giovedì 19 luglio 2018

“Un adorabile bugiardo” di Lauren Rowe


UN ADORABILE BUGIARDO
di Lauren Rowe
NEWTON COMPTON EDITORI
Theresa Rodriguez è bella, sexy ed intelligente eppure con gli uomini sembra proprio non avere fortuna.
Dopo mesi dalla fine della sua relazione con un aitante giocatore, dal quale ha scoperto di essere stata tradita sin dall’inizio, Tess deve fare i conti con la sfiducia nel genere maschile e un’autostima praticamente azzerata.

Charlotte, la sua amica del cuore dai tempi della scuola, nel tentativo di smuoverla dalla sua apatia, la convince ad accettare un invito per una serata di puro divertimento, parola d’obbligo: lasciarsi andare.
Tess asseconda la folle idea di Charlotte e, dopo aver indossato una divisa da hostess dell’amica, acconsente di andare con questa in un locale e flirtare con qualcuno a caso per il solo piacere di farlo.

Qui incontra Ryan un ragazzo splendido: occhi blu, mandibola definita, muscoli incredibili, sorriso arrogante, insomma il classico spaccone che incanta.
Tra i due scocca immediatamente la scintilla, ma sul più bello la fidanzata o meglio la ex-fidanzata di Ryan, si presenza nel locale facendogli una scenata pazzesca.

Tess delusa si butta a capofitto nel lavoro e nell’organizzazione della festa di matrimonio del suo milionario capo, Josh Faraday, neanche da dire, pure lui un uomo bellissimo e affascinante.
Il destino però ci mette lo zampino perché la futura moglie di Josh, l’avvenente Kat Morgan, altri non è che la sorella di Ryan.

“Un adorabile bugiardo” ha una trama accattivante ricca di colpi di scena e simpatici equivoci; le battute e le situazioni divertenti incalzano il lettore che, catturato dalle intriganti circostanze in cui i personaggi si ritrovano, non vede l’ora di scoprire come questi riescano a trovare il modo di uscire dagli impicci.

Come avrete capito la trama è quella della tipica commedia, trama che si presterebbe moltissimo ad essere interpretata sul grande schermo da qualche famoso attore americano. 

Unico difetto per me, ma è ovviamente un giudizio puramente personale, è che ci siano troppo pagine dedicate al sesso.
Va bene la descrizione del primo incontro di Tess e Ryan sotto le lenzuola, ci sta senza dubbio ai fini del racconto, ma l’insistenza sull’argomento diventa un pochino troppo ripetitiva e fine a se stessa.

Identica impressione per l’approccio di Ryan, va bene flirtare ma sinceramente se uno mai visto prima mi facesse certi discorsi scapperei a gambe levate!
Quando poi lui racconta ad amici e parenti quali mezzi abbia usato per cercare di ritrovare Tess, tutti, nessuno escluso, gridano allo stalker; io mi sarei preoccupata di più dell’impressione da pervertito data all’inizio della storia.
Comunque, lo ammetto non sono molto attendibile sull’argomento, visto che sono un’assidua lettrice della vecchia, cara Jane Austen

Non vi è dubbio però che la storia nata dalla penna Lauren Rowe sia divertente e spassosa. Il romanzo scorre veloce ed intriga indubbiamente il lettore.
Qualcuno, come me, magari più di una volta si chiederà nel corso della lettura come sia accaduto che abbia scelto di leggere questo romanzo, ma non c’è nulla da fare, non riuscirete a resistere, andrete avanti pagina dopo pagina trascinati dalla curiosità.

In fin dei conti che male c’è ogni tanto a scegliere una lettura frivola e scacciapensieri? Qualcosa che ci aiuti a rompere la monotonia di tutti i giorni, a farci sorridere e perché no? anche a farci un po’ sognare...
Una storia di puro svago e zero pensieri, meglio se letta sotto l’ombrellone.

Qualcuno potrebbe obiettare sul fatto che tutti i protagonisti siano belli, perfetti e affascinanti, che gli uomini siano tutti degli adoni e le donne tutte Barbie o Jlo; ma ogni cosa è perfettamente in linea col genere a cui appartiene il romanzo, i personaggi sono esattamente come il lettori se li aspetterebbe.

“Un adorabile bugiardo”  è la favola di Cenerentola riletta in chiave moderna, non c’è la classica scarpetta di cristallo, ma una più prosaica divisa da hostess e la fatina è una giovane pazza dai capelli rossi, un po’ sopra le righe come tutti i protagonisti del libro.

Se amate il genere non potete farvelo scappare e, se invece, come me siete, un po’ prevenuti verso i romanzi rosa, il mio consiglio è: accantonate ogni indugio e gettatevi nella lettura perché vi assicuro che non ve ne pentirete, staccare la spina ogni tanto fa davvero bene all'umore.







giovedì 28 giugno 2018

“Il presidente è scomparso” di Bill Clinton e James Patterson


IL PRESIDENTE È SCOMPARSO
di Bill Clinton e James Patterson
LONGANESI
Il presidente degli Stati Uniti, Jonathan Lincoln Duncan, è l’uomo più sorvegliato e controllato del pianeta, eppure, l’inquilino della Casa Bianca sembra essere scomparso nel nulla.

Sotto indagine per un suo possibile coinvolgimento con Suliman Cindoruk,  capo di una nota cellula terroristica, i Figli della Jihad, la settimana successiva avrebbe dovuto testimoniare di fronte alla commissione speciale della Camera.

