domenica 24 marzo 2019

“Il garzone del boia” di Simone Censi


IL GARZONE DEL BOIA
di Simone Censi
ELISON PUBLISHING
Il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista che, ormai anziano, trasferitosi in Francia e avendo cambiato vita da moltissimi anni, preferisce rimanere anonimo.

Egli non ci fornice nessun indizio che possa ricondurci in qualche modo alla sua identità, tranne che era nato con una gamba più corta e che da giovane era conosciuto con il soprannome di Balzarino, quello che fece il sarto troppo corto e non ce prese.

Quando era ancora un bambino, piccolo e malnutrito, fu venduto dal padre alla stregua di uno schiavo ad un uomo sconosciuto che faceva di mestiere il boia, al secolo Gianbattista Bugatti, ma da tutti soprannominato Mastro Titta.

Balzarino nel corso degli anni aveva imparato a vedere in Mastro Titta la figura paterna che a lui, uscito da casa giovanissimo, era venuta a mancare e, per sua stessa ammissione, probabilmente il boia si era rivelato essere un genitore migliore di quanto non sarebbe stato il suo vero padre.

L’uomo truce e feroce che tutti vedevano in Mastro Titta, un uomo che a causa del suo lavoro veniva scansato dalla gente, era in realtà, a detta del protagonista, un uomo giusto e devoto oltre che un uomo dotato a suo modo di una grande umanità.

Il boia era un uomo che sapeva leggere e scrivere; teneva un taccuino nel quale annotava tutte le esecuzioni e i dati di coloro che la giustizia gli affidava.
Fu proprio lui che insegnò a Balzarino a leggere e a scrivere ed il ragazzo, come il suo maestro, si mise all’opera tendendo un diario dei giorni  trascorsi al suo servizio.

Il racconto nasce proprio dalla revisione di quegli stessi appunti che il protagonista dice di voler riordinare più che altro a scopo terapeutico, per fare chiarezza e per curare gli attacchi di panico che ancora oggi, durante la vecchiaia, sono soliti coglierlo pensando a quanto vissuto durante la sua gioventù.

Mastro Titta  svolgeva il suo compito con rigore e rettitudine, sicuro che se non ci fosse stato lui a farlo, lo avrebbe fatto qualcun altro.
Riteneva il suo compito un lavoro giusto in quanto grazie ad esso egli non solo aiutava a salvaguardare l’incolumità delle persone, ma faceva sì che le sue stesse vittime avessero la possibilità, attraverso la morte, di espiare le loro colpe e presentarsi così purificate dinnanzi al Signore.

Balzarino però con il passare degli anni iniziò a non essere più così sicuro dell’attendibilità delle parole del suo maestro e la sua coscienza iniziò a ribellarsi quando, esecuzione dopo esecuzione, cominciò ad accorgersi che non tutti i condannati venivano trattati allo stesso modo; spesso infatti venivano usati due pesi e due misure quando veniva processata gente in vista oppure quando gli offesi erano uomini di Chiesa, nobili o ricchi.

Proprio per questo, a differenza di Mastro Titta, il giorno che se ne presentò l’occasione, Balzarino non se lo fece ripetere due volte, afferrò al volo l’opportunità e cambiò vita per sempre.

Il libro di Simone Censi è un racconto che intreccia verità storiche a vicende romanzate.

Mastro Titta è un personaggio realmente esistito, nato nel 1779 e morto nel 1869, fu un celebre boia a servizio dello Stato Pontificio.
Quando il papa Pio IX lo congedò, assegnandogli una pensione di 30 scudi mensili, fu il suo aiutante Vincenzo Balducci a prenderne il posto.

Prima del Balducci, secondo alcune fonti storiche, Mastro Titta aveva al suo servizio un garzone del quale si ignora l’identità; è proprio ispirandosi alla misteriosa figura di quel garzone che Simone Censi scrive il suo romanzo.

Nel 1891 venne pubblicata in dispense una falsa autobiografia, attribuita ad Ernesto Mezzabotta, intitolata “Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso”, lavoro che prese spunto però dagli appunti effettivamente tenuti da Gianbattista Bugatti durante la sua attività di boia e ritrovati nel 1886.

La figura di Mastro Titta è nota al grande pubblico nella sua veste di personaggio della commedia musicale “Il Rugantino”, opera teatrale rappresentata per la prima volta nel 1962 con Aldo Fabrizi ad impersonare la parte del boia.

