lunedì 17 ottobre 2016

“Diario di un uomo superfluo” di Ivan Turgenev (1818 – 1883)

DIARIO DI UN UOMO SUPERFLUO
di Ivan Turgenev
IL SOLE 24 ORE
“Diario di un uomo superfluo” è un breve racconto, poco meno di un’ottantina di pagine, scritto da Ivan Turgenev nel 1850.

Protagonista della storia è il giovane Culkaturin che, consapevole di essere prossimo alla morte, decide di congedarsi dalla vita scrivendo un diario.

La scelta di scrivere di sé sotto forma di diario è una scelta profonda e introspettiva; il diario, infatti, è la forma di scrittura che più di tutte permette di parlare di se stessi in modo intimo e spontaneo.

Culkaturin nelle prime pagine racconta della sua infelice infanzia; di una madre fredda e rigida, di un padre debole, senza carattere e dedito al gioco, ma ben presto si lascia andare a ricordi più recenti e rende così partecipe il lettore dei suoi sentimenti e del suo amore non corrisposto per la bella Liza.

Culkaturin è per sua stessa definizione un uomo “superfluo”, aggettivo che il lettore non deve tradurre con inutile, ma piuttosto deve dargli un’accezione di impotente, inconsistente.
La natura lo ha trattato come “si fa con un ospite inatteso e incomodo”; per tutta la sua vita egli ha trovato costantemente il proprio posto occupato, ma egli non si indigna, non si adira per questo, piuttosto pensa che la colpa sia sua perché ha sempre cercato il posto laddove non avrebbe dovuto.

C’è stato solo un momento nella vita di Culkaturin in cui egli abbia pensato di poter essere veramente se stesso ed acquistare consistenza agli occhi del mondo, ovvero quando innamorandosi di Liza, egli crede davvero che la sua esistenza vuota e superflua possa finalmente essere riscattata.

L’intera mia esistenza venne rischiarata dall’amore, tutta tutta, fino ai particolari più insignificanti, come una stanza buia e abbandonata in cui abbiano portato la luce di una candela.

Egli potrebbe diventare qualcuno grazie all’amore di un’altra persona, potrebbe vivere negli occhi della donna amata, ma il sogno dura un battito di ali ed egli si ritrova nuovamente ai confini della sua stessa vita non appena entra sulla scena l’affascinante principe di cui la ragazza si invaghisce all’istante.

Le effusioni sentimentali sono come la radice di liquirizia: dapprima la succhi e non è male; poi, però, ti allappa la bocca.

Culkaturin è un antieroe, è colui che non riesce ad essere protagonista neppure del suo stesso diario.
E’ il simbolo delle persone che vivono ai margini della società, che non si riconoscono in essa e che la società stessa non vede, ma le attraversa con lo sguardo come se non esistessero, come se fossero trasparenti.

Il personaggio uscito dalla penna di Turgenev trova corrispondenza in tanti altri personaggi della letteratura, penso ai personaggi di Sartre, Musil, Kafka...

Culkaturin è un uomo fragile che non si sente mai all’altezza delle situazioni, un uomo stimato da nessuno e che per di più non sa neppure cosa sia l’autostima.
Egli si sente impotente e vive osservando da dietro un vetro le vite degli altri.
Lui è l’escluso, colui che è condannato a fare sempre da tappezzeria e a veder ogni volta vanificato ogni suo debole tentativo di riuscire ad ottenere un attimo di “popolarità”.

“Diario di un uomo superfluo” è un racconto struggente, inteso e ricco di pathos che commuove il lettore fin dalle sue prime pagine, un piccolo capolavoro della letteratura russa da leggere lentamente, gustandone con calma ogni singola pagina e soffermandosi ad ogni passaggio.

Addio, vita, addio, mio giardino, addio anche a voi, miei tigli! Quando l’estate giungerà, non scordate – mi raccomando -  di rivestirvi di fiori da capo a piedi…



domenica 2 ottobre 2016

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas (1802 – 1870)

I TRE MOSCHETTIERI
di Alexandre Dumas
CRESCERE EDIZIONI
Nato dalla penna di Alexandre Dumas (padre), “I tre moschettieri” è il primo volume di una trilogia.
I due volumi successivi “Vent’anni dopo” (1845) ed “Il visconte di Bragelonne” (1850) ebbero però meno fortuna del primo libro che ancora oggi rimane uno dei romanzi più famosi e tradotti della letteratura francese.
“I tre moschettieri” venne pubblicato a puntate nel 1844 sul giornale Le Siècle, metodo molto diffuso nell’Europa dell’epoca.
Alexandre Dumas prese spunto per la sua opera da "Mémoires de M. D'Artagnan" opera del settecento scritta da Gatien de Courtilz de Sandras, un ex moschettiere che narrava delle vicende di D’Artagnan, personaggio realmente esistito.

