domenica 26 dicembre 2021

Il soggiorno di Gian Gastone de’ Medici a Genova (giugno 1691)


Ritratto di Gian Gastone de' Medici 
di Niccolò Cassana (1690 circa) 


Il 6 maggio 1691 Anna Maria Luisa de’ Medici lasciava Firenze per raggiungere il suo sposo. Il matrimonio con l’Elettore Palatino era stato celebrato per procura a Firenze il giorno 26 aprile dello stesso anno.

Ad accompagnare la sorella per una parte di viaggio troviamo il principe Gian Gastone con un piccolo seguito, appena una quindicina di persone. Le spese erano tutte a carico del figlio cadetto del Granduca di Toscana Cosimo III pertanto il viaggio non si sarebbe potuto protrarre a lungo né tanto meno essere troppo dispendioso.

Sulla via del ritorno Gian Gastone ebbe modo di trascorre alcuni giorni a Genova nel mese di giugno.  Vittoria della Rovere scriveva al figlio Francesco Maria de’ Medici di essere sicura che il nipote avrebbe lasciato Genova il giorno del Corpus Domini (14 giugno).

Gian Gastone però fu sempre alquanto imprevedibile nel corso della sua vita, non amò mai seguire rigidi itinerari preferendo piuttosto lasciarsi trasportare dall’ispirazione del momento.

Dalle fonti sembra comunque che il principe fosse rientrato a Firenze con molta probabilità il 22 giugno 1691.

Il marchese Salviati scriveva a Francesco Maria de’ Medici sul soggiorno del principe “a Genova si è molto ben divertito delle allegrie che li anno fatte godere”.

Ad accendere la mia curiosità l’intervento di Patrizia Urbani con il suo articolo “Il principe nelle reti” in “Gian Gastone (1671-1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’ Medici” di cui vi ho parlato tempo fa e da cui ho tratto queste notizie sul viaggio.

Dunque, Gian Gastone a Genova dove aveva alloggiato e quali gli intrattenimenti per lui allestiti? Alla seconda domanda non ho ancora trovato risposte e chissà mai se le troverò.

Sulla prima invece ho iniziato a fare qualche ricerca e a formulare qualche ipotesi che potrebbe essere facilmente smentita da qualcuno più informato di me, ma vorrei comunque condividere con voi lettori del blog che ormai sarete stanchi di sentirmi parlare di questo ultimo Granduca Medici la cui storia tanto mi ha affascinato negli ultimi mesi.

Da quello che ho scoperto finora posso dire che tra i rappresentanti incaricati dalla Repubblica di Genova per l’accoglienza di Gian Gastone vi fu Francesco Maria Sauli, futuro 134° doge della Repubblica di Genova (dal 19 settembre 1697 al 26 maggio 1699).

Proprio a Francesco Maria Sauli toccò il privilegio di ospitare il principe cadetto del Granducato di Toscana, ma dove? 

A Genova esisteva dal 1576 un sistema di pubblica accoglienza conosciuto con il nome di Rolli ossia un elenco di dimore nobiliari che, suddivise in base a diversi parametri, tra cui il prestigio della famiglia di appartenenza, erano scelte per ospitare i visitatori nobili. 

L’ultimo elenco stilato è del 1664 e quella che a mio avviso potrebbe essere stata la dimora in cui venne ospitato Gian Gastone era iscritta a quel tempo nel bussolotto n. 3. Che cosa erano i bussolotti? Ad ogni residenza veniva attribuita una categoria che ne indicava l’idoneità ad ospitare visitatori di rango più o meno elevato. Le dimore assegnate al bussolotto n. 1 erano ovviamente quelle atte ad ospitare i personaggi di rango più alto tra cui anche i sovrani.


Palazzo Bendinelli Sauli - Genova

A mio avviso quindi Gian Gastone, quale figlio cadetto del Granduca di Toscana, potrebbe essere stato ospitato nel palazzo di famiglia più di rappresentanza della famiglia Sauli, attribuito alla terza categoria, ossia Palazzo Bendinelli Sauli vicino al Duomo, poco distante da Palazzo Ducale e a due passi dal porto.

Il palazzo si trova al n. 12 di Via San Lorenzo. La residenza fu ampliata nel corso dei secoli accorpando altre abitazioni fino a raggiungere l’aspetto attuale con l’ultimo accorpamento avvenuto nel XIX secolo.


Via San Lorenzo con scorcio sulla Cattedrale

Nel maggio 1684 il palazzo subì pesanti danneggiamenti per i bombardamenti della flotta francese di Luigi XIV, il Re Sole, cugino di primo grado proprio di Marguerite Louise d’Orleans, madre di Gian Gastone de’ Medici.

Il palazzo venne restaurato nel 1686. Tra le opere di pregio da ricordare ci sono in particolare gli affreschi di pittori genovesi quali Domenico Piola, Paolo Girolamo Piola e Lorenzo Ferrari.


La facciata sulla Cattedrale di San Lorenzo dopo gli ultimi accorpamenti

Per quanto riguarda la storia del palazzo vi rimando comunque agli Atti della Società Ligure di Storia Patria, nuova serie, LIII (CXXVII, fasc. I) e XLIX (CXXIII, fasc. II).

Speravo di trovare qualche accenno della visita di Gian Gastone a Genova nel manoscritto di Filippo Casoni, “De gli annali di Genova del secolo decimo settimo”, redatti proprio in quegli anni, ma non ne viene fatta menzione. Temo che la visita di un principe cadetto di un granducato come quello di Toscana non avesse molta rilevanza per la politica della Repubblica di Genova. Credo quindi che sarebbe forse più produttivo provare a cercare qualche riferimento tra la corrispondenza più che nelle cronache ufficiali dell’epoca.

La ricerca è appena iniziata e, se mai troverò il tempo di portarla avanti, vi terrò aggiornati…



lunedì 20 dicembre 2021

“Una lama nel cuore” di Winston Graham

La guerra è terminata e lo sconfitto Napoleone si trova confinato all’Elba. Non è un mistero però che in Francia molti gradirebbero un suo ritorno e per questo il governo britannico decide di inviare a Parigi Ross Poldark. Il suo compito sarà quello di cercare di carpire informazioni su eventuali movimenti bonapartisti tra le file dell’esercito francese.

Per dare maggiore copertura a questa sua missione Ross è stato invitato a portare con sé la famiglia. Dopo qualche attimo di esitazione Demelza accetta di accompagnare il marito insieme ai figli minori, la tredicenne Isabella-Rose e il piccolo Henry.

