambientata nell’Oltre, dove i protagonisti si ritrovano coinvolti nelle guerre di quella strana terra in cui Garibaldi è diventato re d’Italia e aspira ad unificare l’Europa per realizzare il suo sogno di fare dell’Inferno un posto migliore, un luogo vivibile per tutti, mentre lo zar Stalin sconfigge il Barbarossa riuscendo così ad annettere la Germania all’Impero di Russia, tutto mentre in Inghilterra il potere è sempre più saldo nelle mani di Enrico VIII.
Dall'altra parte abbiamo invece la storia ambientata nel mondo reale dove la situazione è completamente fuori controllo poiché tra i dannati giunti sulla Terra c’è anche un gruppo di spietati erranti.

Come avrete capito Glenn Cooper fa in modo che al lettore non manchi proprio nulla: suspense, adrenalina, angoscia e smarrimento.

La contaminazione di stili è perfetta: ci sono elementi propri del thriller, dell’horror e del fantasy; quello che più sorprende positivamente è la grande capacità dell’autore di riuscire ad amalgamare il tutto in maniera perfetta.

Il racconto scorre veloce e, tranne qualche raro passaggio un po’ ostico sulle vicende politiche e belliche nell’Oltre, non c’è un attimo di tregua così che il lettore è costantemente tenuto sulla corda e resta letteralmente incollato alle pagine.

Il mondo creato da Glenn Cooper è davvero intrigante ed è accattivante l’idea di vedere interagire personaggi così distanti tra loro per epoca, carattere e cultura.

E’ affascinante leggere di Caravaggio che opera a fianco di Garibaldi; lo so che detto così può sembrare quanto meno un po’ folle, ma è anche grazie a questa follia che la storia risulta così avvincente per il lettore.

“La porta delle tenebre” è uno di quei libri che ti conquista sempre più pagina dopo pagina anche perché l’autore ha dimostrato di essere dotato una fantasia non comune.

Ammetto di essere particolarmente esigente quando si tratta di romanzi di questo genere, forse perché non li sento proprio affini al mio gusto.
Per questo forse tendo ad essere così  ipercritica quando li leggo, ma è pur vero che la soddisfazione è maggiore quando trovo un romanzo ben scritto e avvincente come questo.

Indubbiamente iniziare la lettura dal secondo capitolo della trilogia è stata una mossa un po’ azzardata da parte mia e senza dubbio ho fatto un po’ più di fatica ad entrare nel vivo della storia, però nonostante ciò il romanzo è riuscito a coinvolgermi pienamente e questo è indubbiamente dovuto alla bravura dell’autore.

Glenn Cooper del resto è autore affermato con diversi libri al suo attivo, tra cui la famosissima ed apprezzata trilogia de “La biblioteca dei morti”.

Il mio consiglio per chi vuole affrontare la lettura è comunque di partire dal primo volume, per quanto mi riguarda invece non mi resta che attendere con ansia il capitolo conclusivo, e chissà che tra un libro e l’altro io non riesca a trovare anche il tempo per recuperare il mio “libro perduto”.





lunedì 20 luglio 2015

“Johnny Depp” di Thomas Fuchs

JOHNNY DEPP
L’uomo dietro la maschera
di Thomas Fuchs
VALLARDI
Johnny Depp è una star di fama mondiale che non ha bisogno di presentazioni.

Nato il 9 giugno del 1963 ad Owensboro nel Kentucky.

La madre aveva già due figli Deborah e Daniel, la cui paternità è avvolta ancora oggi nel più folto mistero, quando sposò il padre di Johnny che li adottò subito dopo il matrimonio.
La coppia ebbe due figli la primogenita Christine era maggiore di due anni di Johnny.

L’attore non ebbe un’infanzia facile. 
Nel 1978 i genitori si separarono.
La madre Beth non riusciva mai a stare ferma nello stesso posto a lungo e così la famiglia era sempre in fase di trasloco alla ricerca di una nuova casa, questo voleva dire per Johnny cambiare continuamente scuola ed amicizie.

La biografica scritta da Thomas Fuchs ci parla della vita dell’attore dall’infanzia fino al presente.

Ci racconta della sua adolescenza, di quando conobbe il suo primo vero amico Sal Jenko, dei suoi esordi come musicista e delle sue band, della sua passione per la letteratura trasmessagli dal fratello maggiore ed in particolare per la Beat Generation.

