venerdì 2 novembre 2018

“La battaglia degli albi” di Markus Heitz

LA BATTAGLIA DEGLI ALBI
di Markus Heitz
TEA
Secondo volume della leggenda degli albi, la saga fantasy nata dalla penna di Markus Heitz, “La battaglia degli albi” riprende il racconto dall’episodio con il quale si chiudeva il primo romanzo vale a dire dalla vittoria riportata da Chapalor e Sinthoras.

Grazie all’alleanza stretta con il Demone di Nebbia, i Nostàroi, erano riusciti finalmente a spezzare l’incantesimo che difendeva la Porta di Pietra, unica via di accesso al Tark Draan.

Caphalor e Sinthoras alla testa di un grande esercito costituito dagli albi e dai loro alleati, le creature dell’Ishìm Voróo (orchi, umani, giganti…), possono ora finalmente pianificare l’attacco contro i loro odiati nemici: gli elfi.

Purtroppo però dopo l’entusiasmo iniziale per la vittoria riportata, le cose sembrano precipitare: il Demone di Nebbia non esita a tradire gli alleati intenzionato a sottometterli insieme a tutte le altre razze con l’intento di proclamarsi signore assoluto; il Dsôn Faïmon viene assediato dai dorón ashont, un nemico che gli albi pensavano di aver sconfitto per sempre tanti frammenti di infinito prima; Caphalor e Sinthoras sono costretti a fare i conti con chi nel Dsôn Faïmon trama alle loro spalle per vendetta e gelosia.

Il secondo volume, contrariamente al primo che coinvolge il lettore fin dalle prime pagine, stenta un po’ a decollare forse complice anche l’introduzione di molti nuovi personaggi e la frammentarietà del racconto che apre molteplici luoghi di azione disorientando non poco colui che affronta la lettura del romanzo.

È vero che i cultori del genere fantasy sono abituati a districarsi tra racconti le cui azioni sono ambientate in luoghi diversi, pensiamo ad esempio alle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” di George R.R. Martin, ma ne “La battaglia degli albi” Markus Heitz tende, a mio avviso, a cambiare ambientazione ad intervalli un po’ troppo brevi costringendo così il lettore a salti narrativi troppo repentini.

Il secondo libro introduce molte nuove figure sia tra le fila degli umani che tra le fila degli albi.

Interessanti sono i personaggi che appartengono alla schiera dei maghi, primo tra tutti la giovane apprendista Famenia che si trova all’improvviso investita di responsabilità tali da richiedere conoscenze che sembrano andare ben oltre gli insegnamenti ricevuti dal suo maestro Jujulo, ma che invece saprà dimostrare una straordinaria forza d’animo e delle capacità sorprendenti.

Tra i personaggi albici invece su tutti spicca Carmondai, maestro dell’immagine e della parola, a lui viene affidato il compito di scrivere il poema che tramanderà ai posteri la gloriosa impresa della conquista della Terra Nascosta.
Carmondai si rivelerà una risorsa molto preziosa per i Nostàroi e per la causa degli albi perché ben presto le sue abilità si riveleranno essere ben superiori ad ogni aspettativa.

Introdurre nuovi personaggi e non concentrarsi solo sulle vicende che riguardavano direttamente Sinthoras e Caphalor, protagonisti del primo libro, è stata una scelta ponderata da parte dell’autore al fine di lasciare spazio ad altre figure.

Il terzo libro della saga infatti “Il cammino oscuro” avrà come protagonisti personaggi diversi e differente sarà anche l’ambientazione.
Con il terzo volume Markus Heitz ci condurrà infatti nelle caverne nel Phondrasôn per rivelarci i segreti della “Forra Oscura”.

Chi fosse interessato a conoscere il destino di Caphalor e Sinthoras sarà quindi costretto a leggere i romanzi sui nani che fanno parte dell’altra saga, “La saga dei nani”, altra opera di Markus Heitz.

Chi ha letto la mia recensione di “La leggenda degli albi” sa che ero entusiasta di quel romanzo, purtroppo questo secondo volume non è riuscito ad affascinarmi quanto il primo.
Nonostante le vicende raccontate in questo romanzo siano comunque coinvolgenti, manca quella scintilla che avevo riscontrato nel primo volume.
Gli stessi nuovi personaggi, a parte Carmondai e in parte Famenia, restano solo abbozzati e manca quella dettagliata caratterizzazione che contrassegnava le figure del primo libro, figure come Raleeha, Karjuna e la stessa Timānris.

Non credo quindi che proseguirò nella lettura della saga, ma sarei a questo punto piuttosto tentata di iniziare a leggere i volumi riguardanti i nani.
L’impressione, infatti, è che possa essere una lettura necessaria per meglio comprendere i romanzi dedicati agli albi da leggersi quindi in un secondo tempo.

