domenica 24 marzo 2019

“Il garzone del boia” di Simone Censi


IL GARZONE DEL BOIA
di Simone Censi
ELISON PUBLISHING
Il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista che, ormai anziano, trasferitosi in Francia e avendo cambiato vita da moltissimi anni, preferisce rimanere anonimo.

Egli non ci fornice nessun indizio che possa ricondurci in qualche modo alla sua identità, tranne che era nato con una gamba più corta e che da giovane era conosciuto con il soprannome di Balzarino, quello che fece il sarto troppo corto e non ce prese.

Quando era ancora un bambino, piccolo e malnutrito, fu venduto dal padre alla stregua di uno schiavo ad un uomo sconosciuto che faceva di mestiere il boia, al secolo Gianbattista Bugatti, ma da tutti soprannominato Mastro Titta.

Balzarino nel corso degli anni aveva imparato a vedere in Mastro Titta la figura paterna che a lui, uscito da casa giovanissimo, era venuta a mancare e, per sua stessa ammissione, probabilmente il boia si era rivelato essere un genitore migliore di quanto non sarebbe stato il suo vero padre.

L’uomo truce e feroce che tutti vedevano in Mastro Titta, un uomo che a causa del suo lavoro veniva scansato dalla gente, era in realtà, a detta del protagonista, un uomo giusto e devoto oltre che un uomo dotato a suo modo di una grande umanità.

Il boia era un uomo che sapeva leggere e scrivere; teneva un taccuino nel quale annotava tutte le esecuzioni e i dati di coloro che la giustizia gli affidava.
Fu proprio lui che insegnò a Balzarino a leggere e a scrivere ed il ragazzo, come il suo maestro, si mise all’opera tendendo un diario dei giorni  trascorsi al suo servizio.

Il racconto nasce proprio dalla revisione di quegli stessi appunti che il protagonista dice di voler riordinare più che altro a scopo terapeutico, per fare chiarezza e per curare gli attacchi di panico che ancora oggi, durante la vecchiaia, sono soliti coglierlo pensando a quanto vissuto durante la sua gioventù.

Mastro Titta  svolgeva il suo compito con rigore e rettitudine, sicuro che se non ci fosse stato lui a farlo, lo avrebbe fatto qualcun altro.
Riteneva il suo compito un lavoro giusto in quanto grazie ad esso egli non solo aiutava a salvaguardare l’incolumità delle persone, ma faceva sì che le sue stesse vittime avessero la possibilità, attraverso la morte, di espiare le loro colpe e presentarsi così purificate dinnanzi al Signore.

Balzarino però con il passare degli anni iniziò a non essere più così sicuro dell’attendibilità delle parole del suo maestro e la sua coscienza iniziò a ribellarsi quando, esecuzione dopo esecuzione, cominciò ad accorgersi che non tutti i condannati venivano trattati allo stesso modo; spesso infatti venivano usati due pesi e due misure quando veniva processata gente in vista oppure quando gli offesi erano uomini di Chiesa, nobili o ricchi.

Proprio per questo, a differenza di Mastro Titta, il giorno che se ne presentò l’occasione, Balzarino non se lo fece ripetere due volte, afferrò al volo l’opportunità e cambiò vita per sempre.

Il libro di Simone Censi è un racconto che intreccia verità storiche a vicende romanzate.

Mastro Titta è un personaggio realmente esistito, nato nel 1779 e morto nel 1869, fu un celebre boia a servizio dello Stato Pontificio.
Quando il papa Pio IX lo congedò, assegnandogli una pensione di 30 scudi mensili, fu il suo aiutante Vincenzo Balducci a prenderne il posto.

Prima del Balducci, secondo alcune fonti storiche, Mastro Titta aveva al suo servizio un garzone del quale si ignora l’identità; è proprio ispirandosi alla misteriosa figura di quel garzone che Simone Censi scrive il suo romanzo.

Nel 1891 venne pubblicata in dispense una falsa autobiografia, attribuita ad Ernesto Mezzabotta, intitolata “Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso”, lavoro che prese spunto però dagli appunti effettivamente tenuti da Gianbattista Bugatti durante la sua attività di boia e ritrovati nel 1886.

La figura di Mastro Titta è nota al grande pubblico nella sua veste di personaggio della commedia musicale “Il Rugantino”, opera teatrale rappresentata per la prima volta nel 1962 con Aldo Fabrizi ad impersonare la parte del boia.