Le ipotesi sulla sua scomparsa si sprecano ed alcune sono davvero fantasiose; c’è chi pensa sia fuggito dal paese portando con sé il denaro ricevuto da Suliman Cindoruk a seguito della vendita di informazioni top-secret, chi invece ritiene si sia semplicemente rifugiato da qualche parte per preparare al meglio la sua difesa, qualcuno addirittura attribuisce la sua scomparsa alla necessità di sottoporsi a cure urgenti per la malattia da cui è affetto, la trombocitopenia immune.

Tutti però sono molto lontani dalla verità, nessuno infatti può anche solo immaginare che una catastrofe di proporzioni immani si stia per abbattere sugli Stati Uniti.

Un terribile virus è infatti stato rilasciato all’interno di tutti i sistemi informatici del paese e, se non sarà bloccato in tempo, distruggerà ogni cosa.
Gli Stati Uniti si ritroveranno a vivere come due secoli prima; la tecnologia del XXI secolo sarà completamente azzerata e l’economia distrutta; con i sistemi di difesa totalmente fuori uso qualunque nemico potrebbe attaccare e distruggere gli Stati Uniti d’America.

James Patterson, autore di libri che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, non ha bisogno di presentazioni, così come Bill Clinton, eletto presidente degli Stati Uniti nel 1992 ed oggi autore di diversi saggi di successo.

“Il presidente è scomparso” è un’opera che unisce l’indiscussa bravura narrativa di uno dei più famosi autori di thriller alla conoscenza di particolari e dettagli da dietro le quinte che solo un ex inquilino della Casa Bianca può possedere grazie all’esperienza maturata sul campo.

Il perfetto mix di fantasia e di esperienza vissuta rende questo romanzo un thriller politico adrenalinico e avvincente dalla trama senza dubbio molto convincente.

L’avvio del romanzo è piuttosto lento, dovendo il lettore prendere confidenza con le dinamiche della forma di governo americano, argomento piuttosto ostico per coloro che non conoscono la materia, poi però la trama si vivacizza e il romanzo cattura l’attenzione del lettore fino coinvolgerlo totalmente.   
                                                                                                                                             
I personaggi del libro sono molto numerosi: Carolyn Brok, capo di gabinetto, i due terroristi pentiti Nina e il suo partner Augie, Elizabeth Greenfield, direttore reggente dell’FBI, il vice presidente Katherine Brandt, la killer professionista Bach…solo per citarne alcuni.
Ognuno di essi viene descritto minuziosamente sia fisicamente che psicologicamente; nessun elemento nel romanzo è mai lasciato al caso, sono infatti le sfumature delle varie personalità dei diversi personaggi insieme alla descrizione dei più piccoli particolari a rendere una trama carica di suspense anche credibile e reale.

La figura più affascinante è senza dubbio quella del presidente Duncan, quanto di più lontano, dobbiamo ammetterlo, dalla figura di Bill Clinton.
Personalmente mi sono immaginata Jonathan Duncan come un via di mezzo tra un Bruce Willis ed un Harrison Ford nei loro migliori film d’azione.

Un protagonista impegnato a scongiurare un imminente pericolo, seducente ed intrigante unitamente ad un’avvincete trama fanno di “Il presidente scomparso” una storia perfetta per essere proiettata sul grande schermo.

Il discorso di chiusura del presidente, che lui stesso definisce come la presentazione della sua agenda politica (riforma dell’immigrazione, riduzione della criminalità, legittima difesa, detenzione di armi,  libertà dell’individuo…), potrebbe risultare forse un po’ stucchevole, ma in verità si integra perfettamente nel quadro generale della storia.

La conclusione del romanzo non è per nulla scontata e, come in ogni thriller che si rispetti, non manca il colpo di scena finale ad effetto.
                                                  
“Il presidente è scomparso” è un thriller carico di azione, capace di tenere il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina grazie ad una trama originale, a personaggi ben riusciti e una scrittura veloce, scorrevole e diretta.





domenica 10 giugno 2018

“Giulia Tofana. Gli amori, i veleni.” di Adriana Assini


GIULIA TOFANA
Gli amori, i veleni
di Adriana Assini
SCRITTURA & SCRITTURE
Giulia, figghia di centu patri, dall’età di tredici anni si guadagna da vivere facendo il mestiere più vecchio del mondo.
Prostituta dalla bellezza prorompente, Giulia Tofana sa come ammaliare i suoi molti amanti; usando con loro ora il bastone e ora la carota, tiene in pugno le più importanti personalità della Palermo del XVII secolo.

Giulia in realtà non è una comune meretrice, la giovane è anche un’abile fattucchiera. Sua è infatti l’invenzione dell’acqua tofana, un potente veleno capace di uccidere un uomo senza lasciare alcuna traccia e senza destare sospetti.

Sfrontata, opportunista e ribelle, non si è mai negata ai suoi nobili clienti, non ha mai fatto la preziosa con loro fino ad oggi.
Oggi qualcosa è cambiato, per la prima volta, infatti Giulia vorrebbe essere un’altra, rinnegare se stessa, si è stancata di essere per gli uomini che la frequentano oggetto di desiderio ed allo stesso tempo di vergogna.

Giulia si è innamorata di un cavaliere. Manfredi, questo il suo nome, è bello, alto, biondo e, proprio per queste sue caratteristiche, è da tutti chiamato il “Normanno”.
Giulia e Manfredi si sono conosciuti per caso, il loro è stato un colpo di fulmine; Manfredi ignora però l’identità della ragazza e Giulia non può certamente confessargli come si guadagna da vivere.
Lui, uomo senza macchia e senza ombre, con una posizione e un nome da difendere non potrebbe capire.
Giulia può solo continuare a sognare una vita diversa.

