venerdì 13 dicembre 2019

“The Mist in the Mirror” di Susan Hill


THE MIST IN THE MIRROR
di Susan Hill
VINTAGE
Sir James Monmouth è un anziano signore che frequenta un esclusivo circola di Londra. 
Un giorno, durante la conversazione con un giovane socio, decide di affidare a questi il racconto della sua vita, un racconto decisamente fuori da comune e, a dir la verità, piuttosto inquietante.

Sir James Monmouth era stato allontanato dall’Inghilterra all’età di cinque anni. Dopo la morte dei suoi genitori, non essendoci alcun parente che potesse prendersi cura di lui, il piccolo James era stato mandato a vivere in Africa dove era stato affidato alla cure di un tutore.

L’adolescente James, durante i numerosi viaggi intrapresi in compagnia del suo tutore, era rimasto affascinato dalla figura di un esploratore.
Conrad Vane, questo era il nome dell’esploratore, era diventato per lui una specie di eroe e una figura a cui ispirarsi.

Alla morte del suo tutore Sir James Monmouth aveva deciso che era giunto finalmente il momento per lui di rivedere la propria patria.
Egli, infatti, aveva compiuto numerosissime esplorazioni nel corso degli anni, ma mai aveva avuto occasione di ritornare in Inghilterra.

Non aveva alcuna memoria della sua terra d’origine, della quale nel frattempo aveva letto moltissimo rimanendone molto affascinato, ed ora era giunto per lui il momento di ritornare a casa.

Sir James Monmouth nonostante l’età adulta, era ancora ossessionato dalla figura di Conrad Vane tanto che, una volta giunto in Inghilterra, era sua ferma intenzione provare a far luce sulla lacunosa storia della vita dell’esploratore inglese e magari scrivere egli stesso un libro su di lui.

Sebbene tutti provassero a dissuaderlo dalle sue indagini, Sir Monmouth non era minimamente intenzionato a lasciarsi scoraggiare e, nonostante il verificarsi di diversi sinistri avvenimenti che avrebbero indotto chiunque a desistere dai proprio intenti, Sir James proseguiva senza sosta nel suo proposito.

Sir James iniziava, però, ad avvertire strani malesseri, ad avere angoscianti visioni, a soffrire di disturbi del sonno e a sentire nel buio misteriosi pianti e lamenti.

Come se non bastasse fin dal suo arrivo sul suolo inglese avvertiva spesso una strana presenza accanto a sé, come se qualcuno lo stesse pedinando.

C’era poi la figura di un ragazzino triste e pallido che sembrava seguirlo ovunque osservandolo in silenzio da lontano, senza lasciarsi mai avvicinare.

Chi era quel ragazzino? Cosa c’era di vero nelle insistenti e ambigue voci sulla dissolutezza di Conrad Vane? E perché tutti avevano così paura di parlare della vita di un uomo ormai morto da tanti anni?

Come potete intuire dal titolo del post, ho letto questo romanzo in lingua originale. Era da un po’ di tempo che non leggevo qualcosa in inglese e questo libro si è rivelato un’ottima scelta.
Il romanzo è molto descrittivo e quindi un ottimo esercizio per imparare nuove parole, inoltre il ritmo incalzante della storia sprona il lettore ad avanzare velocemente nella lettura per scoprire cosa accadrà nelle pagine successive.  

Il racconto è molto scorrevole e la storia è davvero coinvolgente grazie ad una trama dai risvolti inquietanti e misteriosi in un crescendo di episodi carichi di adrenalina e di suspense che affascinano il lettore fin dalle prime pagine.

“The mist in the mirror” è un romanzo popolato da fantasmi, da oscure presenze e da spiriti inquieti, come potevano esserlo i romanzi gotici, i racconti di Edgar Allan Poe o le opere di Wilkie Collins.

Il romanzo di Susan Hill è il libro perfetto per gli appassionati del genere che non potranno che restare affascinati da questa intrigante e oscura storia di fantasmi vecchio stile.





domenica 8 dicembre 2019

“La furia della marea” di Winston Graham


LA FURIA DELLA MAREA
di Winston Graham
SONZOGNO
Il Diciottesimo secolo sta volgendo al termine e i protagonisti della storia hanno l’angosciante sensazione che non solo il secolo sia prossimo  alla fine, ma anche la vita così come l’anno conosciuta fino ad allora.

Ross è ancora scosso dal tradimento di Demelza, i sentimenti che prova sono contradditori e fatica a ritrovare con lei l’armonia di un tempo nonostante sia la cosa che desideri più ardentemente.
Dopo aver vinto la sfida con il suo rivale di sempre, George Warleggan, Ross Poldark ora è un membro del parlamento e questa nuova carica lo costringe a dividere il suo tempo tra Londra e la Cornovaglia.

Durante l’assenza di Ross a Nampara è la moglie ad occuparsi degli affari di famiglia.
Demelza, da donna forte e determinata qual è, nonostante le difficoltà riesce sempre ad affrontare saggiamente ogni cosa sia per quanto concerne la miniera e la fattoria sia per quanto riguarda le problematiche familiari.