Le pagine ripercorrono la vita dell’attore attraverso il racconto degli aneddoti più conosciuti e di quelli meno noti, passando al setaccio una mole imponente di materiale spesso inedito.

Mantenersi con la propria musica non era facile e la band di Depp faticava a trovare il suo posto al sole, così per puro caso egli si ritrovò a fare cinema.

Il nuovo fidanzato della sua ex era Nicolas Cage e fu proprio lui che un giorno gli chiese perché non avesse mai pensato di fare l’attore.

Grazie al telefilm 21 Jump Street, Johnny Depp divenne l’idolo delle ragazzine, ma all’attore questo ruolo andava decisamente stretto.
Totalmente insofferente all’idea di rimanere legato per molte stagioni alla stessa parte, temeva oltremodo di ritrovarsi schiavo del personaggio interpretato, salutò quindi con gioia il giorno in cui riuscì a rescindere il contratto.

Recitò in film come Nightmare - Dal profondo della notte (1984), Platoon (1986), Cry Baby (1990) ecc. ma il vero successo arrivò con Edward mani di forbice (1990) per la regia di Tim Burton, regista per il quale Johnny Depp nutrì da subito una profonda ammirazione e con il quale lavorerà spesso.

Il libro di Fuchs, ripercorrendo tutta la filmografia dell’attore, ci racconta anche dell’uomo Depp, attraverso le sue scelte artistiche spesso stravaganti, ma comunque sempre coerenti perché di lui tutto si può dire tranne che negli anni non sia rimasto fedele a se stesso.

In tutto ciò che faccio, voglio restare fedele a me stesso. Non sopporto quando cercano di classificarmi.  (Johnny Depp)

Non viene tralasciato da Fuchs neppure l’elemento gossip, per cui leggiamo anche dei tanti amori dell’attore: a partire dal suo primo matrimonio avvenuto in giovanissima età, passando per la sua storia con Jennifer Grey, la famosa Baby di Dirty Dancing, l’importante storia con Winona Ryder, la turbolenta relazione con Kate Moss, fino al matrimonio ed al divorzio con Vanessa Paradis, dalla quale ha avuto due figli Lyly-Rose (1999) e Jake Christopher (2002), per giungere infine all’attuale moglie di ben 23 anni più giovane di lui, Amber Heard.

Ero molto indecisa sul fatto di leggere o meno questo libro, perchè anche se che la mia passione per Johnny Depp risale ai tempi dei suoi esordi e della mia adolescenza, temevo che potesse comunque risultare noioso e scontato.

Il libro di Fuchs è stato invece una piacevole rivelazione perché è scritto bene, è scorrevole ed esaustivo.

Parla dell’uomo oltre che dell’attore facendo in modo di non ridurre lo scritto ad un mero elenco di film e la filmografia di Johnny Depp è davvero estesa!
Inoltre l’autore è bravissimo ad indagare e a scavare nella psicologia del soggetto e a cercare di portare alla luce le motivazioni delle sue scelte professionali e non solo.

Johnny Depp è un personaggio particolare, proprio come le sue idee artistiche, basta pensare alla decisione di produrre un film come “Il coraggioso” o di recitare in film come “Paura e delirio a Las Vegas” o “Arizona Dream” solo per citarne alcuni.

Non posso dire che tutti i film di Johnny Depp mi siano piaciuti, a volte ha fatto scelte troppo azzardate anche per una fan sfegatata come me: quello che però ho sempre apprezzato è il fatto che non abbia mai accettato ruoli “guardando al botteghino”, ma piuttosto basandosi sul suo istinto e accettando solo ciò riteneva fosse giusto in quel momento per lui.

E’ stato interessante leggere il libro di Fuchs perchè oltre ovviamente a poter conoscere qualcosa di più sul mio attore preferito, è stato appassionante poter rileggere tutto d’un fiato quello che già conoscevo.

La cosa più simpatica è stata poter rileggere anche parte della mia vita attraverso quella dell’attore, perché spesso ai suoi film sono legati anche i miei ricordi: le uscite con gli amici, le battute tra amiche, la scuola, le serate al cinema…

Sono pienamente d’accordo con Fuchs quando dice che Johnny Depp fa parte della grande fabbrica delle illusioni e che forse c’è soltanto un posto nel quale una star è autentica: nel cuore e nella mente dei suoi fan. Solo lì è veramente viva.