Un susseguirsi di sfortunate coincidenze fanno precipitare gli eventi e Giulia si vede costretta a lasciare Palermo con la sua inseparabile amica, Girolama Spinola.
Nicodemo, un frate domenicano, che si è invaghito di Giulia, le aiuterà nella fuga facendosi carico di ogni loro necessità.

Dopo un breve periodo di sosta a Napoli, Giulia giunge nella città eterna. A Roma trionfa l’arte e imperano le feste; siamo nella Roma barocca di Papa Urbano VIII.
Qui Giulia perfezionerà definitivamente la sua pozione, quella mistura di arsenico e antimonio, che sarà così richiesta dalle donne di tutti i ceti sociali.
Le leggi sono in mano agli uomini e le donne, siano esse plebee o di nobile nascita, tutte indistintamente sono costrette a subire torti e maltrattamenti senza che gli uomini che glieli infliggono vengano minimante perseguiti per tali crimini. 
Giulia vede nella sua invenzione, prima ancora che una fonte di guadagno, un mezzo per punire tutti quegli uomini che resterebbero altrimenti impuniti.

Giulia Tofana è un personaggio realmente esistito nel XVII secolo, ma non sono molte le notizie che la riguardano giunte sino ai giorni nostri.
Sappiamo che fu processata insieme ad un numero elevatissimo di donne che si erano servite della sua famosa acqua per sbarazzarsi di mariti, amanti e familiari prevaricatori e ingombranti.
Tutte queste donne furono condannate alla pena capitale; fu scelta per loro una morte crudele ed esemplare, chi di loro non fu strangolata nelle prigioni, venne infatti murata viva. 

Giulia Tofana è un personaggio con il quale non si entra mai totalmente in sintonia forse perché è una figura piena di contraddizioni e dalle mille sfaccettature.
Giulia è esuberante, strafottente ma anche intelligente e generosa; all’apparenza è una donna fredda e manipolatrice eppure è capace anche di slanci di altruismo, è capace di amare e comprendere le sofferenze del prossimo.
Si comporta come se fosse priva di scrupoli, una donna senza Dio, ma allo stesso tempo anela a trovare una fede che la consoli e che gli dia speranza, sempre alla costante ricerca di qualcosa o di qualcuno che possa riaccendere la sua fede ed i suoi sogni.

Non è una persona d’animo cattivo ed è difficile per il lettore conciliare la sua immagine con quella di un’assassina seriale quale poi realmente ella è stata a tutti gli effetti.
Giulia Tofana si macchiò della morte di ben 600 uomini!                                                    
Eppure, il suo resta un personaggio borderline: la nostra coscienza ci obbliga a condannarla per le sue azioni, ma allo stesso tempo qualcosa dentro di noi ci spinge in parte anche a giustificare il suo modo di agire.

Ci oltraggiano, ma non ci domandano perdono. Ci uccidono e se la cavano con un’ammenda. A loro il mio veleno non serve, visto che la fanno franca anche quando ricorrono ai coltelli.

E’ vero che farsi giustizia da soli non è mai la scelta giusta, ma come si dovrebbe agire quando non ci sono alternative?
L’ira e l’impotenza di Giulia dinnanzi alle prepotenze e alla prevaricazione degli uomini è la stessa che proviamo noi oggi di fronte ai numerosi maltrattamenti e ai femminicidi di cui ogni giorno ci viene data notizia.
Oggi le leggi in difesa delle donne ci sarebbero pure, ma il problema resta terribilmente attuale. 

Il personaggio di Nicodemo è un’altra figura estremamente interessante e contraddittoria del romanzo; ambizioso e  scettico, attratto da Giulia ma allo stesso tempo soffocato e spaventato dalla forza dei suoi stessi sentimenti per la donna.

I personaggi nati dalla penna di Adriana Assini sono sempre molto ben caratterizzati psicologicamente; la vita li cambia, li forgia e non sono mai uguali a se stessi ed è proprio questo, insieme ad uno stile di scrittura piacevole e scorrevole, che rende i suoi romanzi estremamente intriganti ed affascinanti.

L’autrice ha la grande capacità di riuscire a ricreare l’atmosfera dell’epoca di cui scrive in modo semplice e chiaro tanto che leggendo sembra quasi di trovarsi dinnanzi ad un affresco nel quale si muovono i protagonisti del libro con le loro storie.

Adriana Assini è bravissima proprio a raccontarci i fatti salienti del periodo di cui ci parla senza appesantire la narrazione con lunghissime digressioni storiche, con poche parole riesce a  trasmetterne la realtà e l’essenza dell’epoca.
Come non richiamare ad esempio alla nostra mente la famosa locuzione latina Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini mentre leggiamo della statua di Pasquino e del papato di Urbano VIII?

Qualche tempo fa vi avevo già parlato di un altro bellissimo romanzo di Adriana Assini intitolato “Agnese, una Visconti” nel quale la scrittrice racconta la storia di una donna indomita e fiera.
“Giulia Tofana. Gli Amori, i veleni” è un romanzo altrettanto avvincente, la storia di un’altra donna  dal carattere forte, una donna determinata a farsi valere in un mondo dominato dagli uomini.

