venerdì 25 novembre 2022

“Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina” di Stefano Casciu

Il libro venne pubblicato in occasione della mostra “Il ritorno dell’Elettrice” presentata a Firenze nel 1993 presso la Loggia Rucellai, allora sede dell’antiquario-editore Alberto Bruschi, che ne fu l’ideatore con il patrocinio del Comune di Firenze.

Proprio l’editore Alberto Bruschi, con lo spirito arguto e ironico che lo ha sempre contraddistinto, apre il volume con quello che definisce il suo pensierino. Poche pagine ma molto significative per comprendere quanto grande e profondo fosse l’attaccamento che l’antiquario nutriva per gli ultimi Medici ed in particolare in questo caso per l’Elettrice Palatina. Non stupisce quindi che proprio questa mostra e l’interesse di Bruschi siano stati elemento di spinta per il recupero della figura di questa ultima esponente della famiglia a cui finalmente oggi viene tributato il giusto riconoscimento. A Firenze, infatti, dal 2002 è stata istituita il 18 febbraio, giorno della sua morte avvenuta nel 1743, la giornata dell’Elettrice Palatina. Dall’anno 2002 fino al 2008 si sono susseguite in questa occasione anche una serie di giornate di studio a lei dedicate i cui atti sono stati raccolti in due volumi.

Stefano Casciu ci racconta la vita di Anna Maria Luisa de’ Medici attraverso le testimonianze dei suoi contemporanei e attraverso l’enorme patrimonio artistico a noi giunto proprio grazie alla sua lungimiranza e alla sua tenacia.

Ci racconta di quella bambina vivace dalle guance paffute che ancora oggi ci guarda curiosa dai ritratti e di quell’adolescente, dalla folta chioma corvina e dagli occhi neri, orgogliosa della sua stirpe. Ci racconta di un Principessa alla corte tedesca felice e spensierata, adorata dal marito e sempre pronta ad organizzare spettacoli e divertimenti, della sua passione per i gioielli e della sua delusione per la gravidanza non portata a termine. Scopriamo attraverso le lettere da lei indirizzate ai famigliari la nostalgia per Firenze dove farà ritorno alla morte dell’Elettore. Qui potrà riprendere il suo ruolo, un po’ a spese della cognata Violante vedova del Gran Principe Ferdinando, e il suo posto accanto al padre che tanto amava quella figlia determinata e pia.

Il saggio è soprattutto incentrato sul mecenatismo dell’Elettrice. Come tutti gli esponenti della famiglia anche Anna Maria Luisa aveva la vocazione a proteggere artisti e musicisti. Il suo mecenatismo assunse aspetti diversi con il mutare della sua condizione. In Germania il suo interesse fu soprattutto rivolto verso la musica e il teatro. A Düsseldorf il marito per compiacerla fece costruire un nuovo teatro che fu frequentato da diversi artisti, tra cui Händel. Le commissioni ai pittori riguardavano spesso la richiesta di esecuzione di ritratti. Molti erano ritratti dell’Elettrice e del marito in costume, abiti che la stessa Anna Maria Luisa faceva confezionare per sé e per il consorte per essere indossati durante delle feste a tema e divertire tutta la Corte. Numerose furono le opere scambiate come omaggio tra la Corte dell’Elettore e quella Granducale, dalla prima giungevano a Firenze soprattutto ritratti dei coniugi e dipinti fiamminghi, mentre da Firenze partivano capolavori dell’arte italiana tra cui addirittura un Raffaello.

Tornata a Firenze il suo mecenatismo non ebbe battute d’arresto, ma si indirizzò verso commissioni di soggetto religioso più consone all’aria che si respirava nel Granducato di Toscana sotto Cosimo III.

Dopo la morte di questi e a causa dei dissapori con il fratello Gian Gastone, il nuovo Granduca, l’Elettrice si rifugiò per buona parte dell’anno nella Villa La Quiete, sede dell’educandato delle Montalve, un luogo che era stato tanto amato anche dalla nonna Vittoria della Rovere. 

Negli ultimi anni della sua vita i suoi sforzi furono tutti improntati alla chiesa di famiglia, la Basilica di San Lorenzo, e al tentativo di portare a termine le Cappelle Medicee che purtroppo, nonostante l’impegno e il denaro profusi, rimasero la sua re imperfecta.

