lunedì 20 agosto 2012

“Barry Lyndon” di William M. Thackeray (1818-1863)


Thackeray diede inizio alla stesura di “Barry Lyndon”, pubblicato a puntate nel 1844 sul Fraser’s Magazine, quattro anni prima della pubblicazione del romanzo che gli diede la fama “La fiera della vanità”.
Nell’edizione BUR che ho acquistato c’è una breve descrizione del libro a cura di Flavio Santi che riporto di seguito:
“Ecco la dimostrazione lampante che il Settecento contiene già l’intera modernità. Tutta questa adrenalina fatta di fughe, duelli, amori, peripezie non è cinema puro? Non sono i fotogrammi di una pellicola in anticipo di due secoli sui Lumiere? Una volta tanto non dovrete incollarvi allo schermo: lasciatevi trascinare dalle avventure di Redmond Barry. Il romanzo è uno strepitoso technicolor di parole ed emozioni”.
Confesso che, nonostante l’evidente errore di attribuzione errata del romanzo al Settecento, questa descrizione ha attirato la mia curiosità e ha contribuito a far sì che leggessi il libro. Dopo averlo letto però mi è venuto spontaneo chiedermi se le parole di Santi siano davvero una descrizione del romanzo o non siano state piuttosto ispirate dalla visione del film che Stanley Kubrick ha liberamente tratto dal romanzo stesso. Ammetto di non aver ancora  avuto occasione di vedere il film, ma spero di colmare presto questa lacuna, sono infatti piuttosto curiosa di conoscere che taglio il regista abbia dato alla storia e di sapere come risulti la vicenda riportata sul grande schermo.
Tornando al libro, devo ammettere che l’ho trovato terribilmente noioso e lento, un monotono susseguirsi di aneddoti e racconti monotematici (gioco d’azzardo, donne sedotte, corti europee e campagne militari) relativi alla vita del protagonista. Scritto come un’autobiografia, il romanzo narra in prima persona le vicende di Barry Lyndon, un personaggio d’invenzione, ispirato alla figura dell’irlandese Andrew Robinson Bowes, la cui pessima reputazione e la cui cattiva condotta si adattano perfettamente al protagonista del romanzo di Thackeray. Le vicende di Andrew Robinson Bowes forniscono all’autore solamente gli elementi essenziali del romanzo, entrambi i personaggi infatti, sia quello reale che quello di pura finzione letteraria, appartengono alla piccola borghesia irlandese ed entrambi attraverso il matrimonio vengono elevati al rango nobiliare oltre ad ottenere un consistente patrimonio sposando delle ereditiere che alla fine si riveleranno più scaltre dei mariti riuscendo a metterli fuori gioco. Entrambi dilapideranno la fortuna delle consorti e saranno oppressi dai debiti di gioco, ma nelle pagine del romanzo, Barry Lyndon sarà anche un giocatore d’azzardo di professione oltre ad essere il protagonista di una discutibile carriera militare.

Forse, nel corso delle mie molteplici avventure non mi sono mai imbattuto nella donna adatta per me, e ho dimenticato, poco dopo, tutte le creature che avevo adorato; ma credo che, se mi fossi imbattuto in quella giusta, l’avrei amata per sempre.

Acquistare qualche migliaio di sterline l’anno a costo di una moglie odiosa è un pessimo investimento per un giovane di spirito e di talento.

Barry Lyndon è un personaggio irritante e senza scrupoli, è un antieroe. In un periodo storico in cui gli autori scrivono romanzi di formazione quello di Thackerey è tutto l’opposto.
Il lettore fin dalle prime pagine, ben guidato in tal senso da Thackeray, prova una sorta di diffidenza nei confronti del protagonista che si rivela da subito un personaggio antipatico e irriverente. Nel racconto della sua storia, dall’ascesa sino al suo declino, Barry Lyndon, distorce continuamente i fatti, non provando alcuna vergogna. Non cerca mai scuse per il suo comportamento scorretto e se, in rari casi, è costretto dagli eventi a cercare una sorta di giustificazione, lo fa con una naturalezza al limite dell’imbarazzante: la colpa è sempre degli altri.
Scrive le sue presunte memorie dalla prigione di Fleet ma non guarda al suo passato con tristezza, né con rimorso, la sua persona è tutto ciò che conta, l’attenzione è sempre puntata su sé stesso e il suo declino non è altro che la prova delle sue conquiste del passato.