Mastro Titta non ha ispirato solo commedie e letteratura, ma è entrato anche a far parte della vita di tutti i giorni attraverso i detti popolari a lui ispirati come “Boia nun passa ponte” (ciascuno deve stare nel proprio ambiente) oppure “Mastro Titta passa ponte” (qualcuno ci rimetterà la testa).

Il libro di Simone Censi è un resoconto delle esecuzioni dell’epoca che ci fa conoscere non solo le tecniche utilizzate dal boia, ma anche i crimini commessi dai condannati a morte.
La condanna capitale veniva comminata per svariati motivi, ma da quello che si evince dal romanzo la maggior parte di essi erano dovuti a grassazione, cioè rapine a mano armata, o per aver commesso assassinio.
Gli omicidi a loro volta avevano come movente la maggior parte delle volte il denaro e il tradimento, così leggiamo molte storie di matricidi, patricidi e uxoricidi.
Col tempo però a questi crimini si andranno ad aggiungere anche quelli politici, entriamo infatti nel periodo in cui all’esecuzione dei briganti verranno affiancate anche le condanne di coloro che si sacrificavano nel nome di un’ideale di Italia unita.

Considerato l’argomento e le descrizioni inevitabilmente violente delle esecuzioni, il racconto non risulta così truculento e raccapricciante come ci si potrebbe aspettare e questo giova decisamente all’economia della narrazione che è a tutti gli effetti molto scorrevole.

“Il garzone del boia” è un libro particolare così come particolare ed inaspettato è effettivamente l’argomento trattato; un romanzo unico nel suo genere che racconta uno spaccato di vita dell’epoca visto da una prospettiva totalmente diversa ed inusuale.

Il libro di Simone Censi è un romanzo adatto agli amanti del genere storico, agli appassionati di cronachistica e a tutti coloro che sono sempre alla ricerca di storie curiose legate al nostro passato. 






domenica 17 marzo 2019

“Il labirinto degli spiriti” di Carlos Ruiz Zafón


IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
di Carlos Ruiz Zafón
MONDADORI
Ultimo volume della quadrilogia dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati, “Il labirinto degli Spiriti”, è il capitolo conclusivo della saga che vede protagonista la famiglia Sempere.

Barcellona fine anni Cinquanta, Daniel Sempere ha sposato la sua Bea dalla quale ha avuto un bambino, il piccolo Julian, chiamato così in onore del famoso romanziere Julian Carax, una vecchia conoscenza per coloro che hanno letto i precedenti libri.

Il fedele amico e confidente Fermín, che è a sua volta convolato a nozze con l’amata Bernarda, continua ad intrattenere tutti con i suoi curiosi aforismi dispensando ad amici e famigliari consigli tanto utili quanto all’apparenza strampalati.

Bea e Fermín sono oltremodo preoccupati per Daniel il quale, nonostante siano passati ormai molti anni dall’accaduto, sembra essere sempre più ossessionato dalla morte della madre Isabella, deceduta quando lui era ancora un bambino.

Proprio quando Daniel sente di essere vicinissimo alla soluzione del mistero, però la questione si complica e sulla scena appare Alicia Gris, una donna seducente, pericolosa e alquanto enigmatica.

Un complotto di immani proporzioni sta per essere svelato, una cospirazione che vedrà coinvolte molte figure di spicco della Spagna franchista.

Purtroppo l’intrigo riguarderà anche persone molto vicine ai Sempere i quali, loro malgrado, si troveranno ancora una volta coinvolti in qualcosa che potrebbe mettere a repentaglio non solo la loro serenità, ma anche le loro stesse vite.

Tutte le puntate del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette come romanzi a sé; lo stesso autore scrive infatti che tutti i volumi fanno parte di una stessa storia alla quale si può accedere attraverso porte e sentieri differenti, “Il labirinto degli spiriti” non è altro che uno di questi.

I libri che compongono il ciclo in ordine di pubblicazione sono i seguenti:

- L’ombra del vento
- Il gioco dell’angelo
- Il labirinto degli spiriti

Contrariamente ai precedenti volumi, almeno per quanto io ne abbia memoria, quest’ultimo romanzo ha un avvio piuttosto lento, ma superate le prime cinquanta pagine la narrazione diviene fluida e scorrevole.

La storia entra nel vivo facendosi avvincente e popolandosi di numerosi personaggi uno più affascinante e accattivante dell’altro, l’intreccio si fa coinvolgente ed il lettore rimane intrappolato nella trama, tessuta dall’autore come una sottile ragnatela, in cui non mancano continui colpi di scena ed ogni cosa non è mai come sembra.