Mentre il primogenito Jeremy Poldark, arruolatosi tra le file dell’esercito britannico, si trova in Belgio insieme alla sua novella sposa Cuby; sua sorella Clowance è l’unica della famiglia ad essere rimasta in Cornovaglia.

Il rapporto tra Clowance e Stephen è sempre stato piuttosto burrascoso e anche se ora sono sposati il loro legame sembra non conoscere pace. Molto presto Clowance infatti verrà a conoscenza di un particolare del passato del marito che metterà ancora una volta a dura prova la sua fiducia in lui.

Mentre Ross e Demelza si trovano a Parigi, Napoleone riesce a fuggire dall’Elba e, sbarcato in Francia, muove verso la capitale deciso più che mai a riconquistare il potere. Bonaparte verrà sconfitto nella sanguinosa battaglia di Waterloo, ma i Poldark pagheranno a caro prezzo questa vittoria e le vite di tutti loro ne usciranno stravolte e segnate per sempre. 

Con “Una lama nel cuore” siamo giunti al penultimo capitolo dell’avvincente saga nata dalla penna di Winston Graham. Inutile sottolineare come, ancora una volta, anche questo undicesimo libro sia in grado di appassionare il lettore fin dalle sue prime pagine.

Come per i precedenti volumi infatti non mancano tanti colpi di scena, storie parallele che vivacizzano il racconto e nuovi personaggi pronti a scombinare gli equilibri preesistenti mentre le nuove generazioni coinvolgono il lettore con le loro avventure.

Se Ross Poldark e George Warleggan restano più o meno fissi nelle loro caratterizzazioni, lo stesso non si può dire per Demelza. Il suo è il personaggio che più di qualunque altro è cresciuto nel corso degli anni: una crescita lenta e costante che raggiunge la sua consacrazione proprio in questo penultimo capitolo muovendosi a suo agio negli eleganti salotti parigini. Lei, figlia di un minatore, ha ormai acquisito quella consapevolezza e quella fiducia in se stessa che ne fanno, a mio avviso, il personaggio più completo dell’intera saga.

Un’altra figura che conquista l’affetto dei lettori in questo romanzo è senza dubbio quella di Cuby che, affrancatasi finalmente dalle aspettative della propria famiglia, può finalmente muoversi libera esprimendo tutta la sua esuberante e al tempo stesso composta personalità.

Devo ammettere che non sono riuscita a provare alcuna simpatia per Stephen neppure leggendo questo nuovo episodio, mentre resto in attesa dell’ultimo capitolo della saga per sciogliere definitivamente ogni mia riserva su Lady Harriet Warleggan e Clowance Poldark.

In effetti di riserve da sciogliere ne restano parecchie così come restano da svelare diversi vecchi segreti che già da queste pagine si percepisce quanto ormai siano vicini ad esplodere

Quali saranno le conseguenze quando certe cose taciute per tanti anni verranno definitivamente rese pubbliche? Non ci resta che attendere il capitolo finale.




sabato 4 dicembre 2021

“La camicia bruciata” di Anna Banti

Nel castello di Blois le giornate si susseguono tutte uguali, ma la giovane Marguerite Louise è più che mai decisa a conquistarsi il suo posto nel mondo. Lei, figlia di Gastone d’Orleans e della seconda moglie Margherita di Lorena, non può contare su un ricco appannaggio; pur essendo una principessa del sangue, infatti, i mezzi della famiglia non sono purtroppo all’altezza del suo lignaggio. Lei che un tempo si pensava potesse era destinata a salire addirittura sul trono di Francia accanto al cugino Luigi XIV è ora costretta ad accettare che questi le trovi un marito degno del nome che porta e dell’illustre parentela.

È la stessa Marguerite Louise, una piccola zanzara, che in cerca di un riscatto impone la sua presenza alla scrittrice pretendendo che venga raccontata la sua storia. 

I suoi comportamenti, i suoi desideri, le sue bizze ai giorni nostri non avrebbero nulla di scandaloso, ma all’epoca crearono non poco scompiglio e ben più di un incidente diplomatico.

Avrete già capito che il malcapitato che fu scelto per la bella e capricciosa francese fu il figlio di Ferdinando II Granduca di Toscana e di Vittoria della Rovere. Sfortunatamente per il povero Cosimo Marguerite accettò le nozze impaziente di potersi finalmente dedicare a tutti quei divertimenti che a Blois le erano preclusi ma, ahimè, mai matrimonio fu più malamente assortito.

“La camicia bruciata” è però la storia anche di un’altra infelice principessa giunta nel Granducato di Toscana, Violante di Baviera la moglie del Gran Principe Ferdinando.

Marguerite Louise e Violante furono due donne dai caratteri profondamente differenti, in comune solo il triste destino di essersi legate agli ultimi protagonisti della dinastia medicea.

La francese fu tanto ambiziosa, irriverente e irrequieta quanto la tedesca fu accondiscende, pacata e sempre attenta alle necessità altrui.

Cosimo III e il figlio Ferdinando furono due figure diametralmente opposte, nel libro Anna Banti fa dire a Marguerite Louise del marito che fu un inetto, ipocrita e sempre pronto a scaricare i propri torti sugli altri.

Di sicuro Cosimo III, cresciuto da una madre iperprotettiva e devota fino al parossismo quale fu Vittoria della Rovere, non poteva essere l’uomo adatto ad una donna dal temperamento forte e bizzoso come quello di Marguerite Louise. Le ambizioni deluse non poterono che acuire l’inevitabile strappo che si produsse tra Cosimo e la moglie la quale, avendo come metro di paragone lo splendore della Corte del Re Sole, non poteva che detestare quella granducale che le appariva ogni giorno sempre più gretta, bigotta e claustrofobica.

Il Gran Principe Ferdinando molto aveva in comune con la madre, come l’essere alla continua ricerca di piaceri e svaghi, ma Violante considerava la sua una spensieratezza troppo ostentata per essere genuina.

Violante di Baviera era profondamente innamorata del marito ed era disposta a perdonagli ogni cosa. Era una donna mite e sensibile, l’unica che cercò persino di avvicinare il cognato Gian Gastone, dipinto dalla Banti come l’emarginato della famiglia, proprio lui che per beffa del destino siederà sul trono granducale come ultimo della sua stirpe.