Vi informo, per chi fosse interessato, che il quarto volume della saga degli albi intitolato “L’ira degli albi” è in uscita proprio in questi giorni nelle librerie.






sabato 27 ottobre 2018

“Il Principe – Il romanzo di Cesare Borgia” di Giulio Leoni


IL PRINCIPE
IL ROMANZO DI CESARE BORGIA
di Giulio Leoni
EDITRICE NORD
Dicembre 1502, Cesare Borgia vede ormai sfumato il sogno di dominare l’Italia intera. Con le poche truppe rimastegli fedeli, non gli resta che contemplare il tramonto del suo grandioso progetto, ma fedele al suo motto aut Cesare aut nihil, il duca Valentino non ha intenzione di rinunciare a vendicarsi in modo teatrale di coloro che l’hanno tradito.

Rincuorato dall’arrivo inaspettato di Leonardo Da Vinci, l’uomo a cui aveva affidato il compito di creare nuove armi, Cesare Borgia fa allestire un suntuoso banchetto i cui unici invitati saranno quei quattro personaggi che credevano di poterlo tradire impunemente: Vitellozzo Vitelli, Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo.
Sotto lo sguardo attonito, ma allo stesso tempo affascinato di Leonardo Da Vinci, il duca Valentino porta a termine, con la sottile crudeltà e la disumana spietatezza che lo hanno sempre contraddistinto, quella che sarà ricordata come la strage di Senigallia.

Il libro di Giulio Leoni ripercorre gli anni in cui Cesare Borgia, grazie alle sue intrepide e numerose campagne militari attraverso l’Italia, aveva iniziato a dare forma al suo audace progetto politico.
Un sogno ambizioso per cui i tempi non erano ancora maturi e per questo destinato inevitabilmente al fallimento; un disegno politico che, non solo incuteva timore ai suoi avversari, ma anche a coloro ai quali lui stesso pagava regolarmente le condotte.

In quell’Italia divisa da innumerevoli lotte e sanguinose faide, soggetta alla continua ingerenza delle potenze straniere, in quell’Italia dove nessuno aveva intenzione di perdere il controllo dei propri possessi per quanto esigui potessero essere, non poteva esserci posto per un novello Cesare che potesse fare del suolo italico una terra nuovamente degna degli antichi padri romani.

Cesare Borgia era un condottiero spregiudicato, un uomo ambizioso, astuto e spietato eppure è una delle figure più affascinanti della nostra storia.
Figlio illegittimo di papa Alessandro VI, uno dei papi più avversati e discussi di tutti i tempi, il duca Valentino era ritenuto colpevole di incesto con la sorella Lucrezia e persino sospettato di essere l’assassino del suo stesso fratello, Juan Borgia, il figlio prediletto del papa.

Il desiderio di riscatto, la sete di gloria, la smania di potere che hanno contraddistinto Cesare Borgia hanno fatto sì che egli divenisse fin da subito oggetto di saggi storico-politici, (primo tra tutti “Il principe” di Machiavelli) e in seguito figura di spicco di romanzi storici più o meno verosimili.

Come lo stesso Giulio Leoni scrive nel suo romanzo ci sono due modi per raggiungere la bellezza, due forme diverse di arte che apparentemente sono agli antipodi, sebbene entrambe abbiano come fine ultimo la ricerca della bellezza stessa.
L’artista Leonardo Da Vinci esprimeva il suo desiderio di bellezza attraverso le sue opere, rappresentando l’armonia e le forme perfette del corpo umano, il condottiero Cesare Borgia invece quello stesso desiderio di bellezza lo aveva espresso dando forma ad un grande progetto politico, perché esiste la bellezza anche nell’atrocità.

La figura così spregiudicata e spietata del duca Valentino è una figura affascinante, ma allo stesso tempo piuttosto inquietante.
Nel suo romanzo Giulio Leoni gli riconosce, seppur con degli evidenti limiti, la forza e la capacità necessari per orchestrare un ambizioso progetto politico: Cesare Borgia, l’uomo che voleva diventare re d’Italia.
Quegli stessi limiti gli venivano attribuiti dallo stesso Machiavelli che non aveva esitato ad esporli nel suo capolavoro “Il principe”, pensieri e considerazioni che Giulio Leoni ha sapientemente inserito nel suo romanzo nelle parole che l’ambasciatore di Firenze rivolge al condottiero durante un loro incontro.

Il titolo stesso “Il principe. Il romanzo di Cesare Borgia” può essere interpretato come un chiaro omaggio all’illustre politico fiorentino.

Lo sfondo storico del romanzo è ricostruito con precisione e i personaggi si muovono sulla scena come attori su un palcoscenico; quando Cesare Borgia dialoga con Machiavelli e Leonardo Da Vinci al lettore sembra davvero di assistere ad una pièce teatrale.