Mastro Titta non ha ispirato solo commedie e letteratura, ma è entrato anche a far parte della vita di tutti i giorni attraverso i detti popolari a lui ispirati come “Boia nun passa ponte” (ciascuno deve stare nel proprio ambiente) oppure “Mastro Titta passa ponte” (qualcuno ci rimetterà la testa).

Il libro di Simone Censi è un resoconto delle esecuzioni dell’epoca che ci fa conoscere non solo le tecniche utilizzate dal boia, ma anche i crimini commessi dai condannati a morte.
La condanna capitale veniva comminata per svariati motivi, ma da quello che si evince dal romanzo la maggior parte di essi erano dovuti a grassazione, cioè rapine a mano armata, o per aver commesso assassinio.
Gli omicidi a loro volta avevano come movente la maggior parte delle volte il denaro e il tradimento, così leggiamo molte storie di matricidi, patricidi e uxoricidi.
Col tempo però a questi crimini si andranno ad aggiungere anche quelli politici, entriamo infatti nel periodo in cui all’esecuzione dei briganti verranno affiancate anche le condanne di coloro che si sacrificavano nel nome di un’ideale di Italia unita.

Considerato l’argomento e le descrizioni inevitabilmente violente delle esecuzioni, il racconto non risulta così truculento e raccapricciante come ci si potrebbe aspettare e questo giova decisamente all’economia della narrazione che è a tutti gli effetti molto scorrevole.

“Il garzone del boia” è un libro particolare così come particolare ed inaspettato è effettivamente l’argomento trattato; un romanzo unico nel suo genere che racconta uno spaccato di vita dell’epoca visto da una prospettiva totalmente diversa ed inusuale.

Il libro di Simone Censi è un romanzo adatto agli amanti del genere storico, agli appassionati di cronachistica e a tutti coloro che sono sempre alla ricerca di storie curiose legate al nostro passato. 






domenica 17 marzo 2019

“Il labirinto degli spiriti” di Carlos Ruiz Zafón


IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
di Carlos Ruiz Zafón
MONDADORI
Ultimo volume della quadrilogia dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati, “Il labirinto degli Spiriti”, è il capitolo conclusivo della saga che vede protagonista la famiglia Sempere.

Barcellona fine anni Cinquanta, Daniel Sempere ha sposato la sua Bea dalla quale ha avuto un bambino, il piccolo Julian, chiamato così in onore del famoso romanziere Julian Carax, una vecchia conoscenza per coloro che hanno letto i precedenti libri.

Il fedele amico e confidente Fermín, che è a sua volta convolato a nozze con l’amata Bernarda, continua ad intrattenere tutti con i suoi curiosi aforismi dispensando ad amici e famigliari consigli tanto utili quanto all’apparenza strampalati.

Bea e Fermín sono oltremodo preoccupati per Daniel il quale, nonostante siano passati ormai molti anni dall’accaduto, sembra essere sempre più ossessionato dalla morte della madre Isabella, deceduta quando lui era ancora un bambino.

Proprio quando Daniel sente di essere vicinissimo alla soluzione del mistero, però la questione si complica e sulla scena appare Alicia Gris, una donna seducente, pericolosa e alquanto enigmatica.

Un complotto di immani proporzioni sta per essere svelato, una cospirazione che vedrà coinvolte molte figure di spicco della Spagna franchista.

Purtroppo l’intrigo riguarderà anche persone molto vicine ai Sempere i quali, loro malgrado, si troveranno ancora una volta coinvolti in qualcosa che potrebbe mettere a repentaglio non solo la loro serenità, ma anche le loro stesse vite.

Tutte le puntate del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette come romanzi a sé; lo stesso autore scrive infatti che tutti i volumi fanno parte di una stessa storia alla quale si può accedere attraverso porte e sentieri differenti, “Il labirinto degli spiriti” non è altro che uno di questi.

I libri che compongono il ciclo in ordine di pubblicazione sono i seguenti:

- L’ombra del vento
- Il gioco dell’angelo
- Il labirinto degli spiriti

Contrariamente ai precedenti volumi, almeno per quanto io ne abbia memoria, quest’ultimo romanzo ha un avvio piuttosto lento, ma superate le prime cinquanta pagine la narrazione diviene fluida e scorrevole.

La storia entra nel vivo facendosi avvincente e popolandosi di numerosi personaggi uno più affascinante e accattivante dell’altro, l’intreccio si fa coinvolgente ed il lettore rimane intrappolato nella trama, tessuta dall’autore come una sottile ragnatela, in cui non mancano continui colpi di scena ed ogni cosa non è mai come sembra.

