domenica 27 dicembre 2015

“La ragazza nella nebbia” di Donato Carrisi

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA
di Donato Carrisi
LONGANESI
Vi riporto subito qualche notizia sull’autore del libro di cui vi parlerò oggi, anche se Donato Carrisi non ha certo bisogno di presentazioni: classe 1973, nato a Martina Franca, vive a Roma.
Laureato in Giurisprudenza e specializzato in Criminologia e Scienza del comportamento, è sceneggiatore di serie tv e cinema.
Scrive per il Corriere della Sera ed è autore di bestseller internazionali, tanto che il suo libro “Il suggeritore” è uscito in ben 23 paesi.
Donato Carrisi è l’autore italiano di thriller più venduto nel mondo.

Il suo ultimo lavoro si intitola “La ragazza nella nebbia”.

La storia è ambientata ad Avechot, un piccolo paese delle Alpi.
Avechot è stato nel passato un’importante meta turistica, ma dopo la scoperta di un importante giacimento di fluorite nella zona, si è ormai trasformato in piccolo centro isolato.
Gli abitanti che possedevano terreni, grazie alla vendita degli stessi, si sono arricchiti più di quanto mai avrebbero sperato di riuscire a fare, quelli che vivevano invece dei proventi del turismo hanno dovuto assistere impotenti al fallimento delle proprie attività commerciali.

Il racconto ha inizio il 23 febbraio, ovvero 62 giorni dopo la scomparsa della giovane Anna Lou Kastner, la sedicenne con i capelli rossi e le lentiggini che il 23 dicembre, uscita di casa per recarsi in chiesa,  non vi era mai arrivata. Nonostante il percorso da compiere fosse di poche centinai di metri, la ragazza era scomparsa nel nulla e di lei si era persa ogni traccia.

La notte in cui tutto cambiò per sempre era iniziata.

L’agente Vogel viene fermato dalla polizia dopo un incidente stradale. Nella fitta nebbia la sua auto ha sbandato ed è uscita di strada. Vogel ha i vestiti sporchi di sangue ma quel sangue non è suo.
La giovane procuratrice Rebecca Meyer non crede all’apparente stato confusionale in cui sembra trovarsi l’agente speciale Vogel e decide quindi di richiedere una consulenza ad Auguste Flores, lo stimato psicologo che lavora da quarant’anni nell’ospedale di Avechot.

Lo stato confusionale di Vogel si dirada pian piano e inizia così il racconto dell’agente sulla terribile vicenda, sugli indizi e sulle prove vere, false o presunte raccolte nel corso delle indagini nonché del fondamentale ruolo giocato dai media nel corso delle operazioni.

Personaggi principali del romanzo sono l’agente Vogel e il principale indiziato il professor Martini.

Due protagonisti perfettamente delineanti da Carrisi.

Il professor Martini, marito premuroso, padre esemplare, insegnate capace sembra il soggetto ideale destinato a divenire la perfetta vittima di un errore giudiziario.
L’autore è bravissimo però a far si che il lettore, dapprima convinto dell’innocenza del professor Martini, vacilli nel corso delle indagini tanto da non essere più certo di nulla.
Allo stesso modo il lettore che sin dalle prime pagine nutre un profondo disprezzo per l’agente Vogel e i suoi metodi poco ortodossi, nel corso della lettura è più volte indotto a chiedersi se, pur continuando a ritenere deprecabili i mezzi da lui usati, questi sia poi davvero così lontano dalla scoperta della verità.

Quello che più colpisce del romanzo di Donato Carrisi è l’attualità dell’argomento.
Ogni giorno le televisioni ci riportano casi di cronaca nera: delitti efferati commessi da persone comuni.
Assistiamo ogni giorno alla “creazione del mostro” da sbattere in prima pagina o di cui discutere in trasmissioni e talk show televisivi sempre più numerosi.
Donato Carrisi con “La ragazza nella nebbia” mette in evidenza quanto il pubblico sia da considerarsi “una bestia feroce e famelica”, pubblico di cui fanno parte anche “i turisti dell’orrore” come li defisce lo stesso agente speciale, intere famiglie che nelle giornate di festa si muovono in massa per recarsi sul luogo del delitto.

Lo sciacallaggio mediatico non si preoccupa dei sentimenti delle persone coinvolte e neppure della giustizia e della verità: conta solo l’indice di ascolto.

La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro…E io le do quello che vuole.

In questa prospettiva l’agente Vogel riesce a volgere a suo vantaggio l’enorme caso mediatico da lui stesso creato, non solo procurandosi notorietà e fama, ma anche ottenendo maggiori mezzi e finanziamenti per condurre le indagini.

Qual è il prezzo da pagare?