Il matrimonio di Morwenna con il reverendo Osborne è sempre più in crisi e l’uomo sembra essere disposto a  qualunque cosa pur di liberarsi della moglie.
Drake, pungolato in tale direzione da Demelza e da Sam, è finalmente sul punto di rifarsi una vita con una brava giovane del villaggio, nonostante non abbia però mai dimenticato Morwenna.
L’amore di Drake e Morwenna sembra ormai un amore impossibile, eppure la vita si sa è beffarda e riserva sempre delle sorprese.

Elizabeth e il marito sembrano aver ritrovato finalmente un po’ di serenità in quanto George sembra essere riuscito a superare il terribile dubbio sulla vera paternità di Valentine. Ma quanto durerà questa tregua?

Nel frattempo un nuovo personaggio appare sulla scena, un libertino senza scrupoli che ha messo gli occhi su Demelza e Ross non esiterà a sfidarlo a duello rischiando non solo di compromettere la sua posizione in parlamento, ma anche la sua completa riconciliazione con la moglie.

Il matrimonio di Caroline e Dwight scricchiola a seguito di un duro colpo che la sorte ha loro riservato.
Il loro legame è profondo, ma i loro caratteri sono molto diversi così come completamente diverso è il loro modo di affrontare le crisi.
Riusciranno a ritrovarsi anche questa volta?

Siamo arrivati così al settimo libro della saga e, come sempre, gli avvenimenti si susseguono senza tregua.

Nuovi personaggi si affacciano sulla scena, altri acquistano importanza con le loro vicissitudini e le vecchie storie si intrecciano con le nuove dando vita ad un nuovo ed avvincente romanzo.

Il punto di forza di questa saga, non mi stancherò mai di sottolinearlo, è proprio la grande capacità di Winston Graham di riuscire a tenere viva l’attenzione del lettore arricchendo la storia, romanzo dopo romanzo, con l’introduzione di nuovi personaggi, con l’evoluzione e la crescita di quelli conosciuti e con nuovi interessanti sviluppi della trama.

Ancora una volta ci ritroviamo a sperare in una riconciliazione completa tra Ross e Demelza e tra Dwight e Caroline e, ancora una volta, non possiamo non sperare che accada qualcosa per cui possa finalmente esserci un lieto fine anche per Drake e Morwenna.

Il racconto scorre veloce e il romanzo si legge tutto d’un fiato, ma anche questo aspetto non è una novità per i lettori della saga.
Ci si ritrova sempre troppo presto all’ultima pagina con la speranza che la casa editrice pubblichi quanto prima il volume successivo.

Da venerdì 3 gennaio andrà in onda su Sky la quinta ed ultima stagione della serie TV dedicata ai Poldark.
Non sarà facile accettare la conclusione di una serie TV che tanto ci ha affascinato, ma la buona notizia è che il racconto si fermerà prima della fine della storia scritta da Winston Graham per cui, una volta terminata la visione televisiva, le vincente della famiglia Poldark ci potranno tenere compagnia attraverso le pagine dei libri ancora per un po’.


I post relativi ai precedenti romanzi potere trovarli qui

domenica 3 novembre 2019

“L’abito di piume” di Banana Yoshimoto


L’ABITO DI PIUME
     di Banana Yoshimoto    
 FELTRINELLI 
Hotaru, dopo una cocente delusione d’amore, torna al suo villaggio natale, un piccolo paese attraversato da un fiume.
Il suo compagno, un uomo sposato, dopo otto anni d’amore l’ha lasciata di punto in bianco preferendole definitivamente la moglie e la famiglia.

Ad attenderla al paese c’è la nonna con la sua caffetteria pronta a confortarla e a darle un lavoro, una piccola occupazione, ma pur sempre qualcosa che possa farla sentire utile.
Anche se il padre è sempre in viaggio e la madre è morta quando lei era ancora piccola, Hotaru decide di non tornare a vivere nella casa dei genitori, ma di sistemarsi nel magazzino della caffetteria per poter avere i propri spazi e ripartire dal nulla o meglio da quella piccola valigia con i pochi abiti che ha portato con sé da Tokyo.

Nel paese natale Hotaru avrà modo di fare i conti con il suo passato e ritrovare se stessa.
Riallaccerà i contatti con l’amica Rumi, una ragazza dal carattere particolare alla quale era molto legata in passato, ritrovando con lei immediatamente la complicità di un tempo.
Sarà proprio Rumi in seguito ad aiutarla a risolvere un mistero al limite del paranormale.

Durante una passeggiata lungo il fiume Hotaru incontra un ragazzo; la vista di Mitsuru lascia in Hotaru una strana sensazione di déjà vu.
Grazie alla sensibilità ed alla capacità di Rumi nel comprendere cosa si cela nell’animo delle persone, Hotaru sarà in grado, al momento opportuno, di fare chiarezza sulla vicenda e capire cosa la lega a quel giovane con il quale nel frattempo ha stretto amicizia.

Il titolo originale del libro “Hagoromo” (letteralmente “abito di piume”) indica un particolare tipo di kimono leggerissimo che le tennyo, figure mitologiche femminili dalle sembianze di donne angelo, indossavano per volare tra il mondo terreno e l’aldilà.