Insomma sia che siate suoi fan accaniti o che semplicemente lo stimiate perché lo ritenete un buon attore, “Johnny Depp. L’uomo dietro la maschera” è un libro che non vi deluderà. 






giovedì 9 luglio 2015

“Due madri” di Ugo Barbàra

DUE MADRI
Ugo Barbàra
FRASSINELLI
Idéo giace nella neve, aveva solo 16 anni ed era una testa calda.

Chi l’ha ucciso, probabilmente un tedesco in fuga braccato dai partigiani, l’ha colpito alle spalle lasciandolo lì, a faccia in giù nella neve.

Inizia così il romanzo “Due madri”, con il racconto di un fatto all’apparenza slegato dalle vicende che prenderanno vita nelle pagine successive, ma che alla fine della narrazione una volta che saranno ricomposte tutte le tessere del mosaico, risulterà essere il perno della storia.

Due vicende corrono parallele: quella di Stella e quella di Olga.
A loro che, sembrano non avere nulla in comune, sono intitolati i capitoli del libro che si alternano così come si alterna il racconto della vita delle due donne.

Stella è vedova, vive da sola nel piccolo borgo di San Virginio, ha un figlio già grande che lavora lontano.

Stella è una donna anziana, ha visto la guerra e ha un grande peso sul cuore:

“Ho peccato”, dice.
“Ma non sono pentita. Non sono pentita affatto.”

Un giorno decide di confessare al giovane prete del paese la sua storia, pur sapendo che laddove non c’è pentimento non può esserci neppure assoluzione.
Ha commesso un grave crimine, ma l’ha commesso per amore. Come è possibile quindi che per lei non possa esserci riscatto?
Così, complice una giornata di pioggia, apre la sua anima a Dio e in chiesa, al buio, inizia a raccontare di tanto tempo prima.

Era giovane Stella, allora. Aveva un marito e un figlio piccolo. Un giorno il marito fu chiamato alle armi ed inviato a combattere al fronte in Russia. Non fece mai ritorno.
Stella si trovò coinvolta, suo malgrado, a nascondere le armi dei partigiani nella sua casa e quando il figlio si ammalò di tifo non esitò a chiedere aiuto ad un medico tedesco per salvargli la vita.

Ma quando i partigiani, sul finire della guerra e a pochi giorni dall’arrivo degli Americani, presero il controllo del paese sterminando e mettendo in fuga i tedeschi nella zona, fu Stella a dover compiere una scelta coraggiosa e nascondere, dove un tempo aveva nascosto le armi, Erwin il medico che aveva salvato la vita di suo figlio.

Olga è una giovane donna con un figlio piccolo Juanito ed è in attesa di un altro bambino. Vive a Baires in Argentina.
Suo marito è un sindacalista. Un giorno Miguel non rientra a casa, diventando uno dei tanti desaparecidos dei quali i familiari perdono le tracce.
Olga e Juanito protetti dal partito riescono a fuggire e trovano riparo presso una giovane coppia che gestisce un albergo a Bariloche, una località montana.
Linda, la moglie è sempre assente, ufficialmente impegnata a promuovere l’albergo, ma in realtà è completamente assorbita dall’attività politica.
Il marito Federico, non condividendo la passione politica della moglie, resta a casa a gestire gli affari di famiglia sotto la supervisione del suocero.

La caratterizzazione dei personaggi è precisa e ben costruita, tutti hanno un ruolo ben definito all’interno della storia, ruolo che li rende molto credibili e molto reali.

Non so se questo dipenda solo dall’indubbia bravura dell’autore o anche dal fatto che, per quanto ampiamente inventati, molti episodi siano basati su fatti realmente accaduti seppur romanzati come viene specificato dallo stesso Ugo Barbàra nei ringraziamenti a termine del volume.

Come sempre ognuno proverà più simpatia per un personaggio piuttosto che per un altro, personalmente Stella delle due o meglio alla fine delle tre donne del romanzo è quella che mi ha coinvolta maggiormente.

Stella è una donna forte e coraggiosa a mio avviso molto più di quanto lo sia Olga che nelle difficoltà ha sempre potuto contare sull’aiuto di qualcuno anche se di sconosciuti.