Gian Gastone sembrava aver ereditato dalla madre il profondo desiderio di essere amato, come Marguerite Louise però non riuscì mai ad essere compreso e accettato, cosa che segnerà inevitabilmente la sua vita. Abbandonato dalla madre all’età di otto anni, lasciato ai margini dal resto della famiglia, al contrario di Marguerite Louise che cercava sempre in ogni modo, da zanzare qual era, di imporsi anche se con modi molto discutibili, Gian Gastone preferì sempre defilarsi dalla scena e dedicarsi ai suoi studi circondato dalle gabbie dei suoi amati uccelli esotici.

Violante, quella ragazza che aveva la facoltà di percepire immagini di persone assenti, una specie di maledizione che aveva dovuto assolutamente mascherare per non essere accusata di stregoneria, rimasta vedova riuscì a dedicarsi finalmente a se stessa e, come Governatrice di Siena, amata dai senesi per la sua buona amministrazione, trovò proprio in quella città il modo di rendere un po’ di giustizia al nome tanto vituperato della suocera grazie al ritrovamento di alcuni documenti lasciati lì dal fratello dallo zio di suo marito, Mattias de’ Medici.   

Il libro di Anna Banti è un romanzo estremamente piacevole e ben orchestrato. L’autrice ci restituisce lo spirito della corte granducale del tempo rendendo vivi davanti ai nostri occhi i suoi personaggi. Il taglio della narrazione è ironico, ma mai irriverente; il racconto disincantato, ma mai grottesco.

La storia è pensata e studiata nei minimi particolari e il realistico affresco dell’epoca che emerge dalle pagine del romanzo è l’evidente frutto di un vasto lavoro di ricerca e consultazione di fonti storiche.

Non ho mai amato particolarmente il personaggio Marguerite Louise e nonostante tutto neppure leggendo il libro della Banti la sposa di Cosimo III, pur con tutte le attenuanti del caso, è salita molto nel mio indice di gradimento. Ammetto invece di aver provato molta simpatia, sebbene mai lo avrei creduto possibile, per Violante di Baviera. Simpatia dovuta al suo interesse nei confronti del cognato Gian Gastone che si conferma ancora una volta uno dei miei personaggi preferiti, ma soprattutto per il suo modo di riuscire ad affrancarsi dal ruolo impostole dalla Corte dopo la morte dell’amato Ferdinando.

Il libro di Anna Banti è purtroppo fuori catalogo e l’unico modo per procurarvelo è come ho fatto io ricorrere al mercato dei libri usati, eppure meriterebbe davvero di essere ristampato.





sabato 27 novembre 2021

“Il cavaliere, la morte e il diavolo” di Luigi De Pascalis

Papa Leone X sul letto di morte consegna al suo buffone Fra’ Mariano Fetti un libro in tedesco intitolato Gespräch Büchlin opera di Ulrich von Hutten chiedendogli di tenerlo al sicuro, neppure suo cugino il cardinale Giulio Zanobi, futuro Clemente VII, dovrà esserne informato.

L’autore è uno dei più ferventi sostenitori delle tesi luterane e quel volumetto racchiude un segreto per il quale alcune persone sono morte e altre sarebbero disposte a morire. Seppur perplesso e spaventato Fra’ Mariano è costretto a farsi carico del pesante lascito e rendersi disponibile a consegnare il libro quando sarà il momento a colui che il Cielo gli indicherà come persona degna di fiducia.

Sonno passati quasi sei anni dalla morte di Leone X, dopo il breve papato di Adriano VI nel 1523 al soglio di Pietro è salito un altro Medici, Clemente VII. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1527 i Lanzichenecchi di Carlo V irrompono in città dando inizio a quella triste e terribile pagina di storia che sarà ricordata come il Sacco di Roma.

Clemente VII si barrica con i suoi fedeli dentro Castel Sant’Angelo mentre la Città Eterna viene messa a ferro e fuoco dalle truppe imperiali senza controllo, tutto è devastazione e violenza. 

Il papa manda a chiamare Benvenuto Cellini per affidargli una pericolosa missione. Ad affiancare in questa missione il Cellini, musico per volere paterno, orafo e scultore per passione e bombardiere per necessità, troviamo un soldato spagnolo di nome José Garcìa. Insieme i due dovranno smascherare il mandante di una serie di assassinii conosciuto come il Bagatto.

Restare vivi in mezzo a quell’orrore fatto di violenza e devastazione non sarà facile tanto più che i pericoli sembrano giungere da ogni dove alimentati da strane vicende legate ad arcani segreti e antiche profezie. 

“Il cavaliere, la morte e il diavolo” è un avvincente noir dal ritmo molto serrato e dagli innumerevoli colpi di scena.

La narrazione è scorrevole e coinvolgente ma talmente densa di avvenimenti e misteri che al lettore non è concesso distrarsi neppure per qualche riga perché perdere il filo del racconto è davvero un attimo e si è costretti a tornare indietro per recuperare.

Benvenuto Cellini è un protagonista ricco di fascino, coraggioso e impavido, ma anche enigmatico e sfuggente laddove affiorano le sue insicurezze emotive e lo attanaglia il dubbio di non riuscire un giorno a realizzare quel suo grande sogno di diventare scultore.

Accanto a questa figura così carismatica una girandola di personaggi popola il grande affresco ricreato dalla penna di De Pascalis, un affresco vivido e realistico che coinvolge il lettore trascinandolo in prima linea a percorrere le strade di quella Roma dove follia e brutalità sembrano non avere mai fine.

Tutti i personaggi sono caratterizzati fin nei minimi dettagli ed emergono dalle pagine, vivi dinnanzi a nostri occhi, con tutte le loro sfaccettature in un mondo dove tutto è capovolto, dove la crudeltà umana sembra affiorare anche nelle persone più miti come nel caso di Rebecca, la figlia del medico ebreo Tobia.

Eppure, anche in un mondo dove la pietà e la compassione non sembrano poter più trovare rifugio all’improvviso anche nel più sordido luogo, tra le peggiori schiere, ci sono storie che lasciano aperto uno spiraglio di speranza come nel caso dell’amicizia di Barbara ed Entgen o in quello del rispetto dimostrato da Carl nei confronti di Faustina o ancora in quello dell’aiuto prestato da Mastro Latz il birraio al nemico di un tempo.

Due sono principalmente i punti di forza del romanzo: una trama ben costruita, emozionante, mai scontata e i numerosi personaggi, molti dei quali documentati da fonti certe e altri di pura fantasia, che insieme rappresentano il genere umano in ogni suo aspetto da quello più gentile a quello più spietato, da quello più grottesco a quello più armonioso.

