martedì 24 maggio 2022

“I sepolcri dei Medici” di Marco Ferri

Marco Ferri, nella sua duplice veste di storico e giornalista, si pone l’obiettivo di raccogliere in questo volume una summa di tutti gli studi e le ricerche effettuate fino ad oggi sui sepolcri medicei.

Il libro è suddiviso in tre parti: la prima parte è dedicata alla storia delle traslazioni e delle esumazioni avvenute dal 1467 fino al primo dopoguerra, nella seconda parte viene dato ampio spazio a quello che venne presentato ai media nel 2003 come il “Progetto Medici” oltre a successive indagini tra cui il forse meno conosciuto “Progetto Sagrestia Vecchia” e infine una terza parte in cui Ferri analizza due casi emblematici della storia medicea ovvero il mistero legato alla sepoltura di Bianca Cappello, seconda moglie di Francesco I, invisa al cognato Ferdinando I e i diversi spostamenti della salma di Cosimo I fino alla sua definitiva collocazione all’interno della cripta delle Cappelle Medicee accanto all’amata prima moglie Eleonora di Toledo. 

Secondo quanto riportato dal Vasari l’idea di realizzare una terza grande sagrestia che potesse ospitare i sepolcri di tutta la famiglia fu di Cosimo I tuttavia l'idea prese corpo solo con il terzo granduca Ferdinando I. Ad un primo progetto di Bernardo Buontalenti fu preferito il progetto di Don Giovanni de’ Medici e Matteo Nigetti. In verità, i corpi degli esponenti della famiglia Medici restarono nella Sagrestia Vecchia e nella Sagrestia Nuova in attesa di essere trasferiti fino al 1791 quando il granduca lorenese Ferdinando III ne ordinò la traslazione nella cripta delle Cappelle Medicee. Qui restarono fino al 1858 allorquando per volontà del granduca Leopoldo II trovarono finalmente una dignitosa e definitiva tumulazione.

In questa sede abbiamo più volte affrontato l’argomento delle sepolture medicee in particolare parlando di due specifici libri: “Illacrimate sepolture” di Donatella Lippi e “Gian Gastone (1671-1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’ Medici”. Proprio questo secondo libro doveva essere l’esordio di una collana intitolata “I Medici. Studi e scoperte” a cui purtroppo nessun volume fece seguito e anche per questo motivo il libro di Marco Ferri diventa oggi un testo fondamentale per fare il punto di quanto indagato e scoperto fino ad ora.

Ferri prende in considerazione tutti e tre i luoghi di sepoltura facenti parte del complesso di San Lorenzo: la Sagrestia Vecchia, la Sagrestia Nuova e la Cappella dei Principi la cui cripta spesso viene attraversata dai visitatori in modo troppo frettoloso poiché impazienti di raggiungere la Sagrestia Nuova per poter ammirare il capolavoro michelangiolesco.

Il volume è arricchito da un’ampia documentazione fotografica e ogni capitolo è corredato di esaustive appendici dove sono riportati: verbali, comunicati stampa, riferimenti bibliografici, progetti di indagine, diari delle giornate di scavo e di studio, budget di spesa oltre ai diversi atti con cui le varie parti si obbligavano a rispettare gli impegni presi per la realizzazione dei programmi.

“I sepolcri dei Medici” di Marco Ferri è come si legge nella quarta di copertina "un lavoro che rappresenta 18 anni di studi e che ha a che fare con la storia, ma anche con la genealogia, la politica, l’architettura, le interazioni tra le corti italiane e europee, la medicina, la biologia, la letteratura, la tanatologia, l’arte, l’avvincente mondo delle relazioni umane”.

Ferri, così come alcuni degli autori delle pagine introduttive, auspica che in un prossimo futuro possano essere fatte ulteriori indagini, personalmente come ho già avuto modo di dire altre volte sarà forse perché si tratta della famiglia Medici le cui vicende mi coinvolgono particolarmente, ma non mi sentirei proprio al momento di condividere questa speranza.