Stella ha capito fin da subito di dover contare solo sulle proprie forze, ha combattuto per la sua sopravvivenza e per quella di suo figlio; diventa addirittura lei stessa l’ancora di salvezza per un’altra persona mettendo a repentaglio la sua stessa vita per proteggere chi l’ha aiutata.

Olga è più debole, perché se in un primo momento è giustamente spaesata, obbligata dalla necessità a doversi fidare di chi non conosce; successivamente quando ormai è al sicuro e potrebbe almeno in parte cercare di ritrovare un proprio equilibro personale e interiore, tende comunque ad appoggiarsi troppo a Federico.

Federico e Linda sono una strana coppia.
Linda completamente assorbita dalle sue ideologie politiche, non tenta in alcun modo di venire incontro alle esigenze del marito.

Nel momento però in cui teme di perderlo perché vede che Olga si sta insinuando pericolosamente nel loro rapporto, tira fuori gli artigli, ma sembra farlo più per una forma di gelosia e di possesso infantili piuttosto che per amore.
L’impressione è che sia una donna terribilmente viziata e troppo concentrata su se stessa.

Dall’altra parte abbiamo Federico, un uomo talmente innamorato della moglie che, pur di non rischiare di perderla chiedendole conto del loro rapporto, è disposto ad accettare qualunque cosa, anche le briciole.
Subisce passivamente i capricci di Linda e quando non la sente per giorni, cerca di tranquillizzarsi raccontandosi che tanto prima o poi torna sempre da lui.
                                                                                          
Nonostante questo amore assoluto per la moglie però non riesce a non provare qualcosa per Olga che incarna invece il suo ideale di compagna, una donna presente e materna.

Tanto Federico è dolce e comprensivo, tanto il suocero è freddo e burbero, almeno all’apparenza, ma sarà lui quello che riuscirà meglio degli altri a comprendere la gravità della situazione che si è creata e con essa i danni che ne potrebbero derivare.

Al di là dell’empatia che possiamo provare o meno per i vari personaggi, le due storie sono comunque perfette, entrambe coinvolgono, emozionano e appassionano il lettore.

“Due madri” ha il respiro dei grandi classici della letteratura neorealista, ricorda a tratti i romanzi di Vittorini, Pavese, Fenoglio…

La scrittura è lineare, scorrevole e piacevole; la storia forte e delicata al tempo stesso.

Il mio suggerimento è: se state preparando la lista dei libri da portare in vacanza con voi, non dimenticate di inserire questo romanzo nel vostro elenco.




martedì 7 luglio 2015

“Una vita al Massimo” di Massimo Ferrero

UNA VITA AL MASSIMO
(Ed è il minimo che posso dirvi)
Massimo Ferrero
con Alessandro Alciato
RIZZOLI
In estate, complici le giornate più lunghe e le tanto agognate ferie, si ha finalmente molto più tempo da dedicare alla lettura e accade così che si riesca ad avere il tempo di leggere anche quei libri che consideriamo un po’ fuori dai nostri schemi.

Il post di oggi è quindi dedicato ad una lettura un po’ diversa. Se è vero, infatti, che spesso vi ho proposto delle biografie, il protagonista di quella di cui mi appresto a parlarvi oggi è decisamente un personaggio atipico.

Come avrete già capito dal titolo il protagonista di questo post è Massimo Ferrero, altrimenti detto er Viperetta, uomo di spettacolo, imprenditore nonché da un anno presidente della U.C. Sampdoria.

Confesso che fino a quando Massimo Ferrero non ha comprato la mia squadra del cuore, ignoravo totalmente chi lui fosse, per cui non sentitevi assolutamente in colpa se per voi è ancora un completo sconosciuto.

“Una vita al Massimo” è stato scritto in collaborazione con Alessandro Alciato, noto giornalista televisivo ed inviato di Sky.

L’impressione è che non sia stato assolutamente facile per Alciato riuscite a tenere a freno la vulcanicità del Presidente perché leggendo il libro il personaggio Ferrero emerge prepotentemente dalle pagine, tanto che in alcuni punti sembra che lui sia lì accanto a te a raccontarti le cose o quanto meno ci sia Crozza a farlo per lui.
Chi di voi ha visto il comico genovese imitarlo capirà al volo cosa io intenda.