Hotaru ha solo ventisei anni, anagraficamente la si potrebbe definire una giovane donna.
Nella realtà Hotaru è ancora un’adolescente alla ricerca della propria strada ed allo stesso tempo una donna invecchiata precocemente per il dolore provocatole all’abbandono dell’uomo che amava. 
Grazie alla tranquillità del piccolo borgo natio e grazie all’affetto delle persone care, Hotaru riuscirà a guarire dal dolore e ritornare alla vita, indossando quell’abito di piume che le permetterà di nuovo di volare e vivere finalmente quella spensieratezza giovanile che fino a quel momento le è stata negata.

“L’abito di piume” è il primo libro che leggo di questa autrice dalla quale ammetto di essere stata conquistata fin dalle prime pagine.

La prosa di Banana Yoshimoto è una prosa elegante e rilassante come il lento scorrere  dell’acqua di un fiume.

L’autrice riesce a raccontare con leggerezza anche le vicende più malinconiche grazie alla sua capacità di saper sempre infondere nel lettore un senso di speranza.
Banana Yoshimoto dimostra di saper comprendere a fondo le fragilità, le debolezze e le paure dell’animo umano, ispirata ed influenzata da quella saggezza orientale il cui eco emerge spesso tra le righe del suo romanzo.

Tutti quei sentimenti e stati d’animo che proviamo, ma che non siamo in grado di mettere a fuoco, ebbene, tutto questo sentire lei riesce a metterlo, con apparente facilità e tanta grazia, nero su bianco facendoci sentire compresi e meno soli.
Le paure, i sensi di colpa, i dolori che i personaggi provano sono le nostre stesse paure, i nostri stessi sensi di colpa, i nostri stessi dolori.

Nel postscriptum del libro l’autrice tiene a precisare che questo libro è un romanzo adolescenziale e che da anni non ne scriveva più uno.
Inoltre, evidenzia il fatto che lei ha sempre vissuto a Tokyo e pertanto il personaggio di Hotaru è molto distante da lei tanto che le viene quasi spontaneo parlare di questo libro come se fosse stato scritto addirittura da un’altra persona.

Come ho già detto, “L’abito di piume” è il primo romanzo che leggo di Banana Yoshimoto e non posso quindi sapere quanto questo possa essere diverso dagli altri suoi romanzi, ma so per certo che ho amato ogni passaggio di questo libro la cui lettura mi ha appassionata fin dalla prime righe.
Ho amato tutti i suoi personaggi indistintamente, anche quelli più bizzarri come la “Dea della stazione degli autobus”, ho apprezzato gli insegnamenti delle dottrine orientali di cui è intriso e sono stata affascinata da quegli sviluppi fiabeschi e surreali che pervadono il racconto.

Se non l’avete ancora letto, consiglio assolutamente di aggiungerlo alla vostra whislist.



sabato 19 ottobre 2019

“La casa degli specchi” di Cristina Caboni


LA CASA DEGLI SPECCHI
di Cristina Caboni
GARZANTI
Milena è appena arrivata a Positano, qui c’è la villa del nonno, conosciuta da tutti come la casa degli specchi, una splendida villa circondata da un giardino di limoni, caratterizzata da un atrio unico nel suo genere e dal quale la villa prende il nome.

Questa stanza che, fin da bambina ha sempre affascinato e meravigliato Milena, è un magnifico atrio con dodici grandi ed antichi specchi appesi alle pareti, specchi che riflettono l’immagine di colui che vi si avvicina rendendolo protagonista e spettatore allo stesso tempo.

Milena era cresciuta con il nonno, da bambina viveva con lui tutto l’anno, poi, quando la madre era mancata, si era dovuta trasferire a Roma a casa del padre, ma non perdeva occasione appena libera dalla scuola di ritornare in quella casa che l’aveva sempre vista felice.

Milena adora suo nonno ed ora che Michele si è ammalato di Alzheimer le risulta davvero difficile lasciarlo da solo tanto più che, proprio durante la sua permanenza in costiera, è accaduto qualcosa di imprevedibile che presto costringerà tutti a fare i conti con i segreti del passato.

Un giorno, infatti, durante dei  lavori di manutenzione di un vecchio muro viene rinvenuto un cadavere nella proprietà di Michele.
Michele appare sconvolto da questo ritrovamento e questa preoccupazione non fa che accelerare il decorso della sua malattia.

In paese si inizia a mormorare sulla possibilità che quel cadavere appartenga all’Americana che altri non era, come Milena scoprirà presto, sua nonna.
Michele non le aveva mai parlato di quella moglie che lo aveva abbandonato di punto in bianco lasciandolo con una figlia piccola, Marina, sua madre.

Giorno dopo giorno Milena cercherà di ricomporre il puzzle e scoprire la verità su quella nonna la cui identità le era stata nascosta per così tanto tempo e che sembra avere in comune con lei, prima tra tutte proprio la passione per il teatro e per quella camera degli specchi.

Eva Anderson era stata un’attrice piuttosto famosa nella Roma della Dolce Vita. Era arrivata giovanissima dagli Stati Uniti con due amiche che, come lei, sognavano di entrare nel mondo del cinema.

A Venezia aveva conosciuto Michele, un giovane orafo artigiano che tra i suoi clienti vantava importanti registi che gli commissionavano quei gioielli che gli attori avrebbero indossato nei film girati negli studi di Cinecittà.

Tra Eva e Michele fu amore a prima vista, si sposarono quasi subito ed ebbero una bimba, ma Eva aveva troppi scheletri nell’armadio ed il passato presto venne a bussare alla sua porta.