 

lunedì 9 maggio 2022

“Donatello. Il Rinascimento” (Palazzo Strozzi e Museo del Bargello, Firenze)

Nei giorni scorsi ho visitato la mostra dedicata a Donatello a Palazzo Strozzi e al Museo del Bargello.

Questa volta ho preferito acquistare il catalogo prima e devo dire che si è rivelata una mossa vincente poiché si tratta di un volume davvero completo.

L'introduzione fa il punto sulla storia delle esposizioni dedicate all'artista partendo  da quella per il cinquecentenario dalla nascita nel 1887 al Museo del Bargello per poi passare a quelle in occasione del seicentenario: una sempre al Museo del Bargello e l’altra suddivisa tra le sedi di Detroit, Fort Worth e il Forte di Belvedere a Firenze.

Si evidenzia poi il desiderio in questa occasione da parte dei curatori della mostra di voler portare a conoscenza del grande pubblico l’influenza che Donatello ebbe non solo sulla scultura, ma anche per esempio sulla pittura sia sui suoi contemporanei che sugli artisti dei secoli successivi.

Il cosiddetto stiacciato era una tecnica che si avvaleva di un rilievo bassissimo che dava all'insieme un effetto pittorico e proprio a questo si rifecero non solo gli scultori, ma anche pittori primo tra tutti il Masaccio.

La prima parte si completa quindi perfettamente con il secondo capitolo dedicato più specificamente alla biografia di Donatello (1386-1466) e alle collaborazioni più importanti (Brunelleschi prima e Michelozzo poi) e alle commesse che lo portarono a Padova per diversi anni oltre che in giro per la Toscana.

Lo scultore fu molto legato alla famiglia Medici tanto che alla morte venne sepolto proprio accanto al suo più grande mecenate Cosimo il Vecchio.  L’impiego dello scultore da parte dei Medici nel corso degli anni fu soprattutto concentrato sugli arredi della loro casa e della loro chiesa parrocchiale. Il contributo di Donatello fu fondamentale per trasformare la Basilica di San Lorenzo in un mausoleo della dinastia medicea.

Il catalogo passa poi ad esaminare attraverso delle schede molto esaustive le numerose opere esposte molte delle quali provenienti dai più prestigiosi musei e istituzioni internazionali.

La famiglia Medici viene spesso menzionata non solo quando si analizzano le opere da lei direttamente commissionate come il David vittorioso o le porte della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, ma anche per quanto è entrato nei secoli a far parte delle collezioni medicee seppur talvolta anche solo per un breve periodo.

Qualche esempio?  Il cosiddetto Tabernacolo Medici opera di Jacopo Sansovino e Bottega oppure la Madonna della scala di Michelangelo o ancora la Madonna del Pugliese (o Madonna Dudley) opera di Donatello insieme a quella che doveva essere la sua custodia ossia il tabernacolo con L’Adorazione del Bambino e Presentazione al Tempio (nel verso Arcangelo annunciante e Vergine Annunciata) ad opera di Fra Bartolomeo.

Una mostra assolutamente da non perdere e un catalogo da non farsi scappare anche se non proprio economico.



Madonna Pazzi (Donatello)


Amore-Attis (Donatello)


San Giovanni Battista (Donatello) - Crocifisso (Vecchietta)
San Giovanni Battista (Ercole de' Roberti) 
 Lastra sepolcrale del vescovo Giovanni Pecci (Donatello)


David vittorioso (Donatello)
A sinistra Filippo Scolari, detto Pippo Spano e a destra Farinata degli Uberti
(Andrea del Castagno)


David vittorioso (particolare)


San Giorgio - Combattimento di San Giorgio col drago e liberazione della principessa 
(Donatello)


Marzocco (Donatello)


Madonna del Pugliese - Dudley (Donatello)


Adorazione del Bambino e Presentazione al Tempio
(Fra Bartolomeo)


Angelo annunciante e Vergine Annunciata
(Fra Bartolomeo)




giovedì 5 maggio 2022

“Il cimitero di Venezia” di Matteo Strukul

Il calderaio Sante sta rientrando a casa quando la sua imbarcazione urta contro qualcosa, quello che riaffiora dall’acqua è il corpo di una donna. L’efferato delitto è stato commesso da qualcuno senza dubbio spinto da una rabbia e una ferocia inaudite visto che la donna ha il petto squarciato e il cuore le è stato strappato.