Barcellona stessa diventa protagonista del romanzo: una città dalle atmosfere cupe e dall’aspetto inquietante come inquietanti sono i personaggi che la popolano.
Ancora una volta Carlos Ruiz Zafón riesce a trasmetterci l’immagine di una Barcellona spettrale che nasconde un’anima nera, il luogo perfetto dove ambientare le sue storie fatte di mistero, intrighi ed arcani segreti.

Barcellona è bella e pericola proprio come Alicia Gris, la vera protagonista di questo ultimo capitolo della quadrilogia.

Alicia è una donna dal passato difficile, una donna enigmatica e complicata, fredda e calcolatrice, un personaggio uscito dall’inferno, un diavolo tentatore, ma allo stesso tempo è anche una giovane donna che sa mascherare le sua fragilità e le sue debolezze, perché Alicia è in realtà un angelo caduto che, a dispetto della apparenze, soffre per la propria solitudine.

“Il labirinto degli spiriti” è popolato da un’infinità di figure; come in ogni storia ci sono “i buoni” e ci sono “i cattivi” e poi ci sono quei personaggi di difficile collocazione, pieni di contraddizioni, affascinanti e pericolosi come Vargas, l’ispettore di polizia, e come la stessa Alicia, perché nella vita nulla è mai o bianco o nero, ma ogni cosa è caratterizzata da tante sfumature di grigio.

Alicia Gris riesce a conquistare il lettore fin dalle prime pagine come pochi personaggi sono in grado di fare e non è per nulla facile doversi separare da lei alla fine del romanzo.

“Il labirinto degli spiriti” è un romanzo che racconta un mondo fatto di luci ed ombre, un libro intenso, emozionante e ricco di sorprese, un racconto intriso di magia capace, come pochi altri, di tenere il lettore incollato alle sue pagine fino all’epilogo finale.



                                                                                                                                                


martedì 5 marzo 2019

“La spada e il rosario” di Adriana Assini


LA SPADA E IL ROSARIO
di Adriana Assini
SCRITTURA & SCRITTURE
Nell’anno 1516 il Regno di Sicilia è ancora sotto il giogo spagnolo e Palermo è governata in modo sconsiderato dal viceré Hugo de Moncada.

Re Ferdinando II è in punto di morte e presto dalle lontane Fiandre gli succederà il nipote Carlo che, se poco conosce gli affari spagnoli, tanto più ignora la situazione politica siciliana.

In questo clima rovente un gruppo di mercanti di origini pisane, capeggiati da Gian Luca Squarcialupo, insieme ad un nutrito numero di nobili palermitani tramano nell’ombra per rovesciare il governo spagnolo e riportare sul trono palermitano qualcuno originario del luogo nel tentativo di cambiare il deplorevole stato delle cose.

Ai limiti della bancarotta e strangolati dai debiti e dalle tasse, afflitti dall’ascesa economica di famiglie dell’alta burocrazia e della finanza sostenute dal viceré, la nobiltà isolana e la classe mercantile versano in pessime condizioni economiche.

Morto Ferdinando II, Hugo de Moncada verrà sostituito dal nuovo protetto della corona spagnola, Ettore Pignatelli, ma nulla cambierà per la popolazione che continuerà ad essere oggetto di malversazioni ed  ingiustizie.

La logica di governo resterà quella che secoli dopo sarà riassunta perfettamente nella famosa frase fatta pronunciare da Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Tancredi nel suo “Il Gattopardo”: Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Espressione che Adriana Assini fa sua facendo pronunciare a Squarcialupo le seguenti parole:

In Continente lo sanno bene che la Sicilia è una mucca da mungere (…). In apparenza tutto cambia, ma non nella sostanza.

Ma chi è Gian Luca Squacialupo, il protagonista di “La spada e il rosario”?

Nato a Palermo da genitori pisani, lo Squacialupo si sente palermitano al cento per cento.
Innamorato da sempre della bella e fiera Francesca Campo, non ha però esitato a sposare un’altra donna la cui dote gli ha permesso di estinguere i suoi tanti debiti, debiti che immediatamente hanno iniziato ad accumularsi nuovamente, non essendo egli in grado né di fare economia né di contenersi negli appetiti di qualsiasi genere essi siano.

Gian Luca Squacialupo è un capopopolo nato, impulsivo, ostinato ed impaziente, uno che ha fegato da vendere.
E’ pieno di contraddizioni, non solo in campo amoroso, ma è anche un amico fidato, un uomo d’onore, un uomo che sa mantenere i patti.

A fare da contraltare a Gian Luca Squacialupo troviamo un altro personaggio, Vincenzo De Benedetto, un arrivista meschino e gretto, un doppiogiochista che pur di raggiungere i propri fini non si fa scrupolo di tradire i compagni e persino il suo stesso fratello.