La raffinata veste grafica è impreziosita da numerose illustrazioni relative alla città di Roma, a dipinti e a figure di personaggi tratte da fonti iconografiche del periodo a cui si riferiscono le vicende narrate nel romanzo.

Come scritto nella prefazione del libro la scelta delle illustrazioni è responsabilità dell’autore stesso la cui curiosità e passione per le immagini risulta evidente anche nella stessa scelta del titolo, “Il cavaliere, la morte e il diavolo” è infatti una delle più celebri incisioni di Albrecht Dürer, datata 1513.

Viviamo, Babbo Santo, che tutto il resto è burla!



Se siete interessati all’autore qui trovate il post dedicato ad un altro libro di Luigi De Pascalis, il primo di una trilogia, sempre edito da La Lepre Edizioni, di cui vi avevo parlato qualche tempo fa intitolato “Il signore delle furie danzanti”.


domenica 21 novembre 2021

Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina - Atti delle celebrazioni 2005-2008 – Palazzo Vecchio, Firenze

Secondo volume dedicato agli Atti delle celebrazioni tenutesi a Palazzo Vecchio in onore di Anna Maria Luisa de’ Medici negli anni 2005-2008, come il precedente libro si apre con una breve presentazione di Eugenio Giani a cui segue un’introduzione a cura di Anita Valentini.

Anche in questo volume viene naturalmente dato ampio spazio all’importanza del Patto di Famiglia e si ripercorrono le tappe fondamentali della vita dell’Elettrice Palatina. 

In questi scritti si cerca inoltre di dare una descrizione quanto più completa del carattere di Anna Maria Luisa de’ Medici, donna forte e volitiva, orgogliosa e sicura di sé nonostante i dispiaceri che non mancarono affatto nella sua vita.

L’amore per l’arte, il teatro e la musica, così come il suo mecenatismo e i suoi gusti raffinati sono ormai conosciuti da tutti, ma nel 2007 Antonia Ida Fontana dedica il suo intervento ad uno degli interessi forse meno noti dell’Elettrice Palatina ossia gli interessi letterari. 

Le preferenze della principessa si possono individuare facendo riferimento agli acquisti da lei fatti per la biblioteca di Düsseldorf negli anni tra il 1691 e il 1713 dove troviamo grandi capolavori italiani come “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso e “Il pastor fido” di Battista Guarini, molte traduzioni in francese di opere orientali, numerose opere di storia politica, oltre a trattati di pace, trattati matrimoniali e atti diplomatici, a dimostrazione dell’ampio ventaglio di interessi propri di Anna Maria Luisa. Ci sono poi anche tutta una serie di testi di letteratura devozionale relativi alle vite e alle opere dei santi di cui furono acquistate più copie probabilmente da donare alle dame di corte.

Quasi nulla invece si conosce della sua biblioteca privata a Palazzo Pitti lasciata in eredità in parte al fedele segretario tesoriere Jacopo Niccolò Guiducci e in parte al suo aiutante di camera Giovanni Luigi De Goè. Questo materiale librario è infatti purtroppo andato tutto irrimediabilmente disperso.

Due sono gli interventi di Alberto Bruschi. Il primo più conciso del 2005 nel quale oltre a parlare della scoperta di un manoscritto relativo a una biografia inedita del Granduca Gian Gastone ritratta quanto espresso nel 2004 in merito alla sua ostilità nei confronti del “Progetto Medici”, un’operazione scientifica intrapresa dalle Università di Pisa e Firenze per la riesumazione delle spoglie del ramo granducale mediceo. Di questo progetto vi avevo già parlato un po’ di tempo fa nel post dedicato al libro "Gian Gastone (1671-1737) Testimonianze e scoperte dell'ultimo Granduca de' Medici a cura di Monica Bietti".

Nel secondo intervento datato 2006 Alberto Bruschi ci parla della malattia di Anna Maria Luisa e delle cause della sua morte dovuta molto probabilmente ad un tumore al seno e non a sifilide. Il fatto che Anna Maria Luisa avesse contratto dal marito la sifilide sembra essere una delle tante calunnie scaturite dal famigerato manoscritto attribuito dai più a Luigi Gualtieri e ripreso poi da Giuseppe Conti nel suo “Firenze dai Medici ai Lorena”. In verità, non ci sarebbero neppure prove che l’Elettore Palatino ne fosse affetto.

L’ultimo intervento del libro è a cura di Mirella Branca e tratta di Villa La Quiete, il luogo dove Anna Maria Luisa era solita ritirarsi fin tanto che la salute e gli affari di Stato glielo permisero. In particolare, Mirella Branca ci parla del mecenatismo dell’Elettrice verso questo Conservatorio e lo fa rifacendosi alle pagine dei Ricordi scritti dalle Montalve, le Minime Ancille della Santissima Trinità che vi abitavano.

Gli interventi sono numerosi e io vi ho accennato solo ad alcuni di questi. Ogni intervento tocca i più diversi aspetti della figura di Anna Maria Luisa, ma tutti sottolineano quanto l’Elettrice Palatina fosse stata una figura davvero unica, ribadendo ancora una volta quanto a lei vada tutta la riconoscenza di tutti i fiorentini e non solo.

Emma Catarci scrive nel suo articolo:

perché non ha avuto quella successione al feudo in cui credeva e sperava, ha con molta intelligenza vissuto la sua assenza di maternità, facendo di Firenze la sua vera figlia.

Non condivido pienamente questo pensiero, sento decisamente a me più affine, pur dovendo riconoscere di essere di parte, l’affermazione di Alberto Bruschi:

I Medici regalano sempre una piacevole sorpresa a chiunque si appassioni alla loro epopea.




lunedì 15 novembre 2021

Delle orazioni in morte di S.A.R. Gian Gastone de’ Medici VII Granduca di Toscana e delle lodi in vita di Giuliano Dami e compagni (un manoscritto inedito della meta del XVIII secolo)

Qualche tempo fa vi avevo parlato di un saggio di Alberto Bruschi dal titolo “Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici”. Quasi per caso, nei giorni scorsi, mi sono imbattuta in questo libro dedicato alla trascrizione di un manoscritto che, come viene riportato nell’introduzione ad opera dello stesso Bruschi, è una delle ultime acquisizioni della Biblioteca Moreniana (numero progressivo d’ingresso 22227) o almeno lo era diciamo nel 1996 visto che questo volume è stato pubblicato nel febbraio del 1997.