Barcellona stessa diventa protagonista del romanzo: una città dalle atmosfere cupe e dall’aspetto inquietante come inquietanti sono i personaggi che la popolano.
Ancora una volta Carlos Ruiz Zafón riesce a trasmetterci l’immagine di una Barcellona spettrale che nasconde un’anima nera, il luogo perfetto dove ambientare le sue storie fatte di mistero, intrighi ed arcani segreti.

Barcellona è bella e pericola proprio come Alicia Gris, la vera protagonista di questo ultimo capitolo della quadrilogia.

Alicia è una donna dal passato difficile, una donna enigmatica e complicata, fredda e calcolatrice, un personaggio uscito dall’inferno, un diavolo tentatore, ma allo stesso tempo è anche una giovane donna che sa mascherare le sua fragilità e le sue debolezze, perché Alicia è in realtà un angelo caduto che, a dispetto della apparenze, soffre per la propria solitudine.

“Il labirinto degli spiriti” è popolato da un’infinità di figure; come in ogni storia ci sono “i buoni” e ci sono “i cattivi” e poi ci sono quei personaggi di difficile collocazione, pieni di contraddizioni, affascinanti e pericolosi come Vargas, l’ispettore di polizia, e come la stessa Alicia, perché nella vita nulla è mai o bianco o nero, ma ogni cosa è caratterizzata da tante sfumature di grigio.

Alicia Gris riesce a conquistare il lettore fin dalle prime pagine come pochi personaggi sono in grado di fare e non è per nulla facile doversi separare da lei alla fine del romanzo.

“Il labirinto degli spiriti” è un romanzo che racconta un mondo fatto di luci ed ombre, un libro intenso, emozionante e ricco di sorprese, un racconto intriso di magia capace, come pochi altri, di tenere il lettore incollato alle sue pagine fino all’epilogo finale.



                                                                                                                                                


martedì 5 marzo 2019

“La spada e il rosario” di Adriana Assini


LA SPADA E IL ROSARIO
di Adriana Assini
SCRITTURA & SCRITTURE
Nell’anno 1516 il Regno di Sicilia è ancora sotto il giogo spagnolo e Palermo è governata in modo sconsiderato dal viceré Hugo de Moncada.

Re Ferdinando II è in punto di morte e presto dalle lontane Fiandre gli succederà il nipote Carlo che, se poco conosce gli affari spagnoli, tanto più ignora la situazione politica siciliana.

In questo clima rovente un gruppo di mercanti di origini pisane, capeggiati da Gian Luca Squarcialupo, insieme ad un nutrito numero di nobili palermitani tramano nell’ombra per rovesciare il governo spagnolo e riportare sul trono palermitano qualcuno originario del luogo nel tentativo di cambiare il deplorevole stato delle cose.

Ai limiti della bancarotta e strangolati dai debiti e dalle tasse, afflitti dall’ascesa economica di famiglie dell’alta burocrazia e della finanza sostenute dal viceré, la nobiltà isolana e la classe mercantile versano in pessime condizioni economiche.

Morto Ferdinando II, Hugo de Moncada verrà sostituito dal nuovo protetto della corona spagnola, Ettore Pignatelli, ma nulla cambierà per la popolazione che continuerà ad essere oggetto di malversazioni ed  ingiustizie.

La logica di governo resterà quella che secoli dopo sarà riassunta perfettamente nella famosa frase fatta pronunciare da Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Tancredi nel suo “Il Gattopardo”: Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Espressione che Adriana Assini fa sua facendo pronunciare a Squarcialupo le seguenti parole:

In Continente lo sanno bene che la Sicilia è una mucca da mungere (…). In apparenza tutto cambia, ma non nella sostanza.

Ma chi è Gian Luca Squacialupo, il protagonista di “La spada e il rosario”?

Nato a Palermo da genitori pisani, lo Squacialupo si sente palermitano al cento per cento.
Innamorato da sempre della bella e fiera Francesca Campo, non ha però esitato a sposare un’altra donna la cui dote gli ha permesso di estinguere i suoi tanti debiti, debiti che immediatamente hanno iniziato ad accumularsi nuovamente, non essendo egli in grado né di fare economia né di contenersi negli appetiti di qualsiasi genere essi siano.