“Il principe. Il romanzo di Cesare Borgia” è la storia di un uomo enigmatico e sfuggente, un uomo che ancora oggi, a distanza di secoli, riesce a sedurre con il suo fascino e la sua forza.

Da sottolineare infine che, grazie alla bravura di Giulio Leoni, il lettore riesce fin da subito a calarsi nella storia ed avere così la sensazione di assistere in prima persona agli eventi.




domenica 21 ottobre 2018

“Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro


QUEL CHE RESTA DEL GIORNO
di Kazuo Ishiguro
EINAUDI
Il libro, scritto sotto forma di diario, racconta la storia dell’irreprensibile e anziano maggiordomo Stevens, io narrante del romanzo.

Il racconto del viaggio in automobile che Stevens compie sul finire dell’estate del 1956 attraverso la tranquilla campagna inglese per incontrare miss Kenton, una vecchia amica, e chiederle di riprendere il suo posto di governante a Darlington Hall, è in realtà un pretesto per compiere un inaspettato viaggio dentro se stessi e ricordare episodi del passato risalenti agli anni Venti e Trenta, anni in cui Stevens era la servizio di Lord Darlington e Darlington Hall stava vivendo i suoi tempi d’oro.

All’epoca Lord Darlington offriva splendidi ricevimenti e le più grandi personalità del paese e non solo, erano solite frequentare la sua residenza.
Anche Ribbentrop, ambasciatore della Germania hitleriana, era spesso ospite di Lord Darlington e in diversi punti del romanzo traspare, seppur molto velatamente, la simpatia e l’ammirazione che il Lord inglese sembrava nutrire per i nazisti.

Finita la guerra Lord Darlington proprio per le sue discutibili amicizie cadde in disgrazia e la sua reputazione inevitabilmente fu compromessa.
Alla sua morte la residenza fu acquistata da un ricco americano, Mr. Farraday, attuale datore di lavoro di Stevens.

“Quel che resta del giorno” è un romanzo malinconico e inquieto; Stevens passa in rassegna le scelte che l’hanno condotto al presente rivivendo giorno per giorno il suo passato e tristemente si rende conto di quanto tutto si riveli alla fine privo di contenuto. Improvvisamente si fa chiaro dentro di lui che il suo modo di vivere l’ha condotto all’isolamento; egli non è capace di sorridere né di fare battute e si sente confuso e disorientato tra la gente comune.

Ha sacrificato ogni cosa sull’altare del dovere, ha persino rinunciato all’amore anche a quello di una donna speciale, attenta e intelligente quale miss Kenton.
Nella vita di un maggiordomo non c’era spazio per i sentimentalismi, tanto che neppure la morte del padre nella soffitta di Darlington Hall, mentre al piano di sotto si svolgeva un importante ricevimento, lo aveva potuto distrarre dai suoi compiti.

Steven aveva sempre ritenuto che indossare gli abiti del maggiordomo non dovesse essere come recitare una pantomima, quell’abito doveva essere indossato con dignità ogni giorno della settimana, portarlo su di sé significava indossare la propria professionalità.

Una cosa più di tutte però amareggia il protagonista del romanzo al termine del suo viaggio introspettivo: non poter dire di aver scelto un percorso sbagliato. Stevens sa di aver sbagliato, ma gli errori non possono dirsi totalmente suoi.
Egli si è fidato di Lord Darlington con il risultato che ora non può neppure affermare di aver commesso i propri errori perché ha solo seguito gli sbagli di altri.

Gli ho dato tutto quanto di meglio avevo da dare, e adesso – ebbene – adesso mi accorgo che non mi è rimasto molto altro da dare.

Ma a mitigare tanta amarezza non c’è solo la saggezza popolare dell’uomo che Stevens incontra sul molo,

Smettila di guardarti indietro continuamente, altrimenti non puoi far altro che essere depresso. (…) Bisogna essere felici. La sera è la parte più bella della giornata.

ma anche l’assennatezza di miss Kenton addolcisce la malinconia di Stevens:

Dopotutto ormai non si può più mettere indietro l’orologio. Non si può stare perennemente a pensare a quello che avrebbe potuto essere. Ci si deve convincere che la nostra vita è altrettanto buona, forse addirittura migliore, di quella della maggior parte delle persone. E di questo si deve essere grati.

“Quel che resta del giorno” è un romanzo intenso e toccante dove i particolari e le atmosfere vengono descritte accuratamente.
Un libro che ricorda per stile i grandi classici; una storia dall’ambientazione perfetta i cui personaggi sono caratterizzati in maniera magistrale.

