domenica 22 aprile 2018

“Agnese, una Visconti” di Adriana Assini


AGNESE, UNA VISCONTI
di Adriana Assini
SCRITTURA & SCRITTURE
Seconda metà del Trecento, Bernabò Visconti è il signore di Milano e il suo vasto dominio si estende anche alle città di Bergamo, Brescia, Cremona più altri centri minori.

È un uomo autoritario e irascibile che, pur dotato di intelligenza ed erudizione fuori dal comune, possiede la grinta tipica dei conquistatori.

La sua sregolatezza, il pugno di ferro con cui è solito governare, la sua smodata passione per il cibo e la caccia, riportano alla nostra mente la figura di un grande sovrano che regnerà sull’Inghilterra più di un secolo dopo, il tanto discusso Enrico VIII.

La figura di Bernabò Visconti, proprio come quella del celebre re inglese, non lascia spazio a tiepidi sentimenti; Bernabò Visconti o lo si ama o lo si odia, l’indifferenza non è ammessa.

Il Visconti ha una prole numerosa, ma Agnese è senza dubbio la sua preferita; in lei infatti egli vede il riflesso di se stesso. Caparbia, intelligente e audace, Agnese è proprio come lui.

Non stupisce quindi che, a causa del suo carattere ribelle, la giovane entri spesso in contrasto con il genitore e, per riportare la pace in famiglia, ogni volta deve intervenire la madre, Beatrice della Scala, detta anche Regina per il suo portamento regale.

La sposa di Bernabò è l’unica persona sulla faccia della terra in grado di addomesticare il consorte, riconducendolo a più miti consigli quando necessario e, visto il carattere collerico di questi, Beatrice deve intervenire piuttosto frequentemente.

Bernabò Visconti ha combinato per Agnese un prestigioso matrimonio, sua figlia andrà in sposa al giovane Francesco Gonzaga, futuro signore di Mantova.

Agnese sulle prime cerca di ribellarsi a questa unione, ma poi si piega alla volontà paterna e accetta di sposare il Gonzaga.

Il matrimonio si rivelerà però un fallimento sia dal punto di vista sentimentale che politico. 
Agnese, infatti, indomita e fiera, non si piegherà mai né alla ragion di stato né al modo di pensare del suo consorte, sfiderà le convenzioni e sarà fin da subito un spina nel fianco del suo sposo.

La vita non sarà clemente con Agnese che pagherà a caro prezzo la ferrea volontà di rimanere fedele a se stessa, ai suoi principi e ai suoi affetti.

Il libro di Adriana Assini è un romanzo storico molto ben costruito: cronaca storica e romanzo d’amore si sposano perfettamente, regalandoci uno splendido affresco dell’epoca e una vivida testimonianza di quanto potesse essere difficile e pericoloso a quel tempo essere una donna sola e risoluta.

Il periodo in cui si svolgono i fatti narrati nel romanzo è un’epoca tormentata, dove alleanze e amicizie duravano poche settimane e dove persino i legami famigliari più stretti erano totalmente instabili e inaffidabili.
  
In un quadro storico così incerto la luce di Agnese, così altera e fiera, risplende come una stella.

Nonostante più volte cerchino di spezzare la sua dignità la donna mantiene inalterato il suo orgoglio fino alla fine dei suoi giorni; lei è una guerriera, orgogliosa di appartenere alla valorosa dinastia dei Visconti, fiera di essere la figlia di Bernabò.

Questa sua alterigia indubbiamente a tratti risulta anche un po’ indisponente, nonostante tutte le attenuanti che le si possono riconoscere, tra cui un consorte, Francesco Gonzaga, subdolo e codardo, Agnese spesso non fa nulla per cercare di ingraziarsi la sua corte.

Il finale del romanzo però riscatta del tutto qualunque dubbio possa essersi affacciato alla mente del lettore sulla personalità di Agnese Visconti, nei confronti della quale è impossibile non sciogliere qualunque tipo di riserva e sviluppare un forte senso di empatia.

La struggente conclusione del libro lascia al lettore un senso di angoscia e amarezza, ma anche la piena consapevolezza di aver conosciuto, attraverso le pagine di questo splendido romanzo, la storia di una grande donna; una donna che, nonostante gli avversi colpi della fortuna, ha avuto il coraggio di vivere secondo i suoi desideri.

Fin da bambina Agnese Visconti sognava di incontrare un cavaliere che assomigliasse ai protagonisti dei libri che tanto le piaceva leggere; desiderava vivere una passione degna della più grandi storie d’amore e, nonostante tutti la dissuadessero dal credere tutto ciò possibile, lei riuscì a realizzare il suo sogno, seppur mettendo a repentaglio la sua stessa vita.

