lunedì 29 giugno 2020

“Regina di sangue” di Joanna Courtney


REGINA DI SANGUE
di
Joanna Courtney
BEAT EDIZIONI
Nel Regno di Alba, meglio conosciuto oggi con il nome di Scozia, nell’XI secolo due casati si contendevano il trono.

Il casato di Aed e il casato di Costantino avrebbero dovuto in teoria rispettare l’antica legge secondo la quale i discendenti di entrambi i casati dovevano sedere a turno sul trono, ma Re Malcolm II, discendente della linea di Costantino, aveva deciso di interrompere questa tradizione.

Cora Mac Duff e suo fratello Kendrick, figli di Mormaer Lachlan, fratello del re, ancora bambini furono gli unici della loro famiglia a salvarsi dall’attentato ordito dallo stesso Malcolm II.
Trovarono rifugio nella provincia settentrionale del Moray, presso Mormaer Finlay, padre di Macbeth.

Il principe Macbeth possedeva una bellezza in grado di attirare gli sguardi di tutte le fanciulle e anche Cora si era ovviamente innamorata di lui.

Cora, però, nonostante fossero passati ormai diversi anni da quando aveva dovuto assistere impotente al massacro della propria famiglia, era ancora troppo piena di odio verso chi le aveva procurato tanto dolore.
Non poteva accettare l’idea di essere felice accanto all’uomo che amava, almeno finché non fosse prima riuscita ad ottenere la sua vendetta

Così, quando Macbeth le aveva chiesto di sposarlo, ella aveva tentennato e aveva accettato solo nel momento in cui egli le aveva rivelato che, in quanto discendente della linea di Aed, egli stesso avrebbe potuto rivendicare il trono per loro, per il suo risarcimento.
La sorte però segue spesso vie misteriose e Cora, prima di poter coronare il suo sogno di diventare Lady Macbeth prima e regina di Alba poi, aveva ancora dure prove davanti a sé da affrontare.

Re Malcolm II era un sovrano che si serviva della forza e della paura per governare il paese.

A malincuore aveva riconosciuto nel nipote Duncan il suo successore, egli non lo convinceva pienamente in quanto lo riteneva un ragazzo  troppo debole.
Per questo motivo aveva chiesto al genero, l’abate Crinan, il padre di Duncan, di trovare al ragazzo una moglie dal carattere forte e determinato che lo sapesse affiancare in futuro nel difficile compito che lo attendeva.

La scelta era caduta su Sybill, la sorella del conte Ward.
Sybill e Ward erano figli di una comunità di pescatori danesi, il loro paese dieci anni prima era stato attaccato dalla temibile tribù di Wend, lei aveva solo otto anni all’epoca e lui sedici.
Riusciti a fuggire, una volta in salvo, avevano raggiunto l’Inghilterra con l’esercito di Cnut dove Ward si era fatto strada prima come soldato di fanteria, poi come guardia, in seguito come huscarlo reale fino a diventare conte della Northumbria meridionale.

“Regina di sangue” è un romanzo coinvolgente e appassionante, capace di catturare l’attenzione del lettore fin dal prologo.

I personaggi sono tutti affascinanti e Joanna Courtney è bravissima nel saper ricreare le atmosfere dell’epoca, tanto che il lettore si ritrova calato egli stesso nella Scozia dell’XI secolo riuscendo ad immedesimarsi nelle vicende come se gli avvenimenti si svolgessero proprio attorno a lui.

E’ difficile schierarsi per l’uno o per l’altro casato, in entrambi gli schieramenti ci sono personaggi con cui inevitabilmente si crea un rapporto empatico.

Le regine provengono ambedue da storie molto simili, entrambe costrette a fuggire fin da piccole dopo aver assistito ad orrendi massacri, hanno dovuto lottare duramente per affermare la loro posizione.

Tra Cora e Sybill è la prima quella più assetata di vendetta, tanto che a volte si fatica a comprendere la forza di tanto odio che sembra albergare in lei, ma è anche quella che ha perso di più e a cui la vita ha riservato spiacevoli sorprese anche in età adulta.

Due donne segnate da un’infanzia traumatica, entrambe destinate ad un grande futuro, entrambe destinate ad essere regine, mogli e madri di re, ma soprattutto due donne forti, caparbie, a cui la vita non ha mai regalato nulla, dotate di una resilienza, di un’intelligenza e di una tempra non comuni.

Due donne così simili eppure allo stesso tempo così diverse: Cora è una nobile per nascita, il sangue reale scorre nelle sue vene mentre Sybill è figlia di pescatori, la sua è una nobiltà conquistata sul campo.