Lettura assolutamente consigliata.






domenica 3 giugno 2018

“I Medici. Una dinastia al potere” di Matteo Strukul


I MEDICI
UNA DINASTIA AL POTERE
di Matteo Strukul
Newton Compton Editori
“Una dinastia al potere” è il primo capitolo di una trilogia, alla quale si è poi aggiunto un quarto volume intitolato “Decadenza di una famiglia”, opera di Matteo Strukul dedicata ad una delle famiglie più importanti della storia italiana, i Medici:

Una dinastia al potere” è dedicato alla figura di Cosimo de’ Medici

Un uomo al potere” il secondo volume della trilogia, è  dedicato alla figura di Lorenzo il Magnifico

Una regina al potere” terzo capitolo è dedicato alla figura di Caterina de’ Medici, regina di Francia

Il racconto del primo volume inizia nel 1429 con la morte di Giovanni de’ Medici, avvenuta in circostanze sospette, e si chiude nel 1440 subito dopo la battaglia di Anghiari, la vittoria che sancisce il definitivo trionfo di casa Medici.

Nel 1429 Firenze era l’essenza stessa della magnificenza e del potere, ma allo stesso tempo era anche un covo di vipere e di traditori; l’ascesa di Giovanni de’ Medici, che nel giro di un ventennio era riuscito a realizzare un vero e proprio impero finanziario, non era stata vista di buon occhio dalle nobili e potenti famiglie fiorentine.

Alla morte del patriarca i figli Cosimo e Lorenzo si trovano a dover fronteggiare una situazione politica piuttosto complicata.
Nonostante siano a capo di un vasto impero finanziario e possano vantare importanti alleanze al di fuori di Firenze, nella loro città i Medici vivono accerchiati dai nemici, due in particolari sembrano essere i più agguerriti: Rinaldo degli Albizzi e Palla Strozzi.

Cosimo e Lorenzo, benché abbiano caratteri molto diversi tra loro; perspicace, intelligente ed abile manipolatore il primo, uomo pragmatico e d’azione il secondo, sono molto uniti e sicuri di poter contare sempre l’uno sull’altro.

A Lorenzo, uomo instancabile e dotato di vivace ingegno, è stata affidata la direzione del Banco, mente a Cosimo, amante dell’arte e delle lettere,  sono state affidate la strategia e la politica che, non dimentichiamo, nella Firenze Rinascimentale passavano in gran parte attraverso il mecenatismo.
Proprio in questo periodo proseguono i lavori per il completamento della cupola di Santa Maria del Fiore affidati a Filippo Brunelleschi, artista molto apprezzato da Cosimo, lavori ufficialmente commissionati dall’Opera del Duomo ma in realtà sovvenzionati in massima parte dalla famiglia Medici.

Molti gli eventi che si susseguono negli anni che vanno dal 1429 al 1440: le continue cospirazioni, la lunga guerra contro Lucca, la ratifica di nuove e vecchie alleanze, la peste a Firenze, la prigionia di Cosimo, l’esilio e il rientro a Firenze di Cosimo e di Lorenzo e il trasferimento da Ferrara a Firenze del concilio episcopale indetto per tentare di riunificare le due Chiese, quella di Oriente e quella di Occidente.

Il libro di Matteo Strukul è molto ben strutturato. Il racconto è frutto di una minuziosa ricerca storica e bibliografica, l’attinenza con i fatti storici è rispettata tranne ovviamente per alcune licenze che l’autore si è giustamente concesso trattandosi di un romanzo e non di un saggio.

“Una dinastia al potere” è un thriller ambientato nella Firenze rinascimentale in cui i personaggi, nati dalla fantasia del suo autore, interagiscono e si incastrano perfettamente con la vita dei protagonisti della storia realmente vissuti.

Laura Ricci è una donna bellissima e sensuale, dal passato tormentato. Venduta in giovanissima età dal padre ad un mercante di passaggio, che l’aveva fin da subito fatta prostituire, un giorno era stata picchiata a sangue da un pazzo che indossava i colori dei Medici.
Appena recuperate le forze Laura era fuggita dal suo padrone, promettendo a se stessa che da quel giorno sarebbe vissuta esclusivamente per vendicarsi della famiglia Medici.
Proprio per questo accetta senza scrupoli di fornire i suoi servigi prima a Rinaldo Albizzi e in seguito al Filippo Maria Visconti.
La storia di Laura è legata a quella di un altro singolare personaggio: Schwartz, un mercenario svizzero, un uomo ombroso e spietato, che nasconde un segreto che nessuno conosce e che pesa gravemente sulla sua coscienza.
Laura Ricci è una donna pericolosa che ricorda un po’ la Milady de “I tre moschettieri” di Dumas o, se vogliamo rimanere nella letteratura contemporanea, la protagonista femminile de “Il giglio di fuoco” di Vic Echegoyen.

Nel romanzo di Matteo Strukul fiction e storia si integrano perfettamente; la trama è avvincente ed emozionante, perfettamente bilanciata tra verità storica e finzione.

L’anno scorso la Rai ha trasmesso la prima stagione di una serie TV dedicata ai Medici. Il periodo storico descritto dalla fiction coincide più o meno con quello narrato nel primo volume della trilogia/tetralogia di Strukul, ma la serie televisiva e il romanzo si discostano parecchio nelle trame.