La sua più grande opera resta senza dubbio la Convenzione di Famiglia, meglio conosciuta come il Patto di Famiglia, ratificata a Vienna il 31 ottobre del 1737. Il patto vincolava tutta l’eredità medicea alla città di Firenze e alla Toscana. Nonostante i suoi bellicosi tentativi di stilare inventari per impedire l’emorragia delle opere e delle suppellettili, moltissimo fu comunque trafugato dai Lorena che l’Elettrice non esitava a definire gente affamata.

Il libro di Stefano Casciu è un breve e interessante saggio sulla figura di Anna Maria Luisa de’ Medici. Una valida lettura per chi voglia conoscere questa straordinaria donna, degna erede dei suo illustri avi, e magari poi approfondire l’argomento con la lettura degli atti dei convegni e del libro dedicato al suo testamento.




mercoledì 23 novembre 2022

“La spada che dona la vita” di Yagyu Munemori (a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia)

Il volume si apre con una lunga ed esaustiva introduzione a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia in cui si dà immediatamente notizia delle note biografiche di Yagyu Munemori nato nel 1571 nel villaggio di Yagyu-mura.

Egli fu maestro di spada del primo shogun Ieyasu Tokugawa e in seguito di suo figlio Hidetada, secondo shogun, e di suo nipote Iemitsu, terzo shogun.

Negli anni divenne anche un importante consigliere di corte. Tra i vari interessi che il maestro di spada coltivò ci fu quello per il buddhismo zen forse perché stimolato dal suo caro amico, il monaco Takuan Soho.

L’introduzione però non si limita solo alle notizie biografiche dell’autore dell’Heiho kadensho (La spada che dona la vita), uno dei più importanti trattati sulle arti marziali della tradizione giapponese, ma prosegue descrivendo quel mondo e raccontando il periodo in cui Yagyu Munemori visse e trasmise i suoi insegnamenti.

Apprendiamo attraverso queste pagine la storia del Giappone e dei Samurai; veniamo introdotti al concetto di zen che, come abbiamo già ripetuto in occasione di altre letture, non può essere definito né una religione né una filosofia, ma meditazione.

Non manca neppure un’interessante storia della spada giapponese dalle origini fino ai giorni nostri. Le spade attuali, o comunque quelle realizzate dopo il 1953 con i metodi tradizionali, sono note con il nome di shinsakuto (spade recenti o contemporanee).

Si passa poi al libro di Munemori vero e proprio che è diviso in tre sezioni: “Il ponte della scarpa”, “La spada che dà la morte” e “La spada che dona la vita”.

La prima sezione è quella più legata alla pratica della spada così come l’appendice che si trova al termine del libro ossia “Il catalogo illustrato delle arti marziali della Shinkage-ryu”.

Le altre due sezioni invece, sebbene legate all’insegnamento dell’arte della spada o meglio dell’arte della “non spada”, sono più discorsive e offrono insegnamenti utili nella vita di tutti i giorni non solo in un combattimento.

L’arte marziale è prima di tutto osservazione. L’osservazione in tempo di pace è utilissima a comprendere quando stia per sopraggiungere il caos e intervenire prima che sia troppo tardi. Stupisce quanto tutto ciò sia ancora straordinariamente attuale. Inoltre, leggendo queste pagine, non ho potuto fare a meno di notare diversi punti di contatto tra il pensiero di Munemori e anche di Musashi con quello di Niccolò Machiavelli vissuto in Occidente poco tempo prima.

Analogie si riscontrano laddove si parla dell’importanza di imparare a leggere le situazioni per prevenire il peggio perché la battaglia si vince prima di combatterla; della necessità di mantenersi imperturbabili perché “la spada che manca il bersaglio è una spada morta”, oppure della necessità di annientare un uomo malvagio se questo fa soffrire diecimila persone. In questo caso infatti la spada che dona la morte ad un uomo è la stessa che dona la vita agli altri diecimila.

Ci sono molte risposte che non vi aspettereste di trovare in questo libro. Per esempio, vi siete mai chiesti perché proprio quando fate più attenzione nel fare una cosa, ecco, proprio allora è più facile che commettiate un errore? Questo accade perché prima di iniziare, vi siete fissati nel farla in un certo modo e tale comportamento vi porterà a non ottenere il risultato sperato. Per riuscire la mente non deve essere mai occupata dal pensiero di fare bene qualcosa.