Gian Luca Squarcialupo non è perfetto, anch’egli all’inizio come gli altri non esita ad anteporre i propri interessi a quelli del prossimo, ma alla fine arriva ad appassionarsi veramente al diritto e alla giustizia.

Per Vincenzo De Benedetto invece non c’è alcuna redenzione, egli è un giuda che non cerca né desidera il riscatto, fino alla fine troverà delle giustificazioni ai misfatti commessi scorgendo sempre il modo di addossare agli altri la colpa.

Tra Squarcialupo e Vincenzo troviamo il personaggio di Cristoforo, migliore amico del primo e fratello del secondo; sempre pronto a schierarsi a fianco di Gian Luca e a giustificare i comportamenti di Vincenzo, sottovalutandone la pericolosità.

Cristoforo De Benedetto, forte e nobile, onesto e leale, non riesce purtroppo a comprendere quanto invidia, gelosia e sete di potere abbiano reso suo fratello Vincenzo un uomo abietto e spregevole.

Adriana Assini ancora una volta riesce ad offrirci un piccolo affresco di un tempo lontano e lo fa, come sempre, attraverso minuziose e dettagliate descrizioni dell’epoca e dei luoghi, ma soprattutto affascinandoci con personaggi seducenti ed intriganti.

Le parole in palermitano, i detti popolari, tutto concorre a rendere vivo il racconto tanto che al lettore sembra davvero di assistere a quegli stessi fatti in prima persona.

E’ già il terzo libro che leggo di questa autrice eppure ogni volta resto incantata davanti alla sua abilità nel saper rendere la narrazione così scorrevole e coinvolgente, davanti alla sua bravura nel riuscire in poche righe a delineare perfettamente la scena sulla quale si muovono i suoi personaggi sempre così veri e vitali.

Nel sottotitolo del libro però sono nominati anche altri personaggi: chi erano i Beati Paoli?

La loro esistenza è legata ad una leggenda palermitana; chi loro fossero in realtà  non è dato sapere. Forse una setta religiosa? Qualcuno pensa che fossero dei monaci appartenenti all’ordine di San Francesco da Paola o forse chissà non erano neppure veri religiosi.
Nessun documento purtroppo è giunto fino a noi che ci parli di loro, tutto si rifà solamente alla tradizione orale.

Si narra si incontrassero nelle grotte sotterranee di Palermo e che incutessero timore ai nemici.
Ma chi erano i loro nemici? La leggenda narra che i Beati Paoli fossero schierati dalla parte del popolo, fossero difensori degli oppressi, ma c’è anche chi invece ritiene che i loro interessi fossero di tutt’altra natura e che i Beati Paoli fossero tutt’altro che uomini onesti e virtuosi.

Quale sia il ruolo svolto dai Beati Paoli nel romanzo di Adriana Assini lascio a voi il compito di scoprilo, non vi svelerò il mistero, per cui se volete saperne di più non vi resta che leggere il libro, certa che non ne resterete delusi.

“La spada e il rosario” è infatti un avvincente romanzo storico popolato da personaggi affascinanti e misteriosi che riaffiorano da un passato dimenticato e sfuggente.

Un libro assolutamente da leggere.
  


Della stessa autrice nel mio blog:





sabato 2 marzo 2019

“Che colore hai il vento?” (a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia)


CHE COLORE HA IL VENTO?
A cura di Marina Panatero e Tea Pecunia
FELTRINELLI
Il libro a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia è una raccolta di insegnamenti zen utili, come suggerisce il sottotitolo del  volume stesso, come rimedio a questi tempi terribili.

Lo zen ci aiuta a non sprofondare nell'abisso della quotidianità e dello stress giornaliero, ci aiuta a trasformare il dolore in qualcosa di positivo, ci trasmette accettazione, empatia, equanimità ed amore, ci aiuta a scacciare le paure e allontanare le tensioni.                                                                                                                                     
Sebbene i suoi insegnamenti all'apparenza sembrino molto semplici, chiunque può effettivamente avvicinarsi ad essi anche solo attraverso la lettura, in realtà per raggiungere dei risultati concreti, come per ogni cosa, servono molta costanza ed allenamento.

Il libro inizia con un’introduzione che racconta la storia dello zen partendo dall'etimologia della parola stessa.

Zen è la pronuncia giapponese della parola cinese ch’an, parola che deriva a sua volta dalla trascrizione fonetica del vocabolo che significa “meditazione” in sanscrito ed in pali, entrambe lingue indiane.
Il buddhismo è infatti nato proprio in India mentre lo zen è una scuola buddhista nata in Cina e poi sviluppatasi in Giappone.