Eva aveva sempre saputo che quel senso di protezione e quella felicità che aveva trovato accanto a Michele non erano purtroppo destinati a durare per sempre.

Cristina Caboni ancora una volta ci regala un romanzo capace di trascinarci all’interno della storia facendoci vivere emozioni e tormenti quasi fossimo noi stessi i protagonisti del libro.
Le descrizioni accurate ed intense dei luoghi ci permettono quasi di riuscire a vedere il blu intenso del cielo di Positano e di sentire il profumo che si sprigiona dalla limonaia della casa degli specchi.

Ancora una volta l’autrice di regala personaggi femminili che non si possono non amare fin dalle prime pagine: Milena è una ragazza dolce, ma a suo modo anche molto determinata ed Eva fin da subito dimostra una grande forza di carattere e una determinazione non da poco nel cercare di affermarsi in un mondo, come quello del cinema della fine anni Cinquanta, inizio anni Sessanta, dominato principalmente dagli uomini.

Il racconto presenta due linee di narrazione: da una parte abbiamo il racconto della storia di Milena e dall’altra il racconto della storia di Eva.

La  tecnica del doppio piano narrativo è una tecnica molto cara a Cristina Caboni infatti la ritroviamo in tutti i suoi ultimi romanzi nei quali l’autrice ha dimostrando di essere davvero brava nel saper gestire il racconto di due storie che si svolgono a distanza di anni l’una dall’altra, ma che hanno un elemento comune che le lega indissolubilmente.

Nel caso di questo ultimo romanzo, più che nei precedenti, i due piani narrativi sono destinati a convergere essendo le due protagoniste destinate ad incontrarsi e soprattutto a confrontarsi.

C’è poi un’altra sostanziale differenza dai precedenti romanzi dell’autrice ovvero l’introduzione dell’elemento giallistico che si inserisce in modo discreto all’interno del romanzo conferendogli un’atmosfera piuttosto misteriosa.

L’elemento giallo non si esaurisce semplicemente con l’indagine che Federico Marra conduce per cercare di scoprire l’identità del cadavere o nel cercare di comprendere la vera identità dell’uomo che perseguita Eva, ma anche ad esempio nell’apparizione del giovane Gabriel.

Ancora due parole devono essere necessariamente spese proprio sui due giovani personaggi maschili che ruotano intorno alla protagonista.

Federico Marra è un personaggio affascinante, introverso e a tratti alquanto indisponente. Nasconde un segreto, qualcosa nel suo passato gli nega la possibilità di riuscire ad aprirsi alla vita; il suo lavoro poi non facilita certamente la sua espansività o la sua capacità di lasciarsi andare. 

A fare da contraltare al bel tenebroso abbiamo Gabriel, giovane e simpatico, un avvocato che si sta specializzando in investigazioni digitali così da poter un giorno difendere chi non può farlo da sé. All’apparenza un uomo bello e solare, ma in realtà anche lui nasconde un segreto.

E’ ovvio che uno dei due uomini conquisterà il cuore di Milena, non vi svelerò di certo quale dei due riuscirà nell’impresa.
Vi confesso però che la sua scelta mi ha lasciato piuttosto stupita e, forse, anche non troppo d’accordo, ma devo riconoscere che la decisione della protagonista è senza dubbio quella più coerente con il suo personaggio.

Ecco, se siete curiosi di scoprire qualcosa di più, non vi resta che leggere “La casa degli specchi” il nuovo romanzo di Cristina Caboni, una delle autrici italiane più amate sia dai lettori che dalla stampa.

Mi piacciono le dediche all’inizio dei libri perché rivelano sempre qualcosa del loro autore e così ho deciso di salutarvi proprio con la dedica che si trova all’inizio del romanzo:
                
A tutti coloro che hanno il coraggio di cambiare.
Ai pazzi e ai sognatori, che spesso è lo stesso.
A chi parla con i fiori, gli animali
e confida il proprio amore alle stelle.
Questo libro è dedicato a voi.


Se siete interessati, qui potete trovare altri post che parlano dei suoi romanzi





sabato 12 ottobre 2019

“Castelli di sabbia” di Alice e Claude Askew

CASTELLI DI SABBIA
di Alice e Claude Askew
Scrittura & Scritture

Maggie Carvel ha ventitré anni e fin da piccolissima, quando i suoi genitori morirono in un terribile incidente stradale, vive con l’anziana zia Anna a Sandstone, un piccolo villaggio in Inghilterra, dove tutti si conoscono e  la vita scorre lentamente.

L’esistenza monotona di Maggie viene però sconvolta di punto in bianco quando il suo amico del cuore Howard Burton, il ragazzo che conosce da sempre e che ha sempre pensato sarebbe un giorno diventato suo marito, le comunica invece che ha deciso di lasciare il paese per cercare fortuna in Rhodesia.

Col cuore spezzato e umiliata Maggie non vede l’ora di poter sfuggire alla compassione della gente del villaggio dove la sua triste vicenda è ormai sulla bocca di tutti.

L’occasione non tarda molto a presentarsi e ha le fattezze di un bel giovane irlandese che risponde al nome di Pierce Maloney.
Pierce con modi molto galanti conquista subito la fiducia e l’affetto della giovane Maggie tanto che la ragazza accetta immediatamente di sposarlo.