Ma come è mutevole il mondo! Quando consideriamo quanto grandi ci sembrano i nostri dolori e quanto sono piccoli nella realtà; quante volte pensiamo di essere sul punto di morire di dolore e quanto rapidamente dimentichiamo tutto, penso che dovremo vergognarci di noi stessi e della mutevolezza del nostro cuore.

Thackeray dimostra di essere un profondo conoscitore dell’animo umano nonché un capace scrittore di satire; Barry Lyndon è indubbiamente un personaggio ben riuscito secondo l’intento moralistico prefissatosi dall’autore, servendosi di sarcasmo ed ironia Thackeray crea un personaggio che noi oggi potremmo definire uno snob. Attraverso la descrizione di quest’uomo privo di morale inoltre Thackeray mette in guardia i lettori da una società corrotta, dissoluta e ipocrita abitata da uomini privi di scrupoli, disonesti e depravati.

I grandi e i ricchi sono sempre ben accolti con grandi sorrisi sullo scalone del mondo, ma i poveri che hanno aspirazioni debbono arrampicarsi sulle pareti, o spingersi lottando sulle scale di servizio, o strisciare come talpe lungo le fogne della casa, non importa se sporche o strette purché portino in alto. I pigri senza ambizioni asseriscono che non vale la pena di arrivare in cima, abbandonando la lotta dichiarano di essere filosofi. Io dico che sono codardi poveri di spirito. A che cosa serve la vita se non per ottenere onori? E questi sono tanto indispensabili che vogliamo raggiungerli ad ogni modo.

Osare e il mondo si arrende sempre o, se qualche volta vi sconfigge, osate ancora ed esso soccomberà.

Questo romanzo è stata una delusione rispetto alle mie aspettative, il ritmo lento e la storia ripetitiva e monotona ne fanno un libro terribilmente noioso; mi aspettavo molto di più dall’autore di un capolavoro quale “Vanity Fair”. Il personaggio di Barry Lyndon è davvero troppo indisponente, ma il romanzo lascia però intravedere la grande capacità di Thackeray di descrivere l’animo umano, la sua visione cinica della società dove non sono sempre il bene e la virtù a prevalere.
Se volete leggere qualcosa esclusivamente per distrarvi e passare qualche ora lieta, vi consiglio di leggere un altro libro; da leggere assolutamente invece se desiderate conoscere più a fondo l’autore e le sue opere perché Barry Lyndon è un abbozzo del personaggio ben più riuscito di Becky Sharp (La fiera delle vanità), un’arrampicatrice sociale, priva di scrupoli e principi, che riuscirà a raggiungere il successo manipolando il prossimo. Becky Sharp come Barry Lyndon è fredda e calcolatrice, egoista ed arrivista, ma al contrario di Lyndon ha anche dei pregi: è una donna intelligente e colta mentre Lyndon disprezza la cultura e deride, guardandolo dall’alto in basso, chiunque la possieda. Becky sa riconoscere le proprie sconfitte e soffre quando deve cedere a bassi compromessi perdendo tutto ciò che ha guadagnato; solo lei è la causa dei suoi mali ed il lettore non può certamente giustificarla, ma è comunque portato a volte a provare un po’ di compassione nei suoi confronti. Non ci può essere nessun sentimento di pietà invece da parte del lettore per Barry Lyndon che è talmente sicuro di sé da non riconoscere neppure la propria caduta; il suo atteggiamento ed i suoi modi lo rendono un personaggio insopportabile, odioso ed irritante dalla prima all’ultima pagina.

3 commenti:

  1. Per quanto «mai dire mai», penso non troverò mai il coraggio di leggere Barry Lindon. Il film lo vidi a spizzichi e bocconi, ma me lo ricordo poco... la colonna sonora, però, è meravigliosa.
    Ludo.

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  2. Romanzo non letto (e non credo che lo leggerò...), ma il film sì, quello è da vedere. Forse la durata può spaventare, ma la regia è spettacolare, costumi e fotografia sono mozzafiato.

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  3. Inizio a sentirmi un po' in colpa verso il povero Thackeray!!! ^_^ però mi avete convinto...vedrò il film!

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