domenica 21 aprile 2019

“Semplicemente perfetto” di Jostein Gaarder


SEMPLICEMENTE PERFETTO
di Jostein Gaarder
LONGANESI
Tra Albert e Eirin è amore a prima vista. Hanno appena diciannove anni, ma il loro incontro davanti alla macchinetta del caffè del campus cambierà per sempre le loro vite.

La gita al lago di Glitretjern e la notte trascorsa nella Casetta delle Fiabe, a solo una settimana da quel loro primo incontro, segnerà ufficialmente l’inizio della loro storia.

Sono passati 37 anni da quel giorno ed Albert, dopo aver ricevuto una terribile notizia che sconvolgerà per sempre la sua vita e quella della sua famiglia, si rifugia nella Casetta delle Fiabe, proprio quella casa sul lago che aveva visto sbocciare il loro amore.

Dieci anni dopo la loro romantica fuga sul lago, Eirin ed Albert erano riusciti ad acquistare la casa, il loro bambino aveva allora appena sette anni.

Oggi Christian è diventato adulto ed è padre di una bambina di dodici anni, Sarah.    

Per cercare di assimilare la sconvolgete notizia ricevuta da Marianne, il suo medico di base, e per stabilire quale sia il modo migliore per affrontare tutto ciò che sta per accadere, Albert decide di mettere nero su bianco le sue impressioni, le sue emozioni, le sue domande, ma anche di fare chiarezza sul passato svelando verità inconfessate e portando alla luce segreti tenuti nascosti per troppo tempo.

Albert, mentre Eirin ignara di tutto si trova ad un convegno in Australia, si concede ventiquattro ore per scrivere il suo addio, deciso a mettere fine alla sua vita prima che la malattia prenda il sopravvento sul suo fisico.

L’incipit del romanzo è di forte impatto, carico di suspense, sembrerebbe quasi essere l’inizio di un thriller.
Ben presto però il lettore scopre che i misteri che l’io narrante nasconde sono semplici verità taciute, segreti  comuni a molte coppie.
Una normalità che si può sintetizzare in una frase dello stesso protagonista:

La vita di un uomo si riassume semplicemente così: C’era una volta… E venne una notte. Adesso è arrivata la notte.

“Semplicemente perfetto” è il racconto di qualcosa di tragico sì, ma anche di quotidiano nella sua drammaticità.

Quello che accade al protagonista è un qualcosa che potrebbe accadere a chiunque di noi in qualunque momento e, proprio come il protagonista, ciascuno di noi rimarrebbe atterrito, spiazzato dalla tragicità della scoperta e inizierebbe a porsi moltissime domande.

La vita umana è caratterizzata da momenti di ricchezza e di miseria, è scandita da eros e thanatos, amore e morte, e noi uomini, semplici attori sul palcoscenico della vita, come ci definì Shakespeare,  viviamo ogni giorno in balia di sentimenti contrastanti: amore e odio, altruismo ed egoismo.

Noi siamo convinti di poter vivere per sempre; in qualunque momento la morte busserà alle nostre porte, ci coglierà immancabilmente impreparati.
Impreparati a lasciare le persone a noi care e tutto ciò che negli anni abbiamo costruito; ed, inevitabilmente, saremo afferrati da un senso di impotenza e presi dal desiderio di rivalsa nei confronti del prossimo.

Come il protagonista inizieremo a porci interrogativi su cosa ci sia dopo la morte e quale sia il senso della vita, di quella vita che saremo ormai prossimi a lasciarci alle spalle.

Il protagonista del libro però deve anche scegliere se attendere l’arrivo della nera signora oppure andarle incontro e abbracciarla spontaneamente, perché la malattia diagnosticatagli è una malattia terribile.
Diviene quindi obbligatorio per lui chiedersi se non sia più dignitoso suicidarsi finché si è ancora in forze, prima che il male distrugga definitivamente il suo corpo e il dolore si faccia insopportabile.

Perdere la dignità permettendo alle persone care di restargli accanto fino alla fine o salvaguardare il proprio amor proprio lasciando volontariamente la scena prima del tempo?
Togliersi la vita richiede molto, tanto coraggio, ma vivere sapendo che la malattia gli toglierà ogni cosa non richiede forse ancora più forza di volontà e audacia?

Ognuno di noi dovrebbe avere la libertà di scegliere di poter rompere con tutti i legami sociali e di poter trovare per conto proprio una via di ritorno alla natura, ma i limiti di questa scelta sono proprio i legami con i propri cari.

“Semplicemente perfetto” è un libro di appena 136 pagine, ma seppur così breve, ci pone importanti interrogativi di non facile e scontata soluzione.

Albert farà la sua scelta, quella che egli riterrà più giusta, lo farà con l’aiuto delle persone a lui vicine, egli riuscirà a vedere uno spiraglio nel buio. L’amore sarà la sua salvezza.

Ma l’interrogativo rimane aperto: la vita va davvero sempre vissuta fino in fondo?