Accanto a Cora e Sybill, vere protagoniste di questo romanzo, troviamo numerosi personaggi maschili, impossibile parlare dettagliatamente di tutti loro.

Tre più di tutti però colpiscono la fantasia del lettore: Duncan, Maldred e Macbeth.

L’amore tra Cora e Macbeth nasce quando sono ancora ragazzi e nonostante le numerose battaglie, le innumerevoli avversità, nulla può scalfire i loro sentimenti, il loro amore è per sempre.
Macbeth accetta di diventare re semplicemente per amore della sua regina, egli ama le sue terre, è un uomo del nord, ma per Cora è disposto a farsi carico del trono di Alba.

Duncan e Maldred sono fratellastri, nati dallo stesso padre, ma è Duncan il secondogenito quello che può vantare il diritto al trono in quanto nipote di Re Malcolm II per parte di madre.
Duncan è un uomo buono, ma insicuro e non adatto al comando.
Sybill riconosce la sua fortuna per esserle toccato in sorte un marito così devoto e gentile, ma non può in cuor suo dimenticare che è Maldred colui di cui è innamorata.
Maldred è un uomo vigoroso, energico, ma anche rispettoso delle leggi e non farebbe mai nulla che potesse disonorare o mettere in pericolo il fratello; non lo ha mai invidiato perché un giorno sarebbe diventato re, ma non può in cuor suo non provare gelosia perché il destino gli ha concesso la donna di cui egli stesso è innamorato.

I personaggi di “Regina di sangue” sono davvero molto numerosi e ognuno di essi ha una storia affascinante da raccontare.

Il libro di Joanna Courtney è  uno splendido romanzo corale dove violenza, amore, morte, passione si avvicendano pagina dopo pagina riportando in vita un mondo spietato in cui per sopravvivere era necessario bandire dal proprio cuore ogni forma di misericordia e di umanità.

“Regina di Sangue” è forse uno dei romanzi storici più belli che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi, è un libro emozionate, coinvolgente e dai personaggi indimenticabili, un romanzo assolutamente imperdibile e al quale è difficile rendere giustizia attraverso una semplice recensione.

In verità questo libro è il primo romanzo di una trilogia con cui l’autrice ha voluto esplorare il mondo delle donne shakespeariane, gli altri due volumi sono dedicati ai personaggi di Ophelia e di Cordelia.

Inutile sottolineare che non vedo l’ora di poter leggere il prossimo romanzo che spero esca presto in edizione italiana.




venerdì 26 giugno 2020

“Giallo Solidago” di Simone Censi


GIALLO SOLIDAGO
di
Simone Censi
ZeroUnoUndici Edzioni
Padre Gino e il cappellano Carlo trovano in chiesa un uomo svenuto forse a causa di una brutta botta alla testa.
L’uomo non ha con sé i documenti, ha perso la parola e sembra non ricordare nulla del suo passato.
In attesa che ritrovi la memoria, padre Gino lo accoglie nella sua comunità e sceglie per lui temporaneamente un nome, Salvatore.

Un sedicente scrittore, stanco del proprio lavoro e incapace di affrontare la moglie, frustrato in ogni sua aspirazione letteraria, sceglie una fuga disonorevole.
Decide cioè di punto in bianco di lasciarsi tutto alle spalle e sparire senza lasciare alcuna traccia.
Trova rifugio sui treni, viaggia costantemente senza mai scendere, se non per cambiare treno, tentando di scrivere un romanzo giallo.
Unica sua compagnia la vocina che ha in testa e con la quale battibecca costantemente.

Il commissario Morelli è un tipo collerico che, proprio a causa di questo suo carattere, è stato confinato a Borgo Alba, un paesino sperduto nelle Marche.
Il rapporto con la moglie Pina, della quale il commissario è ancora innamoratissimo, è totalmente in crisi.
Lei è quanto mai decisa infatti a vendicarsi del marito per colpa del quale è stata costretta a trasferirsi in quel buco di paese, lontana dalla città e dalle sue amiche.
Un giorno però proprio a Borgo Alba dove non accade mai nulla di inconsueto, avviene un evento straordinario che finisce su tutti i giornali nazionali; un caso di duplice omicidio avvenuto proprio nella stazione del paese, le vittime un barbone e un capostazione.
Il fatto potrebbe essere il punto di svolta per Morelli.
Il commissario potrebbe risolvere brillantemente il caso e riabilitarsi agli occhi dei suoi superiori, tanto da riuscire ad ottenere un buon trasferimento, oppure essere la sua fine, restare per sempre relegato a Borgo Alba o peggio, potrebbe essere spedito in qualche luogo ancora più brutto, sempre che tale luogo esista.

