domenica 17 febbraio 2019

“Leonardo Da Vinci. Il Rinascimento dei morti” di G. Albertini – G. Gualdoni – G. Staffa


LEONARDO DA VINCI
IL RINASCIMENTO DEI MORTI
di G. Albertini – G. Gualdoni – G. Staffa
NEWTON COMPTON EDITORI
Milano, settembre 1493. Leonardo Da vinci viene convocato per assistere al trapasso di un uomo affetto da una rara e sconosciuta malattia.

Leonardo giunge troppo tardi, l’uomo infatti è ormai spirato ed a lui non resta che procedere con l’autopsia del cadavere.
Improvvisamente però il corpo dell’uomo ritorna in vita e tenta di assalire lo studioso e i suoi assistenti.

Leonardo Da Vinci ha appena assistito agli effetti di una pestilenza che sta colpendo tutta l’Europa, una malattia sconosciuta che riporta in vita i morti facendo di questi delle belve affamate di carne umana.

Ludovico il Moro ordina a Leonardo di recarsi immediatamente a Roma per informare papa Alessandro VI di quanto sta accadendo e chiedere il suo aiuto.

Leonardo Da vinci in questa impresa sarà scortato da alcune guardie del Signore di Milano ed accompagnato dai suoi più fedeli assistenti: Zoroastro, al secolo Tommaso Masini, uomo, dall’aspetto d’un negromante, ma dotato di un acume e di una intelligenza non comuni, e Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, un uomo di natura piuttosto inquieta e spavalda.

Il morbo grigio, di cui si ignora la provenienza sta mietendo vittime in tutta Europa, diffondendosi rapidamente non solo tra i poveri, ma anche tra i ricchi ed i nobili, tanto da non risparmiare neppure teste coronate e gli alti scranni della Chiesa.

La malattia si abbatte su tutti indistintamente come un castigo divino ed il giorno dell’Apocalisse sembra ormai vicino.

Il viaggio di Leonardo e dei suoi compagni è un cammino pericoloso, non solo per le orde di non morti che devono affrontare, ma anche per la situazione politica della penisola italiana dell’epoca, un territorio frammentato in un numerosi stati in perenne stato di guerra tra di loro.

Lorenzo Il Magnifico è da poco deceduto ed il suo successore Piero, detto il Fatuo, non è all’altezza dell’eredità paterna; Firenze è ormai ostaggio di Savonarola e dei suoi Piagnoni, mentre Roma è in mano al papa più osteggiato della storia, il famigerato Papa Borgia.

“Leonardo Da Vinci. Il Rinascimento dei morti” è un romanzo che unisce in sé tre diversi generi letterari: il romanzo d’avventura, il romanzo storico ed il romanzo horror.

I suoi autori, rifacendosi a personaggi per la maggior parte tutti realmente esistiti ed a una ricostruzione piuttosto accurata dei fatti dell’epoca, creano una storia dalle tinte macabre ed irrazionali, facendo ricorso anche alla descrizione di alcune scene dal carattere piuttosto splatter tipiche di un certo tipo di cinematografia.

La caratterizzazione dei personaggi è accurata; Leonardo Da vinci è un uomo sempre alla ricerca di verità nascoste, ossessionato dalla sete di sapere; un genio la cui esistenza si condensa  in una unica parola “conoscenza; quella conoscenza che deve venire prima di tutto anche a rischio della propria incolumità.

La lettura è piuttosto scorrevole nonostante il triplice piano narrativo così ripartito: il racconto principale del romanzo vero e proprio che vede protagonista Leonardo Da Vinci, un secondo racconto che invece ha come protagonista Cristoforo Colombo e il suo viaggio in America, focolaio del morbo e per finire la documentazione fatta di dispacci e carteggi con i quali giungono notizie dell’avanzamento del contagio nelle varie parti d’Europa.

Ho apprezzato molto l’idea degli autori di ricreare le lettere diplomatiche e i resoconti che sembrano essere davvero originali per linguaggio e contenuti, così come ho apprezzato che nelle ultime pagine un personaggio del popolo parli in romanesco rendendo il racconto più vivo e dinamico.

Non amo particolarmente il genere horror, ma incuriosita dal fatto che il romanzo fosse ambientato in un’epoca storica per la quale nutro un particolare interesse, mi sono lasciata tentare dalla lettura che devo ammettere non mi ha totalmente convinta perché ho trovato la trama piuttosto inconsistente, quasi fosse solo una premessa ad un racconto vero e proprio che verrà.