Il mostro diventa il vero protagonista della vicenda, a discapito della vittima stessa che alla fine, dopo essere stata santificata, viene dimenticata, tanto che quando tutto sarà finito  non sarà il suo nome ad essere ricordato ma piuttosto quello del suo carnefice.

“La ragazza della nebbia” non può definirsi un romanzo dai ritmi serrati ma è un racconto molto intenso e scorrevole; una storia stimolante, coinvolgente e soprattutto ricca di colpi di scena.

Ho cercato per ovvie ragioni di anticiparvi il meno possibile sulla trama e lo svolgersi degli avvenimenti, tralasciando anche di raccontarvi dettagli sui personaggi e sulla comunità in cui questi vivono per non influenzarvi nella lettura del libro che consiglio a tutti, non solo agli appassionati del genere.

Posso assicurarvi che, dopo averlo letto, la vostra prospettiva e le vostre opinioni sulle indagini dei delitti di cronaca nera e sulle trasmissioni televisive a queste dedicate non saranno più le stesse.






giovedì 10 dicembre 2015

“Miss Marple al Bertram Hotel” di Agatha Christie

AT BERTRAMS’ HOTEL
di Agatha Christie
HARPER
Qualche tempo fa lessi per la prima volta un libro di Agata Christie, il romanzo si intitolava “Giochi di prestigio” (titolo originale “They do it with mirrors”).

Nonostante io non sia un’appassiona di libri gialli, il romanzo mi aveva incuriosito abbastanza e mi ero quindi ripromessa di leggere, quanto prima possibile, un'altra opera di questa autrice.

La scelta alla fine è ricaduta su “Miss Marple al Bertram Hotel”, scelta ad essere sincera piuttosto casuale, essendo stata attratta più dalla copertina dell’edizione scelta che dal racconto in sé.

“Miss Marple al Bertram Hotel” (titolo originale dell’opera “At Bertrams’ Hotel”), fu pubblicato per la prima volta nel 1965.

Il libro, come “Giochi di prestigio” di cui vi avevo già parlato in un precedente post, appartiene alla serie di racconti che vedono come protagonista l’arguta e curiosa anziana Miss Marple.

Vi accenno brevemente alla trama, perché trattandosi di un poliziesco, non voglio assolutamente privarvi del piacere della lettura qualora decidiate un giorno di affrontarla.

Miss Marple riceve in regalo da una nipote una vacanza da trascorrere in un luogo a suo piacere.
L’anziana signora sceglie di trascorrerla a Londra e più precisamente al Bertram Hotel, dove aveva soggiornato quando era una ragazzina.

Stranamente, non solo dopo tanti anni l’hotel è ancora in piena attività, ma il tempo in questo angolo di Londra non sembra mai essere trascorso.
Tutto è esattamene come Miss Marple lo ricordava: l’arredamento è ancora in perfetto stile Edoardiano, il personale è efficiente, cortese ed elegante e gli ospiti sono tutti di alto lignaggio.

Mentre Scotland Yard è impegnato ad indagare su una serie di furti il cui numero è cresciuto in misura esponenziale negli ultimi tempi, Miss Marple si gode la sua meritata vacanza.

Poiché però nulla sfugge alla sagace Miss Marple, ben presto la donna si rende conto che quello a cui sta assistendo non è reale; il Bertram hotel nasconde dei misteri, nulla è come appare a prima vista.
Non è possibile far rivivere il passato e Miss Marple ne è pienamente consapevole.
Così la vivace ed intelligente signora osserva attentamente le persone che la circondano giorno dopo giorno e, sprofondata nelle comode poltrone dell’albergo, ascolta i loro discorsi e spia, indisturbata, i loro movimenti.

Personaggi principali della vicenda: 

Bess Sedgwick, una donna davvero fuori dal comune, con diversi matrimoni alle spalle, che ama vivere pericolosamente e ama gli sport estremi.
Ha una figlia ventenne di nome Elvira con la quale non ha contatti da quando questa era un bambina.
La donna ha scelto volontariamente di non partecipare alla vita della figlia: l'ha abbandonata all'età di due anni affidandone la cura al padre e, dopo la morte di questi, cercando dei tutori che se ne occupassero.

Elvira è una ricca ereditiera che a breve, ovvero al compimento del suo ventunesimo anno, potrà entrare in possesso della sua cospicua fortuna.

I soldi attirano spesso uomini poco raccomandabili e senza scrupoli, così ecco apparire sulla scena la classica canaglia: l’affascinante, tenebroso e pericoloso Ladislaus Malinowski.

“At Bertrams’ Hotel” è un romanzo piuttosto lento, la storia stenta a decollare ed è piuttosto confusa.

Affascinata dal personaggio di Miss Marple durante la lettura di “Giochi di prestigio” sono stata piuttosto delusa dal fatto che in questo romanzo il suo personaggio sia posto in secondo piano privilegiando altre figure.