Se vi state chiedendo cosa sia il giallo Solidago, vi dico subito che la Solidago è un’erba che cresce spontanea e che produce dei fiorellini gialli, appunto; quest’erba la si trova spesso anche lungo i binari delle ferrovie. 

Soddisfatta dunque questa piccola curiosità sul titolo, passiamo ad analizzare questo strano romanzo di Simone Censi.

In verità il romanzo non è uno di quei libri che parte col botto e che invoglia la lettura fin dalle prime righe, ma superate le prime pagine piuttosto lente, il racconto si vivacizza tanto che diventa difficile interromperne la lettura.

La lentezza delle prime pagine potrebbe essere anche voluta dallo stesso Censi in quanto necessaria all’economia del romanzo come indurrebbe a pensare il dialogo tra l’autore e la sua vocina interiore, per autore qui non mi riferisco a Simone Censì, bensì al protagonista di una delle storie del libro.

Il romanzo presenta tre piani narrativi e altrettanti protagonisti: l’uomo che ha perso la memoria, lo scrittore di romanzi gialli e il commissario Morelli.

Quale legame ci sia tra il primo protagonista e gli altri due, lo si può solo intuire, la rivelazione infatti arriverà solo alla fine della storia.

Il legame tra gli altri due invece è chiaro fin da subito: il commissario Morelli è il protagonista del romanzo che sta scrivendo l’uomo in fuga sui treni.

Lo scrittore dialoga continuamente con la voce dentro la sua testa che per il lettore diviene essa stessa un personaggio del romanzo.
Lo scrittore ed il suo ego si confrontano incessantemente su come dovrebbe procedere il libro.
La vocina interiore incarna lo spirito critico dello scrittore e controlla quindi il suo processo creativo.
                                                                                                                          
Questa parte, piuttosto lenta dal punto di vista della narrazione, ha una sua valenza perché ci dà la possibilità di comprendere quali siano i vari passaggi necessari a costruire la trama di un romanzo giallo.

Il vero protagonista di “Giallo Solidago” è però il commissario Morelli e a lui il lettore si affeziona fin da subito, già da quando è solo un embrione nella mente del suo autore.

Il commissario Morelli non assomiglia a nessuno dei commissari della letteratura giallistica italiana, è diverso proprio per stesso volere del suo autore.

Scontroso, irascibile, irriverente, sotto sotto Morelli è però un ottimo elemento; un po’ guascone, questo sì, ma non è uno sprovveduto come si potrebbe essere portati a credere.
Nonostante infatti all’apparenza egli risolva i casi solo grazie alla fortuna, in realtà, pagina dopo pagina, il lettore comprende che le intuizioni del commissario non possono essere sempre solo frutto di favorevoli coincidenze, ma anche frutto delle sue efficaci capacità investigative.

Ad affiancarlo nel lavoro troviamo il suo vice, Segapeli, un ragazzo sveglio, puntale e preciso, che mi ha ricordato molto il personaggio di Fazio nei film di Montalbano tratti dai romanzi di Camilleri.

Come in ogni romanzo giallo che si rispetti a completare il quadro troviamo: un medico legale,  il dottor Passacantando, un questore, il dottor Panzanera, e l’immancabile antagonista che qui risponde al nome di Luzerda.

Luzerda, descritto come un arrivista e pure porta sfiga, è una vecchia conoscenza del commissario Morelli con il quale ha un conto in sospeso.

“Giallo Solidago” è un romanzo dalla struttura narrativa piuttosto complessa, ma l’autore dimostra grande abilità nel saperla gestire brillantemente.
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I personaggi sono ben delineati e, contrariamente a quanto potrebbero far pensare i loro nomi grotteschi, difficilmente si rivelano essere delle macchiette a parte alcuni casi come il cinese Yè e il poliziotto Passolento, un po’ il Catarella di Montalbano.

Una scrittura fluida, una trama avvincente e un racconto carico di ironia sono gli ingredienti principali di questo romanzo davvero particolare, capace di intrigare il lettore con il suo racconto e di farlo sorridere con le sue battute beffarde e canzonatorie. 





lunedì 22 giugno 2020

“Cospirazione Medici” di Barbara Frale


COSPIRAZIONE MEDICI
di
Barbara Frale
NEWTON COMPTON EDITORI
Giugno 1478, a pochi mesi dalla congiura dei Pazzi e dalla morte di Giuliano de’ Medici, assassinato barbaramente durante la messa nel Duomo, Lorenzo il Magnifico viene avvicinato da un frate che lo conduce sul luogo dove giace in stato di putrefazione il cadavere del suo nemico Jacopo Pazzi.