I personaggi del romanzo sono tutti caratterizzati in maniera magistrale da Adriana Assini: la fidata Mea della Mirandola, dama di compagnia di Agnese, Beatrice della Scala, Jacopo l’indovino, Bernabò Visconti e Antonio da Scandiano, il cavaliere bello ed elegante, dagli occhi grigi come i cieli d’inverno e capelli scuri, lunghi fin quasi alle spalle.

“Agnese, una Visconti” è un libro affascinante e coinvolgente come la sua protagonista, un romanzo appassionante che sa regalare al lettore emozioni forti oltre a trasmettergli il desiderio di rileggere le opere di Dante e Petrarca e magari riprendere in mano anche i poemi di Chrétien de Troyes.

Un ultimo accenno merita di essere fatto sull’aspetto estetico del libro in sé come oggetto. Ho trovato l’edizione davvero piacevole e invitante. Bello il dipinto scelto per la copertina, Ritratto di donna di profilo opera di Piero del Pollaiolo (1465) e assai gradevoli sia il formato che la grafica del volume.

Insomma, bella l’edizione, ottima la storia e Adriana Assini, autrice che non conoscevo, una piacevole scoperta.





sabato 14 aprile 2018

“Mater Luna” di Victoria Francés


MATER LUNA
di Victoria Francés
RIZZOLI LIZARD

Melissa Moonbeams è l’ultima discendente di una stirpe di donne sapienti, custodi di un’arte arcana, ormai in aperto contrasto con il nuovo dogma del puritanesimo.

Melissa è in travaglio e qualcosa sembra non andare per il verso giusto; avrebbe bisogno di aiuto, ma nessuna donna del villaggio vuole soccorrerla perché da tutti ritenuta una strega.

Quando una falsa levatrice si presenta alla porta, il marito di Melissa, ormai stremato e incapace di agire come la gravità della situazione richiederebbe, la lascia entrare.

La donna, dopo aver ammaliato l’uomo con la sua avvenenza, avvelena Melissa e lancia una maledizione sulla bambina appena strappata dal grembo materno.

Lunnula, questo il nome della piccina, sarà l’ultima della sua stirpe in quanto non sarà mai in grado di generare figli.

La bimba cresce e diviene una bellissima fanciulla, però le voci del villaggio nei suoi confronti non si placano.

Sposa un giovane cacciatore, ma quando questi si rende conto che ragazza non riesce a dargli figli, si allontana da lei dando credito alle malelingue dei compaesani.

Lunnula, delusa e amareggiata, decide di recarsi nel bosco per invocare l’aiuto della Grande Dea.

Un giorno, rientrando dal bosco, incontra sul suo cammino il marito insieme alla sua amante; denunciata da questi, Lunnula viene arrestata e, dopo un sommario processo, condannata a morte.

La ragazza viene impiccata ad un albero e sepolta in una fossa improvvisata nel terreno; la sua morte, infatti,  ha scatenato la furia della natura e una terribile tempesta si è abbattuta sul luogo dell'esecuzione.

Nel sonno eterno della morte Lunnula riesce però ugualmente a dare alla luce il figlio promessogli dalla Grande Dea.

Una volpe affamata, in cerca di cibo, estrae dalla terra una piccola radice antropomorfa, una bimba-strega.
La volpe mossa a compassione per quello strano esserino, la porta con sé nella sua tana e la alleva insieme ai suoi cuccioli.

La creatura si trasforma lentamente e, con il passare dei mesi, diventa una splendida fanciulla dai capelli rossi e dagli occhi verdi.

Sionna, questo il suo nome, possiede doni che la rendono diversa da ogni altra creatura; è dotata di conoscenze arcane e di poteri soprannaturali che le permettono di controllare gli elementi naturali e i fenomeni atmosferici.

Purtroppo Sionna non è destinata a vivere un’esistenza felice, presto anche lei, come sua madre e sua nonna prima di lei, dovrà confrontarsi con i costumi crudeli degli uomini…

Mater Luna è un appello affinché tutti noi rammentiamo di essere parte della natura ed è un invito a ritrovare quel senso di comunione con essa che ormai sembra essere perduto.

“Generare” non deve essere inteso solo nel senso letterale del termine “di dare la vita ad un altro essere umano".
Ad ognuno di noi è stata elargita la facoltà di fecondare terreni apparentemente sterili, tutti noi possiamo dare vita a un concetto, un’idea, una filosofia.

Ci è concessa la facoltà di amare e prenderci cura di un altro essere, che sia un orfano, una pianta, un animale o magari anche solo di un oggetto inanimato, non importa di chi o di cosa si tratti, la cosa importante è ciò che noi siamo in grado di provare e trasmettere.