Il finale del romanzo lascia infatti aperti molti interrogativi per cui non è del tutto illogico aspettarsi presto un seguito che dia solidità e vigore ai fatti narrati in questo primo libro.




domenica 10 febbraio 2019

“Lascia andare!” di Marina Panatero e Tea Pecunia


LASCIA ANDARE!
di Marina Panatero e Tea Pecunia
FABBRI EDITORI
Il libro è un manuale che si prefigge come scopo quello di aiutare tutti noi a superare più o meno indenni le sfide quotidiane.

Spesso infatti, secondo le autrici del libro, non sono tanto i periodi di effettiva crisi la vera difficoltà quanto il dover affrontare ogni giorno momenti di stress che ci logorano piano  piano fino a quando giunge la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Il manuale è diviso in due parti ed in fondo al libro ci sono tre appendici: una dedicata alle tecniche quotidiane da mettere in atto per vivere con consapevolezza, una dedicata alle cosiddette strategie di sopravvivenza e l’ultima, più specifica, dedicata alla tecnica della meditazione più semplice. 

Nella prima parte del libro Marina e Tea ci aiutano a prendere coscienza di quanto lo stress quotidiano influisca negativamente sulla qualità delle nostre vite e ci conducono, attraverso la meditazione, in un percorso che potrebbe riassumersi in tre fasi: porre attenzione a come stiamo davvero,  accettare ciò che la vita ci impone ed, infine, essere grati per tutto ciò che di buono c’è nella nostra quotidianità che possa trattarsi anche solo del profumo del caffè al mattino, della bellezza di un fiore o dell’azzurro di un cielo terso.

Nella seconda parte del volume invece, che le autrici definiscono simpaticamente adatta agli audaci  e per chi anela a spingersi oltre, si parla della scelta di affidarsi alla vita e di trovare la capacità di perdonare, non perché sia eticamente la cosa giusta da fare, ma più semplicemente perché serbare rancore fa male principalmente a noi stessi.

L’occorrente per la meditazione è davvero esiguo: una sedia comoda che permetta di tenere i piedi ben poggiati a terra (o in alternativa uno zafu cioè un cuscino da meditazione oppure uno sgabello da meditazione), il desiderio di farlo e rifarlo ed un luogo dove non si verrà disturbati per alcuni minuti.

Il momento giusto? Qualunque momento della giornata in cui si possa rimanere soli ed indisturbati, preferibilmente il mattino, ma non è essenziale.

Questo libro si propone come un percorso di crescita ed arricchimento personale, un aiuto per cercare di farci scivolare addosso parole ed azioni fastidiose che ogni giorno ci aggrediscono e ci affliggono.

Riuscire a lasciare andare non significa assolutamente diventare menefreghisti nei confronti della vita e del prossimo, ma semplicemente accettare che alcune cose non possono essere cambiate e per questo evitare di rimanere aggrappati a situazioni ed abitudini nocive.

Accettare quello che la vita ci mette innanzi non vuol dire scegliere la rassegnazione, ma piuttosto deve essere inteso come una presa di coscienza della situazione, è di fatto un accettare che una certa situazione esiste.

Così come il passo successivo, quello di affidarsi alla vita, non deve intendersi come un lasciarsi vivere, ma piuttosto un cercare di pensare al meglio invece che al peggio perché la vita, lo sappiamo, ci sorprende sempre nel bene e nel male: il caso e la sfortuna non esistono.

Non è facile non farsi sommergere dagli imprevisti quotidiani e dal ritmo frenetico che ci viene imposto ogni giorno, ma secondo le autrici di questo manuale non è impossibile, grazie alla meditazione infatti si può imparare a lasciare andare.

Lasciare andare significa non cadere più vittima di coloro che ci criticano, tirando fuori la classica frase, “lo dico per te, per il tuo bene”; nessuna critica è costruttiva, le critiche sono critiche e fanno male, così come è pericoloso frequentare persone negative che non fanno altro che lamentarsi.

Il giudizio degli altri non deve riguardarci, dobbiamo accettare con gioia la nostra diversità e soprattutto dobbiamo smettere di colpevolizzarci per qualunque cosa.

Sinceramente da maniaca del controllo quale sono non so dirvi se la meditazione sia effettivamente una soluzione, posso dirvi che ci sto provando e non è per nulla semplice.

