domenica 28 marzo 2021

“La Luce di Akbar” di Navid Carucci

Siamo nell’Hindostan del XVI secolo, alla corte del sultano Akbar, nipote del fondatore della dinastia Moghul d’India Babur.

La corte del terzo imperatore Moghul è un luogo dove, per volere dello stesso sultano, sono accolte tutte le religioni; islamici, sunniti, sciiti, indù, ebrei, zoroastriani e nazareni possono dialogare tra loro e professare liberamente la propria fede.

Akbar fu un sovrano illuminato, tanto che nel libro alcuni cortigiani non esitano a paragonarlo a Federico II di Svevia e persino al grande Salomone. Egli più che per le  sue vaste conquiste (Afghanistan orientale, Bengala, Kashmir e gran parte del Deccan), sarà ricordato dalla storia proprio per il suo audace tentativo di riforma religiosa che mirava a pacificare ogni tipo di etnia, tentativo purtroppo che non ebbe alcun seguito.

Torniamo però al romanzo che come avrete capito intreccia fortemente fedeltà storica e finzione letteraria.

L’apertura a ogni etnia come è facile aspettarsi suscita nella corte molto malcontento. Non solo ci sono due fazioni contrapposte quella dei tradizionalisti e quella del ragionamento a scuotere le mura della Casa del Culto, ma anche forti interessi personali e invidie come in ogni corte che si rispetti.

La maggior parte dei personaggi che animano le pagine della Luce di Akbar sono storicamente esistiti: l’erudito Abul Fazl, il rigoroso Badauni, il gesuita Acquaviva, i due rivali Shahbaz khan e Aziz Koka.

Le lotte e gli intrighi non interessano solo i cortigiani, ma i figli stessi del Grande Re: il primogenito Salim bello e tormentato, Murad, cinico e arrogante, Daniyal, aitante e ingenuo.

Proprio Salim è uno dei protagonisti principali del romanzo insieme a Samir, figlio dell’ingenuo funzionario hindu Jamal, una delle tante inconsapevoli vittime delle spietate trame di corte.

Salim e Samir hanno in comune due cose: il risentimento che nutrono nei confronti dei rispettivi padri e l’amore per la bella principessa Man Bai.

Tante le tematiche di questo libro: dal già citato conflitto genitori/figli, alle guerre di religione, alla sete di potere e di vendetta, alla condizione delle donne nello zenana fino all’amore impossibile e non corrisposto.

Navid Carucci fa rivivere davanti ai nostri occhi quel mondo lontano e a noi sconosciuto, un mondo che quasi mai viene considerato dai nostri testi scolastici di storia anche se, come ricorda Franco Cardini nella prefazione, non dovrebbe esserci estraneo dal momento che l’opera di evangelizzazione svolta dai Gesuiti fra il XVI e il XVIII secolo in quelle terre avvenne attraverso molti membri italiani della Compagnia di Gesù.

L’idea del sincretismo religioso a cui aspirava Akbar credo possa essere riassunta nell’evocativa immagine suscitata da queste parole che Navid Carucci fa pronunciare al Grande Re:

Pensate ad una grande ruota: lungo il bordo si allineano le religioni, ma al centro di tutte vi è Dio. I mistici, da qualsiasi religione muovano, tendono come i raggi verso il centro; e più si avvicinano a Dio, più si avvicinano tra loro.

Molte guerre sono state nei secoli indette nel nome della religione, ma la verità è che la religione è sempre stata solo un pretesto per mascherare i veri motivi: sete di potere, desiderio di prevaricazione, interessi politici ed economici.

Il fallimento del grande progetto dell’illuminato Akbar non fu dovuto alla mancanza di dialogo, ma agli interessi personali dei vari gruppi religiosi.

Triste è purtroppo dover constatare che con il passare dei secoli poco o nulla sia mutato, costretti oggi come allora ad assistere allo scontro delle diverse etnie in nome di una religione che poco dovrebbe avere a che fare con odio e faziosità ma piuttosto essere fonte di dialogo e rispetto reciproco.