Gian Luca Squacialupo è un capopopolo nato, impulsivo, ostinato ed impaziente, uno che ha fegato da vendere.
E’ pieno di contraddizioni, non solo in campo amoroso, ma è anche un amico fidato, un uomo d’onore, un uomo che sa mantenere i patti.

A fare da contraltare a Gian Luca Squacialupo troviamo un altro personaggio, Vincenzo De Benedetto, un arrivista meschino e gretto, un doppiogiochista che pur di raggiungere i propri fini non si fa scrupolo di tradire i compagni e persino il suo stesso fratello.

Gian Luca Squarcialupo non è perfetto, anch’egli all’inizio come gli altri non esita ad anteporre i propri interessi a quelli del prossimo, ma alla fine arriva ad appassionarsi veramente al diritto e alla giustizia.

Per Vincenzo De Benedetto invece non c’è alcuna redenzione, egli è un giuda che non cerca né desidera il riscatto, fino alla fine troverà delle giustificazioni ai misfatti commessi scorgendo sempre il modo di addossare agli altri la colpa.

Tra Squarcialupo e Vincenzo troviamo il personaggio di Cristoforo, migliore amico del primo e fratello del secondo; sempre pronto a schierarsi a fianco di Gian Luca e a giustificare i comportamenti di Vincenzo, sottovalutandone la pericolosità.

Cristoforo De Benedetto, forte e nobile, onesto e leale, non riesce purtroppo a comprendere quanto invidia, gelosia e sete di potere abbiano reso suo fratello Vincenzo un uomo abietto e spregevole.

Adriana Assini ancora una volta riesce ad offrirci un piccolo affresco di un tempo lontano e lo fa, come sempre, attraverso minuziose e dettagliate descrizioni dell’epoca e dei luoghi, ma soprattutto affascinandoci con personaggi seducenti ed intriganti.

Le parole in palermitano, i detti popolari, tutto concorre a rendere vivo il racconto tanto che al lettore sembra davvero di assistere a quegli stessi fatti in prima persona.

E’ già il terzo libro che leggo di questa autrice eppure ogni volta resto incantata davanti alla sua abilità nel saper rendere la narrazione così scorrevole e coinvolgente, davanti alla sua bravura nel riuscire in poche righe a delineare perfettamente la scena sulla quale si muovono i suoi personaggi sempre così veri e vitali.

Nel sottotitolo del libro però sono nominati anche altri personaggi: chi erano i Beati Paoli?

La loro esistenza è legata ad una leggenda palermitana; chi loro fossero in realtà  non è dato sapere. Forse una setta religiosa? Qualcuno pensa che fossero dei monaci appartenenti all’ordine di San Francesco da Paola o forse chissà non erano neppure veri religiosi.
Nessun documento purtroppo è giunto fino a noi che ci parli di loro, tutto si rifà solamente alla tradizione orale.

Si narra si incontrassero nelle grotte sotterranee di Palermo e che incutessero timore ai nemici.
Ma chi erano i loro nemici? La leggenda narra che i Beati Paoli fossero schierati dalla parte del popolo, fossero difensori degli oppressi, ma c’è anche chi invece ritiene che i loro interessi fossero di tutt’altra natura e che i Beati Paoli fossero tutt’altro che uomini onesti e virtuosi.

Quale sia il ruolo svolto dai Beati Paoli nel romanzo di Adriana Assini lascio a voi il compito di scoprilo, non vi svelerò il mistero, per cui se volete saperne di più non vi resta che leggere il libro, certa che non ne resterete delusi.

“La spada e il rosario” è infatti un avvincente romanzo storico popolato da personaggi affascinanti e misteriosi che riaffiorano da un passato dimenticato e sfuggente.

Un libro assolutamente da leggere.
  


Della stessa autrice nel mio blog:





sabato 2 marzo 2019

“Che colore hai il vento?” (a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia)


CHE COLORE HA IL VENTO?
A cura di Marina Panatero e Tea Pecunia
FELTRINELLI
Il libro a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia è una raccolta di insegnamenti zen utili, come suggerisce il sottotitolo del  volume stesso, come rimedio a questi tempi terribili.

Lo zen ci aiuta a non sprofondare nell'abisso della quotidianità e dello stress giornaliero, ci aiuta a trasformare il dolore in qualcosa di positivo, ci trasmette accettazione, empatia, equanimità ed amore, ci aiuta a scacciare le paure e allontanare le tensioni.                                                                                                                                     
Sebbene i suoi insegnamenti all'apparenza sembrino molto semplici, chiunque può effettivamente avvicinarsi ad essi anche solo attraverso la lettura, in realtà per raggiungere dei risultati concreti, come per ogni cosa, servono molta costanza ed allenamento.

