sabato 10 marzo 2012

A se stesso (Giacomo Leopardi)


Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
(XXVIII, Canti)

 “A se stesso” chiude il gruppo di componimenti a cui appartiene il cosiddetto “ciclo di Aspasia” ispirato dalla passione intensa e non corrisposta da parte del poeta per Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna conosciuta durante un soggiorno a Firenze.
Le liriche appartenenti a questo ciclo sono tipiche della poesia anti-idilliaca dell’ultimo periodo della poetica leopardiana; in esse viene meno il tono elegiaco degli idilli suggerito dalla dolcezza dei ricordi e della giovinezza e si afferma un tono più energico, eroico e di ribellione. Il poeta raggiunge la consapevolezza della propria dignità morale che lo porta ad assumere coraggiosamente la propria condizione di uomo e contrapporla al mondo cieco e crudele della natura.

Il componimento rappresenta il congedo da ogni illusione e dalla vita stessa. L’ultima e disperata illusione di potersi aggrappare alla vita attraverso l’amore espressa da Leopardi nella lirica “Il pensiero dominante” è svanita per sempre. Il disinganno porta con sé il crollo dell’ultima speranza del poeta - Perì l'inganno estremo, Ch’eterno io mi credei - quella felicità in terra che per un istante l’amore appassionato per Fanny Targioni Tozzetti gli aveva fatto credere possibile.
Leopardi senza un attimo di commozione, attraverso un ritmo martellante e aspro, invita il suo cuore a non cedere mai più alle lusinghe dell’amore e procedendo con una brevità epigrafica, fatta di dichiarazioni nichilistiche - Amaro e noia La vitae fango è il mondo – gli chiede di rinunciare definitivamente ad ogni speranza poiché la natura, il potere malvagio e invisibile – a comun danno impera – mentre – l’infinita vanità del tutto – si allarga a dismisura.
“Vanitas vanitatum et omnia vanitas” (Ecclesiaste 1,2) è la locuzione a cui si richiama l’ultimo verso del componimento della lirica: ma mentre nell’Ecclesiaste l’invito è a disprezzare le cose terrene per volgere lo sguardo verso quelle divine, in Leopardi diventa espressione della consapevolezza della vanità delle illusioni che sono negate agli uomini dalla natura, per cui alla vita è preferibile il nulla eterno.

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