Il corpo è stato dissotterrato da alcuni ragazzi che intendono farlo a pezzi prima di gettarlo nell’Arno in segno di scherno.
Lorenzo rimane sconvolto alla visione dello scempio che si sta perpetrando ai danni del cadavere del suo nemico, ma allo stesso tempo è irremovibile sul suo desiderio di vendetta.

Lorenzo si pente di aver ceduto alla seduzione del potere, ma è ben consapevole ormai da tempo che solo governando con il pugno di ferro gli sarà possibile tenere al sicuro la famiglia.
Su di lui pesa terribilmente il senso di colpa per non essere stato capace di proteggere suo fratello come sarebbe stato suo dovere fare.

Giuliano non aveva mai rivestito un ruolo di spicco nella politica fiorentina, la sua era una figura secondaria nelle vicende della Signoria, uno strumento nelle mani del fratello più scaltro e avvezzo al governo.
Ma allora perché ucciderlo? Perché volersi disfare di lui e accanirsi così tanto sul suo corpo inferendogli così tanti colpi? Chi avrebbe potuto trarre vantaggio dalla sua morte?

Il frate conosce particolari della vicenda sconosciuti a Lorenzo de’ Medici e spera che questi, una volta messo a parte della verità, sarà finalmente in grado di perdonare se stesso per la morte del fratello e magari anche rinunciare al suo insano desiderio di vendetta.

Il romanzo è quindi incentrato principalmente sulla figura di Giuliano.

Fratello minore di Lorenzo Il Magnifico, egli viveva da sempre nell’ombra del capofamiglia che raramente gli lasciava autonomia e, quando questo accadeva, spesso frustava poi ogni sua iniziativa con doloroso imbarazzo di Giuliano.

Il suo vero momento di gloria Giuliano lo ebbe nella primavera del 1475 quando trionfò in una giostra organizzata da Lorenzo dedicando questa sua vittoria alla donna da lui amata, Simonetta Cattaneo, moglie di Marco Vespucci.

Di quel suo momento di trionfo e della bella Simonetta, la san par, possiamo ancora oggi leggere nell’opera dedicata a questo evento da Angelo Poliziano.

Simonetta morì l’anno successivo a quello del torneo.
Per Giuliano la perdita dell’amata fu un duro colpo, incapace di elaborare il lutto, egli non si faceva scrupolo di vanificare uno dopo l’altro ogni progetto matrimoniale che il fratello aveva in serbo per lui.

Un giorno però Giuliano incontra Semiramide Appiani e la incontra proprio nello studio di Botticelli laddove un tempo aveva visto per la prima volta la sua Simonetta.

Il giovane Medici rimane affascinato dalla donna poiché Semiramide è la copia esatta della defunta Simonetta, sua parente per parte di madre.

Giuliano sente di essere tornato alla vita, capace di provare di nuovo dei sentimenti, ma purtroppo la via per la felicità non è così semplice.
Il suo primo amore gli era stato strappato dalla nera signora, Semiramide invece è promessa sposa niente meno che a Francesco Pazzi, membro della famiglia rivale dei Medici.

Riuscirà Giuliano a conquistare Semiramide? E soprattutto suo fratello Lorenzo accetterà di aiutarlo?

Il romanzo di Barbara Frale si muove su un terreno conosciuto e materia di numerosi romanzi: la congiura dei Pazzi, il ruolo di secondo piano di Giuliano accanto all’abile fratello, la disperazione di Giuliano per la morte di Simonetta.

“Cospirazione Medici” però, a differenza della maggior parte dei romanzi che hanno come protagonista la famiglia Medici, racconta una versione leggermente diversa dei fatti o meglio pone interrogativi che gli storici si sono spesso posti, ma che difficilmente si ritrovano nei romanzi di questo filone così prolifico ai nostri giorni.

Ci sono teorie secondo le quali a volere la morte di Giuliano potesse essere stato proprio lo stesso Lorenzo de’ Medici consapevole che il fratello, apprezzato per il carattere più moderato del suo, sarebbe stato preferito a lui da buona parte del popolo di Firenze.
Questa teoria ovviamente non trova alcun riscontro nelle fonti storiche, ma ciò non ha impedito a Barbara Frale, pur smentendola, di riportarla nel suo romanzo.