Colui che conduce le indagini è l’ispettore Davy, personaggio a dire la verità molto ben riuscito, ma che mette troppo in ombra quello di Miss Marple, la quale ritorna al centro della scena solo al termine del libro aiutando l’ispettore stesso a tirare le fila delle indagini per chiudere il caso.

Il libro è ben scritto, le descrizioni sono accurate, i personaggi sono ben delineati, l’autrice è riuscita a creare la giusta suspense, ma nonostante questo la storia non riesce a convincere totalmente.

Ho trovato il finale per alcuni aspetti anche imprevedibile, ma comunque un po’ troppo stiracchiato.

Non ritengo “At Bertrams’ Hotel” uno dei migliori libri della Christie; ma essendo solo il secondo suo romanzo che leggo e, vista la vastità della sua produzione, credo che dovrò leggere ancora qualche suo libro per farmi un’idea più chiara delle sue opere, magari scegliendo la prossima volta qualche romanzo più conosciuto.

Ho letto entrambi i libri di Agatha Christie nella versione originale. Se volete migliorare il vostro inglese credo che i suoi libri siano perfetti allo scopo: accattivanti, non troppo lunghi ed scritti in modo chiaro e pulito.





domenica 22 novembre 2015

“Un terremoto a Borgo Propizio” di Loredana Limone

UN TERREMOTO A BORGO PROPIZIO
di Loredana Limone
SALANI
Ed eccoci arrivati dopo “Borgo Propizio” ed il successivo “E le stelle non stanno a guardare”, a parlare del terzo episodio del racconto nato dalla penna di Loredana Limone.

Racconto dedicato ad uno splendido ed immaginario paesino abitato da personaggi simpatici e talvolta un po’ bizzarri a cui il lettore, affezionato alla serie, è ormai legato quasi come fossero persone di famiglia.

Come per i precedenti romanzi ad introdurre la storia è Borgo Propizio “in persona” che, dopo aver salutato il lettore con un caloroso benvenuto, lo lascia al racconto del nuovo episodio.

Contrariamente ai due precedenti romanzi però l’aria del borgo appare fin da subito appesantita, si avverte fin dalle prime pagine un senso di imminente tragedia e la cosa non può sorprendere più di tanto il lettore che è messo in allarme già dal titolo stesso del terzo libro “Un terremoto a Borgo Propizio”.

Tutto concorre a creare nel lettore un senso di ansia, di angoscia e preoccupazione. Immediatamente questi si rende conto che la spensieratezza che lo aveva accompagnato nella lettura dei due precedenti volumi è ormai un ricordo lontano: Francesco e Belinda litigano continuamente e la loro storia sembra giunta al capolinea, Claudia e Cesare che si erano ritrovati sono nuovamente distanti, persino Mariolina sembra essersi ormai stancata del marito e guardare ad un nuovo amore…

Il dramma si consuma una mattina: sono le ore 8.33 quando la terra trema ed un sisma di magnitudo 5.6 distrugge l’oasi felice del borgo, gettando nello sconforto i suoi abitanti ed il suo sindaco che tanto si erano prodigati per la rinascita del paese.

Il Castelluccio, costruzione simbolo di Borgo Propizio, ha resistito e da lì i suoi abitanti attingono la forza di ricominciare.

Quella mattina però la vita tranquilla del borgo non è stata sconvolta solo dal terremoto, ma anche da un altro drammatico avvenimento: mentre si scava sotto le macerie e si fa la conta dei danni, viene ritrovato, infatti, il cadavere dell’assessore alla cultura, Tranquillo Conforti.
L’uomo è stato assassinato, strangolato per la precisione.
Ma chi poteva desiderare la sua morte?

La trama del romanzo si sviluppa su diversi piani: il desiderio e l’impegno di ripartire e ricostruire, l’indagine che si svolge per scoprire l’identità dell’assassino e ovviamente gli intrighi, gli amori e le avventure dei vari personaggi.

Ruggero riuscirà a riconquistare la moglie? Marietta convolerà a nozze con il sindaco Felice Rondinella? L’amore che provano Belinda e Francesco sarà abbastanza forte da permettergli di superare le loro differenze caratteriali? Che ne sarà di Claudia e Cesare? E l’amata zia Letizia riuscirà a incontrare il Gran Musicante?

Avrete già capito che questo romanzo è completamente diverso dai precedenti.

Va sottolineato innanzitutto che al contrario degli altri due, che potevano essere letti come romanzi a sé, per apprezzare ed entrare appieno nella storia di questa terzo libro è necessario conoscere l’antefatto.