 



lunedì 22 marzo 2021

“Praecurrit fatum!” a cura di Marcantonio Lucidi e Alessandro Orlandi

È possibile arrivare prima del destino? Questo libro, primo volume di una nuova collana edita da La Lepre Edizioni, si propone di provare a dare una risposta affermativa a questa domanda in modo costruttivo e quanto più possibile efficace attraverso una serie di saggi scritti da umanisti e scienziati di varie discipline.

Nell’arco dei prossimi vent’anni l’uomo è chiamato ad affrontare sfide molto impegnative che non possono essere vinte dalle singole Nazioni, ora più che mai serve una collaborazione fattiva di tutti gli stati europei.

Il libro è composto da nove saggi che toccano gli argomenti più svariati: intelligenza artificiale, ambiente e clima, genetica molecolare, economia, arte e politiche europee.

Nel primo saggio intitolato “Il cellulare di Perseo, ovvero il crepuscolo” lo psicanalista Mauro Mancini ci parla delle ripercussioni sul senso di identità e sulla facoltà di apprendimento dovute al crescente utilizzo di cellulari e computer. Uno dei suoi interrogativi è rivolto alla fine della storia. Noi tutti siamo portati a pensare che questa coinciderà con una catastrofe naturale oppure a seguito di un evento causato dall’uomo come ad esempio una guerra nucleare. E se invece la fine fosse determinata da una mutazione psicologica profonda dell’umanità? Se coincidesse con la perdita di quel senso di identità costruito nel corso dei millenni a partire dal neolitico? Inquietante, vero? 

Nel secondo saggio “Sui cambiamenti climatici. Colloquio tra un fisico e un etologo”, il fisico Vincenzo Artale e il biologo/etologo Enrico Alleva cercano di dare una risposta a quelle stesse domande che tutti noi, interessati al futuro dell’ambiente, ci stiamo ponendo. L’argomento viene affrontato da due punti di vista scientifici diversi come diverse sono le loro discipline di studio.

“L’RNA e il futuro della biologia” è un saggio di Piero Benedetti. Il biologo molecolare ci conduce alla scoperta della biologia genetica e delle sue ultime conquiste. Le ultime ricerche sull’RNA hanno aperto orizzonti impensabili fino a poco tempo fa nel campo della medicina, della biologia e sulla possibilità di ricostruire in modo più rigoroso l’evoluzione della vita sulla terra. Se la scoperta del DNA e del sequenziamento completo del genoma umano ha segnato la biologia del Novecento, la scoperta dell’RNA senza dubbio è destinata a segnare nello stesso modo quella del XXI secolo.

Nell’intervista di Marcantonio Lucidi, “L’invenzione dell’anima artificiale”, il musicista Nicola Piovani risponde su quale sia secondo lui il futuro dell’arte nell’era dell’Intelligenza Artificiale. È ormai chiaro da tempo che l’Intelligenza Artificiale possa produrre arte o, come in questo specifico caso, musica “alla maniera di”. Quello che però risulta più angosciante è il fatto che oggi potrebbe essere in grado di intuire le emozioni che l’opera d’arte suscita nel fruitore, riuscendo così a produrre qualcosa di nuovo che infonda in questo quanto da lui desiderato. Dalle parole di Piovani la sua sembrerebbe una reazione rassegnata più che pessimistica dinnanzi a quella che si prospetterebbe essere la fine dell’umanesimo in favore di un mondo dove le Intelligenze Artificiali potrebbero scrivere musica e creare opere d’arte per altre Intelligenze Artificiali. In questo verosimile mondo fantascientifico l’uomo diventerebbe inutile. Lo scenario prospettato da Nicola Piovani e che egli sembrerebbe accettare serenamente, devo dire a me inquieta invece profondamente. Mi ha intrigato molto invece l’idea dell’uomo-macchina e del suo sesto senso visto come un’organizzazione inconscia di dati accumulati.