Nelle pagine introduttive Alberto Bruschi ci ragguaglia su quanto questo fortunato ritrovamento, avvenuto poco prima di dare alle stampe il suo libro sul Dami, abbia fornito interessanti informazioni a completamento del materiale da lui già raccolto. 

In questa notevole seppur breve introduzione Bruschi ci erudisce su quella che risultava essere una vera e propria macchina funebre, tanto da essere definita proprio castrum dolori, accenna alla sua storia e spiega quali apparati scenici venissero approntati e con quali tempistiche avvenissero le celebrazioni. In particolare, per quanto ci riguarda, la morte di Gian Gastone avvenne il 9 luglio del 1737 mentre le esequie furono celebrate il 9 ottobre dello stesso anno.

La datazione del manoscritto dovrebbe quindi essere compresa tra la data delle esequie e la data di composizione del più famoso Manoscritto Moreniano n. 352 da alcuni attribuito a Luca Ombrosi e da altri a Luigi Gualtieri, datato 1741.

Le traduzioni dal latino sono opera di Gino Corti con il contributo di Candida Bruschi, Wanda e Cecilia Filippini, la trascrizione di Anita Valentini e le note sono state curate da Alberto Bruschi.

Il manoscritto non recava alcuna intestazione indice questo che molto probabilmente si trattava di appunti personali e non di un’opera che il suo autore intendeva rendere pubblica. Il titolo indicato quindi dai curatori della trascrizione è stato scelto tenendo conto del carattere vivace e ironico con cui l’autore ha composto i versi.

Nella prima parte del manoscritto troviamo sette iscrizioni in latino (Gian Gastone era il VII Granduca di Toscana), forse neppure opera dello scrittore, ma piuttosto una semplice trascrizione di quella sorta di iscrizioni lapidee che facevano parte del summenzionato apparato funebre. Da queste iscrizioni si evince che l’autore era legato agli Scolopi, legame confermato anche dal motteggio nei confronti dei rivali Gesuiti quando nell’ultimo componimento del manoscritto si finge essere uno di loro nelle vesti di confessore degli scellerati.

Le iscrizioni fanno riferimento alle virtù legate al defunto (costanza, generosità, giustizia, clemenza, sapienza, prudenza) ovviamente si tratta di iscrizioni commemorative e tali doti non potevano appartenere in sommo grado al defunto Granduca come la storiografia, fin troppo inclemente con Gian Gastone, ci ha tramandato.

Da questi scritti però si evince il desiderio dell’autore di lodare oltremodo il Granduca con l’intento di mettere tanto più in cattiva luce Giuliano Dami e i suoi collaboratori contro i quali colui che scrive sembra avere un forte risentimento.

Non per questo tutto ciò che viene scritto su Gian Gastone può però essere liquidato come una mera forma di celebrazione priva di fondamento. È infatti indubbio che l’ultimo Granduca fosse stato un sovrano clemente tanto da essere contrario alla pena di morte, attento a non gravare di troppe tasse la popolazione, concentrato a tenere i conflitti al di fuori dei confini del Granducato in un tempo dove le guerre imperversavano in tutta Europa, un sovrano illuminato e colto ma anche solo, ingenuo e troppo poco diffidente.

I nomi dei degli scellerati che ricorrono in queste pagine sono oltre a quello del famigerato Giuliano Dami, quelli del Dolci, di un certo Fumanti (di non facile identificazione) e dello speziale Branchi.

Proprio su quest’ultimo il nostro anonimo autore pone l’accento come colui che avrebbe somministrato il veleno al Granduca, insomma questi personaggi avrebbero congiurato per assassinare Gian Gastone.

Una nuova ipotesi originale e terribile emerge quindi da questo manoscritto che per quanto sorprendete potrebbe essere interessante approfondire.   

Queste ricerche mi stanno coinvolgendo parecchio anche se per me, almeno per ora, si tratta solo di spulciare nelle librerie e sul web. Chissà quanto materiale giace ancora sepolto negli archivi utile ad indagini come questa o che ci potrebbe porre tanti altri inattesi interrogativi.

 

sabato 13 novembre 2021

“The Witcher - La stagione delle tempeste” di Andrzej Sapkowski”

Ultimo volume nato dalla penna di Andrzej Sapkowski, per la precisione l’ottavo della saga di The Witcher, “La stagione delle tempeste” si rifà ad eventi accaduti prima che Geralt incontrasse Ciri mentre per quanto riguarda Yennefer i loro destini si erano già incrociati o forse sarebbe più giusto dire si erano già scontrati.

Geralt di Rivia è ancora un semplice strigo che si guadagna da vivere facendo il mestiere per cui è stato addestrato e trasformato ovvero uccidere mostri tenendo così al riparo gli esseri umani da creature malvagie e pericolose quali vampiri, licantropi, strigi e quant’altro.

Un giorno, dopo aver portato a termine un compito e forse anche un po’ per l’amarezza dovuta all’esito non proprio limpido di questo lavoro, decide di fare una deviazione e di fermarsi a Kerack attratto dall’idea di consumare un pranzo gourmet in una rinomata locanda del paese.

Qui viene arrestato apparentemente senza alcun motivo e gettato in carcere per ben quattro giorni. A farlo imprigionare, salvo poi pagare subito la cauzione per farlo uscire, è una famosa e avvenente maga che risponde al nome di Lytta Neyd, Corallo per gli amici, soprannome dovuto al colore del rossetto che usa.

Cosa vuole la maga dallo strigo? Perché farlo arrestare per poi adoperarsi subito per il suo rilascio? E chi ha rubato le spade che Geralt aveva lasciato in custodia appena entrato in città?

Questi sono solo alcuni dei numerosi interrogativi che il lettore inizia a porsi fin dalle prime pagine quando, come sempre, viene trascinato immediatamente nel vortice degli eventi che si susseguono senza sosta sostenuti da una scrittura fluida e dal ritmo serrato.    

Se la conclusione della saga mi aveva lasciata un po’ perplessa per il finale troppo amaro e indefinito della storia, questo ultimo volume mi ha di nuovo conquistata totalmente.

A differenza dei primi due volumi che erano due raccolte di racconti, quest’ultimo libro è un romanzo completo.

Nonostante sia stato scritto ormai a saga già risolta, ho ritrovato in queste pagine tutta la vivacità e la freschezza dei primi scritti.

Ammetto che ero piuttosto scettica in quanto ad aspettative e invece il libro si è rivelato una piacevolissima sorpresa. Contrariamente ad alcune opinioni negative che avevo letto principalmente legate al fatto che a saga conclusa non avesse alcun senso riprendere una storia ormai pienamente definita, ho trovato questo libro una più che apprezzabile soluzione per ritrovare quei personaggi che per tanto tempo ci avevamo coinvolto e appassionato con le loro storie.