Il personaggio di Maddalena, per esempio, la schiava amante di Cosimo de’ Medici incontrata da questi a Venezia, non è un personaggio di totale fantasia, ma ha qualche fondamento storico, seppur non ne appaia menzione nel libro di Strukul.
In verità Cosimo ebbe realmente una relazione con una schiava dalla quale nacque un figlio che venne poi allevato in seno alla famiglia Medici insieme ai figli legittimi di Cosimo e Contessina.
Strukul ha preferito puntare ad una versione più edulcorata della storia d’amore tra Contessina e Cosimo, concentrandosi più sulla profondità dei sentimenti di Contessina nei confronti di Cosimo piuttosto che parlare dell’impegno da questa profuso nelle questioni del Banco durante l’assenza del marito e di quanto da lei messo in atto per impedirne la condanna, come invece abbiamo visto nella serie televisiva.

Anche il rapporto tra Lorenzo e Cosimo presenta alcune differenze; rispetto al romanzo infatti il rapporto tra i due fratelli nella serie tv risulta essere decisamente più conflittuale.

La descrizione poi di Cosimo de’ Medici come un bell’uomo è decisivamente arbitraria e  finalizzata alla pura finzione letteraria, in quanto è risaputo, come poi si evince anche dai ritratti che sono giunti fino a noi, che gli esponenti della famiglia Medici erano tutto tranne che belli ed affascinanti.

Serie televisiva o romanzo di Strukul? Personalmente preferisco il libro. Affascinante il personaggio di Piccarda, la madre di Cosimo e Lorenzo, coinvolgente il racconto della battaglia di Anghiari, interessanti le descrizioni della Firenze e dei protagonisti dell’epoca.

Il romanzo di Strukul è un buon romanzo storico, un ottimo spunto per trovare la voglia di approfondire la storia della famiglia che tra intrighi e colpi di scena divenne la famiglia più potente del Rinascimento.

“I Medici. Una dinastia al potere” è stato il libro vincitore del Premio Bancarella edizione 2017.




mercoledì 23 maggio 2018

“Il tatuatore di Auschwitz” di Heather Morris


IL TATUATORE DI AUSCHWITZ
di Heather Morris
GARZANTI
Aprile 1942, Lale è uno dei tanti ragazzi stipati dentro al vagone di un treno “bestiame”; come gli altri ignora la destinazione del suo viaggio e, spaventato, si interroga su cosa lo aspetti all’arrivo.
Ha tre cose in comune con i compagni: la paura, la gioventù e la religione ebraica.
Lale ha scelto liberamente di consegnarsi all’ufficio governativo a Praga in modo che, secondo quanto promesso dalle autorità, la sua famiglia possa continuare a vivere sicura nella propria casa.
Lale però, come tutti gli altri ragazzi sul treno, in cuor suo sa che tutto è solo un’illusione o, nella migliore delle ipotesi, solo una questione di tempo prima che ogni cosa precipiti.

“Il tatuatore di Auschwitz” è la storia di Lale e di Gita, due ragazzi come tanti che un giorno si incontrano e si innamorano; quello che fa la differenza è che il loro amore sboccia in un luogo dal quale sono bandite speranza e umanità.
Ad Auschwitz II -  Birkenau, Lale e Gita non sono considerati esseri umani, ma solo due numeri: 32407 lui, 34902 lei.
                                     
All’arrivo a Birkenau Lale viene impiegato come muratore; un lavoro che, nonostante i morsi della fame e i crampi, il giovane riesce ad imparare velocemente senza problemi.
Lale però contrae il tifo e solo grazie all’aiuto del giovane Aron, conosciuto sul treno, riesce a salvarsi. L’altruismo dimostrato costerà purtroppo la vita al suo giovane salvatore.

Colpito dalla storia di Lale, il tatuatore Pepan decide di accoglierlo sotto la sua ala protettrice riuscendo a convincere i nazisti ad assegnarlo a lui come assistente.
Alla domanda di Lale sul perché Pepan abbia scelto proprio lui, questi risponde dicendo che ha visto un uomo affamato disposto a morire per salvargli la vita e per questo ha immaginato valesse la pena preferirlo ad altri.

Un giorno Pepan sparisce, senza un motivo, senza un perché, ma al campo è meglio non farsi troppe domande.
Lale diventa il nuovo Tätowierer e, in qualità di tatuatore, ha diritto ad una qualità di vita leggermente migliore a quella condotta fino a quel momento; ha diritto a pasti più sostanziosi, una posto tutto suo dove dormire, un po’ più di libertà di movimento essendo ora posto sotto la protezione della Divisione Politica che risponde solo a Berlino.

Ma soprattutto Lale ha finalmente la possibilità di avvicinare Gita, la ragazza di cui si era innamorato a prima vista quel giorno in cui aveva dovuto tatuare il suo braccio e per la prima volta aveva incontrato i suoi occhi.
Lale riesce anche ad organizzare una specie di commercio clandestino con l’aiuto di alcuni uomini del villaggio vicino che vengono a lavorare al campo; grazie a questa attività Lale ha la possibilità di aiutare le persone a lui più vicine, garantendogli un po’ di cibo supplementare e qualche medicinale.

“Il tatuatore di Auschwitz” racconta la crudeltà della vita all’interno di un campo di sterminio:  l’orrore dei forni, l’abbrutimento umano, la cattiveria, la dignità calpestata.

Il romanzo di Heather Morris però non ha paura di raccontare anche la verità sull’essere umano con le sue tante contraddizioni; ci parla del suo istinto di sopravvivenza, del suo desiderio di vendetta, della paura e dell’odio nei confronti del diverso, ma anche della sua generosità e delle sue speranze.

Il romanzo è tratto da una storia vera, Lale e Gita, sono  due persone reali, due sopravvissuti all’orrore dei campi di concentramento.