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas, ambientato nel 1625, racconta la storia del giovane guascone D’Artagnan che si reca a Parigi per entrare tra le fila dei moschettieri di re Luigi XIII.
Fin da subito il giovane dimostra tutto il suo valore, il suo coraggio e la sua irriverente irruenza scontrandosi con coloro che diventeranno presto i suoi tre inseparabili compagni: Porthos, Aramis e Athos.
Tre personalità molto diverse quelle dei moschettieri: Porthos sbruffone e spaccone; Aramis, raffinato ed elegante, un uomo di chiesa mancato; Athos introverso, freddo e bravissimo a nascondere le proprie emozioni.
La storia vede contrapposti i moschettieri di Luigi XIII, devoti al re ed alla sua consorte Anna d’Austria, alle guardie del cardinale Richelieu.
Il rapporto tra Luigi XIII con quest’ultimo è un rapporto piuttosto controverso: infatti, pur essendo molto legato al cardinale, il re ne è allo stesso intimidito, temendo fortemente l’influenza che questi esercita su di lui e sulla sua corte.
Richelieu non ama la regina, soprattutto perché imparentata con la famiglia reale spagnola, nemica della Francia.
Il cardinale, sfruttando la simpatia nata tra la regina Anna e il duca di Buckingham, ordisce una trappola per screditare la regina agli occhi di Luigi XIII.
Sarà proprio D’Artagnan, avvertito dalla donna di cui è innamorato, Costance Bonacieux, guardarobiera nonché confidente della regina, che con l’aiuto dei suoi tre amici moschettieri, riuscirà a sventare il complotto ordito dal cardinale.


“I tre moschettieri” hanno avuto una straordinaria fortuna non solo come romanzo, ma anche come adattamenti cinematografici per il piccolo e grande schermo.
Tra i più recenti adattamenti possiamo ricordare il film del 2011 in versione “fantasy” diretto da Paul W.S. Anderson e la serie televisiva (2014-2016) creata da Adrian Hodges e prodotta dalla BBC.

Perché leggere un classico così conosciuto? Personalmente avevo visto numerosi adattamenti televisivi e diversi film tratti dal romanzo di Dumas.
Quello che mi ha spinto alla lettura è stato il fatto che in ognuna di queste versioni alcuni particolari, a volte insignificanti altre volte fondamentali, venivano resi sempre in modo diverso.
In poche parole volevo una volta per tutte conoscere la “vera” trama del romanzo e soprattutto conoscere il finale ideato dall’autore.


Il volume non ha disatteso le mie aspettative, si è rivelato una lettura piacevole e scorrevole, dal ritmo incalzante.
Un bel libro che presenta tutti gli elementi tipici di un romanzo di avventura di “cappa e spada” dove duelli, intrighi, passioni sono i veri protagonisti che affiancano i vari personaggi ognuno dei quali è seducente a modo suo ed è dotato di un particolare fascino.

Un ultimo appunto sull’edizione da me scelta, ovvero l’edizione integrale edita da Crescere Edizioni. Il formato del libro è perfetto, il rapporto qualità prezzo decisamente favorevole, attenzione però agli errori di traduzione: il tatuaggio sulla spalla di Milady era un giglio.
In questa edizione si parla di un fiordaliso, errore probabilmente dovuto alla cattiva interpretazione del fleur- de-lys, forma araldica propria del giglio.

Qualunque edizione scegliate, tra le numerosissime disponibili, “I tre moschettieri” resta comunque n classico assolutamente da leggere per un milione di motivi, ma soprattutto per ritrovare quel bimbo che ama le storie di avventura e che è nascosto in ciascuno di noi.



giovedì 25 agosto 2016

“La soffiatrice di vetro” Theresa Révay

LA SOFFIATRICE DI VETRO
di Theresa Révay
SONZOGNO
“Livia Grandi ou Le souffle du destin” è il romanzo di esordio sulla scena italiana di Theresa Révay, autrice della quale nei mesi precedenti vi avevo già proposto due splendidi romanzi “Le luci bianche di Parigi” e “L’altra riva del Bosforo”.

Siamo nel 1945 e la guerra è appena terminata. Livia Grandi appartiene ad una importante famiglia di vetrai di Murano.
Livia ha il vetro e il fuoco nel sangue, dovrebbe essere lei l’erede naturale della famiglia, ma in quanto donna alla morte del nonno, il famoso Alvise Grandi, vede infrangersi il suo grande sogno, obbligata a lasciare il controllo delle vetrerie al fratello che, contrariamente a lei, non ha mai avuto la passione per il vetro e che da quando è tornato dal fronte non è più lo stesso.