“Semplicemente perfetto” è un libro che spinge il lettore a riflettere, un libro unico nel suo genere, un racconto capace di commuovere e coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine.





martedì 16 aprile 2019

“Impariamo ad amare” di Marina Panatero e Tea Pecunia


IMPARIAMO AD AMARE
di Marina Panatero e Tea Pecunia
CAIRO EDITORE
L’amor che move il sole e l’altre stelle con questo splendido verso Dante terminava la sua Divina Commedia.

Ma cose è l’amore? Tutti ne abbiamo più o meno un’idea ed è proprio in base a quella nostra idea che noi misuriamo l’autenticità o meno dei nostri affetti e dei sentimenti degli altri nei nostri confronti.
Purtroppo però tutto questo non basta, tanto che spesso, troppo spesso, ci ritroviamo a dover fare i conti con le delusioni e i fallimenti per le nostre aspettative disattese o, ancora peggio, ci ritroviamo ad interrogarci su quali siano le cause e gli errori da noi commessi.

Marina Panatero e Tea Pecunia con il loro libro hanno deciso di offrire a tutti noi una “bacchetta magica” per imparare ad amare nel modo corretto, svelandoci il segreto per vivere relazioni sane e felici.

La ”bacchetta magica” però per funzionare deve essere usata e allora, se vogliamo davvero avere dei risultati, dobbiamo iniziare subito, senza perdere tempo, a mettere in atto i loro preziosi consigli.

Per chi tra voi si starà chiedendo in cosa consista questo possente antidoto contro le emozioni negative, la paura, il rancore e l’insicurezza, glielo svelo subito: è la meditazione.

Ebbene sì, perché secondo le autrici di questo libro, e chi di voi ha già letto alcuni miei precedenti post ed in particolare quello dedicato ad un altro interessante volume di Marina e Tea intitolato “Lascia andare!”; ebbene dicevo, chi di voi li ha già letti, sa che Marina e Tea ritengono che la meditazione sia un vero toccasana per la mente e per il corpo, perché la meditazione permette di trovare un proprio equilibrio interiore fondamentale per ritrovare se stessi.

Ritrovare se stessi, capire davvero quali sono i nostri desideri, spogliarsi definitivamente degli strati di stracci, come li chiamano Marina e Tea, che ci si sono incollati addosso nel corso degli anni è fondamentale per la nostra rinascita emotiva.

Ma cosa sarebbero questi stracci? Sono tutte quelle aspettative, quelle richieste, quelle imposizioni che spesso subiamo passivamente pensando sia necessario per essere accettati dal prossimo, sono tutte quelle maschere che indossiamo, una diversa per ogni occasione, che con il passare del tempo neppure noi riusciamo più a riconoscere.

Il libro si divide sostanzialmente in due parti: una prima parte intitolata “Tu e te stesso” ed una seconda parte dal titolo “Tu e gli altri”.

Nella prima parte tutte le meditazioni suggerite sono finalizzate ad aiutarci a riscoprire il nostro vero io, ad imparare a smettere di autosabotarci e a ritornare ad amarci per come siamo davvero con la nostra splendida unicità.

Amare noi stessi, essere un po’ più egoisti non significa necessariamente ferire il prossimo, ma smettere di annullarsi e svendersi per compiacerlo, questo sì.
L’amore non è annullamento di se stessi perché quell’attenzione che si ricevere quando ci si annulla non è vero amore.   

Perché l’amore non è dipendenza: qualunque cosa distrugga la nostra libertà non è amore.

Nella seconda parte del libro invece le meditazione così come i suggerimenti sono atti a cercare di fare sì che le relazioni con il prossimo, che sia questo un partner, un familiare o un amico, possano essere relazioni soddisfacenti, sane e felici.

Tutti sono convinti di conoscere l’altra persona, ma la verità è che nessuno conosce davvero nessuno.
L’unica cosa che davvero conosciamo sono i punti deboli dell’altro e ognuno di noi è abile, chi più chi meno, a sfruttare queste conoscenze per ferire il prossimo nei momenti di crisi o semplicemente per ottenere dall’altro quello che desideriamo da lui.

Spesso tendiamo a pretendere dagli altri qualcosa che questi non possono darci e ciò non è perché essi siano necessariamente persone egoiste o cattive, ma semplicemente perché il loro background emotivo e di crescita è diverso dal nostro.
Il dialogo è l’unico strumento che noi abbiamo per conoscere il prossimo e farci conoscere, ma dobbiamo fare attenzione a come si usano le parole, il modo di porsi nei confronti dell’altro è fondamentale.

Oltre ad interessanti suggerimenti su come confrontarsi con il partner, Marina e Tea danno utili spunti anche su come rapportarsi con i propri figli siano questi ancora piccoli o già adolescenti.
Non bisogna mai infatti dimenticare che anche un bambino ha una sua personalità già definita e completa e proprio per questo non si deve mai cercare di cambiare la sua natura, la sua essenza perché il risultato sarebbe devastante.