I sogni sono la chiave della nostra esistenza; quando ci sentiamo vuoti e incapaci di creare, possiamo sempre dare vita ai nostri sogni, i sogni ci indicano la strada verso la salvezza, i sogni sono la nostra salvezza.

Una volta l’uomo sapeva ascoltare la natura, era un tutt'uno con i suoi elementi, ma con il trascorrere del tempo questo rapporto si è allentato sempre più, e nulla oggi sembra essere rimasto di quell’arcano sentire, se non qualche debole riflesso che ancora si coglie nei racconti di miti e leggende o nelle immagini di streghe, vivane, elfi, dei, eroi…

Il mondo di Victoria Francès è un mondo popolato di queste figure mitiche e arcane, figure in grado di ridare voce con la loro presenza ai boschi, al cielo, agli oceani e alle montagne.

“Mater Luna”, come la trilogia di “Favole” di cui vi ho parlato tempo fa, è anch'esso edito da Rizzoli Lizard. 
L'edizione altrettanto ben curata, lo rende un volume da collezione, un vero piccolo gioiello.

Bellissime le tavole e interessanti le pagine dedicate alla descrizione di come sono nati i personaggi e alla realizzazione delle bambole con le sembianze di Lunnula e Sionna.

Il mondo di Victoria Francés è un mondo magico, fatto di luci e ombre, un mondo misterioso e affascinante che sa incantare il lettore con le sue splendide immagini e la sua delicata poesia.






domenica 8 aprile 2018

“Fai piano quando torni” di Silvia Truzzi


FAI PIANO QUANDO TORNI
di Silvia Truzzi
LONGANESI
Margherita si trova ricoverata da tre mesi in ospedale a seguito di un brutto incidente stradale nel quale ha rischiato di perdere la vita.

Quel giorno Margherita aveva deciso di mettersi alla guida nonostante fosse ubriaca; poiché nessuno si sente di escludere che possa essersi trattato di un tentato suicidio, al momento la donna è seguita da uno psichiatra.

Margherita è giovane, bella, intelligente, di buona famiglia, ha un ottimo lavoro; tutto sembrerebbe far pensare a una vita perfetta, ricca di soddisfazioni e, invece, la giovane soffre di una forte depressione.

Dopo anni non è ancora riuscita a elaborare il lutto per la perdita del padre e ora deve pure affrontare l’abbandono del fidanzato che ha liquidato la loro storia, una sera come tante, con un semplice “Non so se ti amo più”, facendole crollare definitivamente il mondo addosso.

Quando Margherita si sveglia nel letto di ospedale, dopo aver subito la quinta operazione, si ritrova a condividere la stanza con un'anziana dall'aspetto molto particolare.

Anna Galletti è una donna corpulenta con i capelli biondo platino, dall’aspetto alquanto vistoso con le sue camicie di pizzo rosa e i bigodini in testa che spuntano da una ridicola retina.
Anna è una donna molesta e invadente, ma allo stesso tempo possiede una carica di simpatia e una faccia tosta talmente disarmanti, da far sì che lei sia l’unica persona in grado di trovare la strada per far breccia in quella dura corazza che Margherita si è costruita attorno.

Margherita e Anna non hanno nulla in comune, fisicamente Anna è robusta e anziana, Margherita è magrissima e giovane; socialmente, poi, provengono da due background familiari completamente differenti.

Margherita è figlia della borghesia: sua madre è una psicologa e il padre era un avvocato, proprio come lei.

Anna era stata mandata a servizio a casa di un conte quando era una bambina di appena nove anni e mezzo; aveva imparato a leggere e a scrivere solo perché il conte desiderava che in casa sua tutti conoscessero l’italiano e non parlassero il dialetto.
Da ragazza aveva dovuto rinunciare al suo grande amore, un carabiniere napoletano di nome Nicola, semplicemente perché all’epoca i suoi genitori non volevano spossasse un uomo del Sud.
Aveva quindi sposato Gino un uomo gretto e meschino; da quel matrimonio infelice era nata una figlia, Raffaella, una donna del tutto simile al padre e che aveva un pessimo rapporto con la madre.
Anna non ha avuto una vita facile, ma ha sempre potuto contare sul sostegno del suo amato Nicola con il quale ha mantenuto negli anni una fitta corrispondenza.

Margherita, come tutti noi, rimane affascinata da questa storia d’amore d'altri tempi, tenuta in vita solo grazie ad un intenso e ininterrotto scambio epistolare.
Anna, a dispetto dei suoi 76 anni, è la personificazione della gioia di vivere, una gioia di vivere talmente contagiosa da coinvolgere persino Margherita.