Flavio Grandi ha 26 anni all’apparenza è un uomo taciturno, arrogante, invidioso e irascibile, ma tutto è una facciata, nella realtà il fratello di Livia è un uomo insicuro e fragile che non riesce a dimenticare gli orrori vissuti durante il conflitto.

In realtà il titolo del libro è fuorviante: è vero che Livia Grandi è la protagonista del libro, ma non è la sola. La sua storia è piuttosto il filo che lega le storie di tutti gli altri personaggi, anch’essi protagonisti, del romanzo.

Si potrebbe quasi affermare che l’unica e vera protagonista del libro sia l’arte millenaria di lavorare il vetro, possa essere quest’arte riconosciuta nelle vetrate della Lorena, nei vetri di Murano o nei cristalli della Boemia.

Un’altra figura di donna emerge tra le pagine del romanzo di Theresa Révay ed è quella di Hannah Wolf.
Hannah ha subito uno stupro di gruppo a seguito del quale ha dato alla luce una bambina, come gli altri sudeti è stata deportata e ha dovuto lasciare tutto ciò che possedeva, iniziare una nuova vita in un campo profughi, lei ragazza di buona famiglia cresciuta nel rispetto dei valori borghesi, si è dovuta adattare a vivere in un modo completamente a lei estraneo.

Hanna però è una donna forte e, nonostante le difficoltà, riesce a ritrovare se stessa e a conquistare il suo angolo di mondo.

La guerra ha travolto tutto e tutti, ma soprattutto le donne che sono dovute crescere in  fretta, loro che erano abituate a vivere protette tra le mura domestiche da mariti, padri, fratelli.
Gli uomini invece, che le avevano lasciate ragazzine timide e indifese, al loro ritorno non comprendono come la guerra le possa avere tanto indurite e rafforzate, loro che invece la guerra ha reso insicuri e sfiduciati.

Tre donne e i loro fratelli: Elise e François, Hannah e Andreas, Livia e Flavio. Ognuno a modo suo deve ritrovare il proprio equilibro, riappropriarsi della propria vita, elaborare il lutto e superare il trauma.

Quello che ogni volta mi stupisce di questa autrice è la sua magistrale capacità di creare personaggi reali, carichi di passione e di riuscirne ad indagarne perfettamente la psicologia facendoli crescere e mutare man mano che la storia procede.
Non sempre le scelte dei protagonisti incontrano il favore del lettore, ma proprio per questo riescono a risultare più vivi e reali, con le loro debolezze, i loro ripensamenti, i loro dubbi e le loro paure che danno ancora più forza al valore delle loro conquiste.

Theresa Révay ha eseguito inoltre come sempre un lavoro preciso e puntuale di ricerca così che la sua storia risulti completamente convincente ed i suoi personaggi siano  perfettamente inquadrati nella realtà dell’epoca.

“La soffiatrice di vetro” è un libro emozionante e coinvolgente come tutti i romanzi dell’autrice francese e per chi come me è appassionata delle sue storie, non resta che sperare che qualche casa editrice italiana decida di pubblicare presto anche le altre sue opere.





domenica 21 agosto 2016

“Terra perduta” Ann Moore

TERRA PERDUTA
di Ann Moore
SUPERBEAT

Primo romanzo di una trilogia dedicata all’Irlanda moderna e alla diaspora dei suoi abitanti, “Terra perduta” è un romanzo che parla di amore, rivolta, libertà ed oppressione.

Ann Moore sceglie gli anni Quaranta del XIX secolo come punto di partenza del suo racconto.
Alla vigilia di una lunga carestia che metterà in ginocchio l’intero paese, la popolazione irlandese ridotta allo stremo delle proprie forze dalla fame, dal tifo e dalla vessatoria politica inglese, nonostante l’amore per la propria terrà sarà costretta, suo malgrado, a lasciare il proprio paese nel tentativo di sopravvivere.

Protagonista di questo primo romanzo è Grace O’Malley, tipica bellezza irlandese dagli occhi blu e dai capelli di un rosso scurissimo, ereditati dalla madre.

La famiglia O’Malley un tempo era padrona di una vastissima tenuta nell’Irlanda del Nord, poi ai tempi di Giacomo II, ultimo sovrano cattolico in Inghilterra cadde in disgrazia e fu ridotta in povertà.

Come tutti coloro che erano appartenuti ad antiche famiglie cattoliche, ora anche gli O’Malley sono semplici affittuari di un appezzamento di terra di proprietà inglese.
La terra coltivata, per lo più a patate, dalla famiglia di Patrick O’Malley è di proprietà dei Donnelly.

In un momento tanto difficile per la sopravvivenza della famiglia, la salvezza assume le sembianze di Bram Donnelly, secondogenito di Lord Donnelly.