Ciò che ho apprezzato di questo romanzo è sopratutto il coraggio dell’autrice nell’affrontare tematiche anche spinose, di parlare anche di quegli aspetti scomodi del passato che a volte per pietismo o per superficialità nel corso degli anni possono essere stati rimossi o dimenticati.
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Lale ha provato sulla sua stessa pelle le conseguenze dell’avidità e della diffidenza tra gli uomini e non ha timore a raccontarlo a chi, a sua volta, possa mettere sulla carta la sua testimonianza.

Speso dimentichiamo che non solo gli ebrei, sebbene fossero i più numerosi, furono rinchiusi ad Auschwitz – Birkenau, ma molte altre persone appartenenti a popoli, nazioni ed etnie diverse.

Gli zingari erano considerati la feccia dell’Europa, ritenuti, se possibile, peggiori degli ebrei; ad identificare entrambi, ebrei e zingari, non c’era neppure la nazionalità di appartenenza, ma solo la razza.
Eppure oggi nel dolore e nell'indignazione che giustamente proviamo per lo sterminio degli ebrei, tendiamo a dimenticare che i forni entrarono in funzione anche per donne, bambini e uomini zingari, a causa della rabbia e del fastidio che ancora tutt'oggi  proviamo verso di loro, ancora troppo prevenuti nei loro confronti.
                                                                                                                           
Costretti a vivere a stretto contatto gli uni con gli altri, trattati come bestie, era naturale che gli uomini fossero più portati a cercare di difendere quel poco che possedevano piuttosto che cercare di aiutare il prossimo.
Non possiamo dimenticare però che tanti trovarono comunque il coraggio di rischiare in prima persona per aiutare i compagni ritenendo, come Lale, che salvare un essere umano equivalesse a salvare il mondo.
                                                                                                                                                  
Molti puntarono il dito contro il prossimo accusandolo di essere un “collaborazionista”, senza considerare che spesso cercare di sopravvivere in situazioni così estreme poteva essere letto anche come una forma di resistenza, un atto di eroismo.

Così come un atto di eroismo era quello di salvare un compagno anche a rischio della propria vita, anche a rischio che questi un giorno si potesse trasformare nel proprio aguzzino per salvare se stesso o semplicemente perché era meglio commettere un omicidio se questo poteva servire a salvare altre vite.
 
“Il tatuatore di Auschwitz” è un testamento per le generazioni future, un racconto intenso e doloroso, ma anche una storia di speranza, perché pure in un luogo di terrore come Auschwitz-Birkenau poteva nascere un fiore, quel lampo di colore che aveva catturato lo sguardo di Lale, quell’unico unico fiore che si agitava nella brezza.

Restare vivi per raccontare al mondo cosa sia successo è il modo migliore per rendere giustizia a tutti coloro che non ce l’hanno fatta.





sabato 12 maggio 2018

“La spia dei Borgia” di Andrea Frediani


LA SPIA DEI BORGIA
di Andrea Frediani
NEWTON COMPTON EDITORI
Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, è salito al soglio pontificio da cinque anni e, nonostante il suo comportamento non sia stato diverso da quello di tutti gli altri papi che lo hanno preceduto, è uno dei pontefici più avversati e discussi degli ultimi decenni.

I Borgia sono stranieri e per questo invisi alla nobiltà romana e italiana. Tutte le illustri famiglia i Della Rovere, gli Orsini, i Colonna, solo per citarne alcune, tutte, nessuna esclusa, avrebbero interesse a eliminarli.
Così, quando Giovanni Borgia, il secondogenito del papa, viene assassinato, l’indagine per individuare il colpevole si rivela fin da subito un problema di difficile, se non impossibile, soluzione.

Giovanni, il figlio prediletto del papa, Duca di Gandia e di Benevento, Gonfaloniere della Chiesa e capitano generale delle truppe pontificie, era forse il membro più odiato dell’intera famiglia.

La rosa dei possibili colpevoli è ampia, chiunque avrebbe potuto volerlo morto e per i più svariati motivi.
Un nemico di Alessandro VI che voleva colpire il padre attraverso la morte del figlio? O forse uno dei tanti mariti traditi? Giovanni Borgia era infatti un uomo molto passionale che non guardava in faccia nessuno quando si trattava di scegliersi una nuova amante. Oppure il colpevole era semplicemente qualcuno a cui il Duca di Gandia si era reso odioso a causa del suo atteggiamento strafottente e altezzoso?
In verità non si può neppure escludere che il colpevole sia stato un membro della stessa famiglia Borgia.
Magari proprio il fratello maggiore, il cardinale Cesare Borgia, che da sempre aspirava alle cariche ricoperte da Giovanni.
L’astuto Cesare, affabile e garbato all’apparenza, ma in realtà capace di una ferocia inaudita, è certo che il suo vero destino non sia la chiesa come desidera il padre, ma piuttosto la conquista dell’Italia; lui sa di essere destinato a diventare un condottiero come il suo stesso nome suggerisce.
Persino Alessandro VI ha timore di suo figlio, nel quale vede riflessa l’immagine di se stesso; ostinazione, fierezza e sete di potere gli elementi distintivi del suo carattere di un tempo.

Tutta Roma viene mobilitata alla ricerca dello spietato assassino e della guardia del corpo di Giovanni, un uomo mascherato di cui tutti ignorano l’identità, come la ignorava il Duca di Gandia stesso.
Questo misterioso personaggio potrebbe essere però l’unico  in grado di svelare l’enigma.