Grazie alla vitalità di Anna, Margherita torna ad interessarsi al mondo, esce dal suo guscio, e ritrova pian piano se stessa recuperando anche il rapporto con la madre.

Margherita è affascinata e conquistata dalla forza di volontà e dal coraggio dimostrati da Anna nel corso degli anni. 
Anna Galletti, solo grazie alle sue innate capacità culinarie e alle sue indiscusse doti imprenditoriali, è stata in grado di realizzare il suo sogno aprendo un negozio tutto suo che le ha fruttato parecchio denaro e soddisfazioni.

Fai piano quando torni” è un libro divertente, ironico, che fa sorridere e pensare al tempo stesso, un libro dove troviamo interessanti citazioni letterarie da Flaubert a Proust, a volte evidenti altre volte disseminate dall’autrice con una certa nonchalance tra le righe perché il lettore le colga da sé.

La lettura scorre veloce tra uno scambio di battute e l’altro tra i vari personaggi che sono tutti verosimili e descritti benissimo in ogni loro caratteristica, come nelle differenze che possiamo cogliere nella diversa proprietà di linguaggio che appartiene alla signora Anna rispetto a quella che contraddistingue Margherita.

Leggere il romanzo di Silvia Truzzi è un po’ come leggere una fiaba a lieto fine, uno libro che fa bene all’anima, che ti consola ma che, con ironia e leggerezza, ti ricorda anche che vivere per non avere niente da rimpiangere è come non vivere.







lunedì 2 aprile 2018

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne Ørstavik


A BORDEAUX C’È UNA 
GRANDE PIAZZA APERTA
di Hanne Ørstavik
PONTE ALLE GRAZIE
Hanne Ørstavik è una scrittrice norvegese considerata tra le più interessanti del panorama europeo. Ha vinto numerosi premi e i suoi romanzi sono stati tradotti in ventisei lingue.

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” è un romanzo particolare che fin dalle prime pagine disorienta il lettore per il suo essere così diretto e chirurgico nel descrivere emozioni e turbamenti.
Dovendo definire il romanzo dopo averne letto solo alcune pagine, credo che l’aggettivo più adatto potrebbe essere “spiazzante”; una prosa tanto audace e diretta al primo impatto non può che confondere il lettore.

Il romanzo non ha una trama vera e propria, ma solo un sottile filo conduttore fatto di desiderio, dolore, nostalgia, sesso e amore, che tiene unite le storie dei vari personaggi.

Ruth si reca a Bordeaux per allestire una mostra, il luogo l’ha visto su internet, una grande stanza vasta come una chiesa.
Ruth è divorziata ed ha una figlia diciassettenne di nome Sofi.
Da un anno Ruth ha conosciuto un uomo, Johannes; vorrebbe che lui la raggiungesse lì a Bordeaux, ma Ruth sa di attenderlo inutilmente perché lui non verrà.
Ruth frequenta anche un altro uomo, ma non è quest’altro che le interessa; Ruth desidera solo Johannes, ma la verità è che lui non desidera lei.

A Bordeux Ruth conosce Abel, una donna dalle forti connotazioni mascoline. Abel ha una galleria d’arte e una figlia, Lily, più o meno coetanea di Sofi.

Ruth è attratta da Abel e accetta di uscire con lei una notte; quella stessa sera Lily conosce Ralf e lo invita a casa sua.

Il romanzo ruota intorno ai pensieri, ai desideri, ai ricordi dei vari personaggi.
Alcune sensazioni li accomunano tra loro, come l’ansia della madre di Ralf e della madre di Lily al pensiero che presto entrambi i ragazzi, ormai adulti, lasceranno le loro case.
Altre sentimenti, invece, li dividono come il desiderio di Ruth per Johannes e il rifiuto dell’uomo per lei alla quale preferisce altre donne.

Ruth non riesce a darsi pace del fatto che Johannes voglia cose diverse, non provi per lei lo stesso trasporto, lo stesso desiderio, gli stessi impulsi sessuali che lei prova per lui.
Eppure, continua ad illudersi, pur sapendo che ogni volta dovrà affrontare il muro di gelo.
Ruth sa che potrebbe semplicemente andarsene, spesso qualcosa dentro di lei gli suggerisce questa soluzione, lei non è obbligata a restare, eppure rimane.
Lascia che lui continui a ferirla, giustificandolo persino, perché negli occhi di lui trova sempre una promessa, una falsa promessa di qualcosa che lei stessa sa che non si realizzerà mai.
E cosciente che per inseguire qualcosa di irraggiungibile sta compromettendo persino il rapporto con la figlia per la quale è diventata quasi un’estranea, ma non riesce trattenersi.