La vera novità però è rappresentata dalla storia d’amore di Giuliano de’ Medici e Semiramide Appiani, nipote di Simonetta Cattaneo, che nel libro della Frale viene invece presentata come cugina della san par.

In verità, tra le tante possibili mogli a cui Lorenzo aveva pensato per il fratello, non si esclude possa esserci stata anche la stessa Semiramide, figlia del signore di Piombino, che sposò poi Pierfrancesco de’ Medici, figlio del cugino del Magnifico, Lorenzo il Popolano.

Qui si apre poi un altro possibile scenario ancora dibattuto dagli esperti: “La Primavera”, famosa opera di Sandro Botticelli, commissionata da Pierfrancesco de’ Medici, ritraeva Simonetta, Semiramide o entrambe sono rappresentate nel dipinto?

Il romanzo di Barbara Frale è molto scorrevole e si legge tutto d’un fiato, il ritmo è incalzante e i personaggi davvero ben costruiti.

Il libro non difetta di verità storica soprattutto per quanto riguarda la descrizione degli affari del banco, ma questa verità passa in secondo piano, come è giusto che sia, quando ciò diventa necessario per l’economia del romanzo.

Lorenzo de’ Medici è descritto come un freddo calcolatore che non si fa alcuno scrupolo di usare gli altri per raggiungere i propri scopi.
A differenza di suo padre Piero e di suo nonno Cosimo egli però manca quasi completamente del senso della misura.
È un uomo molto innamorato della moglie Clarice Orsini.

Questo è il primo romanzo, tra i tanti che ho letto, nel quale Clarice viene descritta come una donna bella e affascinante in grado di ammaliare e sedurre il marito oltre a suscitare ammirazione e desiderio negli uomini che incontra.
Donna intelligente e di forte personalità, Clarice entra in contrasto spesso con la suocera Lucrezia, donna altrettanto intelligente, ma molto diversa per educazione e formazione.

Giuliano ha senza dubbio una visione politica meno spregiudicata del fratello, ma è pur sempre un Medici e pertanto come tutti i Medici è altero e orgoglioso.
Tanto Lorenzo è calcolatore, quanto Giuliano è invece impulsivo.
Giuliano sembra non conoscere le mezze misure quando si tratta di sentimenti.
Amava Simonetta di un amore infinito e la sua perdita lo aveva stordito gettandolo in una profonda apatia.
L’incontro con Semiramide riaccende in lui la passione, ma per chi come me è abituato a leggere libri in cui la coppia per eccellenza è quella formata da Giuliano e Simonetta, non è così semplice riuscire ad accettare questa variazione del tema.

Viene spontaneo chiedersi: Giuliano nota Semiramide per la sua somiglianza con Simonetta, ma poi si innamora veramente di lei? Oppure mentre prima si recava in chiesa per ritrovare il volto della sua amata nei dipinti di Botticelli ora si serve semplicemente di Semiramide per cercare di riportarla in vita?

E Semiramide che sa di essere stata scelta da lui per la somiglianza con Simonetta, non ne è gelosa? Ama davvero Giuliano oppure siamo di fronte ad un processo di trasposizione inconsapevole, Semiramide si identifica con Simonetta?

Il romanzo di Barbara Frale è solo all’apparenza uno dei tanti libri che seguono il filone assai sfruttato del momento, in realtà “Cospirazione Medici” è un romanzo in grado di regalare emozioni e lasciar correre la fantasia del lettore.




sabato 20 giugno 2020

“Se fossi fuoco, arderei Firenze” di Vanni Santoni


SE FOSSI FUOCO, ARDEREI FIRENZE
di
Vanni Santoni
EDITORI LATERZA
Il titolo, evidente richiamo al famoso sonetto di Cecco Angiolieri “S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo”, è senza dubbio un titolo in grado di incuriosire un possibile lettore.

Il libro non è un romanzo vero e proprio, ma piuttosto un insieme di brevi racconti che si susseguono concatenati l’uno all'altro.
Un personaggio con la sua storia incontra un altro personaggio e qui la narrazione si sposta sul protagonista della nuova storia fino a ritornare al punto di partenza; unico filo conduttore le strade di Firenze, ecco quindi spiegato il motivo della pianta della città all'inizio del volume.

I personaggi appartengono alle più svariate categorie: artisti di strada, studenti d’arte, artisti mancati, figli di papà e modaioli, spacciatori e spostati, avvocati, tutti protagonisti, ognuno a suo modo, della movida e spesso della mala-movida fiorentina.
Alcuni di loro sono fiorentini, altri sono giunti a Firenze in cerca di qualcosa, attirati dall'intramontabile fascino della città d’arte.