Dopo appena tre mesi dal loro primo incontro i coniugi Maloney sono in viaggio verso il bellissimo Castello di Glenn, l’antica proprietà di famiglia.

Purtroppo si sa che gli irlandesi sono gente abile con le parole e bravissima ad infiorettare la realtà e così la povera e giovane Maggie si ritroverà a fare i conti con verità scomode e cocenti delusioni.

L’amore che prova per Pierce sarà sufficiente a darle la forza di affrontare tutte le avversità e le dure prove che la vita metterà sul suo cammino?

“Castelli di sabbia” potrebbe sembrare all’inizio un libro in puro stile Jane Austen, ma proseguendo nella lettura molti sono gli autori e i generi che si rincorrono tra sue le pagine.

Charles Dickens è il primo autore che mi viene in mente perché a tutti gli effetti “Castelli di sabbia” è un romanzo di formazione, Maggie Carvel cresce e diventa una donna matura nel corso degli anni trasformandosi da ragazzina impulsiva e anche un po’ viziata in una donna altruista e riflessiva.

Le tinte fosche in cui vengono descritti alcuni personaggi ed alcuni luoghi oltre a Dickens non possono non richiamare alla mente autori suoi contemporanei quali ad esempio Wilkie Collins, collaboratore e amico dello stesso Dickens, autore di romanzi gialli dal fascino misterioso.

Le descrizioni dell’Irlanda e del castello di Glenn hanno poi indubbiamente anche un che di fiabesco e così a tratti ci si aspetterebbe da un momento all’altro di veder apparire dal nulla un folletto o un leprechaun  che danzano sulle note di un'antica ballata irlandese.

Con Maggie, protagonista indiscussa del romanzo, si muovono sulla scena tre figure maschili; tre uomini che, seppur molto diversi tra loro, sono tutti innamorati di Maggie e sono da lei ricambiati anche se in modi differenti.

Quali siano questi modi e cosa Maggie apprezzi maggiormente di ciascuno di loro lascio a voi il piacere di scoprirlo attraverso la lettura di questo romanzo davvero particolare.

Howard Burton, il primo amore di Maggie, ci viene presentato all’inizio come un ragazzo piuttosto goffo ed impacciato, ma si rivelerà essere un uomo tenace e capace di costruire la propria fortuna facendo affidamento solo sulle proprie forze, incarnando così l’esempio del self-made man tipicamente dickensiano.

Pierce Maloney è invece l’eterno ragazzo, generoso e altruista, ma purtroppo anche portato a vivere in un mondo tutto suo, un mondo creato dalla sua fantasia che lo spinge il più delle volte a comportarsi da irresponsabile.
È un uomo dal carattere debole che fugge sempre dinnanzi alle proprie responsabilità ed è totalmente incapace di affrontare i più banali problemi quotidiani.

E infine c’è lui,  il terzo uomo, Lord Revelstone, colui che appena appare sulla scena con il suo modo di fare altezzoso e scontroso riporta alla mente subito il famoso Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio.
Per onestà devo anticiparvi che il suo personaggio non raggiunge certo le vette del forse più ammirato ed amato personaggio austeniano, ma nel suo piccolo vi posso assicurare che anche Lord Revelstone riuscirà a conquistare il cuore di più di una lettrice.
Il disilluso e disincantato Richard Revelstone si rivelerà, nonostante il suo carattere all’apparenza asociale e scorbutico,  un amico costante e fedele sia per l'inaffidabilr Pierce Maloney che per l’orgogliosa Maggie Carvel.

Qualche parola merita di essere spesa anche sui coniugi Askewautori del romanzo.

Alice (1874 1917) e Claude Askew (1865-1917) furono una coppia di acclamati scrittori londinesi che scrissero diversi romanzi a quattro mani.
Il successo arrivò per loro con il romanzo intitolato The shulamite che diede vita ad un film muto, prodotto dalla Paramount Pictures, dal titolo Sotto la frusta.
Ebbero una vita avventurosa durante la quale viaggiarono moltissimo.
Morirono durante la navigazione verso Corfù a causa di un siluro tedesco che colpì e affondò il piroscafo sul quale stavano viaggiando.

“Castelli di sabbia” fa parte della collana VociRiscoperte della casa editrice Scrittura & Scritture.

Con la collana VociRsicoperte questa casa editrice indipendente ha deciso di pubblicare alcuni grandi romanzi del passato ormai introvabili in Italia.

Non ci resta quindi che ringraziare Scrittura & Scritture per l’impegno profuso nel cercare di restituire a noi lettori questi romanzi dimenticati e nel regalarci la possibilità di fare la conoscenza con interessanti autori del passato spesso a noi ignoti.





lunedì 9 settembre 2019

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” di Elisabetta Mori

L’ONORE PERDUTO
DI ISABELLA DE’ MEDICI
di Elisabetta Mori
GARZANTI
Isabella de’ Medici (1542 – 1576) era la più bella delle figlie di Cosimo de’ Medici, primo granduca di Toscana, e di Eleonora di Toledo.

Isabella era una donna molto colta, intelligente e capace di conquistare il cuore di tutti e per questo alla morte della madre Eleonora, fu lei a sostituirla negli affari di corte con il sostegno di Cosimo che riponeva nella figlia massima fiducia. 

