domenica 26 settembre 2021

“Karma” di Fausta Leoni

Fausta Leoni (1929-2019), scrittrice e giornalista che ha collaborato a diversi programmi culturali ed è stata redattrice del TG2 Rai, ci racconta in prima persona la sua esperienza con il mondo dell’aldilà.

A questo argomento nel 1963 insieme al regista Gillo Pontecorvo Fausta Leoni dedicò anche un’inchiesta televisiva per indagare quale fosse l’atteggiamento degli italiani verso l’immortalità dell’anima. L’ultima parte del libro riporta proprio la scaletta delle quattro puntate del programma. 

Fausta Leoni si sta recando con il marito Gibì in Perù e più precisamente nel piccolo pueblo di Huallpa, sulla Cordigliera delle Ande, il luogo dove è ormai certa di aver vissuto la sua precedente esistenza.

Qui il racconto fa un passo indietro e la scrittrice inizia a narrarci della sua vita, della sua famiglia, di come abbia conosciuto il marito e di come, proprio durante un viaggio in Sudamerica subito dopo il matrimonio, sia affiorato insistentemente in lei il ricordo della sua vita precedente.

Un susseguirsi di eventi e coincidenze si succedono giorno dopo giorno nella sua vita fino a farle prendere coscienza che tali fatti non possono ritenersi semplici casualità ma piuttosto espressione di qualcosa di più profondo e complesso.

Il suicidio di una persona appena conosciuta e verso la quale lei aveva avvertito sin da subito un certo fastidio scatenano in lei l’insorgere di una strana malattia che i medici non riescono a diagnosticarle.

Il suo è un malessere dell’anima che le prosciuga le energie vitali. Tornata in Italia ha però la fortuna di conoscere una persona in grado di aiutarla, una donna straordinaria di nome Fidelia che le spiega cosa le sta accadendo e come combatterlo.

“Karma” è la storia della reincarnazione di Fausta Leoni raccontata in prima persona dalla protagonista. Un libro che è stato pubblicato in venti edizioni, un best seller internazionale che ha venduto milioni di copie.

È una storia decisamente fuori dall’ordinario a cui si può credere o meno e proprio in questi termini la stessa autrice all’inizio del volume si rivolge ai lettori.

Fausta Leoni non ha scritto la propria storia con l’intenzione di convincere qualcuno di quanto le fosse accaduto all’età di ventidue anni, ma piuttosto per aiutare chi, avendo vissuto qualcosa di simile a lei, avrebbe potuto trarre da queste pagine una qualche chiave di lettura.

Il racconto, seppure cronaca di un’esperienza vissuta  e reale, assume la forma di romanzo e la narrazione si fa fluida. Numerosi sono i personaggi che animano queste pagine, tra di essi anche nomi conosciuti del mondo della televisione, della cultura e non solo.

Insieme all’autrice scopriamo da Fidelia cosa sia il karma ossia la legge che regola le varie esperienze umane di un’entità spirituale, una legge per cui ogni vita è la conseguenza inevitabile di una precedente condotta.

Ma com’è fatta l’anima? È sempre Fidelia che ce lo spiega. L’anima è comporta di tre parti: quella che ha sede nel ventre e finisce quando muore il corpo; quella che ha sede nel cuore e che dopo la morte non si disintegra immediatamente, ma resiste ancora un po’ di tempo e, infine, la terza parte quella che ha sede nel cervello che sopravvive alla morte e si reincarna in diversi corpi.

Ciascuno di noi è libero di credere o meno in queste teorie, libero di credere o meno nell’esistenza di un aldilà, di un inferno o paradiso che sia, così come all’esistenza di qualche energia o entità in grado di comunicare con noi vivi.

Come si evince anche dalle interviste condotte difficilmente ci si interroga su tali argomenti o se ne parla volentieri. Perché questo accade? Per disinteresse? Paura? Superficialità? Chi può dirlo, non è mai giusto generalizzare e tanto meno lo si può fare su un argomento del genere.

“Karma” di Fausta Leoni è indubbiamente un libro che apre una breccia anche nelle persone più scettiche. Chi infatti durante la propria vita non si è mai trovato disorientato almeno una volta da qualche particolare coincidenza o da una qualche singolare premonizione?

Personalmente faccio parte di coloro a cui questo genere di cose incute sempre un po’ di timore e ansia per cui preferisco non indagare troppo e pur mantenendo un atteggiamento possibilista e aperto, confesso di cercare di evitare l’argomento nascondendo la testa sotto la sabbia. 