Squire Donnelly è stato “esiliato” dal padre nella contea di Cork a causa delle sue continue e inopportune scappatelle a Londra, già due volte vedovo nonostante abbia solo una trentina di anni, si invaghisce ad una festa della giovanissima Grace O’Malley e decide di farne la sua terza moglie.

Nonostante Grace sia segretamente innamorata, e a sua insaputa corrisposta, di un amico di infanzia, il giovane Morgan McDonagh, accetta di sposare lo squire inglese per il bene della propria famiglia.
Il matrimonio dopo un primo periodo in cui sembra poter funzionare, si rivela invece un totale fallimento.
Bram Donnelly confermerà ben presto la sua fama di uomo violento e collerico mentre l’orgoglio irlandese di Grace, oltre all’amore per la propria famiglia e per la propria terra, si scontrerà ben presto con l’arroganza e la superbia del marito che non perde occasione per calpestare la vita, indegna ai suoi occhi, degli irlandesi.

“Terra perduta” è un’opera di grande narrativa, una prosa perfetta, un romanzo che conquista.
Forse un po’ faticosa la lettura delle prime pagine, ma una volta entrati nel pieno della storia la lettura diventa scorrevole e si è completamente conquistati dalla narrazione e dai suoi affascinanti personaggi.

Grace O’Malley è indubbiamente l’eroina del romanzo che con la sua forza, la sua grazia, la sua tenacia e la sua bontà, riesce a sconfiggere la miseria, la vigliaccheria e la cattiveria del marito Bram Donnelly.
Ogni personaggio fa rivivere attraverso la propria storia quell’antico mondo irlandese popolato di fate e folletti, il mondo di un popolo orgoglioso del suo passato, della sua terra e delle sue origini. Un mondo intriso di magia tenuto in vita dalle ballate e dai canti della sua gente.

Patrick O’Malley vive per i suoi figli e la sua terra, così come Nonna, altro ben riuscito personaggio, che con la sua esperienza riesce a tenere unita la famiglia, lei che tutto vede e sa grazie all’antica saggezza.

I due personaggi maschili a cui Grace è oltremodo legata sono il fratello Sean e l’amico Morgan.

Sean nonostante i problemi fisici a seguito dell’incidente nel quale aveva perso la vita la madre e il cui racconto apre il romanzo, è dotato di una grande forza interiore, è intelligente e scaltro.
Morgan invece è forte, protettivo e coraggioso; devoto a Sean, è innamorato da sempre di Grace.

Quello descritto da Ann Moore è un mondo ancestrale, un mondo dove tutti si conoscono e si danno una mano, un mondo che rappresenta ormai la fine di un’epoca per un popolo, quello irlandese, fiero delle proprie tradizioni, disposto a sacrificare la vita per la propria terra e per tutti gli irlandesi.

Credo che Cathy Cash Spellman parlando di questo libro sul New York Times abbia colto in pieno lo spirito del romanzo: Se amate il suono gioioso delle risate irlandesi e il fiume di lacrime da cui spesso sgorga, Terra perduta vi colpirà dritto al cuore.




martedì 2 agosto 2016

“Amy Snow” di Tracy Rees

AMY SNOW
di Tracy Rees
NERI POZZA
Gennaio 1831. Aurelia Vennaway, figlia unica di Lord Charles e Lady Celestina Vennaway, una delle famiglie più in vista della contea dello Hertfordshire, trova ai margini della foresta una neonata abbandonata nella neve.

Nonostante i genitori si oppongano con fermezza alla decisione della figlia di fare crescere la neonata ad Hatville Court, Aurelia con la sua caparbietà riesce ad ottenere il permesso dei genitori.
La bimba decide di chiamare la trovatella Amy Snow: Amy come la sua bambola preferita e Snow ovviamente perché ritrovata nella neve.

La madre di Aurelia cerca in tutti i modi di tenere Amy distante dalla figlia, ma senza risultato, in quanto niente e nessuno sembra essere abbastanza forte da riuscire a tenere le bambine lontana l’una dall’altra evitando che crescano insieme come due inseparabili sorelle.

La storia del romanzo inizia nel gennaio 1848. Amy è prossima a lasciare Hatville Court dopo la prematura morte di Aurelia, avvenuta alla giovane età di soli 25 anni, a seguito di una malattia cardiaca.

Aurelia ha lasciato ad Amy una somma di appena 100 sterline o almeno ciò è quello che tutti credono alla lettura del testamento, ma la giovane ha lasciato molto di più all’amica del cuore.

Per entrare in possesso della cospicua eredità e conoscere i segreti di Aurelia, Amy Snow però dovrà lasciare quella casa a lei ostile, ma pur sempre l’unica che abbia mai conosciuto, ed addentrarsi nel vasto mondo a lei ignoto.
Come unica guida avrà le lettere che l’amica le ha lasciato e che la condurranno lungo un difficile ed impegnativo cammino, scandito dalle tappe della caccia al tesoro che, per un’ultima volta, l’amica ha predisposto per lei, così come era solita fare quando era bambina.

