Visualizzazione post con etichetta Biblioteca Medicea. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Biblioteca Medicea. Mostra tutti i post

giovedì 29 febbraio 2024

“Cosimo I de’ Medici” di Eugenio Giani

Perché scrivere un altro libro su Cosimo I quando tanto è già stato scritto sull’argomento? Inizia con questo interrogativo il saggio di Eugenio Giani. Invero, lo stesso che mi ero posta io prima di accingermi alla lettura. Domanda lecita dalle risposte molteplici e non banali.

Il libro di Eugenio Giani è un saggio dal carattere divulgativo che indaga tutte le sfaccettature della complessa personalità di Cosimo I de’ Medici. In queste pagine viene evidenziata, attraverso connessioni e suggestioni, l’importanza che Cosimo ebbe non solo per Firenze ma per l’intera Toscana. Il sottotitolo che lo definisce “il padre della Toscana moderna” è senza dubbio un titolo evocativo ma anche un’incontrovertibile verità. 

Se è vero, infatti, che tutti ricordano quello che di grande fece il Magnifico per Firenze, è indubbio che altrettanti meriti vadano riconosciuti proprio al primo Granduca di Toscana, colui che fece di questa terra uno Stato moderno in grado di dire la propria accanto alle grandi potenze dell’epoca, certo non in virtù dell’estensione territoriale, davvero esigua, ma grazie ad un’efficiente macchina governativa.

Cosimo scelse come suo motto Festina lente (affretti lentamente) e come impresa una tartaruga con una vela sul suo carapace. Fu un uomo dotato di una determinazione e una lungimiranza non comuni, ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, seppe essere anche molto paziente, attendendo sempre il momento propizio per agire e comunque mai prima di essersi ampiamente documentato.

Per molti egli fu un uomo ambizioso, accentratore e umorale. Certamente Cosimo I non ebbe un carattere facile; fu sempre poco incline a fidarsi del prossimo, retaggio degli insegnamenti materni e di un’infanzia piuttosto complicata per via degli eventi politici del tempo, e agì anche in modo spietato contro chi osò sfidare la sua autorità. Va però detto, almeno a sua parziale discolpa, che fu un grande legislatore e, tenendo conto di quelle che dovevano essere la moralità e la cultura dell’epoca, egli agì sempre secondo la legge.

Quando Cosimo salì al potere la situazione finanziaria dello Stato era prossima alla bancarotta. Nei suoi 37 anni di governo ridisegnò l’economia della Toscana e non ci fu settore al quale egli non mise mano, dall’attività estrattiva fino addirittura alla pesca e alla piscicoltura.

Comprese fin da subito l’importanza degli sbocchi sul mare sia per aiutare l’espansione economica del territorio sia per rafforzare il peso del Ducato sullo scacchiere politico del tempo.

Cosimo non fu un condottiero, non scese mai in battaglia in prima persona, fu  piuttosto un uomo di penna dotato di grande lucidità ed eloquenza.

Ebbe la straordinaria capacità di saper scegliere e circondarsi dei più validi collaboratori in ogni settore; questo lo condusse alla vittoria in quelle guerre che dovette combattere.

Firenze fu indubbiamente il centro del potere, ma Cosimo comprese l’importanza di fare sentire la propria presenza su tutto il territorio e lo fece anche attraverso innumerevoli viaggi. La stessa Pisa, l’antica rivale, la Repubblica sconfitta dai fiorentini, diverrà a tutti gli effetti una sorta di seconda capitale del Granducato.

Cosimo sostituì il vecchio sistema della Corte con delle magistrature che noi oggi noi definiremmo ministeri. Tra questi potremmo identificare tra gli altri un ministero dei beni culturali, a cui fece capo il Vasari, e un ministero dei beni ambientali affidato al vecchio Ordine di Parte Guelfa a cui venne data nuova vita attraverso la Legge dell’Unione.

Persino il paesaggio della Toscana venne rimodellato per volere di Cosimo: furono costruite nuove città e ne furono ammodernate altre, grande impulso venne dato alla costruzione di mura e fortificazioni, vennero costruiti nuovi acquedotti e molti terreni vennero bonificati per essere resi produttivi.