Isabella parlava correttamente diverse lingue, amava la poesia e la musica, era lei il vero astro di casa Medici.

Nel 1556 sposò all’età di quattordici anni il quindicenne Paolo Giordano Orsini (matrimonium o sponsalia); secondo le antiche consuetudini, ossia quelle che vigevano prima del concilio di Trento, la cerimonia solenne (solemnitas nuptiarum) venne poi celebrata più tardi nel 1558.
Per tradizione la sposa poteva lasciare la casa del padre solo dopo la celebrazione di questa seconda cerimonia.
In realtà Isabella non lascerà mai veramente Firenze a causa dei tanti impegni politici oltre che a causa delle pressanti esigenze della corte medicea, senza contare inoltre i problemi di salute e i tanti contrattempi che si susseguirono nel corso degli anni.

Paolo Giordano, principe di Bracciano, apparteneva alla grande casata degli Orsini, la stessa famiglia che diede i natali a Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico.

Gli Orsini erano una delle più importanti famiglia della nobiltà romana, una famiglia che per generazioni aveva partecipato attivamente all’elezione di papi e contratto importanti matrimoni.

Isabella de’ Medici morì all’età di trentaquattro anni e sulla causa della morte circolarono fin da subito moltissime voci sul suo probabile omicidio.
Il presunto assassino di Isabella altro non sarebbe stato che proprio suo marito, Paolo Giordano Orsini.

Isabella de’ Medici veniva dipinta dai alcuni suoi contemporanei come una donna istruita e colta, ma anche piuttosto disinibita e libera, per cui il marito, stanco ed esasperato dai suoi continui tradimenti, avrebbe deciso di ucciderla.

Esiste in realtà anche un’altra tesi, sostenuta pure da di G. F. Young nel suo libro “I Medici”, dove Isabella era descritta come una donna molto innamorata del marito il quale invece aveva perso la testa per un’altra donna, Vittoria Accoramboni.
Paolo Giordano, istigato dalla bella e ambiziosa amante, avrebbe ucciso Isabella e subito dopo Francesco Peretti, il marito di Vittoria, ultimo intralcio al suo matrimonio con lei.

Elisabetta Mori attraverso accurate ricerche d’archivio e basandosi anche su ampie testimonianze epistolari, a cominciare proprio dalle lettere tra Isabella e Paolo Giordano, smentisce categoricamente che Isabella de’ Medici potesse essere stata assassinata.

Secondo Elisabetta Mori il rapporto tra i coniugi fu un rapporto solido dovuto anche al fatto, quasi eccezionale per l’epoca, che il loro fu un matrimonio d’amore sebbene, come tanti altri, fosse stato combinato per la ragion di stato.

Isabella de’ Medici era affetta da una pesante forma di idropisia e l’aggravamento della malattia ne avrebbe causato la morte come si può evincere, secondo la Mori, anche dalle testimonianze dei contemporanei sulle condizioni del suo cadavere.

Elisabetta Mori quindi, escludendo categoricamente la morte violenta, esclude  ogni possibilità di poter individuare in Paolo Giordano un potenziale assassino o, come altre voci suggerivano, l’esecutore di un omicidio commissionato niente di meno che dal fratello stesso di Isabella, Francesco I de’ Medici.

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” è un testo ben documentato e pur non potendolo definire un testo di facilissima lettura, risulta nell’insieme piuttosto scorrevole per quanto possa esserlo un saggio in cui vengono riportati stralci di documenti cinquecenteschi e nel quale siano presenti numerose e dettagliate digressioni sul contesto storico in cui si muovevano i protagonisti.

Dipingendo l’Italia del Cinquecento con i suoi costumi, con la sua cultura e le sue trame politiche, Elisabetta Mori ci racconta come Isabella fosse stata fin da giovanissima intrappolata in una fitta rete fatta di calcoli politici ed accordi  diplomatici.

La Mori nega che da parte di Isabella ci potesse essere stata infedeltà nei confronti del marito e nega qualunque possibile coinvolgimento sentimentale della donna con Troilo Orsini, ma la maggior parte dell’impianto di difesa dell’archivista storica si basa in realtà sulle lettere che Isabella e Paolo Giordano si scambiarono nel corso degli anni.

Se è vero che nulla in questo epistolario potrebbe far pensare a sentimenti non corrisposti, a malanimo, avversione o qualche tipo di ostilità tra i due coniugi, è altrettanto vero che spesso all’epoca le lettere venivano scritte essendo ben consapevoli che non sarebbero rimaste private a lungo e che, con ogni probabilità, sarebbero state lette da terze persone autorizzate o meno a farlo dai diretti interessati.

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” nasce con l’intento di riabilitare la dignità di una donna calunniata da storici e letterati esclusivamente per esigenze politiche e strategiche; la Mori infatti sostiene l’ipotesi che tutto fosse frutto di un grande complotto nato per screditare la figura di Isabella.

Il libro di Elisabetta Mori è un testo puntuale e ampiamente documentato che aiuta a fare chiarezza su una delle più sanguinose leggende nere del nostro rinascimento e pertanto non posso che segnalarlo come una lettura indispensabile per chi volesse approfondire l’argomento, seppur io rimanga non del tutto convinta delle totale validità delle prove addotte dalla Mori a sostegno dell’innocenza di Paolo Giordano.





domenica 8 settembre 2019

“Lena e la tempesta” di Alessia Gazzola

LENA E LA TEMPESTA
di Alessia Gazzola
GARZANTI
Dopo quindici anni di assenza Lena Santoruvo ha deciso di ritornare nell’isola di Levura, una piccola isola della Sicilia, dove si trova la casa che suo padre, prima di risposarsi, aveva deciso di regalarle.