Lo stesso Bernardino di Betto Betti, conosciuto da tutti come il Pinturicchio, il pittore preferito del papa, viene mobilitato insieme a tutta la confraternita di pittori e scultori.
Il giovane Michelangelo, Filippino Lippi, il Perugino e tutti gli altri artisti che operano a Roma saranno gli occhi e le orecchie dei Borgia nelle case dei nobili, loro committenti, per cercare di scoprire se qualcuno di questi possa essere coinvolto in una supposta congiura.

Il romanzo di Andrea Frediani prende spunto da un avvenimento tra i più oscuri della storia della fine del Quattrocento; l’omicidio di Giovanni Borgia è uno dei più celebri cold case del passato.

Giovanni Borgia fu effettivamente assassinato nel 1497 e di fatto, dopo due settimane di intense ricerca del suo assassino, papa Alessandro VI fece interrompere bruscamente le indagini, alimentando i sospetti di un possibile coinvolgimento nell’omicidio da parte di Cesare Borgia.

I Borgia erano una famiglia che aveva un’infinità di nemici o, nella migliore delle ipotesi, poteva vantare amici sleali e alleati temporanei.
Le voci che sono arrivate nel corso dei secoli fino a noi oggi, ci parlano di personaggi spregiudicati e senza scrupoli; la possibilità che ad uccidere Giovanni Borgia fosse stato il fratello Cesare, un uomo dalla fama assai discussa, ma indubbiamente anche affascinante quanto pericoloso, non possono essere del tutto smentite.
Lucrezia Borgia, sorella di Cesare, con il quale si vocifera avesse avuto addirittura una relazione incestuosa, non gode di una fama migliore dei suoi congiunti; viene infatti ancor oggi ricordata come una donna bellissima ma anche una letale esperta di veleni e molto vendicativa.

Il romanzo di Andrea Frediani ricostruisce il quadro dell’epoca in un modo molto convincente pur raccontando una storia di invenzione che prende spunto da un fatto realmente accaduto.

Tutti i personaggi sono descritti in maniera accurata e precisa: la gelosia del Perugino per il suo allievo, l’avidità di Gandia, la moglie del pittore del papa, la tensione che tormenta il Pinturicchio, la malinconia di Lucrezia, il timore e il senso di colpa di Rodrigo Borgia, l’avidità delle famiglie nobili, la ferocia mascherata dai modi garbati propri di Cesare.

Ma la vera protagonista del romanzo è Isabella, amica di Lucrezia e amante di Giovanni, figura di pura fantasia, intrigante, coinvolgente e appassionante.

L’amore che Isabella prova per Giovanni è smisurato, il trasporto che lei sente e la dedizione che gli dimostra sono assoluti, difficilmente raggiungibili da qualunque essere umano, uomo o donna che sia.
Lei lo ama talmente da sopportare ogni cosa, permettendogli di calpestare la propria dignità; cieca e sorda davanti alla sua sfrontatezza, al suo rendersi odioso; noncurante del fatto che egli fosse inviso a tutti per motivi più che validi.
Non stupisce quindi che nonostante il suo aspetto mostruoso il Pinturicchio resti affascinato dalla sua forza e dalla sua sensibilità, intrigato dalla sua capacità di provare un amore così intenso e totalizzante.

Non posso raccontarvi di più di questa donna onde evitare di svelarvi i misteri della storia e rovinarvi la lettura, ma la storia di Isabella siate certi che vi conquisterà.

“La spia dei Borgia” è un romanzo coinvolgente e, nonostante in qualche punto il racconto tenda a rallentare il ritmo, la lettura rimane comunque scorrevole e piacevole.

La storia dei Borgia fatta di  intrighi, delitti e passioni ha indubbiamente ispirato per queste sue caratteristiche moltissimi romanzi e serie TV.

“La spia dei Borgia” di Andrea Frediani è un thriller intrigante e avvincente dal finale a sorpresa, un finale, se volete anche fantasioso, ma quando si parla della famiglia Borgia nulla si può considerare davvero impossibile.




martedì 1 maggio 2018

“La fortuna dei Medici” di Tim Parks


LA FORTUNA DEI MEDICI
di Tim Parks
BOMPIANI
Contesa dallo Stato Pontificio e dal Sacro Romano Impero, l’Italia del Quattrocento era frammentata in cinque stati principali: il Regno di Napoli, lo Stato Pontificio, Firenze, Milano e Venezia.
Completavano il quadro una nutrita serie di piccoli stati, i cui Signori si offrivano, come condottieri mercenari a capo del proprio esercito, ai grandi stati, in modo tale da poter rimanere solvibili e indipendenti.

Il libro di Tim Parks si propone di raccontare l’ascesa della famiglia Medici e di come questa abbia influenzato la nostra percezione del rapporto che intercorre tra cultura e sistema finanziario, contribuendo a radicare in noi l’atteggiamento di sospetto che spesso proviamo di fronte all’attività bancaria e alla finanza internazionale.

Il Quattrocento fiorentino vide all’opera cinque generazioni della famiglia Medici; la loro banca rimase aperta poco meno di cent’anni.

Nel 1397 Giovanni di Bicci fonda la banca insieme ad alcuni soci, a lui si deve non solo lo sviluppo iniziale del banco, ma anche l’inaugurazione dello stile Medici.
Sul letto di morte lascia un monito ai figli “Non vi fate segno al popolo, se non il meno che voi potete”, ovvero esponetevi il meno possibile. Ciò non significa assolutamente che essi debbano rinunciare al potere politico, ma piuttosto che, proprio nell’intento di acquistarne, sarebbe meglio per loro mantenere un profilo basso.