Cosimo diede molta importanza agli archivi, alla stampa, alla cultura e all’arte non meno che all’economia.

Ebbe la fortuna di essere affiancato da una consorte quale Eleonora di Toledo, donna colta, raffinata e dotata di un fiuto per gli affari non inferiore al suo. Il loro fu un matrimonio politico ma anche un’unione molto felice. Purtroppo Eleonora morì molto giovane e questo fu un duro colpo per Cosimo. Eleonora morì con il titolo di duchessa, non poté partecipare alla gioia del marito per la consacrazione a primo Granduca di Toscana.

Il libro di Eugenio Giani è una lettura estremamente piacevole, dettagliata e ampiamente documentata. Seguendo le tracce dei tanti luoghi disseminati in Toscana che ancora oggi portano il segno dell’opera del primo Granduca Medici, Giani ci regala un vivido ritratto di quel fine politico e statista che fu Cosimo I senza tralasciare di dipingerne anche, attraverso curiosi particolari e aneddoti, i connotati più umani, legati al suo essere anche uomo comune, figlio, marito e padre oltre che capo di Stato.

“(…) a volte sono proprio le vicende a margine che danno il senso di un’esistenza”



giovedì 1 febbraio 2024

“Giuliano de’ Medici” di Rita Delcroix

Quando ci si sofferma ad osservare la splendida tomba del duca di Nemours (1479-1516), con la bellissima rappresentazione del giorno e della notte, opera di Michelangelo, pochi si interrogano su chi davvero fosse stato Giuliano de’ Medici, pochi ne conoscono la storia.

Rita Delcroix ha colmato questa lacuna regalandoci, a mio avviso, una delle più belle biografie che siano mai state scritte su questo personaggio le cui sembianze sono a noi giunte grazie ad un meraviglioso dipinto di Raffaello

Pochi come l’Urbinate furono capaci di cogliere l’anima dei personaggi ritratti e così fu anche per Giuliano. Non solo i dettagli fisici non sfuggirono all’occhio attento di Raffaello, come la falange mancante del dito indice della mano destra, ma anche quel suo essere gentile e quella sua bontà d’animo, qualità che lo resero benvoluto da tutti tanto da piangerlo ovunque quando per lui sopraggiunse la morte a soli 37 anni.

Lorenzo il Magnifico era solito dire dei suoi tre figli maschi che fossero uno saggio, uno buono e uno pazzo. Il pazzo era Piero, il primogenito, colui che morì nel Garigliano senza mai poter fare ritorno a Firenze dopo la cacciata del 1494; il buono, Giovanni, colui che salì al soglio pontificio con il nome di Leone X e infine, il saggio, Giuliano, quello a cui era più legato, l’ultimogenito nato l’anno dopo la Congiura dei Pazzi e a cui aveva dato il nome dell’amato fratello assassinato nel Duomo di Firenze il giorno 26 aprile 1478.

Giuliano, forse più degli altri figli, soffrì per la morte del padre al quale era sinceramente affezionato e per il quale nutriva quasi una venerazione. Per tutta la vita Giuliano, che verrà anch’egli appellato Magnifico come il padre, cercò invano di ricreare intorno a sé quell’ambiente famigliare e intriso della dottrina neoplatonica che aveva conosciuto durante la sua infanzia. 

Troverà però, per un breve periodo, qualcosa di simile ad Urbino, alla Corte dei Montefeltro, ultimo baluardo di cavalleria e neoplatonismo, dove stringerà solide amicizie e ritroverà vecchie conoscenza.

Malinconico, disilluso, sempre alla ricerca di un suo equilibrio in un’epoca tanto violenta e voltagabbana in cui stentava a riconoscersi, lui così leale e sincero, pervaso da un sentimento di fedeltà orgogliosa al passato e dalla volontà di essere all’altezza del nome di suo padre, Giuliano non possedeva né i difetti né le qualità necessarie per essere un politico. L’amore per il bello e per lo studio ne fecero l’emblema del cortigiano ideale, tanto che lo stesso Baldassare Castiglione ne fece uno dei protagonisti del suo celebre “Cortegiano”.