E voi cosa ne pensate? Come vi comportate quando sentite parlare dell'aldilà?

 

 

sabato 18 settembre 2021

“Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici” di Alberto Bruschi

La figura di Giuliano Dami è una figura enigmatica e della quale è difficile riuscire a capire quanto ci sia di vero nelle cronache del tempo che ne hanno tramandato l’immagine di un uomo gretto e malvagio.

Tutto ciò che è stato scritto si riallaccia alle infamanti storie tratte da un manoscritto di dubbia attribuzione, l’avvocato Luca di Bartolomeo, secondo Sir Harold Acton, o il dispensiere di Cosimo III Luigi di Lorenzo Gualtieri secondo Giuseppe Conti (Firenze dai Medici ai Lorena).

Alberto Bruschi con quest’opera si propone l’arduo compito di rileggere il manoscritto affiancando tale lettura allo studio dei documenti d’archivio nel tentativo di cercare di comprendere quanto ci sia di vero nel manoscritto e quanto invece sia frutto, se non proprio di pura fantasia, quantomeno di una volontà atta a distruggere la figura di Giuliano Dami.

Unico punto non soggetto a controversie è il fatto che il personaggio in questione fosse di una bellezza disarmante e che senza dubbio proprio il suo aspetto fisico lo favorì nella sua incredibile ascesa sociale.

Alberto Bruschi inizia le sue ricerche proprio da Mercatale in Val di Pesa, luogo di nascita del bel Giuliano. L’autore del manoscritto liquida alla stregua di due pezzenti i genitori del nostro protagonista, ma dai registri parrocchiali si evince che questi non erano assolutamente tali. La madre, in particolare, Caterina Ambrogi portava un cognome piuttosto importante. Gli Ambrogi, per quanto popolani, erano dei possidenti terrieri. Vero è che della famiglia si contavano più rami, ma Caterina pur non appartenendo al ramo più facoltoso non poteva comunque essere annoverata come una miserabile stracciona.

Morto il padre di Giuliano, ad occuparsi della famiglia fu uno zio paterno che, visto il numero delle bocche da sfamare, non poteva essere neppure lui particolarmente povero.

Giuliano fin dalla giovane età dimostrò di avere un carattere vivace e ribelle che mal sottostava ai soprusi e all’autorità.

La sua carriera partì dal gradino più basso, iniziò addirittura come votapozzi, ebbene sì, fu proprio uno di quei ragazzini che si occupavano di svuotare i pozzi neri, solo il boia e il becchino potevano essere annoverati come mestieri peggiori.

L’importante per Giuliano fu l'arrivo a Firenze perché lì, grazie al suo aspetto e alla sua scaltrezza, ebbe comunque la possibilità di cogliere la giusta occasione per migliore pian piano la propria condizione.

Infatti, dopo diversi lavori, prese servizio come lacchè presso il Marchese Ferdinando di Roberto Capponi. 

Giuliano smise quindi per sempre i vestiti cenciosi per indossare una scintillante livrea di velluto rosso dai galloni dorati, la livrea “all’Ussara”.

Durante una visita del Capponi a Palazzo Pitti, Giuliano fu probabilmente notato da Gian Gastone e da lì il passo fu breve, il giovane cambiò padrone sebbene ben presto fu lui stesso a diventare il padrone del suo signore. Non mi dilungherò su questa storia che ormai tutti conosciamo benissimo.

Contrariamente a quanto riportato nel manoscritto Gian Gastone conobbe Giuliano dopo il matrimonio e lo portò poi con sé a Reichstadt dopo un suo soggiorno a Firenze.

Alberto Bruschi si interroga su quali fossero i reali sentimenti che legarono Giuliano Dami a Gian Gastone de’ Medici, forse all’inizio Giuliano provò anche affetto per il suo signore, impossibile avere una risposta certa, ma senza dubbio guardando ai suoi testamenti e al codicillo al secondo testamento quello che emerge è la figura di un uomo avaro e meschino che neppure in quel momento, pensando alla propria morte, ebbe un pensiero per onorare la memoria di chi per lui aveva fatto e sacrificato tanto.

Il libro racconta non solo le malversazioni del Dami alla Corte medicea, ma anche tutte le furfanterie e le appropriazioni indebite di cui si macchiò, di come fosse entrato in possesso del suo prestigioso palazzo in via Maggio, delle ville e dei terreni nonché di quelle sue operazioni che oggi non esiteremmo a definire di alta finanza.