Nessuno di loro è soddisfatto della propria vita, tutti loro sono alla ricerca di qualcosa di sfuggevole ed indefinito, per alcuni di loro è la fama, per altri l’amore, per altri ancora un’ispirazione; ognuno è infelice a modo suo nella continua ricerca dell’inafferrabile affermazione del proprio essere.

La città fa da sfondo alle loro storie, ma in realtà è Firenze stessa la vera protagonista del romanzo.
Una Firenze che sembra immobile, ferma nei secoli, ma dalla quale se ci si allontana anche solo per poco, si rischia di ritrovarsi tra facce sconosciute come accade a Maddalena.  

Firenze seduce e affascina e per quanto la si voglia lasciare, non è facile compiere questo passo; è come un’amante esigente, disinteressata ed egoista.

A Firenze sembra non sia possibile potersi ritagliare un proprio spazio e costruirsi una vita senza appoggiarsi ad una rete di conoscenze e amicizie; Ashlar si chiede se questo accada solo nella sua città o sia così in ogni parte del mondo.
Magari si dice Ashlar  l’unica differenza di chi, come lei, abita a Firenze è potersi gustare un panino al lampredotto piuttosto che mangiare del sushi.

La lunga galleria di personaggi, Diego, Gaia, Sylvie, Mattia, Niccolò, Vieri… le cui esistenze sfilano sotto i nostri occhi pagina dopo pagina, sono anche un pretesto per condurci a spasso per le strade e le piazze di Firenze.
Così, insieme ai numerosi protagonisti del libro, ci ritroviamo su Ponte alla Carraia, in Borgo Albizi, Piazza Strozzi, Via Tornabuoni, Piazza della Passera, Via Gino Capponi…

Santoni descrive una Firenze chiusa, di gente chiusa, una città che sembra condannata a volgere lo sguardo sempre al passato, una città oggi inadatta ed incapace di produrre arte.

Firenze sembra essersi adagiata sui suoi fasti passati e, in questo suo vivere nel tempo che è stato, sembra trascinare con sé i suoi abitanti, fiorentini e non, che non possono che restare soggiogati da tanta bellezza.
Un rapporto d’amore ed odio quello che li lega alla loro città natale o adottiva che sia; impossibile per loro sottrarsi al suo fascino così da essere inevitabilmente condannati anch'essi a condurre un’esistenza pigra e irregolare come quella della città.

Lo ammetto, all'inizio ho odiato questo libro: l’immagine di Firenze che Santoni presenta è quella di una città molto diversa da quella che tutti noi conosciamo o meglio da quella che tutti noi vogliamo credere che sia.

Firenze nonostante la sua bellezza non è una città che si lasci amare subito, se ne può rimanere immediatamente ammaliati, ma non la si può capire ad un primo incontro.
Troppi turisti, troppo caos per coglierne il carattere; Firenze nonostante sembri una città cosmopolita, come potrebbe essere ogni altra città d’arte, prendiamo Roma per esempio, in verità è invece una città molto chiusa e forse anche po’ provinciale, senza voler dare assolutamente alcuna accezione dispregiativa al termine.

Due dei protagonisti del libro, Mattia e Gaia, si interrogano sull'aurea lisa e logora che aleggia su Firenze, chiedendosi quale fiorentino oggigiorno potrebbe essere meritevole di una statua a lui dedicata nel Piazzale degli Uffizi, la risposta è nessuno.

Firenze era fucina di idee un tempo, oggi non è più in grado di produrre nulla, ma forse questo non è solo il problema del capoluogo toscano, forse, se ci soffermiamo un attimo a pensare, è il problema dell’intera Italia.
Ai giorni nostri è impensabile anche solo sperare di veder nascere un genio del calibro di Leonardo Da Vinci.

Firenze si è lasciata trasformare in una città per i turisti, in una città viziata che si è chiusa in se stessa, in nome di un turismo di massa spesso per assurdo irrispettoso della sua storia e della sua bellezza.

Il libro di Santoni in fin dei conti è un pugno nello stomaco per chi vuole continuare a coltivare l’immagine di una Firenze fuori dal tempo, perché apre gli occhi su quelle che sono anche le problematiche di una città contemporanea; il suo libro è a tratti dissacrante e demistificatore, ma reale e vero come la città dei giorni nostri.