Lo zen non lo si può definire né una filosofia né una religione, ma piuttosto un insegnamento il cui scopo è portare al risveglio, all'illuminazione.

Nella prima parte del libro si parla dei sutra, letteralmente in sanscrito “filo per infilare le perle”.
I sutra sono raccolte di parole attribuite al Buddha e ai maestri messe insieme nel corso di un numero vastissimo di generazioni, possono quindi definirsi a tutti gli effetti il corpus dei testi zen.

Nella seconda parte del libro si passano in rassegna i maggiori maestri zen raccontando qualche aneddoto della loro vita e di come abbiano raggiunto l'illuminazione.
Bisogna precisare che nello zen la trasmissione degli insegnamenti, nonostante sia giunto a noi un corpus di scritti, non avviene né tramite la comunicazione scritta né tramite la comunicazione verbale, ma piuttosto attraverso una fusione tra il maestro ed il discepolo, fusione che si compie attraverso l’intuizione da parte del discepolo degli insegnamenti del proprio maestro.

Ogni maestro poi nel passato aveva la sua tecnica di insegnamento e c’era addirittura chi ricorreva ad urla e colpi di bastone per aiutare i propri discepoli a raggiungere l’illuminazione.

La terza parte del libro ci parla del Bushido, la Via del guerriero, o meglio dello stretto legame tra lo zen e i samurai; il Bushido infatti è profondamente permeato dallo spirito zen.
Fondamentali insegnamenti per il samurai sono la libertà dall'attaccamento, il saper lasciare andare e l’importanza di riuscire a vivere nel presente, nel qui e ora.
L’attaccamento alle cose ci rende schiavi perché è dall'attaccamento che nascono le nostre emozioni distruttive; libertà è anche comprendere che i dualismi non esistono perché dove ci sono tracce di affermazione e di negazione, là la mente si perde nella confusione.

Il legame tra zen e poesia è molto forte in quanto per entrambi l’espressività va oltre la parola; a questo aspetto è dedicata la quarta parte del volume.

I detti popolare sono però altrettanto importanti per lo zen e pertanto a loro è dedicata la quinta parte del libro intitolata proprio “Detti popolari di saggezza zen” nella quale vengono riportati alcuni esempi di attimi di illuminazione.

Nella sesta ed ultima parte del libro ritroviamo un breve ed interessante racconto intitolato “Il maestro e lo scorpione”.
Da esso traiamo un fondamentale insegnamento ossia l’importanza di assecondare la nostra natura, mantenendoci saldi nelle nostre azioni e seguendo sempre la nostra coscienza.
La nostra coscienza è infatti il nostro vero essere, la nostra reputazione invece è solo ciò che gli altri credono che noi siamo e pertanto non ci deve interessare.

Per chi non conosce nulla degli insegnamenti zen “Che colore ha il vento?” è un libro pieno di ispirazione che stuzzica la curiosità del lettore spingendolo ad avvicinarsi a queste dottrine che mostrano la possibilità di vedere le cose da una prospettiva completamente diversa.

Chi di noi non vorrebbe infatti essere capace di liberarsi delle paure, delle ansie e dello stress quotidiano?
Leggere questi aforismi può essere un primo passo per trovare la strada, se non proprio per l’illuminazione, almeno per una vita più libera e consapevole.

Troppo spesso, infatti, si tende a vivere in attesa di un evento che cambierà per sempre le nostre vite, senza renderci conto che quel momento non arriverà mai perché in realtà quel momento non esiste, l’unica cosa che conta è il qui e ora, la vera vita è il presente, bisogna pertanto evitare di restare intrappolati nel passato così come di farsi condizionare dal futuro.


Facciamo distinzione tra
pioggia, grandine, neve e ghiaccio,
ma quando si sciolgono,
diventano tutti
acqua del fiume della valle.
(Ikkyu Sojun)






domenica 17 febbraio 2019

“Leonardo Da Vinci. Il Rinascimento dei morti” di G. Albertini – G. Gualdoni – G. Staffa


LEONARDO DA VINCI
IL RINASCIMENTO DEI MORTI
di G. Albertini – G. Gualdoni – G. Staffa
NEWTON COMPTON EDITORI
Milano, settembre 1493. Leonardo Da vinci viene convocato per assistere al trapasso di un uomo affetto da una rara e sconosciuta malattia.