Non parlo solo delle difficoltà del vedersi immersi in una luce bianca o di focalizzarsi più semplicemente, semplicemente si fa per dire, sulla respirazione, ma della difficoltà in generale di riuscire a spegnere i nostri pensieri anche solo per un minuto nel tentativo di dare voce al nostro io più profondo.

Posso confermarvi che non si ha proprio idea di quanto numerosi siano i pensieri che attraversano la nostra mente fino a quando non ci si cimenta, anche solo maldestramente come me, nella meditazione!

Una scrittura veloce e scorrevole unita alla scelta di un tono colloquiale, ironico e informale, fanno sì che questo testo risulti un manuale in grado di incuriosire ed avvicinare all’argomento anche persone che, come la sottoscritta, mai avrebbero pensato di poter provare interesse per la meditazione.

Al di là del fatto che crediate o meno nel potere “salvifico” della meditazione, “Lascia andare!” è di fatto una lettura interessante e stimolante.

Ricordandovi che non esiste un solo tipo di meditazione, ma svariati (buddhista, cattolica, sufi, laica, statica o in movimento) e che ognuno deve trovare quello più adatto, non mi resta che augurare buon viaggio a chi di voi deciderà di incamminarsi verso quello splendido luogo che potremmo affettuosamente definire il paese del “chissenefrega”.

Namasté.







domenica 3 febbraio 2019

“Rewind” di Sara Goria


REWIND
di Sara Goria
ELMI’S WORLD
Ambientato tra le montagne della Valle d’Aosta, Rewind racconta la storia di un raduno di harleysti provenienti da tutto il nord Italia.

Il libro si apre raccontando l’epilogo di una giornata vissuta in totale libertà all’insegna dello spirito di gruppo; una giornata in cui un’ottantina di persone, così diverse tra loro,  ma accomunate dalla stessa passione, riescono a trascorrere insieme ore liete e spensierate cercando di dimenticare i problemi che li assillano ogni giorno.

Un inizio/finale imprevisto ed imprevedibile quello di Rewid: Monica la compagna di Leonardo, uno degli organizzatori dell’evento, mentre passeggia di notte nel bosco per schiarirsi le idee dopo il diverbio avuto con Leo, viene raggiunta infatti da un colpo di pistola.

Monica non ha all’apparenza nemici e a spararle può essere stato chiunque; così il nastro della narrazione viene riavvolto e, come premendo il tasto rewind di vecchio videoregistratore, assistiamo allo scorrere delle immagini a ritroso per scoprire il colpevole di questo folle gesto.

I capitoli si susseguono raccontandoci i fatti avvenuti antecedentemente alla tragedia: un’ora prima, due ore prima, tre ore prima e così via fino ad arrivare a tredici ore prima dell’accaduto.

Pagina dopo pagina facciamo la conoscenza con i vari personaggi: Monica e Leonardo; Amelie, la figlia ansiosa e protettiva di Monica, ed il suo ragazzo Patrick; Lara, la zia di Monica, che a causa della malattia alterna momenti di lucidità a momenti di confusione; Ronny, il burbero poliziotto, che per i suoi modi bruschi risulta essere uno dei maggiori sospettati; Denise, la mangiatrice di uomini, sempre a caccia di avventure; la bella e sensuale Jolie; Pietro e la compagna Betta, l’amica del cuore di Monica.

Come avrete capito nonostante il romanzo sia molto breve la galleria dei personaggi è davvero lunghissima.
Ognuno di loro viene presentato dettagliatamente e la sua psicologia scandagliata minuziosamente per dare al lettore più informazioni possibili per permettergli di risolvere il caso.

Lo schema narrativo scelto dall’autrice, cioè quello di scrivere un romanzo raccontando la storia a ritroso, è una scelta alquanto insolita ed ammetto che se all’inizio sono rimasta piuttosto spiazzata da questa tecnica narrativa, alla fine devo dire che si è rivelata essere piuttosto efficace ai fini dell’economia del racconto.

In “Rewind” nulla è come sembra, molti personaggi nascondono un insospettato lato oscuro mentre altri vogliono semplicemente ingannare il prossimo facendogli credere di possederne uno.

Spesso dietro la maschera che un personaggio indossa si cela una persona fragile, che semplicemente per paura di mostrare le proprie debolezze, preferisce apparire insensibile e cinica.