Fondamentale è eliminare le malattie della mente, quello che nel buddhismo viene definito attaccamento. La mente deve rimanere vuota. Dobbiamo dimenticare le fissazioni che sono dannose e imparare a lasciare andare. Se ci fissiamo su qualcosa perdiamo la percezione di quello che ci circonda. Perdere lucidità in un combattimento favorisce il nostro avversario mentre nella vita di tutti i giorni comporta la perdita di occasioni importanti perché non riusciamo a vederle.

“La spada che dona la vita” è un libro che, sebbene scritto secoli fa, sa parlare e offrire un valido aiuto anche a noi che viviamo nel XXI secolo poiché oggi come allora non essere colpiti è già una vittoria.





martedì 22 novembre 2022

“Tre insoliti delitti” di Matteo Strukul

Marco ha ventisette anni e studia all’Università di Marburg. Ha solo pochi giorni per consegnare un lavoro sulla figura di San Nicolò al suo esigente professore.

Fortunatamente la sua fidanzata Gundola viene in suo soccorso lasciandogli in biblioteca un libro che risolverà tutti i suoi problemi.

Il vecchio volume dalla copertina in cuoio riporta in lettere dorate il titolo “Le avventure di Kaspar Trevi, cavaliere”. Sebbene dubbioso, Marco inizia la lettura.

Il libro racconta la storia di Kaspar Trevi appartenente a quel ristretto gruppo di cavalieri dell’Ordine dei Templari esperti di demonologia.

Kaspar si trova a Bari pochi giorni prima che si festeggi il Natale e viene convocato inaspettatamente dal reggente Marcovaldo di Annweiler. Questi, nonostante si comporti come se fosse il sovrano del Regno di Sicilia, in verità, è solo il tutore del re infante Federico II di Hohenstaufen.

Marcovaldo di Annweiler chiede a Kaspar Trevi di ritrovare e riportare a Bari Filomena Monforte. La donna è accusata di stregoneria per aver indotto al suicidio Giuseppe Filangieri, un tempo consigliere della regina Costanza di Altavilla morta pochi mesi prima. L’uomo è stato trovato impiccato ai merli della torre del castello con il ventre squarciato.

Kaspar Trevi accetta l’incarico, ma fin da subito si rende conto che qualcosa non torna nelle accuse che vengono mosse a Filomena Monforte, un tempo dama della regina.

Inizia così una corsa contro il tempo alla ricerca della donna e della verità, un percorso irto di pericoli e insidie che porterà il cavaliere templare prima a Roma e poi a Venezia.

Stupisce sempre l’apparente semplicità con cui Matteo Strukul sembra riuscire a tessere nuove storie capaci di coinvolgere il lettore.

Il personaggio di Kaspar Trevi, l’irreprensibile e leale monaco guerriero, esperto di demonologia sebbene egli stesso scettico sull’esistenza delle streghe, ottima lama e abile politico e oratore, non può che entrare anch’egli fin da subito nel cuore del lettore.

Altra grande dote di Strukul è quella di saper descrivere ogni particolare ricreando perfettamente l’atmosfera dei luoghi in cui si muovono i personaggi senza permettere mai che questa sua minuziosa ricerca descrittiva comprometta la scorrevolezza del testo o diminuisca la suspense della narrazione.

“Tre insoliti delitti” è un racconto natalizio insolito. La vicenda prende avvio proprio nei giorni precedenti il Natale per vedere il suo epilogo in questo stesso giorno. Un racconto gotico, medievale e mistico che narra la leggenda di San Nicola o San Nicolò o Santa Claus  a seconda del luogo in cui ci troviamo. La storia inizia a Bari e finisce a Venezia, le due città dove sono custodite le ossa del Santo che si narra vennero trafugate da Myra da un marinaio.

Questo breve romanzo o, se preferite, lungo racconto è un viaggio nelle tradizioni popolari. Un’opera di fantasia indubbiamente ma che, come sempre quando si tratta di questo autore, si fonda su valide ricerche storiche.

La storia è autoconclusiva, ma potrebbe essere solo la prima di una serie di avventure di questo intrepido cavaliere.




 

lunedì 14 novembre 2022

“L’eredità medicea” di Patrizia Debicke van der Noot

Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1537 il Duca di Firenze Alessandro de’ Medici viene assassinato dal cugino Lorenzino de’ Medici che da quel momento diventa per tutti Lorenzaccio.

Con la morte del Duca Alessandro, ultimo discendente diretto del ramo di Cafaggiolo della famiglia Medici, il vuoto di potere che viene a crearsi nella Città del Giglio è oltremodo pericoloso. 