Durante la lettura spesso ci si trova ad interrogarsi sulla vita dei protagonisti e ci sei chiede se sia possibile condurre un’esistenza piena e felice a Firenze, ma il male di esistere che si incontra tra le pagine di questo libro non è diverso da quello che provano le persone in qualunque città essi vivano.
Il mito della Firenze di Dante e di Lorenzo il Magnifico non  tramonterà mai, ma noi non possiamo e non dobbiamo dimenticare che Firenze è anche una città viva.

Firenze più di molte altre realtà italiane ha subito purtroppo danni a causa dell’emergenza Covid, ma ci è voluto una pandemia perché gli abitanti potessero finalmente riappropriasi della loro città.
L’unico augurio che posso fare a questa città a cui sono molto affezionata è che i turisti possano tornare presto a popolare le sue strade, ma che questo avvenga finalmente nel totale rispetto non solo del suo glorioso passato, ma anche del suo presente.

Vanni Santoni è anche autore di romanzi fantasy qui potete trovare un post dedicato alla sua saga, Terra Ignota.


domenica 14 giugno 2020

“La civiltà del Rinascimento in Italia” di Jacob Burckhardt


LA CIVILTA’ DEL RINASCIMENTO
 IN ITALIA
di
Jacob Burckhardt
NEWTON COMPTON EDITORI
Jacob Burckhardt nacque a Basilea nel 1818 da una famiglia protestante, questa sua origine ebbe un notevole peso sulla sua vita di uomo e di studioso.

Dedito agli studi di filosofia, teologia, storia e storia dell’arte, egli fu soprattutto un grande erudito intento ad accumulare per tutta la sua esistenza conoscenze da trasferire nei suoi saggi.

Il suo “La civiltà del Rinascimento in Italia” (Die Kultur der Renaissance in Italien), pubblicato per la prima volta nel 1860, è ancor oggi considerato un classico della storiografia rinascimentale.

L’intenzione di Burckhardt era quella di fondere insieme le sue conoscenze di storico e di storico dell’arte per raccontare un’epoca, quella del Rinascimento italiano, in cui egli ravvisava un rinnovamento di ogni cosa: pensiero, morale, governo e cultura.

È indubbiamente notevole l’ampiezza delle ricerche e degli studi condotti dallo storico  che si trovano alla base di una tale opera, opera che ancora oggi riesce però a dividere gli studiosi sul suo reale valore.

Molte critiche infatti si levarono ben presto nei confronti di questo saggio; primo tra i suoi detrattori possiamo ricordare Benedetto Croce il quale non risparmiò critiche alquanto severe nei confronti dello studioso di Basilea.
Tra queste critiche mosse da Croce a Burckhardt ci furono quelle di eccessivo moralismo e di mancanza di continuità dello sviluppo storico.
Secondo Benedetto Croce infatti il Rinascimento buckhardtiano sarebbe risultato quasi completamente separato dal precedente periodo, il Medioevo.

Il libro di Burckhardt è diviso in sei parti.

Nella prima parte “Lo stato come opera d’arte” egli analizza le condizioni politiche del XIII secolo e dell’impero di Federico II, passando poi a parlare del ruolo del papato e ad analizzare le varie forme di governo, in particolare le tirannidi e le repubbliche.
Non tralascia di fare un excursus delle più o meno importanti famiglie che dominarono l’Italia né di prendere in esame la politica estera e quell'arte della guerra di cui tanto si scrisse anche proprio in epoca rinascimentale.

Nella seconda e terza parte del libro Burckhardt analizza i fatti occorsi nel XV e del XVI secolo, approfondisce la storia delle grandi personalità dell’epoca e di quelle città, Firenze e Venezia prime tra tutte, che guidarono il risveglio della civiltà.
Analizza inoltre lo studio ed il rinnovato interesse per la poesia, la cultura classica, l’epistolografia, la storiografia, la lingua latina, l’educazione e le istituzioni universitarie.

La quarta parte è dedicata alle scoperte.
Iniziano in questo periodo le grandi esplorazioni, è l’epoca di Cristoforo Colombo, si raggiungono mondi sconosciuti, ma in questo periodo si riscopre anche l’essere umano.
Si esaltano le virtù dei grandi uomini che hanno fatto ad esempio la storia delle letteratura quali Dante, Petrarca e Boccaccio.
Il crescente desiderio di raccontare la storia delle conquiste fatte in ogni campo da uomini illustri dà un forte impulso alla scrittura di biografie.

La quinta parte è dedicata alla vita sociale e alle feste, all'importanza del saper conversare ed atteggiarsi; è l’epoca de Il Cortegiano di Baldassare Castiglione.