Antonio Canal, soprannominato Canaletto, è l’artista più ammirato di Venezia. Tutti gli amanti dell’arte veneziani e stranieri ambiscono a possedere una sua opera poiché nessuno come lui sa cogliere in un dipinto la luce e la bellezza della città lagunare. 

Canaletto si è preso, almeno così sostiene, una pausa dalla sua attività legata al teatro, in verità sta lavorando ad una scenografia per un’opera di Antonio Vivaldi che promette di essere piuttosto sovversiva.

Quando Antonio Canal viene convocato d’urgenza a Palazzo Ducale dall’Inquisitore Rosso, Sua Eccellenza Matteo Dandolo, che lo riceve nella camera del tormento insieme al Capitano Grando Giovanni Morosini, capo dei Signori di Notte al Criminal, teme che questa convocazione abbia a che fare proprio con questo suo lavoro. I due magistrati invece sono interessati al suo quadro che raffigura il Rio dei Mendicanti il luogo legato al ritrovamento del corpo della donna assassinata e, prima di congedarlo, gli intimano di tenersi alla larga da certi ambienti che pullulano di bordelli e ridotti,

Finito il colloquio però Canaletto viene convocato addirittura dal Doge Alvise Mocenigo che, in compagnia di una donna misteriosa, inizia ad interrogarlo su uno dei tre uomini da lui dipinti in quello stesso quadro. L’uomo a cui sono interessati il Doge e la donna che vuole mantenere l’anonimato altri non è che il marito di lei. Alvise Mocenigo chiede a Canaletto di investigare sul perché l’uomo si trovasse presso l’Ospedale dei Mendicanti e il pittore, per quanto stupito e preoccupato per la missione assegnatagli, non può certo esimersi dall’accettare un incarico affidatogli dal al Doge in persona.

Inizia così una corsa contro il tempo in una escalation di rivelazioni che renderanno l’indagine sempre più complicata e pericolosa.

Venezia vive un momento particolare: l’epidemia di vaiolo, gli efferati omicidi, l’antisemitismo crescente e il malcontento popolare contro l’oligarchia al potere fanno della città una polveriera pronta ad esplodere.

Tantissimi i personaggi sulla scena ognuno caratterizzato fin nei più piccoli dettagli sia fisici che psicologici: il medico ebreo Isaac Liebermann, il feldmaresciallo conte Johann Matthias von der Schulenburg, l’irlandese Owen McSwiney, il cicisbeo Olaf Teufel solo per citarne alcuni.

Ovviamente trattandosi di un thriller storico-avventuroso non posso addentarmi di più nella descrizione dei protagonisti per non rovinarvi il piacere della lettura e l’effetto sorpresa. Posso però anticiparvi che non potrete non farvi coinvolgere dalla figura di Canaletto che pagina dopo pagina, acquistando sempre più fiducia in se stesso anche grazia al sentimento che nascerà in lui per la bellissima e appassionata Charlotte, si trasformerà da uomo timido ed esitante in un uomo pronto a tutto e quasi spericolato.

Ancora una volta Matteo Strukul è riuscito a ricreare splendidamente l’atmosfera del tempo che ha scelto di raccontare. Ogni particolare, ogni dettaglio è frutto di precise ricerche e attenti studi. L’autore ha la grande capacità di riuscire a fondere la finzione narrativa con la storia, sicché personaggi storici realmente esistiti si sposano perfettamente sulla scena con personaggi di pura invenzione.