Il finale di questo romanzo inoltre, a differenza dei primi due episodi, ci lascia con un senso di malinconia e di inquietudine tali, da poter essere superati solo con la viva speranza di avere presto la possibilità di leggere un epilogo nel quale tutto possa tornare all’antico splendore.

Loredana Limone ci aveva abituati a delle storie leggere e divertenti. Entrare nelle pagine di Borgo Propizio era come fare due passi in un mondo diverso, un mondo tranquillo fatto per la maggior parte di serenità e di solidarietà, era un varco per ritrovare armonia e buon umore.

“Un terremoto a Borgo Propizio”, pur conservando la grazia e l’ironia dei precedenti episodi, ci fa restare tristemente legati alla realtà di tutti i giorni, riproponendoci quelle terribili immagini che ci assalgono ogni giorno guardando i telegiornali.

Fedele all’armonia e alla quiete che contraddistinguono i racconti di Loredana Limone, “Un terremoto a Borgo Propizio” ci regala però la speranza e la consapevolezza che nonostante le avversità, le disgrazie e la violenza, che sono purtroppo parte delle nostre vite, c’è sempre la possibilità di risollevarsi basta non arrendersi e soprattutto restare uniti.

A noi lettori non rimane che attendere e sperare in una prossima puntata…




domenica 8 novembre 2015

“La figlia del boia e il monaco nero” di Oliver Pötzsch

LA FIGLIA DEL BOIA
E IL MONACO NERO
di Oliver Pötzsch
BEAT
Edizione originale NERI POZZA
“La figlia del boia e il monaco nero” è il secondo romanzo della serie che vede protagonista il boia di Schongau, Jacob Kuisl.

Come già anticipatovi nel mio post dedicato al primo capitolo della serie intitolato “La figlia del boia”, l’autore Oliver Pötzsch è particolarmente legato alle vicende della dinastia Kuisl essendone egli stesso un discendente.

“La figlia del boia e il monaco nero” si apre subito con un omicidio.
Dopo appena poche pagine, infatti, si entra già nel cuore della vicenda: il parroco di San Lorenzo, Andreas Koppmeyer, viene avvelenato dopo aver fatto una scoperta eccezionale.
Il medico Simon Fronwieser chiamato a constatare il decesso del parroco si accorge fin da subito che non si tratta di una morte naturale, fa quindi accorrere il boia Jacob Kuisl, esperto di erbe medicinali e piante velenose, per confrontarsi con lui.
Iniziano così le indagini che i due personaggi sempre affiancati dalla bella, intelligente e coraggiosa figlia del boia nonché innamorata del medico, Magdalena Kuisl, condurranno nonostante i numerosi ostacoli che inevitabilmente incontreranno sul loro cammino.

Ancora una volta i tre protagonisti dovranno scontrarsi con gli interessi economici della città e dei suoi eminenti cittadini, avidi commercianti e mercanti senza scrupoli, ma in questo racconto a rendere la vita particolarmente dura ai nostri capaci investigatori ci saranno anche altri personaggi, personaggi legati al mondo religioso, particolarmente abili ad occultare e a manipolare la verità.

La storia di questo secondo libro è, se possibile, ancora più avvincente di quella del primo episodio.
Tra bande di briganti violenti, imboscate e assassinii, in un mondo dove nessuno è in realtà colui che dichiara di essere, rovesciando continuamente le poche certezze che il lettore crede di avere, Oliver Pötzsch crea un racconto avvincete, coinvolgente e ricco di immaginazione.

“La figlia del boia e il monaco nero” è uno stupendo romanzo storico che ci porta indietro nel tempo, in grado di farci rivivere in prima persona le vicende ambientate nella Baviera della seconda metà del XVII secolo.

La ricerca del tesoro dei Templari attraverso gli splendidi paesaggi del Pfaffenwinkel, i maestosi monumenti architettonici e la descrizione delle antiche cripte, la presenza di interessanti personaggi come la mercantessa Benedickta Koppmeyer o fratello Jakobus, solo per citarne alcuni, il susseguirsi serrato di indovinelli, indizi, ritrovamenti e la corsa contro il tempo che i protagonisti devono affrontare non solo per risolvere il caso, ma soprattutto per salvare le proprie stesse vite, fanno di questo romanzo un libro da leggere senza interruzioni, conquistati fin da subito dalla storia mozzafiato ed intrigante.

Quasi a dimostrazione della grande capacità dell’autore di conoscere i gusti del lettore, alla fine del libro troverete una graditissima “Guida turistica del Pfaffenwinkel”, poche pagine che accenderanno in voi il desiderio, nel caso non l’avesse già fatto la lettura del romanzo, di recarvi direttamente sui luoghi della vicenda raccontata da Oliver Pötzsch.