Tanti personaggi, molti innocenti ed un solo colpevole, un schema tipico dei romanzi di Agatha Christie dove spesso alla fine il vero colpevole risulta essere sempre una persona insospettata, qualcuno che mai si sarebbe pensato potesse compiere un delitto.

Ma un delitto si compie per numerosi motivi: odio, vendetta, paura o semplicemente per difendere qualcuno che ci è caro.

Chi può sapere davvero fino a che punto ci si potrebbe spingere pressati dalla necessità di proteggere chi amiamo?

La rivelazione finale, scioccante ed inaspettata, arriva a bruciapelo come un colpo di pistola; come quel colpo di pistola che sorprende Monica nella notte in mezzo al bosco, così la rivelazione colpisce il lettore lasciandolo stupefatto e stordito a fissare attonito l’ultima pagina.
    
La storia ed i protagonisti del libro sono tutti di pura fantasia, ma Sara Goria ha tratto ispirazione per la descrizione dei personaggi dai suoi stessi amici che, al termine del libro, ci vengono presentati con tanto di fotografia e breve descrizione, un modo davvero simpatico e carino da parte dell’autrice per ringraziarli del loro aiuto e della loro presenza.




sabato 2 febbraio 2019

“La stanza della tessitrice” di Cristina Caboni


LA STANZA DELLA TESSITRICE
di Cristina Caboni
GARZANTI
Camilla Sampietro lavora nella sartoria “Gioielli di stoffa”, la sartoria per signora di Sandra Finot a Bellagio, sul lago di Como.
Da un anno si è lasciata alle spalle la sua agiata vita milanese e le persone a lei care per inseguire il suo sogno.

La moda per Camilla non è solo ed esclusivamente una questione di glamour, lusso ed eleganza, ma è qualcosa di più profondo ed intimo; la moda per Camilla deve rappresentare la storia di una persona ed i suoi legami.

Proprio per questo motivo la giovane donna disegna vestiti creati sui sogni delle sue clienti; lei ne ascolta attentamente i racconti ed i desideri per poi poter realizzare abiti perfetti per loro.
Gli abiti che lei crea sono cuciti sulle loro speranze, le loro aspirazioni; non sono gli abiti a valorizzare la persona, ma è la persona stessa che valorizza l’abito perché in quell’abito c’è tutta la sua anima.

Camilla ama soprattutto ridare vita ai vecchi vestiti, adora ricavare da un vecchio abito appartenuto ad una persona cara un nuovo abito che crei un legame tra la persona che lo indosserà e chi ormai non c’è più.

Camilla è affascinata dalla storia di Maribelle, una sarta della quale sono giunte ai giorni nostri pochissime e frammentarie notizie.

La leggenda racconta che Maribelle fosse in grado di tessere stoffe bellissime e che gli abiti da lei creati fossero in grado di infondere protezione, coraggio e sicurezza in chi li indossava.
Tutto questo era possibile grazie a dei sacchetti che Maribelle cuciva all’interno degli abiti; in questi speciali sacchetti venivano nascosti dei messaggi oltre a spighe di lavanda, fiori di elicriso e ad ogni altro tipo di fiore o di erba a seconda delle necessità.

Proprio come Maribelle, Camilla spera di poter, attraverso le sue creazioni, infondere forza, coraggio e fiducia in se stesse nelle donne che li indosseranno.

“La stanza della tessitrice” non è solo la storia di Camilla Sampietro, ma anche la storia di Caterina Frau.
La madre di Caterina aveva anche due figli maschi per i quali stravedeva, di Caterina invece, per ragioni misteriose, non voleva saperne.
Così per anni la bambina aveva vissuto lontano dalla madre, cresciuta da un’amorevole balia, Rosa la tessitrice, che le aveva trasmesso l’amore per quest’arte antica. 
La vita di Caterina non fu una vita facile e nel corse degli anni furono  molte le prove che dovette affrontare, ma a sostenerla ci fu sempre la passione per il ricamo, per i tessuti ed il ricordo dell’amore di Rosa.

“La stanza della tessitrice” è un romanzo in cui coesistono due linee di narrazione; da una parte abbiamo la storia di Camilla che vive nel presente e dall’altra la storia di Caterina che prende avvio all’inizio degli anni Venti.

Un romanzo che preveda un doppio piano narrativo non è un tipo romanzo il cui intreccio sia di facile gestione, eppure, Cristina Caboni riesce a rendere la narrazione fluida e scorrevole come se mantenere un doppio intreccio narrativo fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo.