“Il cimitero di Venezia” è una storia carica di suspense che affascina il lettore proiettandolo nella Venezia del Settecento all’inseguimento di spie e spietati assassini, introducendolo nei palazzi del vizio, rendendolo edotto sull’arte del vetro e conducendolo per le calli, i rii e i fondaci della città.

Un romanzo assolutamente ben costruito, dalla trama avvincente e dai personaggi terribilmente affascinanti che siano essi schierati dalla parte del bene o arruolati tra le oscure file del maligno.

Sarei davvero curiosa di conoscere gli sviluppi della storia del dottor Liebermann e Viola ma, visto che è inevitabile per qualsiasi lettore non affezionarsi a Canaletto, chissà che in futuro l’autore non decida magari di regalarci una seconda indagine condotta da questo pittore ormai perfettamente a suo agio nelle vesti di un settecentesco Sherlock Holmes.

  

 

 

venerdì 29 aprile 2022

“Gli ultimi Medici” di Harold Acton

Il libro di Harold Acton, pubblicato per la prima volta nel 1932, fu oggetto di revisione da parte dell’autore alla fine degli anni Cinquanta in occasione di una nuova edizione dell’opera, Acton però preferì non apportare modifiche per non stravolgere l’unità della narrazione originaria.

Oggetto delle ricerche di Harold Acton sono gli ultimi anni della dinastia medicea, argomento ancora poco noto al suo tempo quando la letteratura aveva invece già molta familiarità con la storia del ramo primigenio della famiglia.

Il volume ripercorre la storia a partire da Ferdinando II fino al VII Granduca di Toscana Giovanni Gastone (conosciuto come Gian Gastone), o meglio fino alla morte dell’ultima rappresentante della stirpe Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina.

E’ uno splendido affresco quello che emerge dalle pagine di questo libro popolato da  granduchi, principesse e sovrani. Il racconto scorre in modo fluido come in un romanzo: arte, musica, scienza, ma anche feste, intrattenimenti e tanti piacevoli pettegolezzi, tanta ironia ma nessuna volgarità

Nel volume la dettagliata introspezione psicologica dei protagonisti affianca il racconto di un periodo storico caratterizzato da costanti ingerenze da parte delle potenze straniere sul territorio italiano nel continuo tentativo di spartirselo.

Qualcuno mi aveva sconsigliato di leggere questo testo perché datato. Che dire? Sono contenta di aver seguito il mio istinto perché “Gli ultimi Medici” non si è rivelato solo una piacevolissima lettura, ma anche un saggio illuminato, perspicace e imparziale molto più di tanti libri di recente pubblicazione.

Harold Acton non nega i difetti che contraddistinsero gli ultimi Granduchi che potevano essere tra le tante caratteristiche l’indolenza di Ferdinando II piuttosto che la bigotteria di Cosimo III o la rilassatezza di Gian Gastone, ma guarda anche ai loro pregi e riconosce i loro meriti come, cosa da non sottovalutare assolutamente, la capacità di essere riusciti, in un periodo in cui i conflitti sembravano non cessare mai, a tenere lontano la guerra dal Granducato di Toscana, l’ultima in cui fu coinvolto infatti fu quella di Castro.

Tanti i documenti citati: dagli epistolari familiari, alle lettere dei ministri, ai resoconti di visitatori e ambasciatori stranieri, ma anche tante fonti d’archivio e manoscritti dell’epoca. Tra le lettere riportate c’è anche in versione integrale la famosa minuta in cui Marguerite Louise d'Orléans esprimeva a Cosimo III il suo più vivo desiderio di vederlo morto impiccato e non si può non sorridere leggendo il passaggio in cui gli scriveva perché voi siete un fior di ruta. Dio non vi vuole e il Diavolo vi rifiuta.

“Gli ultimi Medici” è un libro davvero unico di cui non si possono non apprezzare lo stile, la scelta narrativa, ma soprattutto la sensibilità dell’autore nel saper cogliere lo spirito e la personalità degli ultimi esponenti della dinastia riconoscendo ad ognuno di essi la dignità e il rispetto che meritano.