Da questo romanzo straordinario, vincitore del Booker Prize nel 1989, il regista americano James Ivory trasse nel 1993 un famoso film con Anthony Hopkins nel ruolo del maggiordomo Stevens ed Emma Thompson nei panni di miss Kenton; anche il film come il libro ottenne un grandissimo successo.



domenica 14 ottobre 2018

“Nerone” di Margaret George


NERONE
di Margaret George
LONGANESI
Lucio Domizio Enobarbo è un discendente della dinastia Giulio-Claudia e la sua vita, per il solo fatto di essere uno dei possibili candidati alla successione, è in pericolo fin dalla sua nascita.

A soli tre anni impara a sue spese che Roma non significa solo potere e grandezza, ma anche rivalità e ferocia.
Suo zio Caligola, forse pensando di poter così eliminare un possibile futuro scomodo rivale, tenta di annegarlo buttandolo in acqua dalla nave e solo il buon cuore di Cherea lo salva da morte certa.

La madre Agrippina è in esilio e lui viene affidato alle cure della zia Lepida, madre di Messalina e moglie del futuro imperatore Claudio.

I giorni felici a casa della zia hanno breve durata perché Agrippina torna quasi subito sulla scena rivendicando il figlio per sé e soprattutto per i suoi disegni politici.

Sarà soprattutto grazie alle macchinazioni e alla spregiudicatezza della madre che Lucio Domizio Enobarbo diverrà l’imperatore Nerone che noi tutti abbiamo conosciuto grazie ai nostri libri di storia.

Ma siamo davvero sicuri che la storia ci abbia tramandato la vera immagine del quinto ed ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia?

Per affermazione della stessa Margaret George il romanzo rappresenta la sua missione di salvataggio di questo sovrano divenuto imperatore all’età di soli sedici anni.

L’immagine che noi tutti abbiamo di Nerone è spesso quella hollywoodiana di un imperatore intento a suonare la cetra mentre Roma sta bruciando o, nella migliore delle ipotesi, quella di un imperatore sopra le righe, inviso tanto al Senato quanto all’intero popolo romano, tanto da essere colpito dalla damnatio memoriae, condanna subita da molti altri imperatori anche se quella neroniana risulta sempre essere forse la più famosa.

La biografia che ci regala Margaret George è una biografia romanzata e seducente, ma anche molto dettagliata e solidamente documentata.

Nerone amava l’arte e la musica e, affascinato dalla bellezza e dall’armonia della Grecia, primo tra tutti gli imperatori provò ad ellenizzare l’Urbe, cercando di fare della città e dei suoi abitanti persone più colte e, per quanto possibile, meno violente.

Egli amava la lotta, la corsa, la poesia e guidare le bighe, amava la competizione, ma non provava alcun piacere nell’assistere ai giochi gladiatori tanto che arrivò a vietare addirittura le uccisioni nell’anfiteatro.

Tutto questo però non può ovviamente cancellare i fatti: Roma era una città violenta, così come feroce era chi deteneva il potere.
Congiure, omicidi e veleni erano il pane quotidiano in un impero dove nessuno si faceva scrupoli neppure di assassinare i proprio congiunti pur di raggiungere il potere e lo stesso Nerone non fu da meno, macchiandosi persino dell’omicidio della sua stessa madre.
Vero è, però, che sotto il suo impero non solo rifiorirono le arti, ma vennero pianificate molte opere di carattere ingegneristico ed architettonico per il bene della comunità, furono ampliati i porti ed apportate sostanziali migliorie in tanti settori.
Per assurdo, proprio questo sovrano che oggi viene ricordato come un uomo corrotto, violento e depravato, in realtà fu, almeno all’inizio del suo impero, un uomo retto, generoso e anche se forse troppo ingenuo, un grande sostenitore della cultura popolare e del popolo stesso.

Azioni che a lui vengono ascritte e per le quali è stato pesantemente condannato, non sono poi così diverse da quelle compiute da alcuni suoi predecessori i quali però non furono altrettanto condannati per esse.

Non possiamo poi non considerare che ciò che ci è stato tramandato su Nerone spesso è giunto a noi grazie ad autori che scrissero durante la dinastia Nerva-Antonina, dinastia che aveva tutto l’interesse a screditare le dinastie precedenti, prima fra tutte proprio quella Giulio-Claudia.

Ero particolarmente curiosa di leggere questo romanzo, perché anni fa avevo letto della stessa autrice Il re e il suo giullare” che raccontava la vita di un altro grande sovrano passato alla storia per la sua spregiudicatezza e la sua violenza, Enrico VIII.

Come immaginavo, non sono rimasta delusa, “Nerone” è infatti un romanzo altrettanto intenso, affascinante ed intrigante.
Margaret George riesce in modo magistrale ad esplorare la psicologia del personaggio ed ad individuarne le fragilità, come già aveva fatto mettendo a nudo l’identità del celebre sovrano inglese.