Il libro indaga ogni aspetto della vita di Giuliano Dami: il matrimonio con Maria Vittoria Selcini, probabilmente contratto per cercare di mascherare la natura dei suoi rapporti con Gian Gastone, sospetti impossibili ovviamente da allontanare; le sue committenze artistiche, i suoi rapporti a Corte e i rapporti con gli altri esponenti della famiglia granducale, i rapporti con i propri famigliari e quelle donazioni fatte in particolare modo al Monastero delle Mantellate, le cui suore da lui beneficiate lo ricordarono sempre come il nostro Giulianino.

Il racconto non tralascia di delineare un ampio affresco della Corte e della Firenze dell’epoca.

Il libro non si interrompe con la morte di Gian Gastone, ma guarda anche alla vita di Dami dopo la dipartita del suo benefattore, colui che anche sul letto di morte nonostante tutto chiese ancora pietà per l’amico alla sorella Anna Maria Luisa.

Gli ultimi anni di Dami furono anni in cui si dovette principalmente preoccupare di non perdere la vita e le sostanze accumulate nel corso di tanti anni di prevaricazioni. Il delitto di sodomia, infatti, non venne cancellato con l’avvento dei Lorena e la pena prevista per una tale reato rimase la condanna a morte, senza contare che era sufficiente solo una denuncia perché, anche dopo la morte, a colui che fosse stato giudicato colpevole sarebbero stati alienati tutti i beni cosicché questi sarebbero stati incamerati dallo Sato a discapito degli eredi.

Il libro di Alberto Bruschi è un’opera davvero importante ed esaustiva, corredata di un’appendice molto ricca di documentazione fotografica e documentazione d’archivio.

Una prosa forbita ed elegante, fluida e scorrevole, fanno di questo libro una lettura oltremodo piacevole nonostante l’argomento sia piuttosto specifico ed esclusivo.

Non è mai facile parlare di un libro che ci ha coinvolto particolarmente, si ha sempre paura di non riuscire a dire tutto oppure farlo in modo sbagliato; sensazione ancora più strana se poi certe emozioni ci sono state suscitate non da un romanzo, ma piuttosto da un saggio.

L’immagine mefistofelica di Giuliano Dami non ne esce molto diversa da quella descritta dal manoscritto; le fonti fredde degli archivi confermano in buona parte l’anima meschina ed egoista dell’aiutante di camera di Gian Gastone de’ Medici e anzi, se possibile, la rendono ancora più enigmatica.

Colui che sarebbe potuto divenire il più importante ministro della Corte medicea, il rappresentante di un Granduca colto, raffinato, sensibile e illuminato, dal quale avrebbe potuto attingere quella cultura e quell’educazione che per nascita gli erano mancate, preferì invece servirsene per i propri scopi miserabili e gretti, passando alla storia come un uomo abbietto che non conobbe mai il significato delle parole carità e onore, un uomo che condannò all’eterno biasimo se stesso e colui la cui più grande colpa fu quella di averlo, nella sua immensa solitudine, accolto come un sincero amico a cui affidarsi.




venerdì 17 settembre 2021

Alto Adige: Tires (Tures) – Catinaccio (Rosengarten) – Bolzano (Bozen)

Era da tanto che non tornavo in montagna, quest’anno è capitata l’occasione e non ho avuto dubbi su dove volessi andare. Dovevo assolutamente ritrovare il mio Rosengarten perché una volta visto è impossibile dimenticarlo.  

Impossibile scordare le sue vette che si infiammano al tramonto tingendosi di un magnifico rosa

Il fenomeno scientifico-meteorologico è conosciuto con il nome di enrosadira ed è tipico delle Dolomiti, ma io preferisco la versione legata alla leggenda di Re Laurino e allo splendido “giardino delle rose” nel suo magico regno all’interno del Catinaccio. Eh sì, perché Laurino era il re dei nani e possedeva un enorme tesoro. Un giorno si innamorò di una splendida principessa di nome Simile…  ma questa storia ve la racconterò un’altra volta.

Per questioni logistiche non sono riuscita a tornare nella mia amata Val di Fassa (chissà forse l’anno prossimo) e ho quindi optato per Tires un piccolo paese sopra Bolzano nei pressi del Parco naturale dello Sciliar- Catinaccio.  Scelta che si è rivelata indovinata.


Il meteo non è stato dei migliori purtroppo, ma non mi ha impedito di fare le mie passeggiate e quando ci si trova in questi bellissimi luoghi cosa si può volere di più?