Nella descrizione di Gian Gastone ci sono molti punti di contatto con gli scritti di Alberto Bruschi, non vi è ovviamente la stessa liricità né il medesimo pathos, ma senza dubbio la stessa delicatezza e la stessa onestà intellettuale nel rendere giustizia all’immagine di questo ultimo Granduca Medici che nonostante la depressione e le sbornie, fece quanto in suo potere per il bene di Firenze guidato da un notevole buon senso, una viva intolleranza verso gli abusi ecclesiastici e la viva simpatia per gli uomini di cultura.

Molti i punti di contatto anche con il romanzo di Anna Banti “La camicia bruciata”, non solo nelle descrizioni di Marguerite Louise e di Violante di Baviera, ma anche in quella del Gran Principe Ferdinando dotato di quell’impulsività che caratterizza il temperamento artistico, ma anche del pessimismo che è proprio degli edonisti.

Devo ammettere che se la Banti con il suo romanzo mi ha fatto ricredere sulla principessa Violante, Acton è riuscito a farmi mutare opinione almeno in parte sul Gran Principe Ferdinando.

Per assurdo forse la figura con la quale Harold Acton è stato più severo, pur riconoscendogli ogni merito, è stata quella di Anna Maria Luisa che finché visse volle mantenere ancora le splendide illusioni e convenzioni.

Alla luce dei nuovi studi si riscontrano nel libro alcune imprecisioni, per esempio, contrariamente a quanto scritto nel manoscritto Moreniano, Giuliano Dami, il famigerato aiutante di Camera, conobbe Gian Gastone dopo il matrimonio e lo seguì a Reichstadt solo dopo il soggiorno di quest’ultimo a Firenze. Piccole inesattezze a parte, “Gli ultimi Medici” è un libro assolutamente da leggere.

Una lettura affascinante e coinvolgente che mi ha fatto comprendere ancora meglio il perché mi sia tanto appassionata alla storia di questi ultimi e tanto discussi esponenti della dinastia.

 

 

venerdì 22 aprile 2022

“Cesare Borgia. Il principe spietato” di Lorenzo Demarinis

Il libro si apre con l’episodio che passerà alla storia come la strage di Senigallia, quando tra il 31 dicembre 1502 e il 18 gennaio 1503, Cesare Borgia si vendicherà in modo teatrale di coloro che lo avevano tradito.

Per Vitellozzo Vitelli, Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo che credevano, non solo di poter nuovamente tornare al servizio del Valentino, ma poterlo fare addirittura alle loro condizioni non ci sarà alcuno scampo; la vendetta del Borgia, sempre fedele al proprio motto aut Caesar aut nihil, si abbatterà implacabile su di loro.

È Niccolò Machiavelli, dal suo esilio all’Albergaccio, a narrare le vicende ad un mercante olandese che, dopo aver conosciuto la Toscana durante la propria attività lavorativa, ha deciso di eleggere questa terra a luogo del suo ritiro.

La scelta della figura di Machiavelli come narratore da parte dell’autore ha un duplice scopo. Nella finzione letteraria Machiavelli, rievocando i fatti, può fare il punto su quanto è intenzionato a scrivere su Cesare Borgia futuro protagonista del settimo capitolo di quello che diventerà il suo capolavoro “Il Principe”, ma allo stesso Lorenzo Demarinis riesce a trasmettete così al lettore il pensiero del fine politico e dei suoi contemporanei sul tanto chiacchierato figlio di Alessandro VI.

Sulla scena intervengono altri due personaggi Lucrezia Borgia, sorella di Cesare, e Francesco Guicciardini che conversando con Machiavelli ci espongono anche i loro punti di vista su una figura tanto controversa come quella del Valentino.

Il volume fa parte della collana intitolata I volti del male” in uscita in edicola e dedicata ai grandi criminali della storia. Nonostante il mio scetticismo, il libro si è rivelato una lettura piacevole e molto scorrevole.