Per concludere con le parole dell’autore Il racconto continua. La storia non finisce mai e chissà forse un giorno…

A tal proposito vi ricordo che da dicembre sulla piattaforma Netflix è prevista l’uscita della seconda stagione della serie tv tratta dai romanzi.

 



domenica 7 novembre 2021

Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina - Atti delle celebrazioni 2002-2004 – Palazzo Vecchio, Firenze

Il volume a cura di Anita Valentini è il primo dei due volumi dedicati agli atti delle celebrazioni tenutesi a Palazzo Vecchio. Questo primo libro si riferisce agli anni 2002-2004 ed è stato pubblicato nel 2005, un anno prima di un altro volume sempre edito da Edizioni Polistampa di cui vi ho parlato qualche tempo fa intitolato “Il testamento di Anna Maria Luisa de’ Medici”.

Non mi dilungherò ulteriormente sulla biografia dell’ultima Medici di cui vi ho già più volte raccontato anche se, vista l’importanza del ruolo da lei svolto nell’evitare la dispersione delle collezioni medicee vincolandole alla città di Firenze e alla Stato, all’epoca Granducato di Toscana, non credo sia mai abbastanza ritornare sull’argomento per ringraziarla della lungimiranza e della sensibilità da lei dimostrate.

Il libro si apre con la presentazione di Eugenio Giani e un’introduzione di Anita Valentini che in realtà non si differenzia molto da quella riproposta poi l’anno seguente nel volume dedicato al testamento dell’Elettrice Palatina.

Più interessanti per noi quindi i successivi interventi suddivisi in ordine cronologico per le tre annualità delle celebrazioni.

Facendo riferimento alla Convenzione, nota oggi a tutti come Patto di Famiglia, sottoscritta da da Anna Maria Luisa de’ Medici e Francesco Stefano di Lorena il 31 ottobre 1737 ed in particolare all’articolo terzo dove sono contenute le tanto famose quanto fondamentali espressioni per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri, ogni relatore, secondo le proprie competenze, non solo approfondisce la figura dell’Elettrice Palatina, ma analizza anche quali effetti siano stati prodotti da quel suo gesto tanto anticipatore dei tempi futuri.

Cristina Acidini Luchinat (2002) pone proprio l’attenzione sulla missione dei musei e si interroga su quale possa essere oggi la modalità ottimale della loro gestione. Pone, inoltre, l’accento sulla condizione privilegiata dell’Italia dove basta uscire in strada o entrare in una chiesa per incontrare testimonianze d’arte straordinarie. Questa peculiare differenza con la maggior parte degli altri Paesi fa sì che sia corretto sostenere che i nostri musei dovrebbero avere un’accezione e uno scopo diversi da quelli di altre nazioni meno favorite dalla sorte sotto questo aspetto. Anche in questo senso Anna Maria Luisa fu una anticipatrice dei tempi, comprendendo l’importanza che la fruizione delle opere d’arte fosse strettamente legata al loro territorio di creazione e di committenza.

Dell’importanza della contestualizzazione delle opere parlano anche due esponenti dell’Arma dei Carabinieri nel 2004, il Comandante Costantini e il suo vice Bertinelli, che nel loro intervento molto interessante ci espongono le criticità che ogni giorno incontrano sul campo nel difficile compito di recupero di oggetti rubati e di tutela del patrimonio artistico e paesaggistico.

Altri interventi sono più specificatamente connessi alla biografia dell’Elettrice in particolare quello di Stefano Casciu, grande conoscitore dei temi a lei collegati, e quello di Mario Augusto Lolli Ghetti che pone in particolare l’accento sulle parentele francesi degli ultimi Medici.

Cosimo III aveva sposato la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans, matrimonio come sappiamo molto infelice tanto che la Granduchessa abbandonò i figli ancora piccoli per tornare in Francia. Lolli Ghetti passa in rassegna i personaggi della corte francese ricordando che la madrina dell’Elettrice fu niente meno che la famosa mademoiselle d’Orleans, sorellastra di Marguerite Louise.

In questo intervento si rivela anche che, sebbene in Francia i personaggi dell’epoca amassero scrivere e raccontare dettagliatamente della vita di corte, pochissime citazioni vennero fatte della madre dell’Elettrice. Un riferimento lo troviamo fatto da Maria Mancini Colonna, una delle famose mazzarinette, primo amore di Luigi XIV, la quale nomina Marguerite Louise esclusivamente per fare un paragone con la propria triste situazione matrimoniale chiedendo al re il permesso di poter tornare in Francia ospite dello stesso convento di Montmartre nel quale si era ritirata proprio la Granduchessa. Se siete interessati al personaggio di Maria Mancini Colonna vi consiglio il romanzo di Gerty Colin intitolato “La passione del Re Sole”, edito da Meridiano Zero.

Di particolare interesse l’intervento della storica dell’arte Marilena Mosco che ci racconta della passione di Anna Maria Luisa per le cosiddette “galanterie gioiellate” molte delle quali esposte al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti.

Non mancano poi gli interventi in cui ci interroga sull’esistenza in vita di eventuali discendenti della famiglia e sul comportamento tenuto dagli agnati beneficiati dal testamento di Anna Maria Luisa, a porsi tali domande sono Alberto Bruschi (Firenze, 1944 – Grassina, 2021) e Ottaviano de’ Medici di Toscana di Ottajano.

In attesa di parlavi del secondo volume degli atti delle celebrazioni relative agli anni 2005-2008, vi saluto con una frase tratta da una lettera datata 6 novembre 1691 che l’Elettrice Palatina scrisse dalla corte di Düsseldorf riferendo di un viaggio:

Sono stata a Colonia ma a volere che queste città paressero belle non bisognerebbe esser nata a Firenze. 



mercoledì 3 novembre 2021

“Il Corvo e la Rosa. La strega” di Chiara Mattozzi

La storia si svolge nell’Inghilterra della seconda metà del Duecento quando i Lord si scontravano per pochi acri di terra o meglio lasciavano che a combattere per quei pochi acri fossero i loro prodi cavalieri.

In quel tempo cavalieri senza macchia e senza paura, guidati dal senso dell’onore, timorati di Dio, che avevano giurato incondizionata fedeltà ai loro Lord si affrontavano senza esclusione di colpi.