Ruth sente di essere estranea persino a se stessa, non si riconosce più, si percepisce distante da ciò che è stata, lontana dalle sue passioni di un tempo, tutto è stato cancellato dal desiderio di Johannes, dal continuo desiderio di unirsi a lui.

Proprio il senso di straniamento è quello che accomuna tutti i personaggi.
Ognuno di loro si vede vivere, non si riconosce, si sdoppia: così Ralf, mentre fa l’amore con Lily, esce dal proprio corpo e dall’alto vede un altro se stesso fare l’amore con la ragazza.

Tutti i personaggi del romanzo a modo loro avvertono un senso di solitudine, si sentono vulnerabili, ritornano neonati bisognosi: Ruth ha paura di aprirsi con Johannes perché ha paura del definitivo rifiuto dell’uomo, Ralf ha paura di confessare le sue visioni a Lily pensando di non essere compreso, Abel è schiacciata dai ricordi di quando, ancora ragazzina, cercava inutilmente di compiacere il padre, ma ogni volta veniva messa da parte.

Dolore, incomunicabilità, inadeguatezza, desiderio inappagato sono il leitmotiv delle intense pagine del romanzo di Hanne Ørstavik.

Un romanzo visionario, dove attraverso una prosa scarna, lirica e sensuale, l’autrice dipinge con le parole un quadro fatto di emozioni, sessualità, sentimenti, desiderio di vicinanza e paure oscure e inconfessabili.

Gli interrogativi che Hanne Ørstavik ci pone attraverso le pagine del suo libro sono ben precisi: perché è così difficile avvicinarsi agli altri? aprirsi agli altri? Cosa ci attrae e cosa ci respinge quando incontriamo uno sconosciuto? Come ci si sente quando l’altro ci respinge?

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” è un romanzo che si apprezza man mano che si procede con la lettura e lentamente, lasciandosi trasportare dalla prosa raffinata seppur audace e provocante, si riesce a comprenderne il significato e la profondità del messaggio.



domenica 1 aprile 2018

“Sigismondo e Isotta” di Maria Cristina Maselli


SIGISMONDO E ISOTTA
di Maria Cristina Maselli
PIEMME
Romanzo d’esordio di Maria Cristina Maselli, “Sigismondo e Isotta” racconta la storia d’amore tra il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, e Isotta degli Atti, la figlia di un piccolo nobile della zona.

Nel 1437 Isotta, all’epoca una bimba di appena cinque anni, incrocia per la prima volta la strada del ventenne Sigismondo; dovranno passare però altri sette anni prima che la giovane abbia la possibilità di incontrarlo nuovamente.

Francesco degli Atti, agiato cambiavalute e mercante di lane, è divenuto nel frattempo consulente economico del signore di Rimini e, proprio grazie alla carica paterna, Isotta ha la possibilità di frequentare finalmente il suo principe.

Poiché Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, sua seconda moglie, e Isotta è stata cresciuta per diventare una devota sposa e non certamente un’amante, non sarà per nulla facile per i due innamorati poter coronare il loro sogno d’amore.

Sigismondo Pandolfo Malatesta è un uomo testardo e di rara intelligenza, mentre Isotta una donna costante ed innamorata, così, a dispetto di avversità, insidie ed incertezze, alla morte di Polissena, nonostante la ragion di Stato sembri volere un’altra donna di nobile lignaggio accanto al signore di Rimini, l’amore trionfa.

Senza curarsi di insidie, intrighi, avidità e inganni dopo qualche anno, infatti, Sigismondo sceglie di fare di Isotta degli Atti la sua nuova consorte.

Il romanzo di Maria Cristina Maselli racconta la storia di un amore la cui leggenda ha attraversato i secoli, un amore che ancora possiamo vedere celebrato nel Tempio Malatestiano di Rimini, dove riposano le spoglie mortali dei protagonisti della vicenda.

Il Tempio Malatestiano è il luogo dove, secondo il desiderio di chi l’ha pensato e voluto, l’amore di Sigismondo e Isotta appare in tutta la sua forza in quelle due lettere intrecciate S ed I, lettere che sono sì le iniziali di Sigismondo, ma sono soprattutto le iniziali del signore di Rimini e dell’amore della sua vita Isotta.
Isotta degli Atti, la donna per la quale, ancora prima che divenisse sua moglie, Sigismondo aveva fatto erigere un monumento funebre degno di una principessa, dimostrando anche nella vita affettiva lo stesso coraggio che era solito dimostrare sui campi di battaglia.