Il viaggio di Amy Snow inizia a Londra e da lì la ragazza raggiungerà diverse città dell’Inghilterra in ognuna delle quali farà la conoscenza di persone di ogni tipo.
Aurelia ha messo in guardia Amy sul fatto di dover stare molto attenta a non farsi rintracciare dai suoi genitori onde evitare di dover restituire il cospicuo lascito.
E se all’inizio la paura di essere scoperta sarà legata al timore di dover difendere l’eredità dalle mani dei vendicativi Vennaway, ben presto Amy comprenderà che in gioco c’è molto di più di questo perché l’amica le ha celato un grande segreto che solo ora, dopo la sua morte, intende rivelarle.

Tracy Rees riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. La storia è avvincente ed i personaggi sono affascinanti.

Attraverso le pagine di questo libro rinasce il romanzo vittoriano.
Numerosi sono gli accenni a Charles Dickens, tra l’altro autore preferito dalle eroine del libro, che influenza non solo le aspettative di Amy sulla città di Londra, ma si ritrova nelle atmosfere, nei diversi personaggi e persino nella descrizione delle case.

“Amy Snow” ha però molto in comune anche con i romanzi austeniani: i due protagonisti maschili Garland e Henry potrebbero benissimo essere usciti dalla penna di Jane Austen così come le descrizioni caustiche e sferzanti dell’alta società inglese dell’epoca.

L’affresco storico che ne risulta è perfetto, l’autrice si è ben documentata e traspare in ogni riga quanto questo periodo sia da lei amato; ritroviamo nel romanzo della Rees tutti i temi cari al romanzo vittoriano: la ferrovia, i riferimenti all’industrializzazione del nord, la società di Bath, la filantropia...solo per citarne alcuni.

Ogni personaggio meriterebbe una menzione particolare, ma non essendo questo possibile, lascio al lettore il piacere di scoprire la bella galleria che l’autrice è riuscita a regalarci.

Mi concentrerò solo sui quattro personaggi principali: Amy, la vera protagonista, Aurelia la cooprotagonista la cui storia viene raccontata attraverso le lettere inviate all’amica nonché dalla voce del ricordo dell’amica stessa, il signor Garland e Henry Mead.

Aurelia ed Amy sono due donne molto forti e coraggiose, più scapestrata ed appassionata la prima, più riflessiva e attenta la seconda.
Amy è cresciuta all’ombra di Aurelia e quando deve prendere in mano la sua vita e affrontare il mondo a lei sconosciuto ha indubbiamente paura, ma è anche abbastanza forte nella sua insicurezza per tirare fuori la grinta e le capacità necessarie per superare ogni ostacolo.

Il romanzo della Rees può essere definito un romanzo di formazione proprio come quelli dickensiani in cui l’eroe/l’eroina nel suo percorso crescono e raggiungono la piena maturità.

I due uomini inducono non poco in difficoltà il lettore.

Il signor Garland è educato, raffinato ed elegante. Uno che ha l’aria che neppure il vento potrebbe spettinare e i cui abiti nemmeno la volontà divina sarebbe in grado di stazzonare.

Anche il signor Henry Mead è affascinante seppur in maniera diversa. È cordiale, franco e allegro. Sta cerando di trovare la sua strada e, come ogni giovane, è assediato dalle incertezze e dalle delusioni dei mortali.

Chi dei due però è colui che davvero non nasconde inganni? E se entrambi non fossero ciò che sembrano? Le domande assillano il lettore fino alle pagine conclusive del romanzo.

Ciò che incanta più di ogni altra cosa in questo libro è che nulla può essere dato per scontato, e se vero che forse ad un certo punto si intuisce quale sia il segreto di Aurelia, fino all’ultimo non si ha mai alcuna certezza sui reali sentimenti e intenzioni dei due pretendenti di Amy.

“Amy Snow” è un romanzo assolutamente da leggere consigliato a tutti gli appassionati del romanzo vittoriano e ai lettori che hanno ormai consumato le pagine dei libri di Jane Austen in loro possesso, agli amanti del romanzo storico, agli appassionati della vecchia Inghilterra…

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che ci riporta indietro nel tempo e che ha la capacità di farci sognare come solo i grandi classici hanno saputo fare.







mercoledì 27 luglio 2016

“Il mondo dell’altrove” di Sabrina Biancu

IL MONDO DELL’ALTROVE
di Sabrina Biancu
DEL BUCCHIA
“Il mondo dell’altrove” è una raccolta i cinque brevi racconti che trasportano il lettore in un mondo fantastico, un luogo magico.