Il libro si apre proprio su una di queste sanguinose battaglie. Gli eserciti che si stanno affrontando sul campo appartengono a due Lord rivali di lunga data: Lord Randall Threston e Lord Alexander.

Richard, cavaliere di Lord Randall, cade a terra ferito e resta privo di sensi; viene soccorso da Claire, una giovane dai capelli rossi, che lo porta nella sua casa nel bosco.

Al risveglio il cavaliere si accorge di essere stato soccorso da una strega. Ebbene sì, Claire è una strega e a farle compagnia nella sua casetta ci sono un corvo di nome Morgana, un gatto di nome Horus e il suo amico fantasma di nome Cradoc.

Richard è terrorizzato dall’idea di trovarsi a contatto con una strega tanto più perché scopre, curiosando in un grimorio, che Claire aveva previsto il suo arrivo da molto tempo.

Claire sa che Richard è il suo uomo, la chiave che le permetterà di attuare la sua vendetta. Da tanto tempo infatti Claire attende il giorno in cui potrà finalmente mandare all’Inferno colui che ha lasciato che sua madre morisse tra le fiamme.

In verità, nonostante Richard denunci la presenza della strega a Lord Randall non riuscirà a disinteressarsi del suo destino e anzi si sentirà in dovere di proteggerla; Claire, da parte sua, contrariamente a quanto programmato, non riuscirà a usare Richard per i propri scopi temendo per l’incolumità del giovane a cui si è irrimediabilmente affezionata.

L’amore è una forza superiore a cui nessuno dei due sarà in grado di resistere, ma quale futuro potrà mai esserci per una strega e un cavaliere?

La veste grafica del libro è molto accattivante: ogni capitolo presenta il capolettera decorato in stile medievale ed è preceduto da una bella illustrazione opera di Fabiana Castellani il cui stile in alcune tavole ricorda un po’ quello di Victoria Francés, un’illustratrice che io amo moltissimo.

“Il corvo e la Rosa. La Strega” ha il sapore delle fiabe antiche, una storia delicata e dal ritmo non serratissimo proprio come erano le fiabe di un tempo.

L’autrice lascia ampio spazio all’introspezione psicologica dei personaggi ed è giusto che sia così perché non è tanto la trama a fare la differenza in questo romanzo, seppur sia assolutamente ben strutturata, coinvolgente e ricca di colpi di scena, quanto piuttosto il sentire dei vari protagonisti. Durante la lettura si percepiscono infatti chiaramente i loro dubbi, i loro timori, le loro fragilità e la difficoltà a comprendere cosa sia giusto o sbagliato in un mondo dove ogni cosa non è mai bianca o nera, ma spesso assume tutte le sfumature del grigio.

La storia è ambientata nell’Inghilterra del Medioevo, ma certe tematiche sono profondamente attuali: il ruolo della donna, l’accettazione del diverso, il condizionamento psicologico e la difficoltà a liberarsi dei pregiudizi.

Eppure, argomenti così moderni non stridono assolutamente all’interno  del romanzo, ma anzi portano il lettore a riflettere senza distoglierlo dal racconto facendo crescere in lui un forte rapporto empatico con i vari personaggi.

Il romanzo come ogni favola che si rispetti ha una sua morale, il finale però resta aperto e chissà che non sentiremo parlare ancora di Claire e dei suoi doni.

 


lunedì 1 novembre 2021

“Alchimia, magia e astrologia nella Firenze dei Medici. Giardini e dimore simboliche” di Paola Maresca

La famiglia Medici diede un grande impulso alla riscoperta delle antiche dottrine e del paganesimo. Cosimo il Vecchio nella villa di Cafaggiolo era solito circondarsi di uomini di lettere per studiare e discutere di filosofia, arte e scienze arcane. Grande impulso fu dato alla riscoperta di testi antichi molti dei quali vennero tradotti proprio per volere di Cosimo; primo fra tutti ricordiamo il Corpus Hermeticum, l’insieme dei testi attribuiti al mago Ermete Trismegisto, che ritrovato in Macedonia proprio in quegli anni e donato al Medici da un monaco, venne tradotto da Marsilio Ficino.

L’eredità di Cosimo fu raccolta soprattutto dal nipote Lorenzo il Magnifico sotto la cui guida Firenze conobbe il massimo splendore affermandosi come uno dei più importanti centri della cultura ermetica.

Se Umanesimo e Rinascimento furono contraddistinti da due figure in particolare, quali quelle di Cosimo e di Lorenzo de’ Medici, la cultura ermetico-platonica non si esaurì con la morte del Magnifico, ma si snodò nei i secoli declinata in varie arti e scienze fino ad arrivare al tempo degli ultimi due esponenti della famiglia Medici appassionati di questo complesso patrimonio di simboli e allegorie, il Granduca Ferdinando II e suo fratello il Cardinale Leopoldo al quale si deve la fondazione dell’Accademia del Cimento.

È ovviamente impossibile riassumere in un post la vastità del materiale che questo saggio di Paola Maresca analizza vista anche la complessità dell’argomento, per cui credo sia più razionale limitarmi ad esporre il piano dell’opera per dare un’idea su come vengano affrontate le varie tematiche.

I capitoli seguono un percorso cronologico, quindi partendo dai primi capitoli dedicati più genericamente alla filosofia neoplatonica e all’arte nel Rinascimento, si passa a capitoli più specificatamente dedicati ai singoli protagonisti della famiglia Medici iniziando con quello dedicato al primo Granduca di Toscana Cosimo I fino al capitolo finale che, come già anticipato, vede protagonista la figura di Leopoldo de’ Medici.

Ogni capitolo è a sua volta suddiviso in diversi paragrafi dedicati ad una particolare scienza a cui era appassionato il personaggio di riferimento o più specificatamente ad opere da lui commissionate nelle quali è evidente la simbologia ermetica degli elementi decorativi.

La simbologia ermetica trova la sua maggiore espressione oltre che nell’arte pittorica nell’architettura dei giardini. L’esempio più famoso è forse quello dei giardini di Boboli, ma il luogo che più di ogni altro si distinse per essere un vero compendio di scienza ermetica fu senza dubbio il parco della villa di Pratolino con le sue grotte animate da automi, giochi d’acqua e intricati labirinti.

La villa di Pratolino nacque dalla mente di Francesco I coadiuvato dall’architetto Bernardo Buontalenti; lo stesso granduca a Palazzo Vecchio si fece approntare un piccolo studiolo collocato presso il Salone dei Cinquecento dedicato a conservare le meraviglie della natura e dell’arte, splendidamente decorato da raffigurazioni allusive all’opus alchemico.  