Volutamente in questo post non vi ho anticipato molti particolari della storia, perché credo che sia un romanzo tutto da scoprire, un giallo / thriller che deve essere gustato pagina per pagina partecipando in prima persona allo svelarsi degli eventi e allo scioglimento degli enigmi posti sulla strada dei protagonisti e quindi conseguentemente anche del lettore stesso.

Ancora una volta posso però tranquillizzarvi nel dirvi che, se non amate leggere sequel e affini, anche questo volume come il precedente può essere letto come un romanzo a sé e non necessariamente come una puntata di una serie.

Personalmente ho trovato entrambe le storie così avvincenti da sentirmi fin da ora sicura di potervi dare presto appuntamento alla prossima puntata intitolata “La figlia del boia e il re dei mendicanti”.



domenica 25 ottobre 2015

“Florence Gordon” di Brian Morton

FLORENCE GORDON
di Brian Morton
SONZOGNO
Chi è Florence Gordon? Un’anziana settantacinquenne intellettuale e femminista; combinazione di fattori che potrebbe indurre il prossimo a classificare ogni suo pensiero come polemico e petulante.

Florence Gordon però non si sente né polemica e petulante né tantomeno vecchia. Non è il tipo di donna che voglia apparire più giovane fisicamente, non si tinge i capelli, non fa ricorso al botox ed affini, lei semplicemente vuole riafferrare la sua giovinezza perché mai come ora è felice della propria vita.
E’ una donna energica, forte, fiera e coraggiosa, ma soprattutto è una donna indipendente e a questa sua indipendenza tiene tantissimo.
Acida, impaziente, sempre pronta ad irritarsi; ha un carattere talmente particolare che non solo chi la detesta ma anche chi la ama, la considera un’autentica rompipalle.

Florence Gordon sta cercando di scrivere il suo memoir, libro che una volta terminato sarebbe la sua settima opera.  
Nonostante i sei libri all’attivo ed i numerosi articoli, Florence non è quella che si può definire una scrittrice famosa almeno fino al giorno in cui esce un articolo sul New York Times Book di Martha Nussbaum, colei a cui niente di umano è alieno, nel quale Florence viene definita “un patrimonio nazionale”.
Ma anche questo grande successo per quando la renda felice non la destabilizza minimamente.

Florence vive a New York, ama la sua città e non concepisce come si possa voler vivere in qualunque altra parte degli Stati Uniti.

Suo figlio Daniel e la nuora Janine insieme alla nipote Emily che vivono a Seattle, decidono di trasferirsi per qualche mese a New York ed inevitabilmente Florence è costretta a trascorrere del tempo con loro.

Janine, la moglie di Daniel, è psicologa ed ha ottenuto una borsa di ricerca a New York; la figlia Emily decide di seguirla per poter frequentare un corso di letteratura alla Barnard.
Le donne vengono raggiunte dopo qualche tempo da Daniel che si è risolto finalmente a prendere tutte le ferie arretrate accumulate nel corso degli anni.

La coppia ha anche un altro figlio, Mark, del quale i protagonisti del romanzo parlano spesso, ma del quale il lettore non farà mai diretta conoscenza.

Janine ha un debole per sua suocera che considera un’ispirazione. L’alta considerazione che la nuora ha per Florence però non è corrisposta.
La suocera, infatti, ha una pessima opinione della nuora che trova una donna insipida ed idiota e non ha mai capito perché il figlio l’abbia sposata.
Ogni volta che ha a che fare con la suocera alla povera Janine sembra sempre di subire un pestaggio intellettuale.

Janine e Daniel sono sposati da 23 anni, il matrimonio sembra funzionare perfettamente almeno fino a quando la donna non incontra il suo nuovo capo Lev.
Lev è il direttore del laboratorio a New York; non giovane, non bello, non particolarmente virile eppure perfettamente in grado di fare vacillare la fedeltà coniugale di Janine.
Cederà la donna alle lusinghe di un nuovo amore?

Emily è l’unica ad essere in grado di suscitare l’interesse di Florence che la trova fin da subito una ragazza di spirito.
Emily ha diciannove anni, ma è più matura della sua età. E’ sottile, bruna e bellissima. E’ una ragazza perspicace e ironica. Vorrebbe trovare sua nonna una persona adorabile, ma il compito non le risulta affatto semplice.
Emily è dotata di grande empatia, fin da ragazzina è stata sempre quella in grado di ascoltare tutti e farsi carico dei problemi del prossimo.
L’incontro con sua nonna la aiuterà tantissimo a crescere e sarà fondamentale nell’aiutarla a trovare il modo per non soccombere sotto le richieste di aiuto degli altri anteponendo sempre i loro bisogni ai propri.