Massimo Ferrero: gioie e dolori.
Eh sì, non è facile per me parlarne in quanto direttamente coinvolta da tifosa sampdoriana.
La prima volta che l’ho visto e ho scoperto essere il nostro nuovo Presidente, diciamo che sono rimasta, e ammettiamolo pure, sconvolta!
Da buona genovese, riservata, fredda e distaccata almeno all’apparenza, ritrovarsi in balia di un personaggio del genere e dover dire addio allo storico “stile Sampdoria” è stata una doccia fredda. 

Massimo Ferrero però è stato davvero bravo a guadagnarsi quasi immediatamente non dico la fiducia, per quella ci vogliono tempo e risultati, ma la possibilità di poter dimostrare il suo valore, quella sì.

Indubbiamente ha conquistato tutti fin da subito con la sua simpatia e ha riportato nello spento ed apatico ambiente blucerchiato una spensieratezza, una gioia e soprattutto un entusiasmo che mancavano ormai da troppo tempo e per questo non lo ringrazierò mai abbastanza. Grazie Presidente!

Ma veniamo al libro dove Ferrero si racconta con tutta la sua simpatia, tanta! e tutta l’onestà o meglio tutta quella di cui è capace…

Tutti i fatti raccontati in questo libro sono realmente accaduti.
O almeno io me li ricordavo così…

Massimo Ferrero nasce a Roma il 5 agosto del 1951. La sua è una famiglia povera che fatica a sbarcare il lunario. Vive a Testaccio, un quartiere popolare dal quale scappa ogni volta che può per raggiungere Cinecittà, fin da piccolo sa che quello sarà il suo mondo, il suo sogno da realizzare.

Gli aneddoti della sua infanzia sono tutti raccontati con ironia, freschezza e vivacità: da quelli più buffi come l’essere prelevato a casa dai carabinieri ogni giorno ed obbligato ad andare a scuola a quelli più difficili come la detenzione nel carcere minorile per scontare una pena di sei mesi per “questioni d’amore”.

Nonostante la povertà, nonostante la dura esperienza del carcere che spesso più che correggere ed aiutare chi vi è stato detenuto lo allontana dalla legalità una volta di nuovo in libertà, Massimo Ferrero ha dimostrato di possedere una grande forza di volontà e un orgoglio non comuni nel voler riuscire a raggiungere i traguardi che sin da giovanissimo si era prefissati.

Leggere dei suoi mezzi, magari anche poco ortodossi, per entrare in quel mondo che tanto lo affascinava così come fare da autista al Gianni Morandi dei tempi d’oro senza neppure avere la patente o l’insistenza e la sfacciataggine con la quale riuscì un giorno a farsi assumere come segretario da Dino Risi, sono pagine divertenti, ma sono anche la prova della caparbietà di cui è dotato quest’uomo.

I suoi metodi possono essere discutibili, lui stesso parla della sua vita come di un film e leggendo il libro sembra proprio di leggere un copione magari di uno di quei film con Alberto Sordi, ma bisogna riconoscergli che nonostante le sue umili origini che giustamente non rinnega mai e questo gli fa molto onore, il suo curriculum vanta un numero elevatissimo di film di cui si è occupato ben 140: 20 da segretario, 20 da ispettore, 40 da organizzatore ed il resto da produttore.

Oggi Massimo Ferrero possiede ben 60 sale cinematografiche e quel ragazzino che la mamma lavava con il sapone di Marsiglia sperando di levargli di dosso l’odore dignitoso della povertà, nel 1995 è stato addirittura invitato a Cuba per progettare e creare il cinema di stato del paese ed è riuscito a stringere la mano a Fidel Castro!

Massimo Ferrero è un uomo ironico, basti vedere come riesce a sorridere davanti all’imitazione di Crozza e credo che pochi, me compresa, riuscirebbero a reagire con tanta grazia.

E’ un uomo innamorato della sua famiglia soprattutto dei suoi figli e di Manuela, la donna della sua vita.

E’ entusiasta, è incosciente e geniale, spavaldo e attento ai particolari allo stesso tempo.

E’ un uomo che ha realizzato parte dei suoi sogni, ma proprio perché sognatore ne ha ancora tanti nel cassetto da realizzare.

Massimo Ferrero ama la vita e questo suo amore per la vita è contagioso così come il suo entusiasmo; è un mercante di sogni, un po’ Grande Gatsby e un po’ Er Grigione. 

Cosa penso io da cittadina di Samp&Doria del mio Presidente? Posso rispondere alla fine della campagna acquisti?
Presidente, mi permetta di continuare a sognare ancora...