Il libro inizia con un’introduzione che racconta la storia dello zen partendo dall'etimologia della parola stessa.

Zen è la pronuncia giapponese della parola cinese ch’an, parola che deriva a sua volta dalla trascrizione fonetica del vocabolo che significa “meditazione” in sanscrito ed in pali, entrambe lingue indiane.
Il buddhismo è infatti nato proprio in India mentre lo zen è una scuola buddhista nata in Cina e poi sviluppatasi in Giappone.

Lo zen non lo si può definire né una filosofia né una religione, ma piuttosto un insegnamento il cui scopo è portare al risveglio, all'illuminazione.

Nella prima parte del libro si parla dei sutra, letteralmente in sanscrito “filo per infilare le perle”.
I sutra sono raccolte di parole attribuite al Buddha e ai maestri messe insieme nel corso di un numero vastissimo di generazioni, possono quindi definirsi a tutti gli effetti il corpus dei testi zen.

Nella seconda parte del libro si passano in rassegna i maggiori maestri zen raccontando qualche aneddoto della loro vita e di come abbiano raggiunto l'illuminazione.
Bisogna precisare che nello zen la trasmissione degli insegnamenti, nonostante sia giunto a noi un corpus di scritti, non avviene né tramite la comunicazione scritta né tramite la comunicazione verbale, ma piuttosto attraverso una fusione tra il maestro ed il discepolo, fusione che si compie attraverso l’intuizione da parte del discepolo degli insegnamenti del proprio maestro.

Ogni maestro poi nel passato aveva la sua tecnica di insegnamento e c’era addirittura chi ricorreva ad urla e colpi di bastone per aiutare i propri discepoli a raggiungere l’illuminazione.

La terza parte del libro ci parla del Bushido, la Via del guerriero, o meglio dello stretto legame tra lo zen e i samurai; il Bushido infatti è profondamente permeato dallo spirito zen.
Fondamentali insegnamenti per il samurai sono la libertà dall'attaccamento, il saper lasciare andare e l’importanza di riuscire a vivere nel presente, nel qui e ora.
L’attaccamento alle cose ci rende schiavi perché è dall'attaccamento che nascono le nostre emozioni distruttive; libertà è anche comprendere che i dualismi non esistono perché dove ci sono tracce di affermazione e di negazione, là la mente si perde nella confusione.

Il legame tra zen e poesia è molto forte in quanto per entrambi l’espressività va oltre la parola; a questo aspetto è dedicata la quarta parte del volume.

I detti popolare sono però altrettanto importanti per lo zen e pertanto a loro è dedicata la quinta parte del libro intitolata proprio “Detti popolari di saggezza zen” nella quale vengono riportati alcuni esempi di attimi di illuminazione.

Nella sesta ed ultima parte del libro ritroviamo un breve ed interessante racconto intitolato “Il maestro e lo scorpione”.
Da esso traiamo un fondamentale insegnamento ossia l’importanza di assecondare la nostra natura, mantenendoci saldi nelle nostre azioni e seguendo sempre la nostra coscienza.
La nostra coscienza è infatti il nostro vero essere, la nostra reputazione invece è solo ciò che gli altri credono che noi siamo e pertanto non ci deve interessare.

Per chi non conosce nulla degli insegnamenti zen “Che colore ha il vento?” è un libro pieno di ispirazione che stuzzica la curiosità del lettore spingendolo ad avvicinarsi a queste dottrine che mostrano la possibilità di vedere le cose da una prospettiva completamente diversa.

Chi di noi non vorrebbe infatti essere capace di liberarsi delle paure, delle ansie e dello stress quotidiano?
Leggere questi aforismi può essere un primo passo per trovare la strada, se non proprio per l’illuminazione, almeno per una vita più libera e consapevole.

Troppo spesso, infatti, si tende a vivere in attesa di un evento che cambierà per sempre le nostre vite, senza renderci conto che quel momento non arriverà mai perché in realtà quel momento non esiste, l’unica cosa che conta è il qui e ora, la vera vita è il presente, bisogna pertanto evitare di restare intrappolati nel passato così come di farsi condizionare dal futuro.


Facciamo distinzione tra
pioggia, grandine, neve e ghiaccio,
ma quando si sciolgono,
diventano tutti
acqua del fiume della valle.
(Ikkyu Sojun)