Il prologo ci rimanda subito ad un grande capolavoro della letteratura per ragazzi ovvero “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry e, proprio come questo splendido libro, i racconti di Sabrina Biancu affrontano importanti tematiche quali il senso della vita ed il valore dell’amore e dell’amicizia.

Sin dalle prime pagine, l’autrice pone al lettore l’eterno ed annoso quesito sul perché mai diventare adulti dovrebbe significare per forza perdere la capacità di sognare.
Sabrina Biancu risponde alla domanda attraverso le storie di Elia, di Rosy, di Tea, di Desideria e di Irina la stellina.

Cinque magici racconti che accompagnano il lettore adulto in un viaggio fantastico alla riscoperta di sé stesso e dei valori veri della vita ed allo stesso tempo affiancano il lettore adolescente aiutandolo a crescere e a maturare.
“Il mondo dell’altrove” potrebbe essere quindi definito “il libro per tutte le stagioni”.

Questi i titoli dei cinque racconti:

-       Il ristorante della speranza
-       Rosy e l’anatroccolo
-       La rosa bianca
-       Lo spirito della fonte
-       La piccola stellina

Non scrivo nulla della trama perché trattandosi di racconti molto brevi rovinerei il piacere della lettura anticipando inevitabilmente parti significative che è giusto che il lettore scopra da solo.

Ho pensato però che potrebbe essere interessante proporvi una piccola intervista all’autrice, che devo ringraziare per aver accettato di essere ospite sul mio blog.
Chi meglio di lei infatti potrebbe presentare la sua opera?

Sabrina Biancu, classe 1981, è nata ad Oristano e vive a Baressa. Frequenta il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Ama i bambini, gli animali ed i libri.
Al suo attivo ha una raccolta di racconti dal titolo “Luce azzurra” (2009).


Il titolo “Il mondo dell’altrove” richiama alla mente la favola di Fantaghirò, così come il nome Desideria, protagonista del quarto racconto ricorda un’altra celebre serie TV. Quanto ti hanno ispirato questi racconti? Ci sono storie particolari che ti hanno ispirata?

Questa domanda mi riporta alla mente bellissimi ricordi, quando da ragazzina aspettavo il natale per vedere queste belle favole dove mi è sempre piaciuto rifugiarmi.
Sono sempre stata un’inguaribile sognatrice che ha usato la fantasia, anche perché ho vissuto dei momenti di solitudine a scuola, alle elementari e medie, perciò tenere viva la mente mi ha aiutato a non cadere nello sconforto.
Fantaghirò non ha influito in questi racconti, ma la quarta storia in piccola parte è stata influenzata da Sorellina e il principe del sogno, mi piaceva l’idea che una fonte magica potesse aiutare dei giovani innamorati, quindi la ricorda solo per questo.
Il resto è interamente frutto della mia fantasia, anche se posso dire che le letture e i film dell’infanzia ispirano molto i miei racconti, perché in buona parte non voglio crescere, e non voglio dimenticare di tenere accesa la creatività nonostante i miei 34 anni.

Nel primo racconto “Il ristorante della speranza” scrivi: “Attiri a te ciò che ti serve e l’universo di ascolta”. Credi alla legge dell’attrazione? Quanto secondo te il nostro atteggiamento influisce su ciò che ci succede?

Sei l’unica, o una delle poche che ha notato il chiaro riferimento alla legge dell’attrazione. Sì, credo ciecamente alla legge dell’attrazione, l’ho scoperta per caso e ho provato subito a metterla in pratica e devo dire che ha funzionato, perciò tutt’oggi continuo a usarla.
Se devo essere sincera la sto usando anche per la mia carriera da scrittrice e mi sta aiutando, non solo, la metto in pratica anche per aiutare gli altri e sono felicissima dei risultati, unita all’amore e alla gratitudine è una forza potente.
Se tutti provassero a usarla sono convinta che vivrebbero più felici.

Nei tuoi racconti si parla molto del difficile rapporto genitori-figli: il padre di Nico che vuole imporre le proprie scelte al figlio, il padre di Pietro che al contrario cerca di non imporre regole, ma cerca invece il dialogo, i genitori di Rosy in crisi davanti ai continui capricci della figlia. Quanto è difficile essere genitori oggi?

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Io lavoro con i bambini, faccio l’animatrice e spesso mi sono ritrovata a chiedere cosa sia cambiato oggi rispetto a quando io ero bambina, e mi sono ritrovata a fare un confronto.
Io provengo da una situazione in cui mio padre era allevatore e mia madre casalinga con quattro figli a carico, quindi non semplice, dove spesso non avevo tutto quello che volevo perché non potevano permetterselo, nonostante ciò sono stata una bambina felice e col senno di poi sono contenta di come sono stata cresciuta anche perché non mi mancava niente.
Oggi invece vedo che il consumismo è maggiore rispetto alle reali esigenze, e credo che sia più difficile fare i genitori cercando di essere all’altezza dei tempi, con bambini che vogliono avere le scarpe di marca e l’ultimo telefonino perché lo hanno tutti altrimenti vengono scartati dai loro coetanei. Forse qualche no in più non farebbe male, in fondo le nuove generazioni dovranno prima o poi imparare a cavarsela con i loro mezzi.