La cappella di San Sebastian si raggiunge facilmente attraverso una bella passeggiata che dall’abitato di Tires al Catinaccio (Tiers am Rosengarten) sale quasi fino a 1200 m di altitudine.



Questa cappella è
dedicata a San Sebastiano, soldato e martire romano che viene di solito raffigurato insieme a San Rocco e invocato in caso di epidemie.

La cappella risale al XVII secolo, tempo in cui la peste nera raggiunse anche questa aerea. I Signori di Völsegg che all’epoca amministravano il territorio avevano fatto voto che se la Morte Nera avesse risparmiato la loro famiglia avrebbero fatto erigere come ringraziamento una cappella in onore di San Sebastiano e così avvenne.


La cappella si trova immersa nella natura, in mezzo a dei bellissimi prati ed è circondata da uno steccato in legno.


Purtroppo la chiesetta era chiusa, senza alcuna possibilità di accesso. Guardando attraverso le piccole finestre poste sulla facciata l’interno appariva completamente buio. Ho provato, ovviamente senza usare il flash, ad introdurre il mio iPhone da una grata e ho scattato qualche foto. Il risultato è stato sorprendente perché sono riuscita a scoprire una porzione di affresco sul muro di sinistra e fotografare la pala che decora l’altare.



In alto troviamo l’incoronazione della Vergine mentre in basso sulla sinistra San Sebastiano e sulla destra un altro santo che sembrerebbe essere proprio San Rocco.


La Chiesa di Tires al Catinaccio si trova proprio al centro del paese ed è dedicata a San Giorgio. I primi documenti che la ricordano ne fanno risalire la costruzione al XIV, la parte bassa del campanile è infatti datata 1332, ma la costruzione della chiesa originaria potrebbe essere precedente. La parte alta del campanile con la cupola rossa a forma di cipolla è invece datata 1739. La chiesa subì una prima importante ristrutturazione nel 1767 e successivamente una seconda a metà del XIX secolo.




Bellissimi sono
gli affreschi del 1772 opera di Karl Henrici (1737-1823), pittore slesiano attivo in Veneto, Trentino-Alto Adige e Tirolo, nei quali è raffigurano ovviamente anche San Giorgio.

Sulla facciata tre statue policrome, al centro San Giorgio. A fianco della chiesa si trova un piccolo cimitero.



Visto che sono indecisa sulla scelta, ecco due foto della chiesa scattate una al mattino e una al tramonto.





Per terminare il reportage della vacanza in Alto Adige qualche foto dell’ultima tappa dedicata a Bolzano con il suo splendido duomo, piazza Walther e il pittoresco mercato ortofrutticolo nel centro della città… 









lunedì 13 settembre 2021

Colle Val d’Elsa - San Miniato

Siamo arrivati all’ultimo post dedicato alla mia vacanza in Toscana.

Famosa per la produzione di cristallo Colle Val d’Elsa è arroccata su un alto poggio e presenta tutte le caratteristiche degli antichi borghi. 



Sono sinceramente rimasta un po’ stupita dal fatto che nonostante le sue evidenti potenzialità questo paese non sia molto visitato. 



Non saprei dirvi se a dissuadere i turisti sia la parte bassa del paese ossia Colle Bassa così chiamata per differenziarla dalla parte più antica appunto denominata Colle Alta. In effetti la distesa disordinata di edifici che caratterizza la parte moderna della città ha dissuaso anche me per anni dal visitare l’antico borgo.



Colle Val d’Elsa diede i natali ad Arnolfo di Cambio. La torre di Arnolfo, una delle varie case torri presenti, è così chiamata proprio perché vi nacque il celebre scultore e architetto.



Poco più avanti della torre di Arnolfo troviamo la piccola chiesa romanica di Santa Maria in Canonica costruita nei XII-XIII secolo, ma le cui origini si ritengono ancora più antiche. All’interno di notevole pregio la pala d’altare opera di Pier Francesco Fiorentino raffigurante la Madonna con bambino e santi.



Non sono riuscita purtroppo a visitare il Museo civico e d’arte sacra. Un buon motivo per tornare a Colle Alta, voi che ne dite?



Ultima tappa, prima di ripartire sulla via di Pisa, mi sono fermata a San Minato che si trova più o meno a metà strada tra Pisa e Firenze.  



Raggiungere il suo centro storico richiede una buona dose di fiato perché è situato in cima ad una collina a circa 4 km dall’abitato di San Miniato Basso. La fatica però è ben ripagata perché raggiunta la rocca si gode di una stupenda vista della campagna circostante.



La torre di Federico II si deve alle modifiche federiciane della fortificazione che già Ottone I aveva voluto come sede dei vicari imperiali. 

La rocca costituiva il nucleo interno di un ampio circuito difensivo del quale facevano parte la torre di Matilde, l’attuale campanile della Cattedrale, e la torre delle cornacchie, abbattute del XVIII secolo.  

La torre fu distrutta nel 1944 e ricostruita secondo le forme originali.



Nel XIII canto dell’Inferno nella selva dei suicidi Dante incontra il personaggio di Pier Delle Vigne, tesoriere e segretario di Federico II, che accusato di tradimento e corruzione venne imprigionato e accecato. Si narra che Pier delle Vigne venne imprigionato proprio nella rocca di San Miniato.


Ai piedi della rocca un masso riporta incise le parole di Dante a lui dedicate:


“Io son colui che tenni ambo le chiavi del Cor di Federigo, e che le volsi, serrando e disserrando, sì soavi che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch'i ne perde' li sonni e' polsi."






domenica 12 settembre 2021

L’Albergaccio (Casa di Machiavelli)

Quest’estate sono riuscita a realizzare un sogno: visitare l’Albergaccio! Sì, lo so che Niccolò Machiavelli è un personaggio che ai più non è molto simpatico, ma io sin da ragazzina ho sempre nutrito per lui una vera passione.

Ringrazio soprattutto Villa Machiavelli che, nonostante fossero occupatissimi nell’allestimento per un matrimonio, mi hanno permesso lo stesso di visitare la casa museo di cui loro sono custodi e proprietari.






Non ci provo neppure a descrivervi l’emozione di poter camminare per quelle stanze e visitare lo studio dove venne scritta la sua opera più famosa: Il Principe. 







Da Sant’Andrea in Percussina si scorge in lontananza Firenze con la sua meravigliosa cupola. Chissà cosa avrà provato Niccolò ogni volta che guardava in quella direzione, lui esiliato in campagna, lontano dalla sua amata attività politica… Sto diventando troppo sentimentale, vero?



Al rientro dei Medici a Firenze nel 1512, Niccolò Machiavelli dopo essere stato incarcerato e torturato, perché accusato di aver preso parte alla congiura antimedicea, venne esiliato a San Casciano Val di Pesa. San’Andrea in Percussina dove si trova l’Albergaccio, è appunto una frazione di San Casciano.


Di come trascorresse i suoi giorni è rimasta traccia soprattutto in una lettera che Machiavelli scrisse all’amico Vettori, datata 10 dicembre 1513, nella quale egli racconta di come passasse il tempo del giorno ad occuparsi dei suoi poderi, a giocare a tric-trac all’osteria e di come alla sera invece “rivestito condecentemente” entrasse “nelle antique corti degli antiqui uomini” per discorrere e ragionar con loro.





La famiglia Machiavelli era suddivisa in più rami. Il ramo in cui nacque Niccolò si estinse nel XVII secolo e i suoi successori furono i Conti Serristori di Firenze che detennero il possesso di queste terre fino al passaggio all’attuale proprietà che ha provveduto a restaurare Casa Machiavelli in modo accurato facendone un museo molto suggestivo.




Un consiglio: fate una sosta e fermatevi a mangiare a Villa Machiavelli non ve ne pentirete! La coppa Machiavelli, una variante di tiramisù con cantucci e vin santo, è qualcosa di divino…





sabato 11 settembre 2021

Il Chianti - Panzano - Montefioralle

Non c’è modo migliore di assaporare le l’atmosfera del Chianti se non quello di percorrere la famosa SR222 la strada che corre sulle colline da Siena a Firenze.

Dalla Chiantigiana si dipartono strade secondarie che attraversano le zone più belle della campagna Toscana e lungo le quali si incontrano bellissimi borghi come Volpaia che visitai qualche anno fa e della quale mi innamorai perdutamente.


Quest’anno la scelta è ricaduta però su altri paesi come Panzano che si affaccia sulla “conca d’oro” ovvero su quella parte di colline soleggiate che degradano fino al torrente Pesa.



Nelle foto vedete la chiesa di Santa Maria che purtroppo non ho potuto visitare perché c’era la funzione domenicale. 

Sulla facciata sopra il portone si trova la “Madonna contornata dagli Angeli” opera di Umberto Bartoli (1965).



Del castello di Panzano inoltre sono ancora conservate parte delle mura e la torre del Cassero.

L’altro borgo visitato sulla via del ritorno è Motefioralle, classificato come uno dei borghi più belli d’Italia, definizione ampiamente meritata.

Si tratta di una piccola frazione di Greve in Chianti nella provincia di Firenze.



Il borgo conserva ancora parte della cinta muraria originaria risalente alla fine del XII secolo circa e alcune torri che sono stata adattata ad uso abitativo.





Il borgo è un vero gioiellino che offre scorci davvero suggestivi. Assolutamente da visitare.



In realtà questa giornata era principalmente dedicata ad un altro luogo che era da tanto tempo che volevo visitare e che merita un post a parte. Stay tuned...




venerdì 10 settembre 2021

Certaldo – San Gimignano – Monteriggioni – Siena

Dopo la visita della vila medicea di Poggio a Caiano la serata è stata dedicata a Certaldo.

Il borgo è famoso soprattutto perché diede i natali a Giovanni Boccaccio che qui trascorse anche gli ultimi anni della sua vita e venne sepolto nella chiesa di SS. Jacopo e Filippo

Certaldo è però conosciuto anche per Mercantia il festival internazionale del quarto teatro che ogni anno nel mese di luglio anima le sue vie e le sue piazze.


A causa della pandemia lo scorso anno il festival non ebbe luogo, ma quest’anno, seppur in forma ridotta e con ingressi contingentati, è stato possibile tornare… a rivedere le stelle.

Proprio a Dante, infatti, nei 700 anni dalla sua morte, e a Fellini (ricorrono i cento anni dalla nascita della sua compagna di vita Giulietta Masina) è stata dedicata l’edizione 2021 del festival.



Se dovessi scegliere lo spettacolo che mi ha emozionato di più direi senza dubbio “Le dantesche” interpretato da Benedetta Giuntini, di grande effetto anche la location ossia i sottosuoli del convento degli agostiniani.



Quanto mi era mancato il teatro in questi ultimi mesi!


La giornata successiva è stata dedicata a San Gimignano, Monteriggioni e Siena.


Iniziamo con San Gimignano altrimenti conosciuta anche come “la città delle cento torri” non ha bisogno di presentazioni. Ricca di storia e di monumenti è immersa in una delle zone più belle della campagna toscana.

Durante la precedente visita mi ero dedicata soprattutto ai musei, alle chiese e ai palazzi, ma non avevo avuto il tempo di salire alla Rocca di Montesfaffoli, l’antica fortezza situata nel punto più alto borgo dal quale si gode una splendida vista delle torri viste dall’alto.



La Rocca fu costruita nel 1353, anno in cui venne sancito l’atto di sottomissione alla città di Firenze, su ordine di quest’ultima e a spese di San Gimignano. Venne poi disarmata nel 1555 su ordine di Cosimo I de' Medici avendo ormai adempiuto al suo scopo. Oggi le mura racchiudono un giardino pubblico ricco di ulivi.


La Rocca è facilmente raggiungibile distando meno di dieci minuti a piedi da Piazza del Duomo.




Da San Gimignano mi sono poi diretta a Monteriggioni.


Non si può non innamorarsi di Monteriggioni con la sua cinta muraria completamente intatta orlata da 14 torri. Ogni volta che ci torno mi emoziona come la prima volta.

Al borgo si accede attraverso una via immersa tra coltivazioni di profumatissima lavanda e ulivi.




Ogni anno qui si svolgeva una bellissima festa medievale “Monteriggioni di torri si corona” (citazione dantesca), purtroppo sempre a causa della pandemia le ultime due edizioni sono state cancellate.

Speriamo di potervi partecipare di nuovo perché è davvero un’esperienza unica.


Quest’anno ho visitato la chiesetta dedicata a Santa Maria Assunta, il museo delle armature e finalmente sono riuscita a percorrere il camminamento delle mura dalle quali si gode di una vista spettacolare.










La serata è stata dedicata a Siena, la città del Palio. 





Non si può resistere dal simpatizzare almeno un pochino per l’una o per l’altra contrada e vista la mia passione per gufi e civette è naturale che la mia simpatia sia indirizzata verso la contrata della civetta.


Nonostante abbia visitato diverse volte la città, non sono mai riuscita a visitare il museo della mia contrada preferita. Purtroppo, anche questa volta sono arrivata all’ora della chiusura, ma ho fatto in tempo a dare una sbirciatina agli interni della chiesetta…