“Sigismondo e Isotta” è un vero romanzo d’amore, ma non per questo dovete aspettarvi una storia melensa e sdolcinata, perché Sigismondo Pandolfo Malatesta, per quanto uomo appassionato e innamorato, aveva comunque un carattere forte e indomito e difficilmente si lasciava piegare.
Era ben conscio del fatto che l’amore è istinto e passione, ma era altresì ben consapevole del fatto che non gli era concesso di governare in preda a questi sentimenti, il bene della corte infatti doveva essere sempre garantito.

Da parte sua la bella Isotta degli Atti era una donna combattiva seppur a volte anch’essa avesse bisogno di conforto e fosse soggetta a colpi di testa; nonostante l’amore profondo che la legava al suo signore era talvolta colta dal dubbio, dall’ansia, dalla paura.
Tempus loquendi, tempus tacendi, era il suo motto, ma non sempre era facile per lei riuscire a dominare l’orgoglio, rimanendo in silenzio senza reclamare nulla.

Ovviamente la fantasia dell’autrice, come per sua stessa ammissione, ha dovuto sopperire ad alcune lacune storiche, ma le licenze letterarie che la Maselli si è concessa sono più che giustificate visto il risultato.

Il romanzo scorre veloce, appassiona e coinvolge il lettore portandolo sui campi di battaglia e rendendolo partecipe degli intrighi di corte e delle schermaglie amorose.

Ho apprezzato inoltre l’idea di apporre in corsivo parole tratte da lettere, citazioni, frasi e versi originali principalmente d’epoca malatestiana o di autori più o meno recenti.
In particolare, in coda ad alcuni capitoli vengono citati il Liber Isottaeus, un canzoniere amoroso commissionato in prima persona dallo stesso Sigismondo, e il De amore Iovis in Isottam liber di Porcellio Pandoni.

Non sono solo le vicende dei due protagonisti principali ad emozionare il lettore, ma anche la descrizione dei luoghi, degli eventi, degli artisti dell’epoca, senza dimenticare i personaggi solo all’apparenza secondari, ma in realtà fondamentali come il subdolo e vendicativo consigliere Abio, la ferma e fedele Dorotea, il coraggioso e leale Galeotto, solo per citarne alcuni.

Il libro di Maria Cristina Maselli ci regala uno splendido affresco dell’epoca attraverso un’attenta, seppur romanzata, ricostruzione storica del Quattrocento, un periodo feroce e bizzarro, un’epoca che passerà alla storia per la sua mutevolezza, un mondo dominato da lupi ai quali l’abile condottiero Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, era ben conscio di appartenere.



lunedì 19 marzo 2018

“La rilegatrice di storie perdute” di Cristina Caboni


LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE
di Cristina Caboni
GARZANTI
Sofia aveva una passione per i libri sin da bambina; i libri la affascinavano, in essi trovava infiniti luoghi dove rifugiarsi, vedeva infinite possibilità e nuove occasioni.
La sua era una vocazione vera, sincera, una vocazione alla quale non avrebbe mai dovuto rinunciare, eppure aveva lasciato che accadesse.
Ora che il suo matrimonio con Alberto era finito e si era finalmente resa conto di quanto si fosse ingannata su quell’uomo al quale aveva sacrificato tutta se stessa, doveva fare i conti con la persona che era diventata.

Sofia un tempo era stata una ragazza preparata, piena di interessi e di passioni, come poteva essere diventata una donna così insicura, piena di paure, assoggettata all’approvazione del prossimo, timorosa del giudizio altrui?

Un giorno, quasi per caso, Sofia entra in possesso di un antico libro malridotto e durante la fase di restauro trova in esso una lettera.
La lettera appartiene a Clarice, una giovane donna vissuta nell’Ottocento che ha deciso di affidare il suo segreto a questo scritto affinché il mondo possa finalmente conoscere la “luce della verità”.
Il libro che Sofia sta restaurando è il primo volume di una trilogia e la lettera rinvenuta al suo interno è solo la prima parte del testamento di Clarice, gli altri due scritti si trovano infatti con ogni probabilità all’interno degli altri due volumi.

Sofia, insieme a Tomaso Leoni, un affascinante cacciatore di libri antichi ed esperto di grafologia, si mette quindi alla ricerca degli altri due volumi per poter portare alla luce il mistero di quella donna con la quale, nonostante ci siano duecento anni a separarle, Sofia sente uno stretto legame.

Clarice era un’abile rilegatrice di libri, vissuta in un’epoca e in un luogo nei quali ad una donna era proibito esercitare quella professione.
Clarice aveva combattuto strenuamente per affermare la propria indipendenza e proprio la sua determinazione e la sua forza ridaranno a Sofia il coraggio e la speranza perduti.