Gli esercizi di meditazione suggeriti nel libro sono di due tipi: esercizi di meditazione formale e meditazione informale.

Quale la differenza?

La meditazione formale è quella che si esercita quando si decide di ritagliarsi un po’ di tempo per se stessi e alla quale ci si dedica ogni giorno con regolarità.
La meditazione informale invece consiste nel praticare piccoli esercizi di consapevolezza durante la giornata, molto più duttile, la meditazione informale può essere praticata ovunque in mezzo alla folla come nel silenzio più totale, per un solo minuto o per un’ora intera.
L’ideale sarebbe integrare sempre i due tipi di meditazione.

La meditazione formale non richiede alla fine moltissimo tempo, bastano solo dieci minuti al giorno per ventuno giorni per avvertire già i primi concreti benefici.
E allora cosa aspettiamo a regalarci questa coccola di benessere?



A cura di Marina Panatero e Tea Pecunia vi suggerisco anche:




domenica 14 aprile 2019

“Nel nome di Dante” di Marco Martinelli


NEL DI NOME DANTE
di Marco Martinelli
PONTE ALLE GRAZIE
Dante è ritenuto il padre indiscusso della lingua italiana basti pensare che ancora oggi l’80% delle parole che noi usiamo sono contenute nella Divina Commedia.

Dante è il nostro monumento nazionale, il sommo poeta, il grande genio conosciuto e celebrato in tutto il mondo, ma chi era l’uomo Dante? E soprattutto ha ancora senso oggi leggere la Commedia di Dante, quella che fu definita poi Divina da Boccaccio, suo primo estimatore? Cosa ha ancora da dire ai giorni nostri il testo dantesco e cosa può trasmettere ai nostri giovani?

Sono proprio questi gli interrogativi a cui l’autore vuole dare una risposta e per farlo ci racconta di un Dante diverso da quello che viene celebrato e incensato per la sua poetica sui banchi di scuola.
Marco Martinelli ci racconta di un Dante bambino, un Dante ragazzino e poi di un Dante poeta, ma anche uomo politico.
Sarà proprio la politica infatti che farà di Dante l’esule che noi tutti oggi conosciamo.

Il libro presenta un doppio piano narrativo: ai capitoli dedicati al racconto della vita e delle opere di Dante, si alternano altri capitoli incentrati sulla vita dell’autore, vita raccontata soprattutto attraverso il ricordo del padre e del ruolo fondamentale da lui svolto nell’istruzione del figlio.

Vincenzo Martinelli era un personaggio particolare; unico figlio maschio di una famiglia contadina, ebbe la fortuna di avere un padre generoso e di buon senso che, riconoscendo le capacità intellettive del figlio, decise di dare ascolto ai consigli degli insegnanti e gli permise così di proseguire gli studi.
Proprio quegli studi in seguito consentirono a Vincenzo di intraprendere una carriera politica nell’immediato dopoguerra, nei cosiddetti anni della ricostruzione, e la sua scelta ricadde sulla Democrazia Cristiana.
Marco Martinelli tiene molto a precisare che il ruolo ricoperto dal padre, quale addetto alla segreteria tecnica, fu ruolo esclusivamente di tipo tecnico appunto e non politico.

L’autore gioca molto sul confronto tra ciò che ai giorni nostri è rimasto uguale o è totalmente cambiato rispetto ai tempi di Dante; in particolar modo è attratto dalla lotta politica tra Guelfi e Ghibellini e dalla successiva scissione del partito Guelfo in Guelfi Bianchi e Guelfi Neri.
La storia della Democrazia Cristiana che Martinelli applica, seguendo l’insegnamento di suo padre, alla politica del tempo di Dante ne è un chiaro esempio.  

I Guelfi erano i democristiani e i Ghibellini i comunisti. E nella DC c’erano i Bianchi, come Moro e Zaccagnini, e i Neri, come Andreotti.

Una spiegazione un po’ troppo semplicistica? Forse sì ma, ma indubbiamente molto efficace.
Il libro infatti non vuole assolutamente essere un saggio, l’intento dell’autore non è scrivere per gli specialisti, ma piuttosto rivolgersi ai ragazzini e alle ragazzine di oggi.

Non è certo mia intenzione generalizzare e lungi da me voler offendere i ragazzi del giorno d’oggi, ma mi sembra un po’ utopistico da parte dell’autore sperare che molti di loro possano scegliere di leggere spontaneamente questo libro.
Credo però che se qualcuno di loro riuscisse a mettere da parte la propria diffidenza ed i propri pregiudizi, indubbiamente resterebbe affascinato all’argomento e con molta probabilità vi si appassionerebbe pure molto.