In “Riformare il sistema economico: perché e come?” l’economista Maurizio Franzini ci parla delle origini del PIL (Prodotto Interno Lordo) e di come sia stato possibile che questo sia diventato fin da subito l’indicatore ritenuto più efficace per misurare il benessere nazionale. Analizzando i dati non solo si ha conferma di cose magari ovvie come il fatto che il benessere economico, quello che viene indicato dal PIL, non coincida quasi mai con l’idea che i singoli individui hanno della definizione di benessere, ma si scoprono anche altre cose interessanti. L’incremento del PIL comporta spesso oltre a diseguaglianze sociali, anche gravi danni all’ambiente come la perdita di biodiversità, l’accelerazione del cambiamento climatico e l’aggravarsi del problema dello smaltimento dei rifiuti. Il saggio di Franzini affronta anche altre tematiche legate alla nostra società PIL dipendente come quelle relative all’esagerato controllo del lavoratore, alla scarsa mobilità sociale e al disatteso quanto agognato sistema meritocratico. Un cambiamento radicale sembrerebbe necessario e per Franzini tre sarebbero le parole chiave: etica, politica e istituzioni. 

“I chicchi sugli scacchi e la sorveglianza quantica” di Duccio Piovani ci spiega cosa sia la legge di Moore. Nel 1965 Gordon Moore, il fondatore di Intel, fece una previsione che si rivelò davvero indovinata. Secondo la sua teoria la velocità dei microchip dei computer sarebbe raddoppiata ogni anno per i prossimi dieci anni. Questa legge è rimasta valida fino al 2016, anno in cui si è raggiunto il limite non potendo più inserire altri transistor all’interno di un microchip in quanto raggiunta la capienza massima. Ovviamente la ricerca per trovare una soluzione alternativa non si è mai fermata e oggi sembrerebbe che quella più accreditata sia da identificarsi nella computazione quantistica. Duccio Piovani si interroga sui pro e contro che la crescita esponenziale della potenza di calcolo dei computer ha avuto sulle nostre vite e su cosa dovremmo aspettarci per il futuro.

Con il saggio di Piercosma Bisconti Lucidi e Davide Orsitto “L’intelligenza artificiale e il mercato dell’ozio” torniamo ad occuparci di intelligenza artificiale e informatizzazione. L’argomento qui viene affrontato guardando a quali potrebbero essere le conseguenze per l’uomo nel mondo del lavoro qualora le sue mansioni venissero un giorno svolte totalmente dalle macchine. Nel saggio si fa distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, intendendo con il secondo tutti quei lavori che necessitino di processi creativi e che implichino l’uso dell’immaginazione. La cosa che colpisce di più in questo saggio è la terribile prospettiva che un giorno possa essere stravolta la nozione stessa di “lavoro”. Il lavoro costituisce infatti uno degli elementi fondanti della nostra identità sociale. Lo stesso primo articolo della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Cosa accadrebbe se il lavoro improvvisamente fosse destinato solo ad una piccola élite? Se non fosse più un aggregante sociale?

L’ultimo saggio “Da Roma a Bruxelles: breve storia dell’Europa disunita e del suo unico futuro” è di Franco Chiarenza. Dopo aver tracciato una breve storia dell’Europa, il professore e giornalista si interroga su quale possa essere il futuro dell’Unione Europea. Ci parla dell’Impero Romano come primo e forse unico esempio di inclusione che la storia abbia mai conosciuto. Roma riuscì ad unire genti e culture diverse non tanto grazie alla forza del suo esercito quanto piuttosto alla creazione di uno stato di diritto e alla convenienza economica. La strada che i paesi europei dovranno percorrere non potrà essere uguale a nessun’altra mai percorsa prima, ma se proprio si vuole guardare ad un esempio quello lo si può intravedere solo nell’antica Roma. Il nazionalismo aggressivo, la paura della perdita di identità, la falsa credenza che il proprio benessere si possa raggiungere solo a scapito di quello altrui sono tutte criticità di non facile soluzione. L’unica idea di Unione Europea attuabile secondo Chiarenza è quella di una Europa percepita non come un’entità che superi gli stati nazionali, ma piuttosto quella di una Europa intesa come una necessità per la sopravvivenza degli stati nazionali stessi.

Questo libro non solo offre molti spunti di riflessione al lettore ma allo stesso tempo cerca anche di suggerire, per quanto più possibile, delle fattive soluzioni teoriche e pratiche a quei problemi che le nostre società sono chiamate ad affrontare e davanti ai quali non è più possibile sfuggire.

Credo che nessuno di noi comunque possa sottrarsi dal dedicare un po’ del proprio tempo a riflettere sul cambiamento epocale che stiamo vivendo, un cambiamento che la pandemia ha contribuito ad accelerare o forse ha semplicemente reso più evidente.