Francesco I fu senza dubbio il granduca più appassionato di scienza alchemica, ancora più del padre Cosimo I per il quale lo studio era in fin dei conti qualcosa di subordinato agli affari di stato.

I successori e gli altri personaggi della famiglia, a partire dallo stesso Don Antonio, figlio naturale di Francesco I e Bianca Cappello, si appassionarono molto di più alla ricerca medico-sparigirica che all’alchimia vera e propria, da qui lo sviluppo dei famosi giardini o orti dei semplici, così chiamati proprio perché vi venivano coltivate erbe semplici, comuni. Ovviamente anche per coltivare queste piante si seguivano però regole ben precise affinché si potesse beneficiare degli influssi astrali.

Molto similmente la stessa scienza venne perseguita nella scelta delle pietre per il rivestimento delle Cappelle Medicee in modo da poter sfruttare al massimo i benefici influssi astrali e le proprietà delle singole pietre per la trasumanazione dei corpi così da poterne facilitarne la rinascita spirituale.

Moltissimi e davvero interessanti sono inoltre i vari riferimenti alle imprese e ai motti propri di ciascun personaggio della famiglia Medici, vedi ad esempio tutte le interpretazioni sul perché della scelta del simbolo del capricorno da parte di Cosimo I.

Il volume è corredato da un’ampia documentazione fotografica indispensabile per comprendere al meglio la materia trattata e di un vasta bibliografia.

Questo saggio è un ottimo compendio sia per coloro che per la prima volta si accostino all’argomento sia per chi desideri invece fare un po’ di ordine in tutta quella serie di frammentarie informazioni accumulate in merito nel corso degli anni.

Una cosa è certa: dopo aver letto questo saggio tutte le opere frutto della committenza medicea  che vi troverete a osservare assumeranno per voi un nuovo significato.



 

venerdì 29 ottobre 2021

“In nome dei Medici. Il romanzo di Lorenzo il Magnifico” di Barbara Frale

Lorenzo de’ Medici giunge nell’Urbe accompagnato da Monsignor Gentile Bechi che per anni era stato il suo precettore e dall’amico Roberto Malatesta, figlio naturale del signore di Rimini Sigismondo.

Una piccola scorta per il figlio di Piero de’ Medici, ma seguendo gli insegnamenti di Giovanni di Bicci per la famiglia vige ancora il famoso monito che recitava “Non vi fate segno al popolo, se non il meno”.

I Medici non vantano alcuna nobiltà di nascita, ma sono di fatto coloro che governano la Signoria grazie alla loro ricchezza.

Cosimo Pater Patriae, nonno di Lorenzo, ha retto le redini dello Stato in modo saggio ma anche col pugno di ferro. Ora, il nipote nel quale Cosimo aveva riversato ogni speranza per il futuro di Firenze, si trova in grave pericolo. Qualcuno, appena giunto a Roma, si è premurato di lanciargli subito un grave avvertimento lasciando sotto la sella del suo cavallo un pugnale; sull’arma un simbolo difficile da interpretare.

Lorenzo non ha nemici, ma la sua famiglia sì; chiunque potrebbe voler colpire l’erede di casa Medici: qualcuno intenzionato a vendicarsi, un avversario politico, un rivale della banca o forse un marito tradito, non è un mistero, infatti, che Lorenzo abbia una relazione con una donna sposata, Lucrezia Donati, la donna più bella di Firenze.

Qualcun altro però si interessa alle sorti dell’affascinante rampollo della famiglia Medici, Clarice Orsini, nipote del cardinale Latino Orsini. Gli Orsini sono una delle famiglie nobili più in vista e vantano diversi cardinali e papi nella loro storia.

Un Medici, un banchiere, non può certamente aspirare alla mano di una donna nobile figurarsi poi di una Orsini. Eppure Clarice crede nella predestinazione ed è certa che il suo futuro sia legato a quello di Lorenzo.

L’amore nato tra Clarice e Lorenzo non farà che acuire ulteriormente lo sdegno dei nobili romani che si sentiranno insultati da tanta superbia da parte del Medici. 

La storia è storia per cui il lieto fine è scontato, quello che non è ovvio è invece il modo in cui si arriva a contrarre il matrimonio che porterà una straniera a Firenze, sappiamo infatti che Clarice Orsini non sarà accolta benissimo nella Città del Giglio i cui abitanti avrebbero preferito vedere una loro concittadina accanto al Magnifico.

Sappiamo per certo che Lorenzo si recò a Roma su incarico del padre Piero per l’appalto dello sfruttamento delle cave di allume sui monti della Tolfa, quasi sicuramente proprio in quell’occasione vide per la prima volta Clarice. Successivamente la madre del Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, ne abbiamo riscontro dalle lettere che lei stessa scrisse, si recò a Roma per accordarsi con la famiglia Orsini e il matrimonio venne celebrato due anni dopo.

Il romanzo di Barbara Frale è uno di quei libri che si leggono tutto d’un fiato; il ritmo è incalzante, la scrittura fluida e la trama coinvolgente e appassionante. Il colpo di scena attende il lettore dietro ad ogni pagina e i personaggi sono descritti minuziosamente sia fisicamente che caratterialmente.

I protagonisti Lorenzo e Clarice sono due figure carismatiche: arguto, caparbio e determinato lui; sensuale, intelligente e dotata di un indecifrabile fascino tra sacro e profano lei.

Barbara Frale è stata brava a tessere una trama coinvolgente facendo muovere figure reali all’interno di un perfetto affresco dell’epoca molto dettagliato nel quale fa addirittura parlare alcuni personaggi in romanesco e genovese per meglio ricreare la giusta atmosfera.

La storia è carica di suspense e ricca di fantasia, impreziosita da un alone di mistero e di arcani segreti laddove entra in scena il personaggio di Bellezze Orsini, la strega che sembra avere lo stesso sangue di Clarice e la cui nascita nasconde un oscuro segreto.

“In nome dei Medici” è un ottimo romanzo storico; la trama è senza dubbio avvincente e molto articolata, certo non bisogna però mai dimenticare che di un romanzo si tratta e per questo le licenze letterarie che si incontreranno durante la lettura non saranno poche.

Della stessa autrice vi ricordo altri due titoli legati alla famiglia Medici: il romanzo “Cospirazione Medici” e un bel saggio “La congiura” scritta a quattro mani con Franco Cardini.