I tuoi racconti parlano di sentimenti: amore, amicizia, solidarietà…. Parlano dell’importanza di essere sempre se stessi e della necessità di tenere a distanza le persone che vogliono solo manipolarci. Insegnano l’importanza della bellezza interiore che troppo spesso viene messa in ombra da quella esteriore…

Ho scritto questo libro pensando alle mie esperienze passate, e volendo comunicare un messaggio. A volte si è talmente occupati a vedere le cose con gli occhi che non si ascolta più con il cuore; sembra che l’esteriorità abbia preso il posto dell'interiorità, eppure spesso chi non si espone è chi ha più bisogno.
Con il mio libro ho voluto dare voce a chi non viene ascoltato, ci tenevo a sottolineare che se diamo una possibilità a ciascuno di dire la sua, può darci più di quanto ci potremmo immaginare.
  
Il tuo libro può sembrare in primo momento un libro dedicato agli adolescenti, può essere sotto questo aspetto considerato uno strumento per aiutarli a crescere, a maturare. Ma leggendo i racconti ci si rende conto, quasi immediatamente, che questi possono tranquillamente essere un valido aiuto anche per gli adulti che si sono persi e devono ritrovare la capacità di sognare e credere…

Bella parola credere, credere per vedere e non il contrario. Aiuta a sperare in un futuro possibile e non smettere di sognare, e se la fiducia è tanta rimarremo soddisfatti di ciò che vorremmo si realizzasse.
Sì, ci hai preso in pieno, questo libro è dedicato agli adulti che si sono persi, che hanno perso la capacità di sognare, perché pensano che diventare grandi non implica lasciarsi andare a queste cose.
Ma i sogni sono fondamentali, chi smette di farlo si perde e si lascia travolgere dagli eventi, pensando di non avere controllo sulla propria vita, invece è il contrario.
I sognatori sono persone felici, che vivono appieno ogni momento e sanno che il futuro gli riserverà qualcosa di bello, perché se lo creeranno esattamente come lo hanno sempre immaginato.

Grazie di cuore Sabrina e in bocca al lupo per la tua carriera!





martedì 12 luglio 2016

“Borderlife” di Dorit Rabinyan

BORDERLIFE
di Dorit Rabinyan
LONGANESI
Liat e Hilmi si incontrano all’ombra dei grattacieli di New York.

Liat,  29 anni, una laurea in letteratura inglese e glottologia, resterà negli Stati Uniti per sei mesi grazie ad una borsa di studio.

Hilmi ha 27 anni, è un artista, per la precisione un pittore e vive a New York già da quattro anni.
Nei suoi dipinti c’è sempre un bimbo che dorme e sogna il mare.

Tra loro scocca immediatamente la fatidica scintilla, il loro è amore a prima vista, un amore travolgente e passionale.

Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che Liam Benyamini è israeliana e vive a Tel Aviv mentre Hilmi Nasser è un ragazzo palestinese di Ramallah.

Appartengono a due popoli diversi, due popoli in perenne conflitto e proprio per questo, nonostante l’attrazione fortissima, nonostante le numerose cose in comune, la musica, il cinema, la nostalgia di casa, del caldo e del sole, il loro amore è destinato ad essere semplicemente un amore a tempo, un amore segreto e provvisorio.

Il tempo scorre inesorabile: 20 maggio 2003, la data scritta sul biglietto di ritorno di Liat, è inevitabilmente la data che decreterà la fine del sogno, il capolinea di una storia d’amore impossibile.

Dorit Rabinyan, l’autrice del libro, è nata vicino a Tel Aviv in una famiglia di ebrei emigrati dall’Iran così come la protagonista del libro.

“Borderlife” è un bestseller, un romanzo che è volato in testa alle classifiche ed è conteso dagli editori stranieri per i diritti di pubblicazione.
Uscito nel 2014 è stato bandito dalle letture liceali dello stato di Israele, ritenuto pericoloso, in quanto la sua lettura avrebbe potuto influenzare gli adolescenti spingendoli a contrarre matrimoni con non ebrei.

“Borderlife” viene definito da tutti come una grande storia d’amore.
Amos Oz la definisce “una magnifica storia d’amore che la tragedia di due popoli non riesce a sopraffare”.
La critica è  uniformemente concorde con questa descrizione.