Cosimo de’ Medici, contravviene fin da subito al consiglio paterno, ma sotto di lui la banca raggiungerà la sua massima espansione.
Si muove deciso verso la politica e di fatto governa la repubblica fiorentina fino alla sua morte; il governo della città omaggerà il defunto Cosimo conferendogli il titolo di Pater Patriae.

Quando Piero de’ Medici, conosciuto anche come Piero il Gottoso, assume però il controllo della banca, che manterrà per solo cinque anni (1464 – 1469), questa ha già iniziato il suo declino.

Cosimo de' Medici
Piero riesce comunque a consegnare un patrimonio più o meno intatto nelle mani del figlio, Lorenzo de’ Medici, meglio conosciuto come Lorenzo il Magnifico.
Lorenzo, per cui il padre aveva scelto come moglie una Orsini, aspira all’aristocrazia e questa mentalità è destinata a cambiare radicalmente lo stile che aveva contraddistinto fino ad allora la famiglia Medici.

Cosimo de’ Medici amava collezionare libri, reliquie, oggetti d’arte; amava circondarsi di filosofi, pittori, architetti, ma era anche un mecenate che commissionava opere d’arte figurative e architettoniche, opere anche di interesse pubblico.
Lorenzo de’ Medici ama anch’egli circondarsi di letterati, filosofi e poeti, egli stesso si dedica alla poesia con ottimi risultati, ma il suo mecenatismo è espresso per lo più sotto forma di collezionismo privato.

L’ultimo Medici del Quattrocento, Piero di Lorenzo, diviene subito noto come Piero il Fatuo, dimostrandosi fin da subito un incompetente, sancisce il definitivo crollo della banca nel 1494, dandosi alla fuga durante l’assedio di Firenze da parte delle truppe francesi.
                                                              
I nuovi Medici del Cinquecento e del Seicento faranno di tutto per crearsi un’aura di legittimità e, per riuscirci, sarà necessario che la gente dimentichi prima possibile l’immagine dei loro antenati seduti dietro quel tavolo, coperto da un panno verde, in via Porta Rossa, intenti a stilare ambigue operazioni di cambio.

Sulla famiglia Medici del Quattrocento sono stati scritti numerosissimi volumi, il libro di Tim Parks si distingue da questi proprio per non essere né un noioso saggio troppo specializzato su uno specifico ambito (politica, arte, finanza) né una banale biografia romanzata dei personaggi dell’epoca.

Tim Parks attraverso la storia della banca dei Medici ci racconta la storia dell’Italia del Quattrocento e di come Firenze, proprio grazie alla banca dei Medici, abbia saputo giocare un ruolo fondamentale all’interno del quadro politico della nostra penisola e dell’Europa; non si può infatti dimenticare che dai prestiti erogati dal loro banco dipendevano i sovrani delle più importanti corti europee.

L’argomento trattato, soprattutto per quanto riguarda l’attività bancaria, è piuttosto ostico, ma Tim Parks è davvero bravo a rendere ogni cosa comprensibile e chiara per il lettore che viene introdotto in questo strano mondo dove l’usura era per la Chiesa il peccato più grave di cui ci si potesse macchiare, salvo poi non farsi scrupolo a ricorrervi lei stessa, facendo uso di sotterfugi ed espedienti astutamente studiati dai banchieri.

“La fortuna dei Medici” ci porta alla scoperta dell’arte del cambio e della sua storia, delle diverse monete (il fiorino, il picciolo, la lira a fiorino, il quattrino bianco), del complesso sistema della holding creata dai Medici, dell’attività svolta dai banchi di pegno, ci spiega la differenza tra la “banca a minuto” e le “banca grossa”, ci illustra cosa fossero i “doni” riconosciuti agli investitori e cosa si intendesse con l’espressione “deposito a discrezione”.

La città di Firenze nel Quattrocento aveva un’organizzazione repubblicana o comunque era retta da un governo di tipo semi-democratico, ciò aveva indubbiamente facilitato l’ascesa della famiglia Medici.
Cosimo, grazie alla propria disponibilità finanziaria, era stato in grado di sostenere la propria carriera politica consolidando la propria immagine e il proprio potere anche grazie all’investimento di denaro nell’arte e nella cultura.

Cappella dei Magi - Benozzo Gozzoli
Arte, finanza e teologia erano le basi su cui si fondavano il prestigio e il potere raggiunti dalla famiglia Medici nel Quattrocento, un secolo di rinnovamento culturale, artistico e filosofico nel quale vennero gettate le basi del pensiero moderno.

Tim Parks nel suo saggio passa in rassegna cinque generazioni, i cui membri, ci fa simpaticamente notare, avevano in comune tra loro tre caratteristiche: erano tutti molto brutti, afflitti dalla gotta e avidi collezionisti.

Lorenzo il Magnifico è senza dubbio l’esponente di spicco della famiglia, quello che ha goduto di maggiore fama nel corso dei secoli, venendo oggi ricordato come il signore più famoso di Firenze.
Eppure, il vero artefice della fortuna di questa famiglia fu Cosimo de’ Medici, perspicace, intelligente, abile manipolatore, senza le sue indiscusse qualità di abile politico e capace banchiere, nulla sarebbe stato possibile.

“La fortuna dei Medici” è un saggio affascinante, scritto in modo semplice e coinvolgente, che invoglia il lettore ad approfondire ulteriormente gli argomenti trattati e lo spinge a visitare Firenze per passeggiare in quei luoghi che gli hanno tenuto compagnia durante la lettura e che, seppur magari già visitati, verrebbero ora visti con occhi diversi.