Nella sesta ed ultima parte si analizzano infine il ruolo della morale e della religione nella vita dell’uomo rinascimentale.
Le campagne sono dominate da banditismo e barbarie, la fede si affievolisce e gli uomini sono soggiogati sempre più dall'influenza dell’astrologia, si lasciano irretire dal profetismo, cedono alla superstizione.
Tutti chiari segnali per Burckhardt che un’epoca sta per terminare; seguendo il pensiero machiavelliano anch'egli, come il segretario fiorentino, ravvisa nell'immoralità dilagante la principale causa di un’imminente ed irreparabile sfacelo politico dell’Italia.

Il libro di Burckhardt è indubbiamente un saggio illuminate ed interessante anche se non di facile lettura.

L’esposizione degli argomenti è chiara, ma l’argomento trattato è molto vasto e a volte risulta piuttosto ostico riuscire a mantenere alta la concentrazione.

È apprezzabile l’interdisciplinarità degli argomenti trattati; arte, letteratura, storia si compenetrano perfettamente regalandoci un ampio affresco dell’epoca rinascimentale e dello spirito che la pervadeva.

Il libro di Burckhardt  però presenta anche diverse lacune, ad esempio non si fa quasi menzione degli aspetti economici.
Non dimentichiamo infatti che le banche e le famiglie dei banchieri giocarono un ruolo di primissimo piano nel Rinascimento sia sul piano politico che su quello artistico.

A difesa di Burckhardt va senza dubbio detto che sarebbe stato umanamente impossibile riuscire a condensare in un unico volume ogni aspetto di una cultura così ricca e vasta come quella rinascimentale in modo esaustivo.

Tralasciando quindi la sterile polemica che per anni si trascina tra buckhardtiani e antiburckhardtiani, credo che per chiunque si interessi di storia rinascimentale il saggio è stato e resterà sempre un’imprescindibile pietra miliare sull'argomento, un volume ricco di suggerimenti da cui attingere per compiere più specifiche e dettagliate ricerche.




sabato 13 giugno 2020

Vinci e la casa natale di Leonardo ad Anchiano


Il borgo di Vinci, situato sulle colline del Montalbano, è circondato da vigneti ed uliveti, un paesaggio davvero incantevole, ma non è il paesaggio ad attirare qui ogni anno i numerosi visitatori bensì il suo legame con Leonardo Da Vinci.


Il duecentesco castello dei conti Guidi, conosciuto anche come “castello della nave" per la sua particolare forma, è oggi la sede del museo leonardiano, un museo dedicato al Leonardo ingegnere ed inventore.


All'interno del museo si trovano un’ampia e creativa esposizione di modelli (carri armati, macchine volanti, macchine tessili, meccanismi ed ingranaggi vari) tutti ricostruiti in base ai disegni e agli appunti di Leonardo oltre ad una sezione dedicata agli studi anatomici.

Dalla torre del castello si gode di una bellissima vista sulla campagna circostante e sul borgo.




Vinci è un borgo curato nei minimi dettagli ed è oltremodo suggestivo passeggiare tra le incantevoli antiche stradine che lo attraversano.








Nella chiesa di Santa Croce, di cui qui vedete il campanile, si trova ancora oggi il fonte battesimale nel quale venne battezzato Leonardo Da Vinci.
Purtroppo non mi è stato possibile visitarla a causa di una cerimonia in corso, una buona scusa per ritornare...


Il vero luogo di nascita di Leonardo è però la frazione di Anchiano, a poco più di tre chilometri da Vinci, raggiungibile sia in auto che a piedi.
Immersa negli uliveti, la casa natale di Leonardo apparteneva alla famiglia di suo padre, Ser Piero.


Della madre di Leonardo non si sa praticamente nulla tranne il nome, Caterina, forse una contadina o forse una cameriera, ma certamente una donna del popolo.
Il figlio, seppur illegittimo, venne allevato nella casa paterna e la madre per un primo periodo abitò insieme al bambino nella stessa casa.
Ser Piero si sposò per ben quattro volte, dai primi due matrimoni non ebbe figli, mentre dal terzo e dal quarto ne ebbe addirittura dodici.


Qui potrete trovare tutte le informazioni sul museo di Leonardo a Vinci.



Sul romanzo da abbinare a questi luoghi non ho alcun dubbio.
L’ombra di Caterina” di Marina Marazza ci regala un autentico affresco di quella che doveva essere la vita dell’epoca oltre ad un’immagine diversa di quel Leonardo che noi tutti siamo soliti conoscere.
Un romanzo creato su solide basi storiche, ma che ci racconta una storia di fantasia estremamente affascinate e coinvolgente.