Leonardo giunge troppo tardi, l’uomo infatti è ormai spirato ed a lui non resta che procedere con l’autopsia del cadavere.
Improvvisamente però il corpo dell’uomo ritorna in vita e tenta di assalire lo studioso e i suoi assistenti.

Leonardo Da Vinci ha appena assistito agli effetti di una pestilenza che sta colpendo tutta l’Europa, una malattia sconosciuta che riporta in vita i morti facendo di questi delle belve affamate di carne umana.

Ludovico il Moro ordina a Leonardo di recarsi immediatamente a Roma per informare papa Alessandro VI di quanto sta accadendo e chiedere il suo aiuto.

Leonardo Da vinci in questa impresa sarà scortato da alcune guardie del Signore di Milano ed accompagnato dai suoi più fedeli assistenti: Zoroastro, al secolo Tommaso Masini, uomo, dall’aspetto d’un negromante, ma dotato di un acume e di una intelligenza non comuni, e Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, un uomo di natura piuttosto inquieta e spavalda.

Il morbo grigio, di cui si ignora la provenienza sta mietendo vittime in tutta Europa, diffondendosi rapidamente non solo tra i poveri, ma anche tra i ricchi ed i nobili, tanto da non risparmiare neppure teste coronate e gli alti scranni della Chiesa.

La malattia si abbatte su tutti indistintamente come un castigo divino ed il giorno dell’Apocalisse sembra ormai vicino.

Il viaggio di Leonardo e dei suoi compagni è un cammino pericoloso, non solo per le orde di non morti che devono affrontare, ma anche per la situazione politica della penisola italiana dell’epoca, un territorio frammentato in un numerosi stati in perenne stato di guerra tra di loro.

Lorenzo Il Magnifico è da poco deceduto ed il suo successore Piero, detto il Fatuo, non è all’altezza dell’eredità paterna; Firenze è ormai ostaggio di Savonarola e dei suoi Piagnoni, mentre Roma è in mano al papa più osteggiato della storia, il famigerato Papa Borgia.

“Leonardo Da Vinci. Il Rinascimento dei morti” è un romanzo che unisce in sé tre diversi generi letterari: il romanzo d’avventura, il romanzo storico ed il romanzo horror.

I suoi autori, rifacendosi a personaggi per la maggior parte tutti realmente esistiti ed a una ricostruzione piuttosto accurata dei fatti dell’epoca, creano una storia dalle tinte macabre ed irrazionali, facendo ricorso anche alla descrizione di alcune scene dal carattere piuttosto splatter tipiche di un certo tipo di cinematografia.

La caratterizzazione dei personaggi è accurata; Leonardo Da vinci è un uomo sempre alla ricerca di verità nascoste, ossessionato dalla sete di sapere; un genio la cui esistenza si condensa  in una unica parola “conoscenza; quella conoscenza che deve venire prima di tutto anche a rischio della propria incolumità.

La lettura è piuttosto scorrevole nonostante il triplice piano narrativo così ripartito: il racconto principale del romanzo vero e proprio che vede protagonista Leonardo Da Vinci, un secondo racconto che invece ha come protagonista Cristoforo Colombo e il suo viaggio in America, focolaio del morbo e per finire la documentazione fatta di dispacci e carteggi con i quali giungono notizie dell’avanzamento del contagio nelle varie parti d’Europa.

Ho apprezzato molto l’idea degli autori di ricreare le lettere diplomatiche e i resoconti che sembrano essere davvero originali per linguaggio e contenuti, così come ho apprezzato che nelle ultime pagine un personaggio del popolo parli in romanesco rendendo il racconto più vivo e dinamico.

Non amo particolarmente il genere horror, ma incuriosita dal fatto che il romanzo fosse ambientato in un’epoca storica per la quale nutro un particolare interesse, mi sono lasciata tentare dalla lettura che devo ammettere non mi ha totalmente convinta perché ho trovato la trama piuttosto inconsistente, quasi fosse solo una premessa ad un racconto vero e proprio che verrà.

Il finale del romanzo lascia infatti aperti molti interrogativi per cui non è del tutto illogico aspettarsi presto un seguito che dia solidità e vigore ai fatti narrati in questo primo libro.




domenica 10 febbraio 2019

“Lascia andare!” di Marina Panatero e Tea Pecunia


LASCIA ANDARE!
di Marina Panatero e Tea Pecunia
FABBRI EDITORI
Il libro è un manuale che si prefigge come scopo quello di aiutare tutti noi a superare più o meno indenni le sfide quotidiane.