Forse la visione della Democrazia Cristina contrapposta al Partito Comunista risulterebbe ai giovanissimi di oggi una lettura un po’ ostica quasi quanto quella tra Guelfi e Ghibellini, ma senza dubbio, nessuno di loro resterebbe estraneo al paragone delle lotte della Firenze di Dante con la guerra per bande tra i Di Lauro e gli “spagnoli”, gli “scissionisti”, raccontata da Roberto Saviano in Gomorra, oggi resa ancora più famosa grazie alla serie televisiva.

Non vi nascondo che questo paragone sulle prime mi ha parecchio infastidito e mi ha fatto storcere non poco il naso, ma poi ho dovuto ammettere che tale raffronto non è poi così sconsiderato, certo una volta superati gli inevitabili pregiudizi.

Troppo spesso infatti Dante intimidisce lo studente proprio perché a scuola la Divina Commedia viene spiegata parlando del poeta Dante, facendo sì riferimento alla politica del tempo, ma tralasciando di parlare dell’uomo Dante con le sue debolezze, le sue esperienze, i suoi dubbi e le sue paure.

Poco tempo fa ho letto un libro che ho molto apprezzato proprio sulla vita di Dante e su quanto l’esilio abbia segnato la sua vita, è un saggio di Chiara Mercuri intitolato “Dante. Una vita in esilio (2018, Editori Laterza).
Questo volume tra l’altro viene citato proprio dallo stesso Marco Martinelli che, nelle note del suo libro, dichiara di averlo trovato particolarmente interessante, cosa che non stento a credere perché, leggendo alcune pagine di “Nel nome di Dante”, se ne sente fortemente l’influenza.

Ognuno di noi, come Dante, si è trovato nella sua vita in quella selva oscura ché la diritta via era smarrita, ed è meraviglioso poter pensare, come suggerisce Marco Martinelli, che Dante volesse con i suoi versi parlare a ciascuno di noi ed ancora più affascinante è poter credere che il sommo poeta lo riesca a fare ancora oggi a distanza di secoli.
                                                                                                                                               
In “Nel nome di Dante” Marco Martinelli è riuscito a far dialogare il Due-Trecento con il Novecento regalandoci una singolare rilettura della Divina Commedia oltre ad averci restituito l’immagine perduta di un Dante in carne ed ossa.
 




domenica 7 aprile 2019

“I Borgia” di Elena e Michela Martignoni


I BORGIA
di Elena e Michela Martignoni
CORBACCIO
Il libro riunisce in unico volume tre romanzi pubblicati precedentemente: “Requiem per il giovane Borgia”, “Autunno rosso porpora” e “Vortice di inganni”.

Il romanzo ripercorre la storia di una delle più influenti famiglie del Rinascimento italiano: i tanto detestati quanto temuti Borgia erano di origine catalana e per questo ancora più invisi alla nobiltà romana alla quale avevano sottratto potere e terre.

Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, fu una delle figure più discusse e contestate della storia vuoi per il modo con cui ottenne il soglio pontificio, vuoi per la sue azioni politiche e vuoi per l’amore smisurato che nutriva per i propri figli Lucrezia, Juan, Cesare e Goffredo, tutti nati dalla relazione del papa con la sua amante ufficiale Vannozza Cattanei, donna di origini lombarde di cui si ignorano ancor oggi i natali probabilmente di bassa estrazione.

I Borgia erano affascinanti, calcolatori, geniali e manipolatori; non si facevano scrupoli neppure di sacrificare i loro stessi consanguinei per la ragion di stato e per i propri scopi. 
Le loro armi erano il delitto, la vendetta e l’inganno.

I tre volumi ripercorrono la storia degli anni che si snodano dal 1497 al 1502; l’epilogo della trilogia viene affidato ad una lettera che Lorenz Beheim (classicista tedesco, astrologo ed ingegnere militare che visse alla corte di Alessandro VI) scrisse all’amico umanista Pirckheimer per raccontargli della morte di Cesare Borgia avvenuta il giorno 12 marzo dell’anno 1507.

Il primo volume si apre con la morte del figlio prediletto del papa, Juan Borgia, barbaramente assassinato. 
La morte di Juan Borgia è a tutt’oggi uno dei più grandi cold case della storia.
I nemici dei Borgia era molti e quelli del giovane Juan erano i più numerosi, tanto che nell’elenco dei sospettati veniva annoverato persino lo stesso Cesare, fratello della vittima.
Requiem per il giovane Borgia” oltre a raccontare il fatto in sé passa in rassegna tutti i possibili mandanti dell’omicidio indagandone la psicologia e analizzandone i possibili moventi più o meno validi.

Il secondo volume “Autunno rosso porpora” è forse dei tre libri quello dalla trama più romanzata. 
Il delitto irrisolto di Juan Borgia è un ottimo pretesto per le autrici di lasciar correre la fantasia sull’identità dell’assassino e sul movente che l’ha portato a compiere il crimine.
Partendo dalla morte che ha colto improvvisamente tre cardinali che avrebbero potuto essere tutti possibili mandanti dell’omicidio del figlio del papa, Elena e Michela Martignoni creano una storia carica di suspense e molto coinvolgente.   
L’ultimo libro “Vortice di inganni” chiude la trilogia raccontandoci la storia del Valentino fino alla punta massima della sua ascesa politica e militare.
Dei tre romanzi è quello che più di tutti concede meno spazio alla fantasia e si attiene maggiormente a verità storiche.