Firenze fa gola a molti, non solo all’imperatore Carlo V, ed è quindi di vitale importanza nominare in fretta un successore.

Mettendo a tacere coloro che auspicherebbero un ritorno alla repubblica, con l’appoggio di Alessandro Vitelli, comandante dell’esercito imperiale, e con quello del primo ministro, il cardinale Innocenzo Cybo, la scelta ricade sul diciasettenne Cosimo de’ Medici.

Il giovane, figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, che riunisce in sé i due rami della famiglia Medici, quello Popolano per parte di padre e quello di Cafaggiolo per parte di madre, grazie al basso profilo che ha sempre mantenuto sembra proprio il candidato ideale. Cosimo ha sempre mostrato più interesse per la caccia che per la politica e, almeno sulla carta, questo fa di lui una pedina facile da manipolare.

Cosimo però è figlio di suo padre e, anche grazie all’istruzione fattagli impartire nel corso degli anni dalla madre, si rivela tutt’altro che docile. Fin da subito scalpita per imporsi e affermare il ruolo che gli spetta.

Molti tramano nell’ombra e Ombra è proprio il nome con cui si fa chiamare colui che con ogni mezzo cerca di assassinare il nuovo Duca. Tra congiure ed eserciti che si radunano per spodestarlo, non sarà facile per Cosimo de’ Medici riuscire a distinguere quali siano i veri amici di cui potersi fidare e quali invece si fingano tali solo per poterlo eliminare.

“L’eredità medicea” è un libro carico di suspense in cui, sebbene si possa intuire chi si celi dietro la maschera indossata dall’Ombra, il colpo di scena rimane sempre dietro l’angolo. Non esiste una netta distinzione tra bene e male; anche il personaggio più positivo, in verità, nasconde nel suo animo più profondo delle zone d’ombra.

Cosimo de’ Medici e Alessandro Vitelli sono entrambi protagonisti. Cosimo è coraggioso e intelligente, ma anche testardo, ombroso e troppo impulsivo. Vitelli però lo conosce da sempre, sa come prenderlo e grazie ai suoi sottili insegnamenti riuscirà a farne un uomo di comando capace e scaltro.  

I personaggi sono tutti ben caratterizzati. L’autrice ne dà una dettagliata descrizione sia psicologica che fisica. I due fratelli Vitelli, nipoti del comandante dell’esercito imperiale, la vedova di Alessandro de’ Medici, la giovane Margarita d’Austria, Angela, la moglie di Alessandro Vitelli, il luogotenente Montauto sono solo alcune delle numerose figure che animano questo romanzo.

Ci sono poi i personaggi più oscuri, Paolo III e il figlio Pier Luigi Farnese, che non possono non richiamare alla mente altre due celebri figure ovvero quella di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e quella di suo figlio Cesare detto il Valentino.

Pier Luigi Farnese è un soldato, un mercenario, audace e risoluto, ma anche un uomo privo di scrupoli e immorale, capace di efferatezze inaudite. Il papa, suo padre, però stravede per questo suo figlio sempre vestito di nero come nera è la sua anima.

Il libro di Patrizia Debicke van der Noot è un romanzo dal ritmo incalzante e avvincente. Un thriller storico convincente e intrigante come i suoi personaggi.




mercoledì 9 novembre 2022

“I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto” a cura di Maria Sframeli

Dal 12 settembre 2003 al 2 febbraio 2004 si tenne al Museo degli Argenti (Palazzo Pitti, Firenze) una mostra dedicata alla gioielleria medicea dal XVI e XVIII secolo. Curatrice della mostra, allestita da Mauro Linari, fu Maria Sframeli che ne curò anche il catalogo.

I gioielli sono il genere artistico che più difficilmente si è conservato nel corso dei secoli. Questo perché le pietre venivano spesso rimosse e i materiali preziosi fusi per essere trasformati seguendo la moda del momento o, talvolta, più semplicemente per fare cassa.

Oggi, l’unico modo di ricostruire l’iconografia dei gioielli perduti è quello di affidarci alla pittura e ai documenti d’archivio.

Le prime notizie sull’interesse dei Medici per i gioielli risalgono ai tempi di Giovanni di Bicci. Il primo della famiglia che iniziò a collezione gioielli, però, fu Cosimo de’ Medici. Al suo tempo risalgono infatti le prime commissioni ad artisti quali il Ghiberti per la realizzazione di montature per cammei antichi e oggetti preziosi. Questa passione per la gioielleria si intensificò poi con Piero de’ Medici e con il figlio di questi Lorenzo il Magnifico.