Proprio in quella casa Lena aveva trascorso tutte le sue estati fino al suo quindicesimo anno d'età in compagnia dei genitori e dei loro tanti amici.
Il padre all’epoca era uno scrittore famoso ed amava contornarsi di intellettuali con i suoi stessi gusti in materia di libri e di politica economica.

Poi il fatidico 14 agosto di quindici anni prima era accaduto qualcosa di irreparabile, qualcosa che aveva sconvolto la vita di Lena per sempre.

Lena ora ha trent’anni, non ha voluto seguire le orme paterne e fa l’illustratrice; dopo una partenza entusiasmante però la sua carriera ha subito una battuta d’arresto e lei oggi deve capire come ritrovare l’ispirazione e soprattutto come riprendere in mano la sua vita, una vita gravata da un terribile segreto che lei non vuole condividere con nessuno e che pesa come un macigno.

Lena sa che ritornare a Levura significa dover affrontare i fantasmi del passato, ma sa anche che questo è l’unico modo per riuscire a far fronte alla sua disastrosa situazione finanziaria senza dover chiedere un aiuto economico ai genitori.

Per rimettere in carreggiata le proprie finanze ha deciso che la cosa migliore sia cercare di affittare la villa per l’estate, mentre lei andrà a vivere nella dependance cercando nel frattempo di provare a migliorare il suo stile, ritrovare l’ispirazione e sviluppare il suo senso critico.

Sull’isola incontrerà molte persone del passato che riporteranno a galla tutto quello che per anni aveva cercato inutilmente di dimenticare, ma a Levura Lena farà anche un piacevole incontro che potrebbe cambiare per sempre la sua vita.

Tommaso è giovane e carino, si è trasferito sull’isola da poco e vive nel faro, fa il medico di guardia ed anche lui, come Lena, nasconde un segreto.

I segreti, spesso, non sono che un estremo tentativo di tutelare noi stessi.

Riusciranno Lena e Tommaso ad abbattere le loro barriere e guardare insieme al futuro?

Alessia Gazzola è celebre per i suoi romanzi della serie “L’allieva” da cui è stata tratta una serie tv con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale.
Ho letto solo due libri della serie (“Le ossa della principessa” e “Un po’ di follia in primavera”) la cui protagonista è una simpatica specializzanda in medicina legale dalla vita sentimentale molto complicata che combina un guaio dietro l’altro.
Le storie sono molto divertenti caratterizzate da personaggi spiritosi e da siparietti simpatici che vedono la protagonista Alice Allevi, una nostrana Bridget Jones, coinvolta nelle situazioni più assurde ed originali.

Da qui la voglia di leggere “Lena e la tempesta” e fare la conoscenza con questa nuova protagonista nata dalla penna di Alessia Gazzola.

Diciamo subito che Lena Santoruvo non ha nulla della spensieratezza di Alice Allevi; Lena è una ragazza profondamente segnata dal suo passato e da rapporti familiari quanto mai fuori dal comune che lei stessa non esita a definire  "disgregati”.

Lena Santovuro è una ragazza insicura, ipercritica verso se stessa tanto da colpevolizzarsi per quanto è accaduto pur essendo lei la vittima.
Ha difficoltà a fidarsi del prossimo, ha rapporti disastrosi con l’altro sesso eppure vorrebbe riuscire a superare le sue paure, i suoi dubbi e soprattutto vorrebbe imparare a lasciarsi andare.

Lena però è più forte di quanto lei non creda, deve solo capirlo e per farlo deve affrontare il suo passato perché per certe cose bisogna toccare il fondo, attraversare la tempesta per tornare a vivere.

Lena, a dispetto della sua scarsa autostima, è comunque una combattente e, nonostante le sue esitazioni e la sua timidezza, non si dà mai per vinta provando ogni giorno a superare il passato spinta dalla voglia di essere una ragazza normale, una delle tante.  

Alessia Gazzola nei ringraziamenti alla fine del suo libro cita Rupi Kaur come una delle principali fonti di ispirazione per delineare il carattere della sua protagonista.

E’ vero, molto si ritrova delle opere della poetessa canadese di origini indiane nella figura di Lena, ma Alessia Gazzola impiega una delicatezza e una dolcezza tutte sue nel raccontare i fatti, anche quelli più orrendi e difficili, riuscendo sempre a stemperare la tensione.

“Lena e la tempesta” è un libro dalla trama emozionante e misteriosa, un romanzo che si legge tutto d’un fiato nel quale non mancano colpi di scena e la cui protagonista entra subito nel cuore del lettore conquistandolo fin dalla prima pagina.

Decisamente diverso rispetto ai libri della serie de “L’allieva”, “Lena e la tempesta” è un romanzo introspettivo e coraggioso raccontato con tutto il garbo e la delicatezza di una brava scrittrice come Alessia Gazzola.










lunedì 2 settembre 2019

“Shonin-ki” di Natori Masazumi (a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia)

Shonin-ki
di Natori Masazumi
FELTRINELLI
Lo Shonin-ki è uno dei quattro hi densho, ossia uno dei quattro documenti di trasmissione segreti scritti dai ninja, che compongono l’insieme delle conoscenze di tutte le scuole ninjutsu.