Impossibile non essere affascinati dalla personalità di Florence Gordon. E’ una donna che scopre sempre qualcosa in cui credere e che nel corso della sua vita ha sempre trovato una causa per cui combattere. Una donna che si indigna per ogni cosa che vede, ascolta e legge, ma che nonostante questo non perde mai la speranza che le cose possano cambiare e migliorare.

Eppure anche lei come tutti ha commesso degli errori.

Suo figlio Daniel è stato segnato dal mondo intellettuale dei genitori. Schiacciato dalla forte personalità della madre e segnato dall’incapacità del padre. In gioventù ha fatto una scelta di vita che voleva essere una rottura, voleva sentirsi libero dal loro mondo intellettuale. All’età di 47 anni si rende però conto di non appartenere a nessun mondo e di essere sempre un outsider. Non appartiene al mondo intellettuale nel quale è cresciuto, ma neppure è mai riuscito ad integrarsi con i suoi colleghi della polizia.

Diverso il discorso di Florence nei confronti dell’ex-marito Saul. L’errore di Florence non è stato tanto quello di averlo sposato quanto piuttosto quello di pensare di doverlo proteggere per tutta la vita perché si sente in colpa. Proprio lei che recita le parole di Virginia Woolf sulla necessità di uccidere “l’angelo del focolare” non riesce, almeno per moltissimi anni, a dire in faccia al marito la verità ovvero che è un uomo inetto, un fallito che non scriverà più.

E qui si apre un nuovo quesito. Florence Gordon è la tipica persona che non ha peli sulla lingua e noi ci divertiamo a leggere di quando strapazza la povera Dolly durante l’ultima tappa del suo tour a Hartford. Ma viene spontaneo chiedersi: era davvero necessario? Per quanto Dolly fosse una persona sciocca e vanesia, meritava davvero di essere umiliata fino a questo punto?
Dobbiamo però riconoscere a Florence Gordon una rara capacità non riscontrabile nel genere umano. Florence Gordon attacca, vuole svegliare il prossimo attraverso la sua rudezza, ma se qualcuno risponde per le rime è ben felice di aver trovato pane per i propri denti perché per lei il dibattito è un modo per crescere e imparare nuove cose.
Al contrario le persone che normalmente incontriamo ogni giorno sono bravissime ad attaccare il prossimo mascherando la propria aggressività come insegnamenti di vita, ma avete mai provato a ripagarle con la stessa moneta? Si offendono e vi si rivoltano contro tacciandovi di maleducazione.

Il romanzo di Brian Morton è arguto, divertente, comico ed elettrizzante.

Un romanzo ben scritto, veloce ed accattivante con una protagonista eccezionale e dei personaggi formidabili.

Una commedia che sembra nata per essere portata sul grande schermo e nella parte di Florence chi meglio di Maggie Smith o Judi Dench?

"Florence Gordon" di Brian Morton è un libro assolutamente da non perdere.






sabato 17 ottobre 2015

“Il parrucchiere di Auschwitz” di Éric Paradisi

IL PARRUCCHIERE DI AUSCHWITZ
di éric Paradisi
LONGANESI
Ho terminato questo romanzo quasi una settimana fa, ma contrariamente alle altre volte sono passati giorni prima che riuscissi a raccogliere le idee per scrivere il post.

“Il parrucchiere di Auschwitz” è uno di quei romanzi che non finiscono con la lettura dell’ultima riga perché i pensieri dei vari personaggi restano con te ancora a lungo sotto forma di sensazioni indefinite difficili da sintetizzare e raccogliere.

La storia inizia a Roma nel 1943 dove Maurizio Rossi, figlio di una coppia di parrucchieri ebrei, vive nel ghetto insieme ai genitori e alle due sorelle minori.

Maurizio, se vogliamo, conduce un’esistenza piuttosto comune, la sua sembra la vita di qualunque giovane che voglia seguire le orme dei propri genitori e, in questo caso, succedere a loro nella conduzione del negozio quando questi decideranno di ritirarsi dall’attività lavorativa:

Sono nato in questo quartiere praticamente con le forbici in mano, perché tutti nella mia famiglia sono parrucchieri. Già da piccolo giocavo facendo volteggiare in aria le ciocche dei clienti.

Un giorno proprio in negozio incontra Alba, con i suoi occhi grigio-azzurri ed i capelli biondo-cenere, ha qualche anno più di Maurizio, ha già delle esperienze alle spalle.
Alba non è una ragazza comune, è un membro della Resistenza, membro dell'organizzazione Bandiera Rossa.

Maurizio è un giovane innocente, fiducioso, ignaro del pericolo. Come tutti gli ebrei del ghetto di Roma si era illuso per molto tempo che gli italiani non fossero antisemiti. In seguito però, con l’arresto di Mussolini e la sua successiva liberazione da parte dei tedeschi e con il massacro di Meina, tutto era cambiato.