In un’epoca dove l’Italia era terra di conquista, dove ogni giorno alleanze, fedeltà, amicizie venivano continuamente negate e tradite, l’esule Giuliano,  unico Medici ovunque ben accetto per il suo buon carattere, viaggiò costantemente tra Venezia, Bologna, Roma, Urbino, fino al suo tanto agognato ritorno a Firenze. La città però era mutata e il palazzo di Via Larga non era più lo stesso, le sue mura non risuonavano più delle voci amate e famigliari dei protagonisti della Corte di Lorenzo Il Magnifico. Giuliano, spaesato e solo, preferì dunque fare ritorno a Roma, ancora una volta in cerca di quel mondo perduto, sempre nel vano tentativo di far rivivere un giorno i fasti della vecchia corte medicea perduta.

Giuliano de’ Medici fu molte cose: un soldato valoroso e sfortunato, un poeta e un letterato, un mecenate amico degli artisti, ma soprattutto, ammantato della suprema eleganza della sprezzatura, egli fu uno degli ultimi rappresentanti di un mondo al crepuscolo.

Il libro di Rita Delcroix è caratterizzato da una prosa elegante e fluida, le immagini scorrono vivide dinnanzi al lettore che sente, pagina dopo pagina, quasi di partecipare in prima persona agli eventi che incalzanti si susseguono.

L’opera della Delcroix è una biografia romanzata che presenta qualche imprecisione storica senza dubbio, ma nell’insieme è un libro davvero ben scritto: commovente, avvincente ed emozionante.

Una delle caratteristiche più apprezzabili di questo libro è l’interdisciplinarità degli argomenti perché, indagando a trecentosessanta gradi il personaggio di Giuliano e di coloro che vissero accanto a lui, Pietro Bembo , il Castiglione, Leonardo da Vinci, Raffaello solo per citarne alcuni,  Rita Delcroix indaga a tuttotondo anche la sua epoca dal punto di vista artistico, politico, storico, filosofico e letterario.

Difficile davvero condensare in poche righe i tanti stati d’animo suscitati da queste pagine ricche di storia e partecipazione emotiva.

Una lettura decisamente consigliata al di là della passione o meno condivisa per la famiglia Medici e per il periodo storico in cui i fatti narrati si svolsero.

(…) quell’esule povero e splendido che temperava l’orgoglio degli Orsini con l’intelligente umanità dei Medici.




giovedì 4 gennaio 2024

“Volpi e leoni: i misteri dei Medici” di Marcello Simonetta

Con la morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta il giorno 8 aprile 1942, si apre per gli stati italiani un periodo complicato e ricco di contraddizioni che culminerà con il terribile sacco di Roma nel maggio del 1527.

Il saggio di Marcello Simonetta si pone l’obiettivo di esaminare come i vari membri della famiglia Medici si mossero sulla complessa scena politica italiana dopo la morte di colui che il Guicciardini aveva definì l’ago della bilancia d’Italia. 

Simonetta prende fin da subito le distanze dal finto buonismo mediceo mettendo i discendenti del Magnifico sullo stesso piano della famiglia più controversa della storia:

I Borgia erano orgogliosi portatori del male, i Medici furono ipocriti sostenitori del bene”.

In queste pagine incontriamo Piero il Fatuo, l’erede designato del Magnifico, il fratello Giovanni, il futuro Leone X, e il cugino Giulio, il futuro Clemente VII, oltre a tante altre figure, solo apparentemente di minor spicco, ma non meno importanti per la scena politica del tempo. Tra queste troviamo Alfonsina Orsini, la moglie di Piero, una donna dal carattere indomito e volitivo, che non si tirava mai indietro quando c’era da lottare per ottenere favori per il figlio Lorenzo, per il quale pretese dal papa Leone X il ducato di Urbino, o per la figlia Clarice, moglie di Filippo Strozzi.

Proprio Filippo Strozzi incarnava il fautore per eccellenza dell’inciucio tra politica e finanza. Avventuriero, seduttore e privo di scrupoli, Filippo Strozzi, fu uno dei protagonisti principali della storia. Una figura, la sua, che stupisce oggi per la sua contemporaneità.