I Borgia erano assetati di potere, erano spietati e superbi e, proprio per queste loro caratteristiche, si sono prestati più di ogni altro personaggio a diventare i protagonisti di romanzi storici più o meno verosimili oltre che ad ispirare ai giorni nostri fantasiose serie televisive.

I libri delle sorelle Martignoni si differenziano dai soliti romanzi perché non si limitano a raccontare la storia dei Borgia, ma ci regalano anche un affresco più ampio e completo dell’epoca raccontandoci la storia degli altri personaggi che si muovevano sulla scena attorno alla famiglia di Alessandro VI.

Il punto di forza dei loro romanzi è a mio avviso la capacità di aver saputo raccontare la storia degli altri protagonisti, antagonisti o amici dei Borgia che fossero, anche al di fuori del loro rapporto diretto con quella famiglia.

Possiamo così approfondire la conoscenza di personaggi realmente esistiti come Guidobaldo da Montefeltro, Ascanio Sforza, Antonio Pico della Mirandola, solo per citarne alcuni, oltre ovviamente a lasciarci sedurre da tutti quei personaggi di fantasia che si integrano perfettamente nella storia rendendo il racconto credibile, affascinante e coinvolgente.

Un accenno alla personalità intrigante e seducente di Cesare Borgia, vero protagonista del volume conclusivo della trilogia, è d’obbligo.
Adulato dai potenti, amato e desiderato dalle donne, temuto e rispettato dai familiari, il Valentino aveva una personalità sfuggente, non temeva la morte e viveva ogni giorno proiettato verso il futuro, sempre alla ricerca di nuove sfide e nuove conquiste.
Il suo fascino e la sua potenza stavano proprio in quel suo essere misterioso, riservato e multiforme, inutile cercare di capirlo e rovinoso cercare di ingannarlo.

A tal proposito per chi poi volesse approfondire la storia su Cesare Borgia consiglio un libro dello storico Giulio Leoni intitolato “Il principe. Il romanzo di Cesare Borgia” (2018, Casa Editrice Nord).

La trilogia di Elena e Michela Martignoni è un giallo storico ben riuscito capace di affascinare il lettore giocando su un sapiente equilibro tra storia ed immaginazione; un romanzo che, nella vasta letteratura che vede protagonista la famiglia Borgia, merita decisamente una menzione particolare.


Altri riferimenti ai Borgia nel blog li potete trovare qui

domenica 24 marzo 2019

“Il garzone del boia” di Simone Censi


IL GARZONE DEL BOIA
di Simone Censi
ELISON PUBLISHING
Il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista che, ormai anziano, trasferitosi in Francia e avendo cambiato vita da moltissimi anni, preferisce rimanere anonimo.

Egli non ci fornice nessun indizio che possa ricondurci in qualche modo alla sua identità, tranne che era nato con una gamba più corta e che da giovane era conosciuto con il soprannome di Balzarino, quello che fece il sarto troppo corto e non ce prese.

Quando era ancora un bambino, piccolo e malnutrito, fu venduto dal padre alla stregua di uno schiavo ad un uomo sconosciuto che faceva di mestiere il boia, al secolo Gianbattista Bugatti, ma da tutti soprannominato Mastro Titta.

Balzarino nel corso degli anni aveva imparato a vedere in Mastro Titta la figura paterna che a lui, uscito da casa giovanissimo, era venuta a mancare e, per sua stessa ammissione, probabilmente il boia si era rivelato essere un genitore migliore di quanto non sarebbe stato il suo vero padre.

L’uomo truce e feroce che tutti vedevano in Mastro Titta, un uomo che a causa del suo lavoro veniva scansato dalla gente, era in realtà, a detta del protagonista, un uomo giusto e devoto oltre che un uomo dotato a suo modo di una grande umanità.

Il boia era un uomo che sapeva leggere e scrivere; teneva un taccuino nel quale annotava tutte le esecuzioni e i dati di coloro che la giustizia gli affidava.
Fu proprio lui che insegnò a Balzarino a leggere e a scrivere ed il ragazzo, come il suo maestro, si mise all’opera tendendo un diario dei giorni  trascorsi al suo servizio.

Il racconto nasce proprio dalla revisione di quegli stessi appunti che il protagonista dice di voler riordinare più che altro a scopo terapeutico, per fare chiarezza e per curare gli attacchi di panico che ancora oggi, durante la vecchiaia, sono soliti coglierlo pensando a quanto vissuto durante la sua gioventù.