Nerone, membro di una famiglia tanto influente quanto violenta ed assetata di potere, era cresciuto in mezzo alle congiure e fin da piccolo aveva dovuto imparare a guardarsi le spalle, eppure questo non gli aveva impedito di sviluppare il suo amore per l’arte e per la musica, grazie anche all’influenza dei suoi insegnati tra cui spiccava la figura di Lucio Anneo Seneca.
Ma Nerone, seppur energico ed influente, come ogni uomo al comando era un uomo solo, circondato da gente ambiziosa e priva di scrupoli, era naturale che non sarebbe riuscito per sempre a sottrarsi alla seduzione del potere.
L’amore di Atte, la liberta greca da lui amata e dal quale era profondamente ricambiato, non fu in grado di salvarlo anche da se stesso e Poppea ben presto riuscì ad irretirlo spingendolo verso quelle scelte che tanto contribuirono a renderlo impopolare.

Dobbiamo sempre ricordare che il romanzo di Margaret George non è un resoconto storico, ma piuttosto un’opera di fantasia destinata ad un pubblico del XXI secolo e come tale deve essere interpretata.
La scrittrice ha infatti usato termini moderni, ha in alcuni casi alterato la cronologia dei fatti e dato per sicuri alcuni avvenimenti che la storiografia ritiene invece ancora dubbi, il tutto ovviamente per rendere più fluida la trama e dare vivacità al racconto.

Di sicuro però Margaret George con questo romanzo ci ha regalato un’interessante e affascinante reinterpretazione di un personaggio storico molto discusso, dandoci la possibilità di riflettere in modo nuovo sull’immagine che di lui ci siamo fatti nel corso dei secoli.

“Nerone” è il primo dei due volumi dedicati da Margaret George alla vita del controverso imperatore romano.
Il secondo volume riprenderà il racconto dall’incendio di Roma, dove si interrompe il racconto di questo primo libro, ma, come assicura l’autrice stessa nella nota al termine del romanzo, i due volumi sono indipendenti e pertanto leggibili come romanzi autonomi.






martedì 2 ottobre 2018

“Donne che comprano fiori” di Vanessa Montfort


DONNE CHE COMPRANO FIORI
di Vanessa Montfort
FELTRINELLI
Nel quartiere più bohémiene di Madrid c’è una piccola oasi verde al centro della quale si trova un olivo secolare. Quest’angolo magico è il negozio di Olivia: il Giardino dell’Angelo.

Il piccolo regno fiorito di Olivia è anche il luogo dove cinque donne molto differenti tra loro si ritrovano per comprare fiori.
Ognuna lo fa per un motivo diverso: Victoria li compra per il suo amante segreto, Casandra per ostentarli in ufficio, Gala per il suo showroom, Aurora per dipingerli e infine Marina in ricordo di una persona che non c’è più.

Marina, io narrante del romanzo, si è appena trasferita nel quartiere, ha da poco perso il marito e sta ancora cercando di elaborare il lutto che l’ha recentemente colpita.
Affascinata dal Giardino dell’Angelo, una sera decide di entrarvi ed Olivia le offre un posto come commessa.
Marina non sa nulla di fiori, ma incalzata dalla proprietaria, si ritrova ad accettare il lavoro senza neppure accorgersene.

Olivia è una donna particolare e misteriosa, persino la sua età non è definibile, potrebbe avere sessanta come settant’anni.
Olivia sembra catalogare le persone allo stesso modo con cui cataloga i fiori, le osserva e le studia con affetto e occhio critico; sembra quasi che la sua missione sia aiutare le donne a ritrovare se stesse, a capire chi siano veramente, ma soprattutto cosa desiderino davvero dalla loro vita prima che sia troppo tardi per farlo.
Nessuno conosce la storia di Olivia, ma il lettore intuisce sin dalle prime pagine che la sua vita, per quanto molto vivace e creativa, non deve essere stata una vita semplice e che nel corso di essa ella debba essersi trovata a dover compiere delle scelte molto difficili.
L’impressione è che Olivia voglia aiutare le altre donne a non commettere gli stessi suoi errori, per questo le incita e le sprona a non avere paura ricordando loro che la vita sporca, ma non deturpa e che vivere è un compito urgente, ed è già tardi.

Marina, Victoria, Aurora, Gala e Casandra sono più o meno coetanee, cinque quarantenni molto diverse tra loro, ognuna alle prese con problematiche diverse, ma tutte ad un punto della loro vita in cui devono scegliere se accettare passivamente quello che sono diventate oppure trovare il coraggio di riscrivere se stesse.

Queste cinque donne hanno avuto l’opportunità di conoscersi grazie ad Olivia, ma l’amicizia che è sorta, lo spirito di gruppo che sono riuscite a sviluppare, la solidarietà femminile che le unisce è qualcosa che è nato grazie alla loro forza, al loro coraggio e alla loro voglia di riscatto.