Lo Shonin-ki fu scritto nel 1681 da Natori Masazumi, un maestro samurai divenuto poi un maestro ninja che guidò uno dei più importanti clan shinobi.

Il volume si apre con un’interessante ed esaustiva introduzione di Marina Panatero e Tea Pecunia, curatrici di questa edizione edita da Feltrinelli, in cui ci viene raccontato chi fossero veramente i ninja, quali insegnamenti gli venissero impartiti e come questi venissero poi tramandati.
  
Per prima cosa dobbiamo subito sgomberare il campo dall’immagine stereotipata e fumettistica del ninja vestito di nero, del supereroe dotato di poteri soprannaturali.
Se poi siete curiosi di sapere come si è giunti a questa immagine distorta dei ninja, nel libro troverete ogni approfondita spiegazione in merito.

Il ninjutzu non è una disciplina, ma piuttosto una scienza, una scienza di combattimento e di sopravvivenza; lo si può definire però anche un’arte, l’arte di agire in segreto.

Il ninja non è dotato di nessun superpotere; prerogative del ninja sono la resistenza psicologica e fisica, la vigilanza, l’autodisciplina, la capacità di trovare una via di uscita in qualunque situazione, la sopportazione del dolore e della sofferenza, il saper lasciare andare.

Il saper lasciare andare? Ricorda qualcosa? Ebbene sì, nel ninjutsu ritroviamo il cuore dello zen e delle maggiori arti marziali: la ricerca di uno stato di vacuità superando l’ego.

Il ninja affina le sue percezioni in modo da riuscire a sfruttare quelle risorse che vanno oltre ciò che gli esseri umani percepiscono attraverso i tradizionali cinque sensi.

Il ninja, oltre che delle armi convenzionali, si avvale anche di armi non materiali, non fisiche.
La manipolazione psicologica ad esempio sfrutta le fondamentali debolezze ed i bisogni umani: proprio la guerra psicologica era l’arma più efficace di cui si avvalevano le donne ninja (kunoichi). 

Il libro è suddiviso in quattro parti. Abbiamo la prefazione scritta da Katsuda Kakyusai Yoshin e poi l’opera vera e propria, scritta da Natori Masazumi, ripartita in capitoli di apertura, capitoli mediani e capitoli finali.

Nel testo oltre ad elencare gli equipaggiamenti necessari al ninja, lo si istruisce anche su come comportarsi e come difendersi dal nemico, su quali siano i rituali segreti e le formule magiche di protezione, su come indurre le persone a dire ciò che pensano e a svelare segreti, su come creare confusione per mettersi al riparo, su come leggere gli stati emotivi delle persone e molto altro ancora.

Ma quali sono le differenze tra ninja e samurai, tra ninjutzu e bushido?

Per iniziare possiamo dire che, mentre per il samurai l’obiettivo è la conservazione dell’onore, per il ninja l’obiettivo è la sopravvivenza, ragion per cui molto difficilmente egli commetterà harakiri.

Lo spirito shinobi è diverso da quello samurai: il ninja è infatti disciplinato a sopportare anche la vergogna e questo comporta una profonda differenza tra le due mentalità.

Inoltre, i samurai sono guerrieri devoti al servizio di un signore, i ninja sono invece al servizio di se stessi e difendono esclusivamente il loro clan di appartenenza, sono quindi dei mercenari.

I ninja si avvalgono di tecniche che prevedono il tradimento e il sotterfugio, quanto di più distante dalla rigida etica dei samurai.
Nonostante l’apparenza, però, i ninja hanno anch’essi una loro integrità personale e professionale perché, seppur sleali verso il nemico, sono leali fino alla morte nei confronti del patriarca del loro clan (il jonin).

I ninja sono organizzati in un sistema gerarchico che rispettano scrupolosamente anche se, in passato, sono stati spesso visti come degli “antisamurai” proprio per questo loro essere individualisti ed anticonformisti.

Mi rendo conto che non è assolutamente facile riuscire a condensare in poche righe la vastità dell’argomento, ma spero di essere riuscita almeno ad incuriosirvi quel tanto che basta da spingervi a voler approfondire il tema.

Perché leggere questo libro?

Primo perché che fa luce su una figura, quella del ninja, di cui tutti noi parliamo, ma della quale in realtà non conosciamo nulla e che, al di là degli stereotipi, è una figura dotata di grande fascino e spessore.

Secondo perché lo Shonin-ki è un manuale di sopravvivenza che educa a perseverare e a resiste nonostante le difficoltà che si incontrano.
Il ninja è astuto, determinato e sa adattarsi a qualunque situazione, sa intuire il pericolo e sa proteggersi, tutto questo può tornare molto utile anche a noi nella vita di tutti i giorni.

Lo Shonin-ki insegna la flessibilità e la resistenza, in una parola insegna la resilienza, una caratteristica che tutti noi dovremmo cercare di fare nostra per riuscire a resistere agli urti di questa nostra vita iperconnessa ed iperattiva e ai ritmi frenetici che il mondo di oggi ci impone.