Pensavo si trattasse di un saggio invece le vicende sono raccontate sotto forma di romanzo e, sebbene gli argomenti non vengano sviscerati in maniera esaustiva e capillare, l’insieme risulta comunque efficace.

Al termine del volume si trova una scheda curata da Vicente Garrido dedicata al profilo psicologico di Cesare Borgia. Ecco, questa scheda mi ha lasciata un po’ perplessa soprattutto per l’interpretazione troppo semplicistica del pensiero di Machiavelli che d’altra parte difficilmente può prestarsi ad essere sintetizzato in così poche pagine senza incorrere nell’evidente rischio di essere falsato e distorto.

Tornando invece al libro, ho molto apprezzato come  la descrizione della figura di Lucrezia Borgia, colei che per secoli è passata alla storia come un’avvelenatrice priva di scrupoli e di facili costumi, venga invece qui ritratta tenendo conto di quel revisionismo storico a cui è stata giustamente sottoposta negli ultimi anni.

Cesare Borgia era affascinante, coraggioso, risoluto e intelligente, ma è altrettanto vero che sapesse essere anche terribilmente spietato. Non si può certo negare questo aspetto del suo carattere, ma la sua figura andrebbe quantomeno storicamente contestualizzata. L’epoca in cui egli visse fu un’epoca dove tradimenti, crimini e assassinii erano all’ordine del giorno, eppure, egli passò alla storia come il più spietato di tutti. Stessa sorte toccò al tanto vituperato Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, sebbene il papato avesse già conosciuto papi altrettanto corrotti e nepotisti. Non possiamo dimenticare, per esempio, che solo pochi anni prima nel 1478 Sisto IV fu uno dei più potenti alleati della famiglia Pazzi in quella congiura che si concluse durante la messa nel Duomo di Firenze con l’assassinio di Giuliano de’ Medici e dalla quale per pura fortuna il Magnifico riuscì ad uscirne solo lievemente ferito.

La figura di Cesare Borgia, come molto raramente accade nella storia, assurse alla gloria del mito quando egli era ancora in vita ed è davvero apprezzabile l’idea di riproporre una rilettura moderna della leggenda del Valentino rifacendosi agli scritti e all’esperienza del Machiavelli, per cui se cercate una lettura valida, ma non troppo impegnativa sull’argomento questo libro potrebbe fare al caso vostro.

 

 

domenica 17 aprile 2022

“Le dimore dei Medici in Toscana” di Laura Alidori

Il libro di Laura Alidori prende spunto dalla serie di medaglie dedicate alle dimore medicee da Cesare Alidori per raccontarci la loro storia.

Il numismatico, amante dell’arte arte e grande appassionato della famiglia Medici, creò questa serie di ventisette medaglie proprio con l’intento di ricostruire la fisionomia delle loro proprietà in Toscana così come dovevano apparire ai loro occhi.

Ogni medaglia riporta una data che si rifà alla data di acquisto oppure alla data in cui furono eseguiti degli importanti interventi di restauro che più ne caratterizzarono la fisionomia.

Alidori ci ha restituito quindi, attraverso un’accurata ricerca storica, l’immagine originale di quelle dimore così come noi oggi possiamo solo immaginarle essendo state profondamente modificate nel corso dei secoli.

Il libro è suddiviso in 26 capitoli, ognuno dedicato ad una dimora, ed è corredato da una piantina, da tre tavole riportanti tutta la serie completa delle medaglie e da una breve bibliografia.

Ogni capitolo presenta all’inizio la medaglia relativa all’edificio a cui è dedicato e si chiude con una fotografia dello stesso allo stato attuale.