Marina trova il coraggio di compiere un viaggio in barca a vela da sola grazie alle parole di Olivia, ma anche perché desidera a sua volta spronare, con il suo esempio, Aurora a mettersi in gioco come artista.
Ognuna di loro trae forza e ispirazione dall’altra, insieme possono trovare finalmente il coraggio di diventare indipendenti, anche se non è per nulla facile rinunciare ad una piccola felicità per cercare la felicità completa.

Ognuna delle protagoniste deve affrontare i propri fantasmi per riuscire a scrollarsi di dosso anni e anni di condizionamenti psicologici, vincoli e restrizioni imposti dall’educazione ricevuta in famiglia, limitazioni e regole imposte dalla società.
È necessario per loro fare chiarezza su cosa sia la “stabilità” o come debba interpretarsi il concetto di “dare priorità”; soffermarsi su quali differenze intercorrano tra alcune parole così simili eppure così diverse tra loro come “indipendenza”, “libertà” e “solitudine”.

Aurora, “la bella sofferente” come l’ha definita Olivia, dovrà smettere di boicottare la propria vita; dovrà trovare il coraggio di mettere se stessa al centro dei propri pensieri invece di continuare a donarsi completamente agli altri, dovrà accettare il fatto che alleviare le sofferenze altrui non potrà mai attenuare le sue angosce.

Gala dovrà lasciarsi il passato alle spalle e ritrovare fiducia negli uomini; Casandra dovrà chiudere la sua storia malata e trovare il coraggio di seguire le sue inclinazioni; Victoria dovrà accettare il fatto di avere dei limiti, prendere coscienza che essere felice è un suo diritto e che sarebbe una follia rinunciare a vivere accanto all’uomo che ama per puro senso del dovere nei confronti del compagno e dei figli.

Marina, come Aurora, ha sempre trovato la propria felicità in quella altrui, non ha mai saputo cercare la propria felicità né le è mai interessato farlo; non ha mai saputo essere libera né è mai stata in grado di fare qualcosa solo per se stessa.
Marina come una crisalide si trasformerà in farfalla grazie ai consigli di Olivia e all’amicizia delle altre donne, ma soprattutto grazie alla sua forza di volontà e al coraggio di riuscire a guardarsi finalmente dentro.
Imparerà ad accettare il fallimento, perché il fallimento non esiste. Esiste solo la fine delle cose, quelle belle e quelle brutte, come l’amore e la sofferenza.
L’unico vero fallimento è l’inerzia di fare continuare ciò che in realtà è ormai già finito.

L’atmosfera misteriosa e rarefatta all’inizio del volume, quando Vanessa Montort descrive il Giardino dell’Angelo, ricorda la magia di alcune pagine di Carlos Ruiz Zafón tanto che Olivia sembra sulle prime essere quasi un personaggio “angelico”.

Quell’impressione dura solo un attimo perché la narrazione entra immediatamente nel vivo ed il romanzo si rivela una storia quanto mai reale e moderna, le cui protagoniste sono donne vere nelle quali ogni lettrice riesce a trovare una corrispondenza fin da subito.
È innegabile che l’empatia che si crea con i personaggi di questo romanzo è immeditata e fortissima.

“Donne che comprano fiori” è uno di quei romanzi che il lettore non vede l’ora di finire per conoscere l’epilogo della storia, ma allo stesso tempo ha paura di arrivare all’ultima pagina perché è ben consapevole che quei personaggi gli mancheranno terribilmente.

Il libro di Vanessa Montfort è un romanzo che ci aiuta a comprendere meglio noi stesse; una lettura in grado di spronarci a credere nelle nostre capacità; un invito a non commettere l’imperdonabile errore di ignorare i nostri sentimenti e i nostri desideri.

“Donne che comprano fiori” è un romanzo intenso e appassionante, un viaggio nell’universo femminile contemporaneo assolutamente da leggere.