Un personaggio che incuriosisce, e credo meriti un ulteriore approfondimento, è quello di Giuliano de’ Medici, il terzogenito del Magnifico, futuro duca di Nemours.  Dandy ante litteram, Giuliano, aveva ereditato dal padre, al quale sembra fosse stato molto affezionato, l’abilità del verseggiare in stile petrarchesco. Egli risulta il membro più piacevole e affascinante della famiglia e fu molto amato presso le corti del suo tempo.

Le due figure a cui Simonetta dedica più spazio sono ovviamente quelle dei due papi Medici: Leone X e Clemente VII.

Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, quando venne eletto a soli 38 anni era già sovrappeso e la sua complessione risultava poca sana. Verrà ricordato per il suo comportamento gaudente, le spese folli e la sua inaffidabilità. Perderà definitivamente la reputazione di “buono”, a cui tanto teneva, in occasione di quella che è passata alla storia come “la congiura dei cardinali”.

Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, figlio illegittimo di Giuliano, riuscì a far rimpiangere addirittura il papato del cugino Giovanni. Se da cardinale diede l’impressione di essere persona accorta e lungimirante, una volta assurto al soglio pontificio si rivelò violento, ambizioso e vendicativo. Più di tutto furono però la sua doppiezza e la sue continue esitazioni nel prendere decisioni a condurre Roma e il papato alla rovina.

Un solo breve accenno viene fatto a Giovanni dalle Bande Nere, ma va detto che il saggio analizza maggiormente l’aspetto politico della storia piuttosto che il dispiegarsi degli eventi sul campo di battaglia vero e proprio.

Il libro è un saggio ben documentato, corredato da numerosissime note e da una ricca bibliografia. Pur volendo essere di natura divulgativa, il testo è comunque dettagliato e rigoroso nel metodo. I dati riportati, tutti verificabili, si rifanno non solo a lettere e fonti di archivio ma anche ad una precisa e attenta analisi dei testi letterari dell’epoca. La lettura non risulta però sempre scorrevole.

Complotti, vendette, alleanze e tradimenti sono il leitmotiv di quest’epoca tanto confusa e oscura. A tal proposito, per chi ancora non l’avesse visto, consiglio il bellissimo film diretto da Ermanno Olmi “Il mestiere delle armi” (2001)  






giovedì 21 dicembre 2023

“Il Banco Medici” di Raymond De Roover

Ho inseguito questo libro a lungo in quanto fuori catalogo in lingua italiana ormai da tempo. Sono riuscita a scovarne una copia a Roma in una libreria di libri antichi e introvabili anche se non proprio a buon mercato trattandosi di una prima edizione datata 1970. Il volume nell’edizione in lingua inglese è invece ancora regolarmente disponibile.

Quando si pensa al Banco Medici si pensa di solito alla sola attività finanziaria dimenticando che dietro ve ne fossero state altre, tra cui quella commerciale e quella assicurativa sebbene in codesta i Medici ebbero, in verità, un ruolo molto trascurabile.

Il 1397 può considerarsi l’anno di fondazione del Banco Medici. A quel tempo, Giovanni di Bicci che aveva gestito il Banco di Roma decise di trasferire la sede principale a Firenze. Il Banco Medici sopravvisse tra alti e bassi fino al 1494 quando vennero cacciati da Firenze.

L’attività del Banco Medici raggiunse la sua massima espansione alla morte di Cosimo il Vecchio, dopo di lui iniziò il lento ed inesorabile declino. Molti hanno incolpato il Magnifico di troppa prodigalità, ma un fattore da non trascurare è quello che i Medici furono sovrani di fatto, se non di diritto, e per questa loro posizione spesso nelle loro scelte il calcolo politico ebbe il sopravvento sulle mere condizioni economiche.

Di fatto quattro possono essere indicate come le cause primarie del crollo: cattiva amministrazione, direttive sconsiderate, debolezza strutturale e avverse congiunture.

Il Banco Medici non raggiunse mai le dimensioni che in passato ebbero le banche dei Bardi e dei Peruzzi; sotto questo aspetto il Quattrocento viene visto dagli storici come un periodo di ristagno se non addirittura di regresso economico.