La sua bravura di narratrice mi aveva già favorevolmente impressionata leggendo “La rilegatrice di storie perdute” e ora, con questo nuovo romanzo, ne ho avuto ulteriore conferma se mai ce ne fosse stato bisogno.

Così come ho avuto conferma della sua grande capacità di saper creare personaggi indimenticabili e storie affascinati capaci di coinvolgere ed affascinare il lettore fin dalle prime pagine.

“La stanza della tessitrice” ci racconta la storia di due donne che, pur vivendo in due epoche differenti, hanno molto in comune tra loro.
Entrambe non sono state cresciute dalla propria madre, entrambe si sono sentite estranee alle loro famiglie adottive ed entrambe hanno trovato consolazione e conforto nella creazione di bellissimi abiti.

Caterina e Camilla sono due donne, che malgrado le loro fragilità, riescono ad affermare se stesse e decidere della loro vita nonostante ci sia sempre qualcuno che tenti di spegnere i loro sogni.

Nel doppio intreccio della storia, però, non ci sono solo Caterina e Camilla a presentare similitudini, ma anche altri personaggi trovano una specie di alter-ego, così se da una parte abbiamo Luisa, la cugina di Caterina dall’altra troviamo Daniela, la cugina acquisita di Camilla, e poi ci sono zia Amelia e Rosa che rappresentato per Caterina quello che Marianne rappresenta per Camilla.

“La stanza della tessitrice” racconta di dolori antichi e di sofferenza, di rancori e di vendetta, ma anche di amore e di rinascita, di accettazione e di perdono.

Il romanzo di Cristina Caboni è un romanzo che parla direttamente al cuore del lettore, un libro che sa commuovere e sorprendere; la lettura ideale per chi ama le belle storie e per chi ancora crede nel potere dei sogni.




sabato 26 gennaio 2019

“Il giorno che sono nato c’era sciopero delle cicogne” di Fulvio Fiori


IL GIORNO CHE SONO NATO
C’ERA SCIOPERO DELLE CICOGNE
di Fulvio Fiori
I LIBRI DI FULVIO FIORI
E’ lo stesso protagonista del romanzo a raccontarci in prima persona la storia della sua vita che ebbe inizio quando, ancora un feto nel grembo materno, fu costretto a combattere ogni giorno per ottenere un po’ di tranquillità senza tuttavia mai riuscirvi.
Il battito assordante del cuore della madre sempre agitata gli impediva infatti di riposare e, quando il padre, nel tentativo di tranquillizzarla, si metteva a cantare allora era la sua voce a non permettere al nascituro di rilassarsi e trovare un po’ di pace.

Venuto al mondo a metà degli anni ’50 in una tipica famiglia del dopoguerra dove la paura era il potente controcanto dell’amore, il protagonista cresce a suon di carezze e baci alternati a sonori schiaffoni, tra sensi di colpa e goffi tentativi di affermare la propria identità.

Per questo timido ragazzino fragile e insicuro, schiacciato dal peso di una famiglia ingombrante e soffocante, non sarà per nulla facile riuscire ad affrancarsi dai parenti.

Come ogni adolescente egli cercherà, purtroppo con scarsi risultati, la sua strada nell’arte, nella letteratura e nella musica, fino ad approdare alla tenera età di vent’anni alla arti marziali, croce e delizia della sua nuova vita.

Ma chi sono questi genitori dai quali è cosi difficile emanciparsi? Questa madre e questo padre che vorrebbero restasse per sempre un bambino/adolescente?

La madre del protagonista è una donna avara di energie, di tempo e di denaro, ma soprattutto avara di affetto, forse proprio per esserne stata privata lei stessa durante l’infanzia.
L’unica persona di cui le importi veramente è il padre del quale cerca costantemente  l’approvazione, mentre con la madre è sempre in aperto conflitto, un continuo braccio di ferro soprattutto per l’amore del suo stesso figlio che invece vede nella sua dolce e affettuosa nonna  la sua vera mamma.
Cosa ha trasmesso al figlio questa madre che ha brillato per la sua assenza nonostante la sua opprimente presenza? Un bagaglio di paure e di insicurezze emotive oltre alla terribile consapevolezza che nella vita alla fine si resta sempre soli dal momento che tutto è transitorio.