Il racconto della storia delle dimore non può ovviamente prescindere dal racconto della storia della famiglia Medici e da quella di Firenze stessaIl percorso si snoda tra palazzi di città e ville di campagna

Le ville avevano funzioni diverse: dallo svago, alla villeggiatura, alla caccia oppure erano vere e proprie aziende agricole, ma non solo. La Villa di Seravezza, per esempio, in provincia di Lucca fu fatta costruire da Cosimo I per trascorrervi un lieto soggiorno estivo, ma anche per poter seguire personalmente i lavori di estrazione di marmo “mistio” di cui erano state riattivate a quel tempo le miniere.

Vasto spazio è dato alle dimore presenti a Firenze: da Palazzo Medici in Via Larga, nato dal desiderio di Cosimo il Vecchio, a Palazzo Vecchio che con Cosimo I divenne dimora della famiglia prima che questa si trasferisse a Palazzo Pitti e, proprio parlando di Palazzo Pitti, non poteva mancare una breve descrizione anche dei Giardini di Boboli. Sempre a Firenze viene incluso tra le dimore medicee anche il Forte Belvedere dove veniva custodito il tesoro dei Medici e dove la famiglia poteva rifugiarsi in caso di pestilenze o sollevazioni popolari.

Il racconto spazia dalle ville di campagna tanto care a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo de’ Medici fino ad arrivare a quelle più amate dagli ultimi esponenti della famiglia.

Possiamo per esempio ricordare la Villa di Pratolino acquistata da Francesco I che ne fece una splendida dimora per lui e la sua seconda moglie, la veneziana Bianca Cappello, e che fu in seguito molto amata anche dal Gran Principe Ferdinando, primogenito di Cosimo III, che la elesse a sua dimora preferita facendovi costruire anche un teatro.

Ferdinando de’ Medici fu forse l’esponente della famiglia che più amò dedicarsi all’acquisto e alla ristrutturazione di ville, celebri sono la Villa di Artimino, detta anche la “Ferdinanda” e la Villa dell’Ambrogiana, villa che fu molto amata anche dal Granduca Cosimo III, nonostante le tante problematiche che la caratterizzarono fin dall’inizio, sia per la scelta del sito ventoso su cui si scelse di edificarla sia per la vicinanza dei fiumi Arno e Pesa che, con le loro continue inondazioni, ne indebolivano costantemente le strutture.

Tanti gli aneddoti legati a tutte queste dimore: dall’uccisione di Isabella de’ Medici avvenuta per mano del marito nella Villa di Cerreto Guidi, alle morti di Francesco I e Bianca Cappello avvenute nella Villa di Poggio a Caiano e delle quali il primo sospettato fu il fratello di lui, il futuro Ferdinando I. La villa di Poggio a Caiano era stata acquistata da Lorenzo de’ Medici che ne aveva affidato i lavori di ristrutturazione a Giuliano da Sangallo; alla morte del Magnifico fu il figlio Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, che si occupò di portare avanti i lavori non ancora terminati.

Ci sarebbe da dire tantissimo su queste dimore, ma ovviamente non posso parlarvi di tutte in un solo post. Molte di loro sono oggi proprietà privata o sede di istituzioni come nel caso della Villa di Castello, oggi sede della prestigiosa Accademia della Crusca, alcune sono state trasformate in abitazioni, ma ce ne sono altre ancora visitabili.

Ecco, il limite di questo volume è che essendo una pubblicazione del 1995 per quanto riguarda le possibili aperture al pubblico e la proprietà non può essere ovviamente aggiornato. Un esempio può essere quello della Villa dell’Ambrogiana che, all’epoca della pubblicazione, era l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e tale restò fino al 2017, sebbene negli ultimi tempi fosse possibile visitarne alcune parti su appuntamento accompagnati da una guida. Oggi per la Villa dell’Ambrogiana si parla di un suo possibile inserimento nel progetto “Uffizi diffusi” che si spera possa restituirgli almeno in parte lo splendore di un tempo.

A chi volesse prendere spunto per la visita di qualche villa in particolare consiglio quindi di consultare i relativi siti online per non incorrere in spiacevoli sorprese.