Mastro Titta  svolgeva il suo compito con rigore e rettitudine, sicuro che se non ci fosse stato lui a farlo, lo avrebbe fatto qualcun altro.
Riteneva il suo compito un lavoro giusto in quanto grazie ad esso egli non solo aiutava a salvaguardare l’incolumità delle persone, ma faceva sì che le sue stesse vittime avessero la possibilità, attraverso la morte, di espiare le loro colpe e presentarsi così purificate dinnanzi al Signore.

Balzarino però con il passare degli anni iniziò a non essere più così sicuro dell’attendibilità delle parole del suo maestro e la sua coscienza iniziò a ribellarsi quando, esecuzione dopo esecuzione, cominciò ad accorgersi che non tutti i condannati venivano trattati allo stesso modo; spesso infatti venivano usati due pesi e due misure quando veniva processata gente in vista oppure quando gli offesi erano uomini di Chiesa, nobili o ricchi.

Proprio per questo, a differenza di Mastro Titta, il giorno che se ne presentò l’occasione, Balzarino non se lo fece ripetere due volte, afferrò al volo l’opportunità e cambiò vita per sempre.

Il libro di Simone Censi è un racconto che intreccia verità storiche a vicende romanzate.

Mastro Titta è un personaggio realmente esistito, nato nel 1779 e morto nel 1869, fu un celebre boia a servizio dello Stato Pontificio.
Quando il papa Pio IX lo congedò, assegnandogli una pensione di 30 scudi mensili, fu il suo aiutante Vincenzo Balducci a prenderne il posto.

Prima del Balducci, secondo alcune fonti storiche, Mastro Titta aveva al suo servizio un garzone del quale si ignora l’identità; è proprio ispirandosi alla misteriosa figura di quel garzone che Simone Censi scrive il suo romanzo.

Nel 1891 venne pubblicata in dispense una falsa autobiografia, attribuita ad Ernesto Mezzabotta, intitolata “Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso”, lavoro che prese spunto però dagli appunti effettivamente tenuti da Gianbattista Bugatti durante la sua attività di boia e ritrovati nel 1886.

La figura di Mastro Titta è nota al grande pubblico nella sua veste di personaggio della commedia musicale “Il Rugantino”, opera teatrale rappresentata per la prima volta nel 1962 con Aldo Fabrizi ad impersonare la parte del boia.

Mastro Titta non ha ispirato solo commedie e letteratura, ma è entrato anche a far parte della vita di tutti i giorni attraverso i detti popolari a lui ispirati come “Boia nun passa ponte” (ciascuno deve stare nel proprio ambiente) oppure “Mastro Titta passa ponte” (qualcuno ci rimetterà la testa).

Il libro di Simone Censi è un resoconto delle esecuzioni dell’epoca che ci fa conoscere non solo le tecniche utilizzate dal boia, ma anche i crimini commessi dai condannati a morte.
La condanna capitale veniva comminata per svariati motivi, ma da quello che si evince dal romanzo la maggior parte di essi erano dovuti a grassazione, cioè rapine a mano armata, o per aver commesso assassinio.
Gli omicidi a loro volta avevano come movente la maggior parte delle volte il denaro e il tradimento, così leggiamo molte storie di matricidi, patricidi e uxoricidi.
Col tempo però a questi crimini si andranno ad aggiungere anche quelli politici, entriamo infatti nel periodo in cui all’esecuzione dei briganti verranno affiancate anche le condanne di coloro che si sacrificavano nel nome di un’ideale di Italia unita.

Considerato l’argomento e le descrizioni inevitabilmente violente delle esecuzioni, il racconto non risulta così truculento e raccapricciante come ci si potrebbe aspettare e questo giova decisamente all’economia della narrazione che è a tutti gli effetti molto scorrevole.

“Il garzone del boia” è un libro particolare così come particolare ed inaspettato è effettivamente l’argomento trattato; un romanzo unico nel suo genere che racconta uno spaccato di vita dell’epoca visto da una prospettiva totalmente diversa ed inusuale.

Il libro di Simone Censi è un romanzo adatto agli amanti del genere storico, agli appassionati di cronachistica e a tutti coloro che sono sempre alla ricerca di storie curiose legate al nostro passato. 






domenica 17 marzo 2019

“Il labirinto degli spiriti” di Carlos Ruiz Zafón


IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
di Carlos Ruiz Zafón
MONDADORI
Ultimo volume della quadrilogia dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati, “Il labirinto degli Spiriti”, è il capitolo conclusivo della saga che vede protagonista la famiglia Sempere.

Barcellona fine anni Cinquanta, Daniel Sempere ha sposato la sua Bea dalla quale ha avuto un bambino, il piccolo Julian, chiamato così in onore del famoso romanziere Julian Carax, una vecchia conoscenza per coloro che hanno letto i precedenti libri.

Il fedele amico e confidente Fermín, che è a sua volta convolato a nozze con l’amata Bernarda, continua ad intrattenere tutti con i suoi curiosi aforismi dispensando ad amici e famigliari consigli tanto utili quanto all’apparenza strampalati.