giovedì 27 settembre 2018

“La luna nera” di Winston Graham

LA LUNA NERA
di Winston Graham
SONZOGNO
Demelza e Ross hanno ritrovato la loro complicità, gli affari prosperano e la tranquillità sembra finalmente tornata a Nampara.
Elizabeth ha dato alla luce l’erede tanto atteso dagli Warleggan e, nonostante l’odio mai placato, la tregua stretta tra George e Ross almeno per il momento sembra reggere se pur appesa ad un filo sottile.
La guerra tra la Francia e l’Inghilterra però continua ad infuriare ed inevitabilmente le ripercussioni del conflitto si abbatteranno sulla vita di tutti loro.
Il dottor Enys cadrà prigioniero dei Francesi e Ross non potrà che accorrere in soccorso dell’amico mettendo così a repentaglio non solo la propria vita, ma anche la serenità familiare.
Nel frattempo, nuovi personaggi fanno il loro ingresso sulla scena, tra questi i fratelli Carne.
Alla morte del padre, infatti, Sam e Drake decidono di chiedere aiuto alla sorella Demelza che non esita a convincere il marito a dare loro un’opportunità assumendoli alla miniera.
Intanto a Trenwith, George Warleggan ha persuaso la moglie ad affidare Geoffrey Charles, il figlio nato dal primo matrimonio di Elizabeth con Francis Poldark, ad una governante.
La scelta ricade su una cugina di Elizabeth, la diciassettenne Morwenna, la cui famiglia versa in condizioni economiche piuttosto critiche dopo la morte del padre della ragazza.

I fatti narrati in questo quinto libro della saga dei Poldark corrispondono alle vicende raccontate nella prima parte della terza serie televisiva della BBC tratta dai romanzi di Winston Graham.

Nonostante la versione della BBC sia molto affine alla narrazione del romanzo, discostandosi da questa solo in alcuni punti con l’unico scopo di meglio adattarsi alla trasposizione televisiva, la lettura risulta comunque molto interessante e coinvolgente anche qualora si siano già viste le puntate in tv.

La scrittura di Graham è una scrittura lineare e scorrevole e la caratterizzazione dei personaggi è così minuziosa che è un piacere poter approfondire aspetti del loro carattere che, come ho già evidenziato precedentemente nelle recensioni dedicate agli altri romanzi della saga, in televisione tendono sempre a risultare necessariamente più approssimativi e superficiali.

Leggendo il libro si ha quindi spesso la percezione che alcuni particolari della personalità di ognuno di loro ci siano sfuggiti durante la visione ed è molto interessante quindi poterne indagare e approfondire la psicologia.

I personaggi che abbiamo conosciuto negli scorsi capitoli della saga confermano le nostre precedenti impressioni: l’ottimista Demelza che qualunque sia la situazione riesce a scovare sempre dieci ragioni per apprezzare la vita, l’anticonformista Ross sempre pronto a lottare  contro i capricci del destino, la solita ostinata ed indipendente Caroline Penvenen e tutti gli altri George, Elizabeth, Verity, il dottor Enys… senza dimenticare l’anziana zia Agatha che avrà un ruolo fondamentale in questo quinto capitolo della saga.

Alcuni nuovi personaggi meritano però un approfondimento.

Sam non svolge un ruolo da protagonista in questo romanzo, ma non possiamo escludere che potrebbe avere anche lui un’interessante storia da raccontare nei prossimi capitoli. Ha solo ventidue anni, ma sembra più maturo della sua età; è un fervente metodista e la sua vita è tutta dedicata a glorificare il Signore e a cercare di ricondurre sulla retta via le pecorelle smarrite.

Ma sono soprattutto Drake e Morwenna che, con la loro storia d’amore contrastata, intrigano il lettore e portano nuova linfa al racconto.

Il punto di forza della saga nata dalla penna di Winston Graham è proprio questo, ovvero, riuscire a portare in scena sempre nuovi personaggi e nuove storie in grado di mantenere viva l’attenzione del lettore; personaggi che interagiscono in maniera eccellente con gli altri integrandosi perfettamente nella trama del romanzo.

Drake è un ragazzo di bell’aspetto, irriverente e accattivante. Ricorda molto non solo nel sorriso la sorella Demelza. È un metodista anche lui come il fratello, ma non altrettanto estremista.
Il suo amore per Morwenna è un sentimento puro e sincero e, pur sapendo che lei appartiene ad una classe sociale differente, vive il suo amore in modo leale e totalizzante, senza risparmiarsi.

Morwenna invece ricorda molto Elizabeth per certi aspetti. È innamorata di Drake, ma come la cugina non ha la forza di combattere per i propri sentimenti, non ha il coraggio di schierarsi contro il mondo per difendere il proprio amore.
Inoltre, non perde occasione per ricordare a se stessa che Drake appartiene ad una classe sociale inferiore e non può fare a meno, nonostante l’amore che prova per il ragazzo, di notare la sua sfacciataggine, la sua grammatica non perfetta, i suoi abiti dimessi.
Morwenna non ha nulla della forza, della caparbietà e dello spirito di indipendenza che caratterizzano un personaggio entrato nel cuore di tutti noi lettori come quello di Caroline Penvenen. 

Per stessa ammissione dell’autore la saga dei Poldark doveva concludersi con il quarto volume. Solo alcuni anni dopo Winston Graham sentì l’esigenza di scoprire cosa fosse accaduto ai suoi personaggi, il risultato di tale di tale esigenza fu un quinto romanzo: “La luna nera”.