Nell’insieme ho trovato il libro molto scorrevole, ben scritto, ben documentato e puntuale a parte forse qualche piccolo refuso.

Che dire? Non vedo l’ora di andare a visitare quelle dimore che ancora mi mancano.

 

 


domenica 3 aprile 2022

“Le ricorrenze” di Franco Brogi Taviani

Guglielmo Aspesi è il personaggio principale di questo singolare romanzo in cui la vita del protagonista viene narrata ripercorrendone gli episodi salienti attraverso le varie ricorrenze.

I diversi Natale, Ferragosto, Primo Maggio, Epifania, compleanni diventano l’impianto narrativo seguito da Franco Brogi Taviani per raccontare la storia della vita di Guglielmo dal 1929, quando ancora bambino amava ascoltare le favole che il padre gli raccontava, fino agli anni Duemila. 

La storia di Guglielmo Aspesi è però anche la storia dell’Italia dagli anni della recessione fino al nuovo millennio.

Una vita intensa quella di Guglielmo: partigiano, storico dell’arte, assistente universitario, politico, impiegato e giornalista. Tante personalità diverse in uno stesso uomo che sembra però non essere mai davvero soddisfatto della propria esistenza, sempre teso a desiderare qualcosa di diverso dall'obiettivo appena raggiunto.

Il rapporto distaccato con il fratello maggiore, l’indifferenza provata dinnanzi alla morte del padre, la superficialità con cui tradisce continuamente la moglie che lo porterà inevitabilmente al divorzio e al fallimento finanziario, i difficili rapporti con il figlio maggiore a lui ostile fin da bambino e l’amore per una figlia che fin da piccola presenta gravi disturbi alimentari sono evidenti segnali delle sue difficoltà relazionali.

“Le ricorrenze” è un romanzo crudo e per certi versi crudele come lo è la vita che ci pone dinnanzi a scelte dolorose e all’amara accettazione di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato talvolta per colpa nostra, altre volte per colpa di una sorte beffarda.

Sono i sentimenti umani i veri protagonisti di questo libro: l’invidia, la passione, il rimorso, l’amore, l’accettazione di sé e degli altri, la pietà, il senso di perdita, la paura, l’incommutabilità, i dubbi e la disillusione.

La famiglia Aspesi è una famiglia come tante altre con i propri limiti, le proprie debolezze e criticità, ma allo stesso è anche unica ed esclusiva nel proprio modo di essere. Leggendo queste pagine torna spesso alla memoria il famoso incipit di Anna Karenina di Lev Nikolàevič Tolstòj: “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.

Non si simpatizza con Guglielmo Aspesi troppo nevrotico, egocentrico, incapace di provare sentimenti genuini, sempre troppo concentrato su di sé. Lo stesso suo essere sostenitore delle pari opportunità uomo/donna alla fine si rivela nei suoi atteggiamenti, nei confronti della compagna prima e della moglie poi, solo pura ipocrisia.

Guglielmo Aspesi è pero umano, questo è innegabile, e forse proprio per questo il lettore si ritrova ad essere per certi versi comprensivo nei suoi confronti, perché essere indulgenti con lui significa poterlo essere anche con se stessi.

Il libro di Franco Brogi Taviani è un romanzo che invoglia il lettore a farsi domande e a guardare indietro al tempo andato, spingendolo a prendere un quaderno per mettere sulla carta quel flusso inarrestabile di ricordi fatto di eventi e di persone che magicamente sembrano riaffiorare da un passato che si pensava di aver dimenticato per sempre.

La quarta di copertina recita “Quanti giorni sono necessari per comprendere il senso di una vita?” una domanda a cui è difficile, se non proprio impossibile, dare una risposta, così come impossibile è sapere cosa si nasconda in quel cofanetto di cui parlavano i fratelli Grimm in “La chiave d’oro”, fiaba che ossessionò per tutta la vita Guglielmo Aspesi fin da quando bambino ne ascoltò dal padre per la prima volta il racconto.