Spesso infatti, secondo le autrici del libro, non sono tanto i periodi di effettiva crisi la vera difficoltà quanto il dover affrontare ogni giorno momenti di stress che ci logorano piano  piano fino a quando giunge la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Il manuale è diviso in due parti ed in fondo al libro ci sono tre appendici: una dedicata alle tecniche quotidiane da mettere in atto per vivere con consapevolezza, una dedicata alle cosiddette strategie di sopravvivenza e l’ultima, più specifica, dedicata alla tecnica della meditazione più semplice. 

Nella prima parte del libro Marina e Tea ci aiutano a prendere coscienza di quanto lo stress quotidiano influisca negativamente sulla qualità delle nostre vite e ci conducono, attraverso la meditazione, in un percorso che potrebbe riassumersi in tre fasi: porre attenzione a come stiamo davvero,  accettare ciò che la vita ci impone ed, infine, essere grati per tutto ciò che di buono c’è nella nostra quotidianità che possa trattarsi anche solo del profumo del caffè al mattino, della bellezza di un fiore o dell’azzurro di un cielo terso.

Nella seconda parte del volume invece, che le autrici definiscono simpaticamente adatta agli audaci  e per chi anela a spingersi oltre, si parla della scelta di affidarsi alla vita e di trovare la capacità di perdonare, non perché sia eticamente la cosa giusta da fare, ma più semplicemente perché serbare rancore fa male principalmente a noi stessi.

L’occorrente per la meditazione è davvero esiguo: una sedia comoda che permetta di tenere i piedi ben poggiati a terra (o in alternativa uno zafu cioè un cuscino da meditazione oppure uno sgabello da meditazione), il desiderio di farlo e rifarlo ed un luogo dove non si verrà disturbati per alcuni minuti.

Il momento giusto? Qualunque momento della giornata in cui si possa rimanere soli ed indisturbati, preferibilmente il mattino, ma non è essenziale.

Questo libro si propone come un percorso di crescita ed arricchimento personale, un aiuto per cercare di farci scivolare addosso parole ed azioni fastidiose che ogni giorno ci aggrediscono e ci affliggono.

Riuscire a lasciare andare non significa assolutamente diventare menefreghisti nei confronti della vita e del prossimo, ma semplicemente accettare che alcune cose non possono essere cambiate e per questo evitare di rimanere aggrappati a situazioni ed abitudini nocive.

Accettare quello che la vita ci mette innanzi non vuol dire scegliere la rassegnazione, ma piuttosto deve essere inteso come una presa di coscienza della situazione, è di fatto un accettare che una certa situazione esiste.

Così come il passo successivo, quello di affidarsi alla vita, non deve intendersi come un lasciarsi vivere, ma piuttosto un cercare di pensare al meglio invece che al peggio perché la vita, lo sappiamo, ci sorprende sempre nel bene e nel male: il caso e la sfortuna non esistono.

Non è facile non farsi sommergere dagli imprevisti quotidiani e dal ritmo frenetico che ci viene imposto ogni giorno, ma secondo le autrici di questo manuale non è impossibile, grazie alla meditazione infatti si può imparare a lasciare andare.

Lasciare andare significa non cadere più vittima di coloro che ci criticano, tirando fuori la classica frase, “lo dico per te, per il tuo bene”; nessuna critica è costruttiva, le critiche sono critiche e fanno male, così come è pericoloso frequentare persone negative che non fanno altro che lamentarsi.

Il giudizio degli altri non deve riguardarci, dobbiamo accettare con gioia la nostra diversità e soprattutto dobbiamo smettere di colpevolizzarci per qualunque cosa.

Sinceramente da maniaca del controllo quale sono non so dirvi se la meditazione sia effettivamente una soluzione, posso dirvi che ci sto provando e non è per nulla semplice.

Non parlo solo delle difficoltà del vedersi immersi in una luce bianca o di focalizzarsi più semplicemente, semplicemente si fa per dire, sulla respirazione, ma della difficoltà in generale di riuscire a spegnere i nostri pensieri anche solo per un minuto nel tentativo di dare voce al nostro io più profondo.

Posso confermarvi che non si ha proprio idea di quanto numerosi siano i pensieri che attraversano la nostra mente fino a quando non ci si cimenta, anche solo maldestramente come me, nella meditazione!

Una scrittura veloce e scorrevole unita alla scelta di un tono colloquiale, ironico e informale, fanno sì che questo testo risulti un manuale in grado di incuriosire ed avvicinare all’argomento anche persone che, come la sottoscritta, mai avrebbero pensato di poter provare interesse per la meditazione.

Al di là del fatto che crediate o meno nel potere “salvifico” della meditazione, “Lascia andare!” è di fatto una lettura interessante e stimolante.

Ricordandovi che non esiste un solo tipo di meditazione, ma svariati (buddhista, cattolica, sufi, laica, statica o in movimento) e che ognuno deve trovare quello più adatto, non mi resta che augurare buon viaggio a chi di voi deciderà di incamminarsi verso quello splendido luogo che potremmo affettuosamente definire il paese del “chissenefrega”.

Namasté.







domenica 3 febbraio 2019

“Rewind” di Sara Goria


REWIND
di Sara Goria
ELMI’S WORLD
Ambientato tra le montagne della Valle d’Aosta, Rewind racconta la storia di un raduno di harleysti provenienti da tutto il nord Italia.

Il libro si apre raccontando l’epilogo di una giornata vissuta in totale libertà all’insegna dello spirito di gruppo; una giornata in cui un’ottantina di persone, così diverse tra loro,  ma accomunate dalla stessa passione, riescono a trascorrere insieme ore liete e spensierate cercando di dimenticare i problemi che li assillano ogni giorno.

Un inizio/finale imprevisto ed imprevedibile quello di Rewid: Monica la compagna di Leonardo, uno degli organizzatori dell’evento, mentre passeggia di notte nel bosco per schiarirsi le idee dopo il diverbio avuto con Leo, viene raggiunta infatti da un colpo di pistola.

Monica non ha all’apparenza nemici e a spararle può essere stato chiunque; così il nastro della narrazione viene riavvolto e, come premendo il tasto rewind di vecchio videoregistratore, assistiamo allo scorrere delle immagini a ritroso per scoprire il colpevole di questo folle gesto.

I capitoli si susseguono raccontandoci i fatti avvenuti antecedentemente alla tragedia: un’ora prima, due ore prima, tre ore prima e così via fino ad arrivare a tredici ore prima dell’accaduto.

Pagina dopo pagina facciamo la conoscenza con i vari personaggi: Monica e Leonardo; Amelie, la figlia ansiosa e protettiva di Monica, ed il suo ragazzo Patrick; Lara, la zia di Monica, che a causa della malattia alterna momenti di lucidità a momenti di confusione; Ronny, il burbero poliziotto, che per i suoi modi bruschi risulta essere uno dei maggiori sospettati; Denise, la mangiatrice di uomini, sempre a caccia di avventure; la bella e sensuale Jolie; Pietro e la compagna Betta, l’amica del cuore di Monica.

Come avrete capito nonostante il romanzo sia molto breve la galleria dei personaggi è davvero lunghissima.
Ognuno di loro viene presentato dettagliatamente e la sua psicologia scandagliata minuziosamente per dare al lettore più informazioni possibili per permettergli di risolvere il caso.

Lo schema narrativo scelto dall’autrice, cioè quello di scrivere un romanzo raccontando la storia a ritroso, è una scelta alquanto insolita ed ammetto che se all’inizio sono rimasta piuttosto spiazzata da questa tecnica narrativa, alla fine devo dire che si è rivelata essere piuttosto efficace ai fini dell’economia del racconto.

In “Rewind” nulla è come sembra, molti personaggi nascondono un insospettato lato oscuro mentre altri vogliono semplicemente ingannare il prossimo facendogli credere di possederne uno.

Spesso dietro la maschera che un personaggio indossa si cela una persona fragile, che semplicemente per paura di mostrare le proprie debolezze, preferisce apparire insensibile e cinica.

Tanti personaggi, molti innocenti ed un solo colpevole, un schema tipico dei romanzi di Agatha Christie dove spesso alla fine il vero colpevole risulta essere sempre una persona insospettata, qualcuno che mai si sarebbe pensato potesse compiere un delitto.

Ma un delitto si compie per numerosi motivi: odio, vendetta, paura o semplicemente per difendere qualcuno che ci è caro.

Chi può sapere davvero fino a che punto ci si potrebbe spingere pressati dalla necessità di proteggere chi amiamo?

La rivelazione finale, scioccante ed inaspettata, arriva a bruciapelo come un colpo di pistola; come quel colpo di pistola che sorprende Monica nella notte in mezzo al bosco, così la rivelazione colpisce il lettore lasciandolo stupefatto e stordito a fissare attonito l’ultima pagina.
    
La storia ed i protagonisti del libro sono tutti di pura fantasia, ma Sara Goria ha tratto ispirazione per la descrizione dei personaggi dai suoi stessi amici che, al termine del libro, ci vengono presentati con tanto di fotografia e breve descrizione, un modo davvero simpatico e carino da parte dell’autrice per ringraziarli del loro aiuto e della loro presenza.