Il padre del protagonista è un uomo dalla duplice personalità: l’uomo prepotente e autoritario lascia infatti il posto all’uomo simpatico ed espansivo che si cela dentro di lui appena varcata la soglia di casa.
Il rapporto del protagonista con il proprio padre è un rapporto fatto di incomunicabilità, ma allo stesso tempo, nonostante i sensi di colpa che il padre è capace di instillare in lui fin dalla nascita, è un rapporto fatto anche di stima e rispetto.
Un rapporto che il protagonista paragona ad un tiro alla fune in cui entrambi cercano di dimostrare la propria forza e la propria ragione.
Con il tempo il protagonista arriverà a comprendere che il padre non è quell’uomo senza cuore che talvolta gli è apparso nel corso degli anni, ma piuttosto un uomo di altri tempi che ha semplicemente paura di mostrare i propri sentimenti.

Nella quarta di copertina si legge che La Feltrinelli ha paragonato il protagonista del romanzo di Fulvio Fiori ad un novello Tristram Shandy: come il protagonista del romanzo di Laurence Sterne infatti egli  ricorda perfettamente la propria nascita.

Il romanzo dal tono intimo e personale di Fulvio Fiori è un romanzo ironico e divertente, che, grazie ad uno stile arguto e sagace e ad una efficace scrittura umoristica, riesce a raccontare con ironia e comicità i paradossi e le stranezze che si annidano in seno alla famiglia e le difficoltà che tutti inevitabilmente incontriamo, chi più chi meno, per tagliare il proverbiale cordone ombelicale.

Se abbiamo ricordato Laurence Sterne, però, parlando di questo romanzo non possiamo non citare anche un altro grande della letteratura inglese, Oscar Wilde, i cui aforismi caratterizzati da ironia, cinismo e sarcasmo ci riaffiorano alla mente leggendo passi come:
                                        
Volete sapere cosa penso di me? Se ho scoperto di essere un genio? Beh, decisamente no! Sono troppo intelligente per credermi un genio!

Una curiosità: questa edizione di “Il giorno che sono nato c’era sciopero delle cicogne” è una riedizione rinnovata del testo edita per festeggiare i primi 15 anni di questo romanzo che nel 2003 ha vinto il Premio Massimo Troisi per la Scrittura comica.

Se volete saperne di più sulle opere di questo autore qui potete leggere la mia recensione di “Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio”, romanzo pubblicato da TEA nel 2018 .





domenica 20 gennaio 2019

“Sette giorni perfetti” di Rosie Walsh


SETTE GIORNI PERFETTI
di Rosie Walsh
LONGANESI
Sarah, trentasettenne separata e prossima al divorzio dopo un matrimonio durato 17 anni, è una donna che ha girato il mondo e che, dopo essere sopravvissuta ad una tragedia, ha trovato il coraggio di rifarsi una vita lontano da casa, dall’altra parte del mondo ed ora gestisce un ente no-profit insieme a colui che presto diventerà il suo ex-marito.

Di quella ragazzina che era stata descritta dai professori come un’adolescente esitante e non del tutto sicura di sé, non c’è più alcuna traccia nella donna forte, capace e competente che Sarah Harrington sembra essere diventata oggi.

Come ogni anno, da diciannove anni, nel mese di giugno Sarah torna in Inghilterra a trovare i genitori, ma questa volta i suoi non sono a casa ad accoglierla al suo arrivo perché il nonno materno è stato ricoverato d’urgenza ed ha bisogno di assistenza.

Sarah si ritrova sola in quella casa così piena di dolorosi ricordi e, proprio il giorno della ricorrenza della tragedia, mentre ripercorre la strada dell’incidente, il destino le farà incontrare l’uomo che cambierà per sempre la sua vita.

Tra Sarah ed Eddie è amore a prima vista; i due trascorrono sette giorni perfetti ed indimenticabili.

Quando si separano, perché lui deve partire per una vacanza in Spagna programmata da tempo con un amico e lei deve ottemperare a degli obblighi di lavoro concordati precedentemente, si ripromettono che, al loro rientro dai rispettivi impegni di lì ad una settimana, studieranno una soluzione per poter trascorrere insieme il resto delle loro vite.
                
Eddie David è sembrato a Sarah un uomo solido, razionale, impermeabile alle fluttuazioni e quando sparisce nel nulla, non rispondendo più neppure ai suoi messaggi, la donna teme possa essergli accaduto qualcosa di grave.