 



mercoledì 10 marzo 2021

“Il cuore delle cose” di Natsume Sōseki (1867-1916)

Inizi del Novecento, uno studente universitario giapponese racconta del suo incontro con il maestro durante una vacanza a Kamakura. 

In verità egli non è un suo insegnante, ma lo studente gli si rivolge così per rispetto; come egli stesso infatti spiegherà nelle prime pagine del libro è sua abitudine rivolgersi in tal modo alle persone più anziane.

Il romanzo è diviso in tre parti, nelle prime due l’io narrante è lo studente che in prima persona racconta dei suoi studi, della sua famiglia, ma soprattutto cerca di fare luce sullo strano rapporto instauratosi nel tempo tra lui e il maestro, rapporto che coinvolge in parte anche la moglie di questi.

Nell’ultima parte invece a prendere la parola è il maestro stesso che, attraverso le pagine di una lunga lettera, affida allo studente il suo testamento morale.

Il cuore delle cose (titolo originale Kokoro) di Natsume Sōseki, ritenuto oggi il suo capolavoro, presenta molti punti di contatto con la biografia del suo autore tanto da poter identificare il maestro con l’autore stesso.

Molto importante diventa quindi, per comprendere meglio il romanzo, la lettura dell’interessante prefazione di Gian Carlo Calza dedicata proprio alla vita di Sōseki e alla sua poetica.

Il 30 luglio 1912 morì l’imperatore Meiji e questo evento segnò profondamente il Giappone. Con la morte dell’imperatore terminava l’epoca di transizione del Giappone dal mondo feudale alla corsa verso l’occidentalizzazione.

Mi sono interrogata spesso sulle problematiche della traduzione di questo libro, non solo a livello linguistico, ma anche sulla difficoltà nel riuscire a trasmettere adeguatamente quella spiritualità e quel sentire orientali così lontani dalla cultura occidentale.   

In questo romanzo, forse anche perché Natsume Sōseki era un profondo conoscitore della letteratura occidentale ed in particolare di quella britannica, non si avverte nessun forte distacco tra le due culture. Qui la tradizione giapponese entra in comunione con quella occidentale sulla scia di quell'occidentalizzazione verso cui si avviava il Giappone proprio a quel tempo.

Così il concetto che l’amore profondo provato per la donna amata sia da paragonarsi ad una religione, nonostante venga espresso in un romanzo dove la società segue un modello prettamente patriarcale, non può non richiamare alla memoria la poetica di John Keats e quella lettera che il 13 ottobre 1919 egli scrisse alla sua Fanny “Sono sempre rimasto stupefatto dinnanzi a chi moriva da martire per la religione – l’amore è la mia religione – io potrei morire per amore – potrei morire per te. Il mio unico credo è l’amore e tu il mio solo dogma”.

Il cuore delle cose è un romanzo particolare, un romanzo che si svela a poco a poco, intriso di malinconia e solitudine. Delusione e senso di perdita pervadano ogni pagina; su ogni cosa domina la sfiducia nel prossimo dal momento che non può esistere una netta linea di demarcazione tra buoni e cattivi poiché si può essere certi che anche i migliori inevitabilmente dinnanzi alle tentazioni della vita si lasceranno corrompere.

Incomunicabilità, rassegnazione e frustrazione coinvolgono tutti i personaggi indistintamente, lo studente, la moglie, il maestro, l’amico K, soffocando ogni cosa; le verità taciute, il senso di inadeguatezza, la sofferenza, il tradimento minano alla base ogni rapporto, ogni possibile complicità è preclusa.

La moglie del maestro continuerà a sentirsi colpevole per qualcosa che non ha commesso, il maestro seguiterà a colpevolizzarsi ritenendo se stesso la sola causa di tanto dolore, mentre l’ombra dell’amico K, morto da tanto tempo, continuerà a spandere la sua tragica ombra sulle vite di chi gli è sopravvissuto.

Solo allo studente sarà concesso conoscere la verità, ma sarà troppo tardi o forse no, forse conoscere la verità potrà salvarlo da se stesso e dalle prove della vita che lo attenderanno in quest’epoca moderna, così piena di libertà, indipendenza, ed egoistica affermazione individuale.