Noi lettori possiamo solo ringraziare la nostra buona stella che lo scrittore abbia accettato la sfida di riprendere il racconto regalandoci così nuove imperdibili storie sulla famiglia Poldark ambientate nella splendida cornice della Cornovaglia.



Qui i link dei precedenti romanzi:

-       Ross Poldark

-       Demelza

-       Jeremy Poldark

-       Warleggan




venerdì 21 settembre 2018

“L’ultima regina di Firenze” di Luca Scarlini


L’ULTIMA REGINA DI FIRENZE
di Luca Scarlini
BOMPIANI
I Medici, l’illustre famiglia che aveva raggiunto il potere grazia ad una efficiente banca e che nel corso degli anni successivi aveva fatto grande Firenze, quella famiglia che aveva dato i natali a personaggi illustri come Cosimo de’ Medici e Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, è ormai giunta alla sua estinzione.

Sulla Firenze medicea rinascimentale sono stati scritti numerosi libri, ma poco conosciute sono invece le vicende della famiglia Medici tra il Seicento e gli inizi del Settecento: proprio queste sono l’oggetto della narrazione del libro di Luca Scarlini.

Paggi, cospiratori, cardinali, musici, prostituite sono solo alcune delle figure di cui amano circondarsi gli ultimi esponenti di quella che era stata nei precedenti secoli una delle dinastie più importanti d’Italia.

Gli ultimi discendenti della famiglia sono figure grottesche: erotomani o uomini devotissimi, ma tutti irrimediabilmente folli.

Gian Gastone l’ultimo Granduca è un anarchico incoronato, un depresso cronico; omosessuale e schiavo del sesso, soggiogato dall’anima nera del suo amante Giuliano Dami, ama circondarsi di giovani e prestanti contadini soprannominati i “ruspanti”.
La corte di Gian Castone è una corte di performer sessuali e lui ne è l’indiscussa e bizzarra regina.

Con la sua morte avvenuta nel 1737 il Granducato di Toscana passa nelle mani dei Lorena.

Ad Anna Maria Luisa, sorella di Gian Gastone, non resta che rammaricarsi per non essere nata uomo, lei sì che avrebbe avuto la capacità e lo spirito per comandare, purtroppo però il destino aveva deciso diversamente:

Ogni passione è spenta: rimane il fatto che lei sarà l’ultima della stirpe di Cosimo, che le restano ancora bei momenti per testimoniare della passata grandezza della famiglia, per cancellare con la massima cura ogni traccia dell’impero dell’orrendo Dami. Così, ne è consapevole, getterà alle ortiche anche la memoria del suo amato fratello, ma non si può fare altrimenti. I Medici prima di tutto, e quel momento di follia corporale, di abbrutimento dell’anima, doveva essere minimizzato, quasi cancellato, al più presto. E poi che contava, in secoli di storia gloriosa?

Il romanzo di Lurca Scarlini è un libro piuttosto complesso; non è facile infatti collegare tra loro e ricordare tutti i personaggi che sono davvero tantissimi, alcuni più o meno conosciuti e altri totalmente oscuri.

A tratti sembra quasi di leggere delle novelle del Boccaccio, tanto sono bizzarri e goffi alcuni personaggi, ma ciò che Scarlini racconta, spesso anche con fredda brutalità e sarcasmo, sono tutte storie vere.

Alcuni dettagli arrivano da brani di diari dell’epoca, altri da quadri, altri ancora da cantate popolari e così via, ma ogni cosa è rigorosamente documentata come testimonia anche la lunga e approfondita bibliografia riportata al termine del volume.

I personaggi descritti ne “L’ultima regina di Firenze” sono personaggi singolari e fuori dal comune.

La galleria di ritratti tratteggiata da Luca Scarlini ci racconta di un mondo in disfacimento e ci restituisce l’immagine di una dinastia, corrotta nello spirito e nel corpo, destinata ad estinguersi nel peggior modo possibile.

Scarlini narra i fatti accaduti con una tale precisione ed una tale chiarezza quali solo una comare racconterebbe i più sordidi pettegolezzi; così attraverso le pagine del suo romanzo veniamo a conoscenza degli intrighi, delle passioni, dell’abbruttimento morale e fisico, delle perversioni che caratterizzarono gli ultimi anni al potere degli esponenti della famiglia Medici.
                                                                                                                            
Abituati ai fasti di questa gloriosa dinastia non è possibile affrontare la lettura delle vicende che ne hanno caratterizzato l’estinzione senza lasciarsi cogliere da un attimo di malinconia e amarezza per la loro fine ingloriosa, ma è pur vero che una storia si deve leggere sempre fino alla fine.

“L’ultima regina di Firenze” è il racconto dell’atto finale ed è pertanto lettura imprescindibile per chiunque voglia conoscere l’intera storia di questa affascinate famiglia.





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