Nonostante gli amici di Sarah cerchino di farle comprendere che certe cose fanno parte della vita, succedono continuamente e che l’unica cosa sensata sarebbe quella di vedere quei sette splendidi giorni per quello che sono stati, cioè una semplice avventura, la donna non riesce a darsi pace e, a costo di sembrare e diventare pazza, cerca con ogni mezzo di rintracciare Eddie per capire cosa possa essere realmente accaduto.

“Sette giorni perfetti” è un thriller psicologico intenso e coinvolgente dove ogni personaggio gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della storia.

Ognuno di loro infatti ha qualcosa da raccontare e qualcosa da nascondere, ognuno di loro conosce elementi fondamentali per la soluzione del mistero, piccoli pezzi di un puzzle che pagina dopo pagina si incastrano per rivelarci una verità insospettata.

La narrazione è condotta in modo magistrale dall’autrice e, per quanto il lettore stia attento ai dettagli, ai dialoghi, agli indizi ed a grandi a linee da alcuni accenni riesca ad intravedere una possibile soluzione del mistero, difficilmente sarà preparato al colpo di scena finale.

La bravura dell’autrice consiste proprio nel riuscire a far emergere la verità lentamente attraverso non solo i piccoli indizi lasciati qua a là tra le righe, ma anche attraverso una precisa e dettagliata caratterizzazione psicologica dei personaggi che, proprio grazie al loro vissuto ed alla loro esperienza personale provano a dare interpretazioni più o meno plausibili dell’accaduto.

E proprio perché sono così importanti la psicologia ed il vissuto di ogni personaggio che preferisco non svelarvi nulla di loro per non rovinarvi il piacere della lettura.

Vi posso assicurare però che tutti loro, non solo i protagonisti principali, sapranno catturare la vostra attenzione e coinvolgervi emotivamente con le loro intense storie intrise di passione, amore, rancore, perdono, rabbia, risentimento, paura, sospetto, dolore e rinascita.

A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura nel caso decidiate di leggere questo libro che, dimenticavo di dirvi, è il romanzo d’esordio dell’autrice.




domenica 13 gennaio 2019

“Cuore di riccio” di Massimo Vacchetta


CUORE DI RICCIO
di Massimo Vacchetta
SPERLING & KUPFER

Dopo “25 grammi di felicità”, diventato un bestseller tradotto in moltissimi paesi, in cui Massimo Vacchetta ci raccontava di come avesse ritrovato se stesso grazie alla all’incontro fortuito con un cucciolino di riccio, la famosa Ninna, in “Cuore di riccio” il veterinario torna a parlarci dei suoi piccoli pazienti e del suo centro aperto nel 2014 a Novello nella splendida cornice delle Langhe.

Il Centro recupero ricci “La Ninna” è diventato in pochi anni un punto di riferimento a livello nazionale, ma come ogni realtà che si regge sul volontariato, sulle donazioni e sulla dedizione assoluta del suo fondatore, deve affrontare ogni giorno problemi non solo di tipo economico, ma anche dovuti alla carenza di personale specie in periodi particolari dell’anno.
Per fare qualche esempio: quando escono dal letargo i ricci in difficoltà sono davvero molto numerosi e ognuno di loro necessita di cure personalizzate e poi c’è il periodo delle cucciolate quando i piccoli, devono essere nutriti ad intervalli regolari e frequenti, necessitando così di un’assistenza costante e molto impegnativa da parte dei volontari.

Stress, fatica, ore di sonno perdute non sono nulla per Massimo Vacchetta rispetto all’affetto, alla riconoscenza che queste piccole creature riescono a trasmettere a chi si prende cura di loro e la soddisfazione nell’aiutarle non ha eguali.

In questo secondo libro il dottore dei ricci si confida ancora una volta, aprendo il suo cuore al lettore al quale racconta non solo dei suoi piccoli pazienti, ma anche di se stesso, delle sue paure e di come queste creature, con la loro semplicità ed il loro coraggio, siano state e siano tuttora per lui maestre di vita.

L’empatia che Massimo Vacchetta ha sviluppato nei confronti dei ricci e gli insegnamenti tratti da loro sulla pazienza, sul coraggio, sulla dedizione sono stati fondamentali per lui quando si è trovato a dover affrontare la grave malattia della madre, la sua Franchina.

La vita dà e la vita toglie, così proprio nel momento in cui la malattia della mamma di Massimo peggiora, egli incontra un’amica vera e sincera che subito riconosce come la sorella che non ha mai avuto.