Alba, invece, anche a causa del suo coinvolgimento con la Resistenza, conosce cose che a Maurizio sono oscure. Lei sogna di finire un giorno la facoltà di legge, poter difendere le cause delle donne, lottare per la loro libertà e per il loro diritto di voto.
Alba è comunista: impegno politico e senso della condivisione sono le sue uniche ricchezze.

16 ottobre 1943: il rastrellamento del ghetto di Roma. La famiglia di Maurizio viene deportata, solo lui si salva perché quella notte si era fermato a dormire da Alba.

Cinque mesi Maurizio resta nascosto a casa della ragazza fino a quando la mattina del 23 marzo del 1944 i soldati insieme ad un ufficiale delle SS ed un membro della Milizia fascista in borghese fanno irruzione nell’appartamento.

Alba viene arrestata. Maurizio invece viene deportato ad Auschwitz dove tra i tristi spettri con il cranio rasato. Spettri infagottati in ridicoli pigiami a righe, riesce a salvarsi solo grazie alla sua arte di parrucchiere, se di salvezza si può davvero parlare, perché non esiste vera salvezza per chi ha vissuto certe esperienze.
Non si riesce ad accettare di essere vivi quando tanti sono morti, il senso di colpa per essere sopravvissuti è un carico troppo pesante da sopportare.

Nel romanzo c’è un’altra storia che corre parallela a quella di Maurizio. E’ la storia di Flor, la nipote preferita di Maurizio, che la racconta in prima persona.

La sua storia è avvolta nella nebbia e si svela lentamente pagina dopo pagina al lettore.
E’ la storia del suo amore, un amore sfortunato come quello del nonno per Alba. Un amore potente e totalizzante quanto sventurato e destinato a soccombere sotto i colpi della cattiva sorte.

I registri delle due storie sono completamente diversi: la storia di Maurizio è raccontata in modo freddo ed essenziale, una scrittura che ben si presta al racconto degli avvenimenti storici; la vicenda di Flor invece usa per la sua dimensione onirica un linguaggio più struggente e poetico.

In comune le due storie hanno quel senso di ineluttabilità del destino e la figura straordinaria di Alba che a distanza di anni continua ad essere la figura dominante, colei dalla quale ogni personaggio riesce a trarre la propria forza vitale.

Ogni uomo ha diritto a un colore, il colore della libertà. Esiste un’infinità di colori per ognuno di noi. Un giorno troverai il tuo.

Maurizio è riuscito a trovarlo quel colore, è il biondo-cenere della chioma della sua Alba, lo stesso colore dei capelli della sua nipote prediletta Flor.

“Il parrucchiere di Auschwitz” è un romanzo tormentato, intenso e commovente. Un libro che ci costringere ancora una volta a riflettere su quello che è successo perché la storia non si ripeta.
Sono proprio quelle morti assurde che ci chiedono di vigilare perché non accada nuovamente; sono i morti che ci chiedono di non ucciderli una seconda volta con la nostra indifferenza.
Sono quelle persone che hanno patito sofferenze assurde e sono morte per la libertà e per quegli stessi diritti che noi oggi diamo per scontati ed acquisiti, che ci chiedono rispetto e attraverso le pagine del libro di Paradisi ci chiedono di tutelare quelle conquiste che loro hanno ottenuto a cosi caro prezzo.

Leggendo questo romanzo mi sono tornate alla mente le parole di un famoso scrittore, mi riferisco a Joseph Conrad che scriveva in “Sotto gli occhi dell’occidente”:

Non è necessario credere in una fonte soprannaturale del male: gli uomini da soli sono perfettamente capaci di qualsiasi malvagità.




sabato 3 ottobre 2015

“Storia della pioggia” di Niall Williams

STORIA DELLA PIOGGIA
di Niall Williams
NERI POZZA
Io sono Ruth Swain, quella bruttina. Guardatemi: diciannove anni, viso affilato. Gli occhi dei MacCarroll, labbra sottili, capelli opachi color nocciola, la pelle lucida degli Swain, pallida e incapace di abbronzarsi, ossuta, amante dei libri, lettrice di così tanti romanzi del diciannovesimo secolo già prima dei quindici anni da diventare boriosa, affetta dalla Sindrome della Ragazza Saputella, portatrice di opinioni e buoni voti, studentessa dell’inglese puro, matricola del Trinity College di Dublino. La figlia del poeta.

Questa la descrizione che la protagonista del romanzo fornisce di se stessa rivolgendosi al lettore. Una descrizione minuziosa, precisa ed ironica.

Ruth è una ragazza raffinata e colta. Nonostante lei voglia dare al lettore un’impressione di sé fredda e severa, il suo carattere sensibile ed appassionato emerge prepotentemente dalle pagine del libro.