Bea e Fermín sono oltremodo preoccupati per Daniel il quale, nonostante siano passati ormai molti anni dall’accaduto, sembra essere sempre più ossessionato dalla morte della madre Isabella, deceduta quando lui era ancora un bambino.

Proprio quando Daniel sente di essere vicinissimo alla soluzione del mistero, però la questione si complica e sulla scena appare Alicia Gris, una donna seducente, pericolosa e alquanto enigmatica.

Un complotto di immani proporzioni sta per essere svelato, una cospirazione che vedrà coinvolte molte figure di spicco della Spagna franchista.

Purtroppo l’intrigo riguarderà anche persone molto vicine ai Sempere i quali, loro malgrado, si troveranno ancora una volta coinvolti in qualcosa che potrebbe mettere a repentaglio non solo la loro serenità, ma anche le loro stesse vite.

Tutte le puntate del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette come romanzi a sé; lo stesso autore scrive infatti che tutti i volumi fanno parte di una stessa storia alla quale si può accedere attraverso porte e sentieri differenti, “Il labirinto degli spiriti” non è altro che uno di questi.

I libri che compongono il ciclo in ordine di pubblicazione sono i seguenti:

- L’ombra del vento
- Il gioco dell’angelo
- Il labirinto degli spiriti

Contrariamente ai precedenti volumi, almeno per quanto io ne abbia memoria, quest’ultimo romanzo ha un avvio piuttosto lento, ma superate le prime cinquanta pagine la narrazione diviene fluida e scorrevole.

La storia entra nel vivo facendosi avvincente e popolandosi di numerosi personaggi uno più affascinante e accattivante dell’altro, l’intreccio si fa coinvolgente ed il lettore rimane intrappolato nella trama, tessuta dall’autore come una sottile ragnatela, in cui non mancano continui colpi di scena ed ogni cosa non è mai come sembra.

Barcellona stessa diventa protagonista del romanzo: una città dalle atmosfere cupe e dall’aspetto inquietante come inquietanti sono i personaggi che la popolano.
Ancora una volta Carlos Ruiz Zafón riesce a trasmetterci l’immagine di una Barcellona spettrale che nasconde un’anima nera, il luogo perfetto dove ambientare le sue storie fatte di mistero, intrighi ed arcani segreti.

Barcellona è bella e pericola proprio come Alicia Gris, la vera protagonista di questo ultimo capitolo della quadrilogia.

Alicia è una donna dal passato difficile, una donna enigmatica e complicata, fredda e calcolatrice, un personaggio uscito dall’inferno, un diavolo tentatore, ma allo stesso tempo è anche una giovane donna che sa mascherare le sua fragilità e le sue debolezze, perché Alicia è in realtà un angelo caduto che, a dispetto della apparenze, soffre per la propria solitudine.

“Il labirinto degli spiriti” è popolato da un’infinità di figure; come in ogni storia ci sono “i buoni” e ci sono “i cattivi” e poi ci sono quei personaggi di difficile collocazione, pieni di contraddizioni, affascinanti e pericolosi come Vargas, l’ispettore di polizia, e come la stessa Alicia, perché nella vita nulla è mai o bianco o nero, ma ogni cosa è caratterizzata da tante sfumature di grigio.

Alicia Gris riesce a conquistare il lettore fin dalle prime pagine come pochi personaggi sono in grado di fare e non è per nulla facile doversi separare da lei alla fine del romanzo.

“Il labirinto degli spiriti” è un romanzo che racconta un mondo fatto di luci ed ombre, un libro intenso, emozionante e ricco di sorprese, un racconto intriso di magia capace, come pochi altri, di tenere il lettore incollato alle sue pagine fino all’epilogo finale.



                                                                                                                                                


martedì 5 marzo 2019

“La spada e il rosario” di Adriana Assini


LA SPADA E IL ROSARIO
di Adriana Assini
SCRITTURA & SCRITTURE
Nell’anno 1516 il Regno di Sicilia è ancora sotto il giogo spagnolo e Palermo è governata in modo sconsiderato dal viceré Hugo de Moncada.

Re Ferdinando II è in punto di morte e presto dalle lontane Fiandre gli succederà il nipote Carlo che, se poco conosce gli affari spagnoli, tanto più ignora la situazione politica siciliana.

In questo clima rovente un gruppo di mercanti di origini pisane, capeggiati da Gian Luca Squarcialupo, insieme ad un nutrito numero di nobili palermitani tramano nell’ombra per rovesciare il governo spagnolo e riportare sul trono palermitano qualcuno originario del luogo nel tentativo di cambiare il deplorevole stato delle cose.

Ai limiti della bancarotta e strangolati dai debiti e dalle tasse, afflitti dall’ascesa economica di famiglie dell’alta burocrazia e della finanza sostenute dal viceré, la nobiltà isolana e la classe mercantile versano in pessime condizioni economiche.