Accettare la sconfitta e la perdita non è mai semplice per il dottore, ogni volta che un riccio ormai guarito viene liberato oppure quando purtroppo non ce la fa,  malinconia e tristezza si impadroniscono inevitabilmente di lui, ma quasi sempre c’è subito qualcun altro che bussa alla sua porta per chiedere aiuto e questo qualcuno non deve avere necessariamente le “spine”, ma ha magari il muso di un’impaurita e smarrita volpina colta di sorpresa da uno spaventoso temporale.

Il veterinario si è ritrovato spesso ad interrogarsi se sia giusto ostinarsi a tenere in vita alcuni disabili come Lisa colpita da un’emiparesi, Musetta sfigurata da un tosaerba o Ditina nata senza le zampine posteriori; ma la risposta per Massimo è sempre la stessa, sì, perché l’attaccamento alla vita che i suoi piccoli pazienti dimostrano deve essere preservato e la loro ostinazione premiata, sempre.

Proprio Lisa, la riccetta disabile a cui un trauma cranico ha provocato un’emiparesi, è la protagonista di questo secondo commovente e coinvolgente libro; trovata boccheggiante in un giardino, dopo essere stata probabilmente investita da un’auto, questa dolce riccia avrà molto da insegnarvi e raccontarvi attraverso le toccanti pagine di “Cuore di riccio”.

L’amore che Massimo nutre per gli animali è lo stesso che molti di noi provano e anche lui, come molti di noi, spesso si sente rivolgere le solite, scontate frasi come “aiutare le persone è un conto, ma i ricci” che possono essere poi cani, gatti, lucertole…
Ma chi ha stabilito che la loro vita valga meno della nostra? Senza contare che spesso  quelle stesse persone non fanno nulla neppure per aiutare i loro simili.

La sofferenza merita sempre conforto, che si tratti di una persona o di un riccio. Ci metto il cuore in entrambi i casi, gli animali, forse, mi sembrano più indifesi, o forse so meglio come aiutarli, ecco perché preferisco occuparmi di loro.

Questo è Massimo Vacchetta, un uomo che ha scelto di dedicare la sua vita a queste creature e che crede sia un  dovere rispettare la nostra Terra, animali compresi.

I ricci, ai quali spesso causiamo dolore e sofferenza senza neppure accorgercene, sono creature deboli ed indifese a rischio di estinzione.
Senza rendercene conto siamo proprio noi  la causa principale dei loro guai; i ricci infatti vengono investiti dalle auto mentre attraversano la strada oppure cadono vittime dei nostri lavori di giardinaggio, spesso venendo bruciati vivi insieme alle sterpaglie o avvelenati dall’uso di diserbanti, pesticidi e quant’altro; senza contare che a volte vengono attaccati dai nostri animali domestici che scorazzano in giardino.

Proprio per questo motivo alla fine del volume è stata inserita un’appendice molto utile e pratica che ci indica le dieci cose da fare e da non fare quando si incontra un riccio.

E’ vero, come Massimo Vacchetta afferma, i ricci sono maestri di vita in grado, grazie alla loro naturale semplicità, di aiutarci a riscoprirne la vera essenza, ma lui stesso è, grazie alla  la sua autenticità ed alla la sua dedizione, attraverso la passione che mette nel suo progetto, attraverso l’amore che dimostra ogni giorno verso queste piccole creature indifese, con il suo coraggio nell’accettare ogni giorno la possibilità della sconfitta e dell’’abbandono, perché l’amore purtroppo è fatto anche di lontananza e di perdita, è egli stesso un grande maestro per tutti noi.

Non è facile rimettersi in gioco, andare controcorrente per aiutare chi è indifeso e farlo ogni giorno senza mai risparmiarsi.
Non possiamo quindi che provare ammirazione per un uomo capace di tanto amore e dedizione, per il suo coraggio e ringraziarlo per tutto quanto sta facendo per queste creature speciali, ma ancora di più per l’esempio che riesce a darci ogni giorno con il suo lavoro.

Credo che abbiate capito che credo molto in questa causa, per cui spero di avervi un po’ incuriosito e avervi fatto venire voglia di leggere il libro con l’acquisto del quale, non solo contribuirete ad aiutare il centro, ma anche alla diffusione della sua attività.




Questi i link per poter approfondire la conoscenza del centro o trovare i contatti in caso di necessità:


   


Qui potete trovare la mia recensione di “25 grammi di felicità”