“La rilegatrice di storie perdute” è un romanzo intenso, affascinante ed intrigante; lo stile narrativo scorrevole e semplice di Cristina Caboni rende la lettura del libro davvero piacevole.

Le due storie, quella di Sofia e quella di Clarice, sono perfettamente bilanciate e si fondono in un equilibrio perfetto; due storie parallele legate da un filo così sottile da permettere a ciascuna di mantenere una propria identità narrativa.

Due anime, un solo romanzo. La storia di Clarice richiama alla mente i grandi romanzi ottocenteschi, non solo per l’ambientazione ma anche per lo stile narrativo; la storia di Sofia invece ha uno stile più moderno e rientra  perfettamente nel genere romance.

Entrambi i profili delle protagoniste sono ben delineate psicologicamente, due donne molto diverse ma allo stesso tempo molto simili, così come molto diverse e molti simili sono le difficoltà che devono affrontare per affermare la loro identità.

Nella vita di entrambe, pur con problematiche legate ad epoche diverse ci sono due  figure di uomini, August/Alberto, uomini che vogliono vederle sottomesse, e Philipp/Tomaso che invece le aiutano nel percorso da loro intrapreso per riconquistare la propria libertà e ritrovare la fiducia in se stesse.

Il personaggio dello scrittore romantico Fohr è una figura di pure fantasia.
La scrittrice si è ispirata per lui ad un giovane pittore tedesco sepolto nel cimitero acattolico di Roma e morto annegato nel Tevere poco più che ventenne.

Il personaggio di Fohr nato dalla penna di Cristina Caboni è un personaggio davvero straordinario, capace di affascinare il lettore grazie al suo pensiero ed alla sua visione di un mondo diverso, un mondo del quale l’amore è principio e virtù.

Un plauso all’autrice per averci regalato questa splendida figura dalla sensibilità romantica, talmente reale che dispiace dover accettare che non sia mai esistito e sia  solo il frutto della sua fervida immaginazione.

Non si può non amare il personaggio di Clarice, lei è fonte di ispirazione per Sofia e non solo, è una donna forte, indipendente e risoluta.
Eppure, è Sofia quella per cui inevitabilmente si parteggia, perché lei è tutte noi; i suoi problemi, i suoi stati d’animo, le sue insicurezze sono le stesse che noi tutte affrontiamo ogni giorno.
L’empatia delle lettrici nei confronti di Sofia nasce spontanea ed è inevitabile sentirsi parte della sua storia sin dalle prime pagine.

Cristina Caboni è una delle autrici italiane più apprezzate dalla stampa e dai lettori; dopo aver letto il suo volume, posso solo dire che il suo successo è tutto meritato.

Nel romanzo Sofia menziona “la teoria secondo la quale i libri trovano il proprio lettore nel momento opportuno” e, come Sofia per il libro di Fohr, anche a me piace pensare che sia stato “La rilegatrice di storie perdute” a scegliere me e non viceversa.

I libri sono così, ognuno ci vede qualcosa di suo. Possono essere risposte alle domande che ci tormentano, persino a quelle che non ci sono ancora venute in mente. Hanno un grande potenziale, i libri.





domenica 11 marzo 2018

“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” di Fulvio Fiori


IL MATRIMONIO È UNA FIABA A LIETO INIZIO
di Fulvio Fiori
TEA
Lasciato dalla moglie, abbandonato dai figli, strappato alla sua casa di proprietà, in crisi con il lavoro, in balia di leggi che non gli fanno fare il padre…

“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è la storia un uomo che vede la sua vita perfetta andare in frantumi; una moglie, tre figli, una bella casa, un lavoro di successo e ben retribuito all’improvviso non ci sono più.
Angelo prima perde il lavoro e poi la famiglia; la moglie lo lascia per un uomo molto più giovane, coetaneo del suo primogenito, e subito dopo, con il beneplacito della legge, lo priva della casa, del conto in banca e dell’amore dei figli.

Angelo si ritrova senza più alcun punto di riferimento, pieno di paure e insicuro, vorrebbe ritrovare una scintilla che lo faccia ripartire, ma si sente completamente svuotato.
Così decide di partire per una vacanza, lasciare quel mondo conosciuto nel quale egli non si riconosce più e andare alla ricerca di se stesso; Vienna, Berlino e Amsterdam cureranno le sue ferite e l’abisso di dolore in cui è precipitato.

Fulvio Fiori, l’autore del romanzo, dopo aver lavorato anni come copywriter ha deciso di trasformare le sue passioni in una vera e propria attività. Egli è autore di libri e aforista, è maestro Reiki ed esperto di meditazioni creative, collabora con centri olistici, psicoterapeuti e centri di counseling. I suoi corsi di scrittura-terapia hanno riscosso nel tempo un successo sempre maggiore.

Il sottotitolo di “Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è “romanzo terapeutico” e proprio questo è l’intento del suo autore ovvero riuscire, grazie alla lettura di un’esperienza comune, a ridare speranza e ritrovare la voglia di ripartire, vincendo il dolore e lo smarrimento che certe situazioni portano inevitabilmente con sé.

Il libro è senza dubbio ben scritto, è scorrevole e l’argomento trattato è attuale, complesso e non facilmente liquidabile in poche righe o con un giudizio superficiale.

Fatte queste doverose premesse, ammetto in tutta sincerità che non è facile per me riuscire a scrivere di questo romanzo in maniera del tutto obiettiva perché i personaggi sono davvero troppo distanti dal mio modo di pensare.

Lungi da me fare il tifo per Alice, la moglie traditrice, avida e manipolatrice ma questo non riesce a farmi provare simpatia per Angelo.

Alice è esecrabile per suoi comportamenti meschini e il fatto di arrivare a coinvolgere i figli nella sua faida con l’ex-marito la rende un personaggio davvero detestabile e inqualificabile.
Ma qui mi trovo d’accordo con il cinico e sarcastico Riccardo, l’amico di Angelo: cosa ci si poteva aspettare da una donna che si era già comportata così in passato? Vero, una seconda possibilità non la si nega a nessuno, ma ciò non toglie che il rischio sia alto e la possibilità di un fallimento non sia un’ipotesi poi tanto remota.

Certo sarebbe facile lasciarsi convincere dal vittimismo di Angelo, lui è il padre a cui è stato sottratto l’affetto dei figli oltre ad essere stato derubato della dignità e della villa di famiglia.
La moglie lo metteva spesso in imbarazzo flirtando con altri uomini anche in sua presenza e questo, lasciatemi essere cinica come il buon Riccardo, era solo indice che il matrimonio non funzionava dall’inizio.

E poi non era forse Angelo ad avere una storia extraconiugale con una giovane donna? storia che lui stesso definiva appagante, una storia che lo rendeva un padre e un marito migliore, ma che di fatto lo faceva sentire bigamo? Una donna dalla quale ad un certo punto avrebbe desiderato persino avere figlio?

La “famiglia del mulino” non era mai esistita, era solo ciò che Angelo voleva credere.

Angelo però è un uomo sensibile, non come quella vipera di sua moglie; Angelo è tanto sensibile che quando il suo amato gatto sparisce per un periodo più lungo del solito, si chiede se sarà magari finito sotto un’auto durante una delle sue scappatelle: nessun smarrimento, nessuna preoccupazione. Che sensibilità!

La verità è che tra una madre inadeguata e un padre mai cresciuto, poveri figli!

La cosa bella di questo libro è che è talmente vero, talmente realistico che alla fine, anche non provando alcuna empatia nei confronti del protagonista come nel mio caso, viene comunque voglia di parlargli, interagire con lui e provare a dargli un consiglio.

Per questo va fatto un grande plauso all’autore per la sua indiscussa capacità di rendere vivi e reali i suoi personaggi.

Talmente reali che quando si profila all’orizzonte la figura di Marta, l’amica gentile, la “sciamana”, la guida, colei che sa illuminare la strada con i suoi punti di vista verrebbe voglia di gridare ad Angelo: “Ma dopo tutto quello che stai passando…una donna normale, proprio no?”
Inevitabile pensare che Marta sia per lui l’ennesima stampella a cui appoggiarsi.

Mi rendo conto che l’intento dell’autore era quello di spezzare una lancia a favore di quei padri separarti ai quali spesso viene negato ogni diritto.
Non deve essere facile riuscire a riprendere in mano le redini della propria vita e trovo questo terribilmente ingiusto e frustrante.

Non vorrei infatti essere fraintesa perché capisco che potrei essere sembrata troppo dura sull’argomento, ma ci tengo a precisare che le mie parole, le mie opinioni sono strettamente legate ai personaggi del libro così come li ho percepiti.

A rendere particolarmente interessante il romanzo è il fatto che, essendo stato scritto da un uomo, la questione arrivi a noi lettori filtrata attraverso la sensibilità e l’emotività maschili.

Come avrete capito non concordo con la definizione di romanzo terapeutico.
“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è per me un libro che fa pensare, che aiuta a riflettere e che con ironia racconta una realtà magari non sempre piacevole, ma quanto mai attuale e presente.