Nel Quattrocento il collezionismo di preziosi, seguendo un antico retaggio mercantesco e medievale, oltre che un desiderio da soddisfare per il proprio piacere personale, era ancora considerato soprattutto un sicuro investimento di capitali. In quell’epoca non vi era ostentazione dei gioielli, prova ne sono gli affreschi dove i personaggi della famiglia non indossano nessuna gemma importante anche laddove siano abbigliati con eleganza.

Era consuetudine, inoltre, nelle cerimonie nuziali fare dono di gioielli alla sposa da parte di amici e parenti ovviamente a seconda della condizione sociale ed economica di appartenenza.

Purtroppo, nessun gioiello mediceo quattrocentesco è giunto a noi.

Il matrimonio di Cosimo I con Eleonora di Toledo segnò un punto di svolta anche per i preziosi che divennero i protagonisti principali per la promozione di quell’immagine pubblica voluta dallo stesso Cosimo per il proprio governo.

Nel 1545 fece il suo ingresso a Firenze Benvenuto Cellini. Impegnato con il suo Perseo, che venne poi collocato nella Loggia dei Lanzi, il Cellini dovette dedicare però parte del suo tempo anche alle continue richieste di Eleonora di Toledo con la quale non ebbe un rapporto sereno. Si dice infatti che lei fosse alquanto esigente e capricciosa. Non meno pretenziosa e appassionata di gioielli fu la seconda moglie del granduca Cosimo Camilla Martelli.

Le donne della famiglia potevano usufruire solo temporaneamente dei gioielli di cui entravano in possesso poiché questi erano di fatto proprietà della corona e come tali venivano trasmessi solo per linea maschile.

Oltre a quello di Benvenuto Cellini altri sono i nomi ricordati in quel periodo e tra questi vi è anche quello di Hans Domes famoso per aver realizzato la corona granducale di Cosimo I. Francesco I, il suo successore, invece, ne commissionò una nuova ancora più suntuosa all’orefice Bylivert.

Tra i gioielli più preziosi della corte medicea si ricorda il famoso diamante di colore paglierino detto "il Fiorentino” acquistato da Ferdinando I e oggi andato perduto. Ricordato ancora negli elenchi del 1741, ne possiamo ammirare solo l’immagine in un dipinto di Maria Maddalena d’Austria dove l’acconciatura è completata da un pennino decorato proprio con il famoso diamante.

Altro straordinario gioiello fu il cosiddetto “Collare di Ferdinando” dove sembra fossero profusi ben cinquemila brillanti. Anch’esso fece la fine di molti gioielli fusi e smontati per seguire le mode del momento. In questo caso fu Cosimo III che lo fece smontare in occasione del matrimonio del Gran Principe Ferdinando con Violante di Baviera.  Parte dei gioielli destinati alla sposa derivavano proprio dal famoso collare.

Il catalogo ci porta ad esplorare la Corte medicea e il mondo delle varie istituzioni dell’epoca; molto interessanti sono i paragrafi dedicati al Toson d’oro e all’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, quest’ultimo istituito da Cosimo I de’ Medici.

La lettura si rivela una vera passeggiata nella storia della gioielleria. Non solo orecchini e pendenti, tanto amati dalle donne della dinastia medicea, ma anche preziosi che adornavano le varie acconciature (grillande, pennini, sopracciuffi), cinture e paste odorifere da inserire all’interno dei gioielli stessi.

Scorrono dinnanzi a noi le immagini dei diversi personaggi con le loro storie, come quelle di alcune donne di casa Medici che andarono in sposa nelle varie Corti lontane dal Granducato portando con sé l’eleganza dell’arte e dell’oreficeria fiorentina.

E si arriva così all’ultima donna della dinastia, Anna Maria Luisa l’Elettrice Palatina di cui tante volte abbiamo parlato. Lei nutrì una vera passione per quelle che venivano chiamate galanterie gioiellate. Purtroppo, questo patrimonio non fu facile da mettere in salvo e pochissimo è giunto sino ai giorni nostri.

Questo libro offre spunti di lettura diversi sia dei protagonisti che dell’arte e della moda del loro tempo. Dopo la lettura di questo volume, ad esempio, lo sguardo che si rivolgerà ad un dipinto non sarà più lo stesso perché quella pittura assumerà ai nostri occhi moltissime sfumature diverse facendoci porre anche inaspettati interrogativi.