Morto Ferdinando II, Hugo de Moncada verrà sostituito dal nuovo protetto della corona spagnola, Ettore Pignatelli, ma nulla cambierà per la popolazione che continuerà ad essere oggetto di malversazioni ed  ingiustizie.

La logica di governo resterà quella che secoli dopo sarà riassunta perfettamente nella famosa frase fatta pronunciare da Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Tancredi nel suo “Il Gattopardo”: Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Espressione che Adriana Assini fa sua facendo pronunciare a Squarcialupo le seguenti parole:

In Continente lo sanno bene che la Sicilia è una mucca da mungere (…). In apparenza tutto cambia, ma non nella sostanza.

Ma chi è Gian Luca Squacialupo, il protagonista di “La spada e il rosario”?

Nato a Palermo da genitori pisani, lo Squacialupo si sente palermitano al cento per cento.
Innamorato da sempre della bella e fiera Francesca Campo, non ha però esitato a sposare un’altra donna la cui dote gli ha permesso di estinguere i suoi tanti debiti, debiti che immediatamente hanno iniziato ad accumularsi nuovamente, non essendo egli in grado né di fare economia né di contenersi negli appetiti di qualsiasi genere essi siano.

Gian Luca Squacialupo è un capopopolo nato, impulsivo, ostinato ed impaziente, uno che ha fegato da vendere.
E’ pieno di contraddizioni, non solo in campo amoroso, ma è anche un amico fidato, un uomo d’onore, un uomo che sa mantenere i patti.

A fare da contraltare a Gian Luca Squacialupo troviamo un altro personaggio, Vincenzo De Benedetto, un arrivista meschino e gretto, un doppiogiochista che pur di raggiungere i propri fini non si fa scrupolo di tradire i compagni e persino il suo stesso fratello.

Gian Luca Squarcialupo non è perfetto, anch’egli all’inizio come gli altri non esita ad anteporre i propri interessi a quelli del prossimo, ma alla fine arriva ad appassionarsi veramente al diritto e alla giustizia.

Per Vincenzo De Benedetto invece non c’è alcuna redenzione, egli è un giuda che non cerca né desidera il riscatto, fino alla fine troverà delle giustificazioni ai misfatti commessi scorgendo sempre il modo di addossare agli altri la colpa.

Tra Squarcialupo e Vincenzo troviamo il personaggio di Cristoforo, migliore amico del primo e fratello del secondo; sempre pronto a schierarsi a fianco di Gian Luca e a giustificare i comportamenti di Vincenzo, sottovalutandone la pericolosità.

Cristoforo De Benedetto, forte e nobile, onesto e leale, non riesce purtroppo a comprendere quanto invidia, gelosia e sete di potere abbiano reso suo fratello Vincenzo un uomo abietto e spregevole.

Adriana Assini ancora una volta riesce ad offrirci un piccolo affresco di un tempo lontano e lo fa, come sempre, attraverso minuziose e dettagliate descrizioni dell’epoca e dei luoghi, ma soprattutto affascinandoci con personaggi seducenti ed intriganti.

Le parole in palermitano, i detti popolari, tutto concorre a rendere vivo il racconto tanto che al lettore sembra davvero di assistere a quegli stessi fatti in prima persona.

E’ già il terzo libro che leggo di questa autrice eppure ogni volta resto incantata davanti alla sua abilità nel saper rendere la narrazione così scorrevole e coinvolgente, davanti alla sua bravura nel riuscire in poche righe a delineare perfettamente la scena sulla quale si muovono i suoi personaggi sempre così veri e vitali.

Nel sottotitolo del libro però sono nominati anche altri personaggi: chi erano i Beati Paoli?

La loro esistenza è legata ad una leggenda palermitana; chi loro fossero in realtà  non è dato sapere. Forse una setta religiosa? Qualcuno pensa che fossero dei monaci appartenenti all’ordine di San Francesco da Paola o forse chissà non erano neppure veri religiosi.
Nessun documento purtroppo è giunto fino a noi che ci parli di loro, tutto si rifà solamente alla tradizione orale.

Si narra si incontrassero nelle grotte sotterranee di Palermo e che incutessero timore ai nemici.
Ma chi erano i loro nemici? La leggenda narra che i Beati Paoli fossero schierati dalla parte del popolo, fossero difensori degli oppressi, ma c’è anche chi invece ritiene che i loro interessi fossero di tutt’altra natura e che i Beati Paoli fossero tutt’altro che uomini onesti e virtuosi.

Quale sia il ruolo svolto dai Beati Paoli nel romanzo di Adriana Assini lascio a voi il compito di scoprilo, non vi svelerò il mistero, per cui se volete saperne di più non vi resta che leggere il libro, certa che non ne resterete delusi.

“La spada e il rosario” è infatti un avvincente romanzo storico popolato da personaggi affascinanti e misteriosi che riaffiorano da un passato dimenticato e sfuggente.

Un libro assolutamente da leggere.
  


Della stessa autrice nel mio blog: