mercoledì 20 luglio 2022

“Sotto il sole della Toscana” di Frances Mayes

Frances Mayes racconta in prima persona la storia dell’acquisto della sua casa nei pressi di Cortona avvenuto nel 1990. In quegli anni era piuttosto inusuale acquistare una casa in un paese straniero a ben 12.000 km di distanza dalla propria residenza. Oggi può sembrare una cosa banale, ma all’epoca la maggior parte degli amici della Mayes e del suo compagno Ed pensarono che fossero completamente impazziti. Gettare via i risparmi di una vita in un’impresa che sembrava quasi impossibile, un capriccio, eppure…  

La vera protagonista è Bramasole. Pagina dopo pagina, quella casa abbandonata da trent’anni in cima alla collina, riprende vita insieme al terreno circostante con i suoi ulivi, gli alberi da frutto e i terrazzamenti.

Tanti i problemi con cui confrontarsi dopo aver acquistato la proprietà: dagli scontri con la farraginosa burocrazia italiana per la concessione dei permessi alla difficile ricerca dell’impresa più valida a cui affidare i lavori di ristrutturazione.

Tante le piccole e grandi scoperte: da quelle più piacevoli, come il ritrovamento di un vecchio lavandino, a quelle più angoscianti come un pozzo improvvisamente asciutto.

Innumerevoli gli incontri fatti nel corso degli anni: conoscenze occasionali, ma anche tante amicizie che col tempo hanno avuto modo di consolidarsi dando luogo ad una fitta rete di rapporti con le persone del luogo e non solo.

Il romanzo non ha una trama vera e propria. Il racconto consiste piuttosto nell’evocazione di ricordi e sensazioni.

Profumi, colori e sapori quasi si sprigionano dalle pagine immergendo il lettore in quella meravigliosa terra che è la Toscana. Una terra moderna ed antica allo stesso tempo perché, come scrive l’autrice, “i toscani vivono nel tempo attuale, solo che hanno avuto il buon senso di portarsi dietro il proprio passato”.

Con l’acquisto di Bramasole la Mayes decise di tenere un diario in cui riportare dettagliatamente ogni cosa: aneddoti, stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione, scoperte, ricette, impressioni ecc.

Uno zibaldone scritto sulle pagine bianche di un quaderno con la copertina di carta fiorentina chiuso con dei nastri azzurri.

A questo quaderno di appunti negli anni ne seguirono molti altri, ma è dalle pagine di questo primo diario che nacque l’idea di pubblicare il libro, quasi una sorta di  bilancio dell’esperienza vissuta fino a quel momento.

Un bilancio totalmente positivo perché, nonostante la complessa burocrazia italiana, i politici pazzi, gli scorpioni, la negligenza della manodopera e tanti altri elementi destabilizzanti, nulla avrebbe potuto mai screditare agli occhi dell’autrice quei valori ancestrali di cui questa terra è ancora oggi fortemente permeata.  

“Sotto il sole della Toscana” nel 2003 diventa anche un film con Diane Lane nella parte della protagonista. Si tratta di una commedia leggera e divertente.

Dopo aver visto il film diverse volte e complici i miei continui viaggi in Toscana, era forte la curiosità di leggere anche il libro.

In verità, libro e film non hanno molto in comune. Il film ha una trama molto più romanzata e ci sono personaggi di pure invenzione come ad esempio l’amante della protagonista, figura alquanto discutibile, interpretato da Raoul Bova.

Possiamo dire che libro e film sono due facce della stessa medaglia, due differenti modi di raccontare la medesima storia e trasmettere l’amore per questa bellissima terra. Entrambi molto piacevoli nella loro diversità.




 

 

 

 

giovedì 14 luglio 2022

“Il principe in fuga e la principessa straniera” di Leonardo Spinelli

La vocazione allo spettacolo da parte della famiglia Medici è oggi largamente riconosciuta grazie a quanto emerso dai carteggi e dagli studi dei documenti d’archivio nel corso degli anni.

La spettacolarità era senza dubbio uno strumento di svago, ma nascondeva anche un secondo aspetto più velato e, forse, anche molto più importante. Arte e spettacolo, infatti, avevano lo scopo di consolidare l’immagine della famiglia Medici e legittimarne il potere. 

Nel Cinquecento, proprio a Firenze, sorse per volere di Francesco I negli Uffizi il primo teatro stabile e nel secolo successivo, sempre a Firenze, nacque un nuovo genere teatrale ovvero l’opera in musica.

L’interesse per la spettacolarità non scemò neppure nei periodi più difficili del granducato e molto attivi furono su questo fronte i fratelli di Ferdinando II: Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo. Il testimone passò poi al gran principe Ferdinando, figlio di Cosimo III.

Il libro è incentrato proprio sulle vicende biografiche e sulla committenza del gran principe di Toscana e della moglie Violante Beatrice di Baviera.

Il loro fu tutt’altro che un matrimonio ben riuscito. Violante svolgeva con grande scrupolosità i suoi compiti di moglie e futura granduchessa, si dice fosse anche molto innamorata del marito, ma Ferdinando non provò mai alcun trasporto per quella consorte che gli era stata imposta dalla ragion di Stato. Il gran principe non solo non fece nessuno sforzo per cercare di tenere nascosi i propri tradimenti, ma neppure si sentì mai minimamente in colpa per le proprie mancanze verso la moglie.

La freddezza del marito e la sterilità del matrimonio non resero la vita facile a Violante che, nonostante venisse spesso messa in ridicolo dai comportamenti del marito, si impegnò fino alla fine dei suoi giorni per il bene della famiglia Medici senza mai però dimenticare la propria casa d’origine.

Molto diverso fu invece il rapporto tra Ferdinando e Violante sul piano della spettacolarità. Entrambi appassionati di teatro e musica, si esibirono talvolta essi stessi in prima persona come artisti e come compositori.

Sul piano della spettacolarità trovarono quindi quell’intesa perfetta che, nei ventiquattro anni che trascorsero insieme, gli mancò come coppia: lui stimato come collezionista e mecenate, lei perfettamente calata nel ruolo di addetta alle pubbliche relazioni, per darne una definizione moderna.

Ferdinando si occupava di tutto ciò che riguardava la mercatura teatrale mentre a Violante spettava il compito di scrivere lettere di raccomandazione a favore degli artisti inviati fuori dalla corte granducale. Poter vantare la stima della gran principessa era molto importante soprattutto per l’immagine delle cantanti che dovevano affrancarsi dall’opinione pubblica che le considerava poco più che delle cortigiane.

Violante Beatrice di Baviera seppe intrattenere rapporti non solo con gli attori, i cantanti, i musicisti, i librettisti (dopo la morte di Ferdinando fu lei ad occuparsi anche della parte artistica), ma soprattutto fu molto apprezzata per la sua capacità di sapersi rapportare anche con gli esponenti del clero e della nobiltà.

Lo stesso cognato Gian Gastone, che non amava particolarmente la spettacolarità, partecipò ad alcuni eventi organizzati da lei.

Dopo la morte di Ferdinando, con il ritorno dell’Elettrice Palatina a Firenze, Violante venne allontanata dai ruoli di maggior visibilità, salvo tornare in prima linea dopo la morte di Cosimo III e l’ascesa al trono granducale di Gian Gastone. Il settimo granduca, infatti, sembrava nutrire un affetto sincero per la cognata, mentre i suoi rapporti con la sorella erano piuttosto tesi.

Il saggio di Leonardo Spinelli prende in esame ogni aspetto della spettacolarità (teatri, cantanti, librettisti, opere, ecc.) senza tralasciare di indagare i rapporti interpersonali dei protagonisti con la corte e con i famigliari né di evidenziare le motivazioni di alcune scelte fatte dai protagonisti stessi.

Un esempio ne è la spiegazione del perché Ferdinando avesse optato per la privatizzazione del teatro di Livorno e la costruzione del teatro privato nella villa di Pratolino a discapito di un teatro come quello della Pergola.

Decisamente un valido saggio non solo per l’esaustiva parte riservata alla mercatura teatrale, agli spettacoli, ai personaggi e ai confronti della spettacolarità nelle varie corti dell’epoca, ma soprattutto perché ha il grande merito di farci scoprire tante sfaccettature del carattere di Violante Beatrice di Baviera che, complice una storiografia che l’ha il più delle volte liquidata in poche righe, erano a noi completamente sconosciute.

Si scopre così la figura di una donna certamente devota, tanto da essere stata insignita anche della Rosa d’Oro, ma mai dogmatica. Una donna che sacrificò ogni cosa, passioni e orgoglio compresi, alla ragion di Stato, ma che nonostante questo seppe rimanere ferma nei propri propositi e, mantenendo saldi i propri ideali e restando fedele a se stessa, seppe conquistarsi l’affetto e la stima di molti.