Ruth fa dell’ironia la sua arma migliore per affrontare le difficoltà della vita, per non soccombere a quella terribile malattia da cui è affetta e che la costringe a letto, malattia della quale anche gli specialisti ignorano le cause e soprattutto brancolano nel buio in merito ad una possibile cura.

La mia storia al College: sono andata, sono svenuta e sono tornata a casa. Poi l’andirivieni: casa, ospedale, casa. Ho Qualcosa che Non Va. Qualcosa Di Strano. Non Si Capisce Cosa. Tutto A Posto a parte I Collassi.

Ruth, inglese da parte di padre e irlandese da parte di madre, decide così di scrivere la storia della propria vita, storia che è allo stesso tempo anche quella della sua famiglia e della terra in cui vive, l’Irlanda.

La madre di Ruth, Mary MacCarroll, è una donna forte e solida.

Le donne sono così, affrontano le acque tempestose come vecchie navi, patiscono, scricchiolano, la chiglia bucata, il ponte spazzato dalle onde, ma riescono sempre a gettare l’ancora nella normalità.

Mary ha sostenuto il peso della famiglia nelle avversità, ha lottato accanto al marito cercando di salvarlo da sé stesso, ha dovuto rielaborare in fretta la perdita di un figlio, Aeney, il gemello di Ruth, e ora deve continuare a lottare da sola per salvare la vita di sua figlia.

Il padre di Ruth, Virgil Swain, era invece un sognatore, un poeta.

Mio padre portava su di sé il fardello di un’ambizione smisurata: avrebbe voluto che tutte le cose fossero migliori di com’erano, partendo da lui stesso e arrivando al mondo intero. Forse perché era un poeta. Forse ogni poeta è condannato all’insoddisfazione.

Virgil ha lasciato in eredità alla figlia tutti i suoi libri e ore lei nella sua stanzetta nel sottotetto ha deciso di leggerli tutti, tutti i 3958 volumi, perché è sicura che lì riuscirà a ritrovare suo padre.

Bellissima e suggestiva la descrizione della stanza della protagonista traboccante di libri:

Guarda le pile disposte in modo irregolare, quelle dietro che incombono su quelle davanti, tanto che sembra di essere in un mare di carta con le onde che avanzano verso il letto barca.

“Storia della pioggia” incanta fin dalla prima riga. Il suo incipit incisivo e poetico attrae fortemente il lettore spingendolo a proseguire immediatamente la lettura e rendendolo smanioso di addentrarsi quanto prima nella trama del romanzo.

Ruth racconta della sua vita, dei suoi genitori, dei suoi compaesani, dei suoi nonni e lo fa senza seguire un senso cronologico.
Salta spesso da un argomento all’altro, apre parentesi, talvolta si concede tempo per lunghe descrizioni ed altre volte invece accelera terribilmente il ritmo della narrazione.
Nonostante sia un po’ difficile seguire il filo dei suoi pensieri e dei suoi racconti però va detto che il cerchio si chiude sempre ed il lettore ritrova sempre la strada maestra.

Ruth è una lettrice formidabile oltre a possedere una straordinaria capacità di ricordare cose sugli autori e sulle loro opere che noi comuni lettori spesso abbiamo dimenticato.

Rileggiamo così attraverso la protagonista di “Storia della pioggia” i classici e non solo: Shakespeare, Jane Austen, le sorelle Bronte ecc. oltre ad i suoi autori preferiti Charles Dickens e Robert Louis Stevenson.

I richiami ad autori e poeti a volte sono espliciti, altre volte invece Niall Williams rende il gioco con il lettore più sottile invitandolo a leggere tra le righe.

Due esempi su tutti.

Ogni famiglia funziona a modo suo, in base a regole inventate quotidianamente.

Come non richiamare alla mente l’incipit di Anna Karenina, celebre romanzo di Tolstoj, che recitava:

Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro; ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.

E di nuovo come non vedere nel padre di Ruth, in quella sua impossibilità di essere felice in quanto poeta, in quella sua Teoria del livello Impossibile, in quel non riuscire mai a scrivere il verso perfetto, nell’essere sempre work-in-progress, come non vedere un richiamo alla poetica di John Keats?

“Storia della pioggia” è un libro forte, potente e a tratti, se vogliamo, anche onirico; un libro incantevole e sofisticato destinato a lasciare il segno nel lettore.

E’ un romanzo che può considerarsi un inno alla letteratura e al piacere di leggere, un inno alla poesia.

Un romanzo forse di non facilissima e scorrevole lettura, ma che è in grado di regalare al lettore attento grandi soddisfazioni e perle di saggezza.

Tutti raccontiamo storie. Le raccontiamo per passare il tempo, per dimenticare il mondo o capirlo meglio. Raccontiamo storie per scacciare il male di vivere.