La storia di Liat e Hilmi è indubbiamente una storia appassionante e romantica, non sarò di certo io a negare l’evidenza dei fatti, pur tuttavia la diffidenza ed il pregiudizio, la paura e l’incertezza di Liat mi hanno fatto dubitare più di una volta sulla profondità dei suoi sentimenti nei confronti di Hilmi.

Hilmi sembra non vacillare mai, è come se lui al di là delle difficoltà, delle differenze avesse la certezza che l’amore trionferà sempre. Hilmi è un sognatore, un idealista.

Liat invece è sicura sin dall’inizio che la storia terminerà il giorno stesso in cui salirà su quell’aereo che la riporterà a casa, dalla sua famiglia, da quei genitori che sarebbero distrutti dal dolore se sapessero del suo amore per un ragazzo palestinese.
Liat vive costantemente nell’ansia di incontrare per la strada qualcuno che la riconosca, in fin dei conti lei per prima sembra vergognarsi del “suo amore arabo segreto”.
Liat è molto attratta fisicamente da Hilmi, ma la paura di deludere amici e parenti, la diffidenza ed il pregiudizio non le permettono di vivere pienamente i suoi sentimenti per lui.

E allora viene spontaneo chiedersi, l’amore che Liat prova per Hilmi, pur con tutte le attenuanti del caso, può davvero essere considerato un grande amore? Non dovrebbe l’amore con la “A” maiuscola riuscire a guardare oltre, non vedere gli ostacoli o quanto meno cercare di superarli?
Hilmi non ha paura di presentarla alla famiglia, di parlare di lei ad amici e parenti; di prendersi cura di lei durante la malattia. Possiamo dire altrettanto di Liat?

E’ vero, Hilmi e Liat sono due persone molto diverse, non solo perché appartengono a due popoli in conflitto tra loro: lei è precisa e perbenista, lui il tipico bohemien.
Questo loro diverso modo di affrontare la vita, lo riscontriamo anche nel loro approccio alla questione palestinese: lui illuminato e universalista, amante della pace; lei pragmatica e interessata solo ai dettagli pratici.
Sembra quasi che le differenze caratteriali pesino su di loro quanto, se non di più, delle loro differenze culturali e di nascita.

Tutto ciò non toglie nulla alla storia d’amore dei due giovani, ma anzi aiuta a far riflettere su quanto la nostra cultura, l’appartenenza ad una etnia piuttosto che ad un’altra, influenzi radicalmente e profondamente il nostro modo di approcciare la vita.

La storia tra Liat e Hilmi è nata perché entrambi si trovavano a New York, lontano da casa; eppure ho avuto la netta sensazione che forse Hilmi, se avesse avuto l’occasione, avrebbe avuto il coraggio di vivere questa storia d’amore anche se avesse incontrato Liat a Tel Aviv, non altrettanto credo avrebbe avuto il coraggio di fare lei.

Quella tra Liat e Hilmi è una storia d’amore moderna, pragmatica, forse lontana da quelle grandi storie d’amore che la letteratura ci ha regalato in passato, ma senza dubbio più vera e concreta.

Nonostante mi aspettassi un approccio alla storia completamente diverso da parte dell’autrice, “Borderlife” si è rivelato un ottimo romanzo che racconta una storia forte, travolgente, ricca di passione e soprattutto capace di fare riflettere il lettore.

Il ritmo lento segue il flusso dei ricordi e la scrittura è a tratti pura poesia.
Il senso di ineluttabilità del destino incalza il lettore, così come la tensione che si insinua sempre più, pagina dopo pagina, all’avvicinarsi della fatidica data della partenza di Liat, mentre incombe su tutto un senso di perdita, di angoscia e di imminente tragedia.

L’autrice è davvero brava ad accompagnare il lettore in questo viaggio, perchè di un viaggio si può parlare, un viaggio nella mente umana e nei suoi mille modi di agire nel tentativo di proteggersi dalla paura, dalla sofferenza e dal dolore.
Ci racconta del timore di lasciarsi andare, del dubbio se sia meglio donarsi completamente o tirarsi indietro, se sia preferibile combattere per affermare se stessi, magari deludendo chi ci ama, o se sia meglio lasciarsi vivere e, assecondando quelle idee che ci sono state inculcate fin da piccoli, lasciare che le nostre ansie ed i nostri pregiudizi decidano della nostra esistenza.

Credo che non ci sia in questo caso miglior invito alla lettura che chiudere con due frasi tratte da romanzo stesso:

Ma poi tutto passa, stavo per dirle, la vita va avanti: non si può star sempre a ricordare che la fine si avvicina, una mattina ti alzi e in un modo o nell’altro hai dimenticato”.

E chissà se ogni tanto anche tu - a casa, nella strada dove sei tornato, nella tua città – chissà se anche tu senti, vagamente, una specie di tenue ombra sull’anima, chissà se la senti che ti accompagna e fa capolino di tanto in tanto”.