Nonostante ciò, la potenza raggiunta con il Banco consentì ai Medici d’impadronirsi del potere politico, consentendogli allo stesso tempo di affidare importanti commissioni ad artisti, promuovere gli studi umanistici e impiegare ingenti somme nella costruzione di monumenti.

Si deve precisare che prima di questo studio effettuato dal De Roover l’argomento non era mai stato approfonditamente indagato.

I documenti d’affari del Banco Medici sono tali da riuscire a ricostruire un quadro abbastanza particolareggiato del funzionamento della banca e dei problemi di amministrazione. Solo il famoso archivio Datini di Prato può considerarsi più completo di quello mediceo.

Per il periodo anteriore al 1451 la fonte principale consultata dal De Roover sono stati i libri segreti. Questi furono scoperti nel 1950 in una busta che era stata malamente archiviata. Purtroppo per questi anni manca però la corrispondenza che è invece presente per gli anni successivi al 1450, anni in cui però sono giunti a noi solo frammenti dei libri contabili.

Quello che si evince dallo studio del De Roover è che i problemi di ieri erano molto simili a quelli attuali tanto che sembra si usassero anche gli stessi escamotage come l'evasione fiscale, le fughe di capitali, l'occultamento e l'alterazione dei libri contabili.

I Medici non inventarono nulla di nuovo. Di fatto la loro opera di innovatori sta nell’aver attivato un’organizzazione simile alle moderne holding e nell’avere dato vita a quello che potrebbe avvicinarsi al primo cartello della storia con l’affare dell’allume.

De Roover analizza ogni aspetto delle attività economiche dei Medici non solo del Banco, delle numerose filiali italiane ed europee e della Tavola dei Medici, ma anche del commercio internazionale, dell’affare dell’allume e dell’industria tessile.

Il saggio indaga anche dettagliatamente il sistema monetario della Firenze del Quattrocento basato su due distinti sistemi monetari: uno sull’oro, di cui l’unità monetaria era il fiorino, e l’altro sull’argento.

Questo aspetto è stato oggetto di indagine anche di Tim Parks con il suo “La fortuna dei Medici” (2005) di cui vi ho parlato tempo fa e che nella bibliografia cita tra gli altri anche il testo del De Roover.

Il testo di Parks è più centrato, e forse anche più chiaro nell'esposizione, di quello del De Roover in merito alla questione legata al duplice sistema monetario e alle notevoli complessità che ne seguirono.

Entrambi sono testi molto validi che si integrano a vicenda e la cui lettura è imprescindibile per chiunque voglia conoscere nel dettaglio la storia dei Medici e di come fosse nata la loro fortuna, ma anche per chiunque voglia accrescere la propria conoscenza  sulle origini del contemporaneo mondo degli affari.




martedì 10 ottobre 2023

“La figlia più amata” di Carla Maria Russo

I duchi passano. Firenze resta. Il romanzo di Carla Maria Russo si apre con il racconto di un incontro segreto. In una piccola stanza ricavata nelle segrete della Torre Volognana due personaggi stringono un patto di ferro. L’uno è un giovane freddo e razionale, l’altro un uomo potente e vigoroso sebbene non più nel fiore dell’età. È l’uomo anziano che ha scelto di legarsi alla causa del giovane.

Cosimo I de’ Medici, uomo potente e autoritario, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e nipote di Caterina Sforza, domina Firenze con il pugno di ferro, nessuno osa contraddire l’orgoglioso e dispotico duca, eppure anch’egli ha le sue debolezze: la moglie Eleonora di Toledo, che ama profondamente, e le sue figlie, in particolare Bia e Isabella. Ebbene sì, contrariamente ad ogni logica di potere, Cosimo non cerca neppure di mascherare la sua preferenza per le figlie femmine e questo suo sentire fuori dal comune non fa che alimentare rancori e gelosie tra i suoi eredi.

Dopo la morte di Bia, la bimba avuta prima del matrimonio, Cosimo sembra non riuscire a riprendersi dalla grave perdita. Quando Eleonora gli annuncia di aspettare un altro figlio, egli le fa promettere che sarà una bambina. Isabella non sostituirà mai Bia nel cuore di Cosimo, ma diventerà per lui altrettanto preziosa. Purtroppo per Isabella, però, il troppo amore di Cosimo si rivelerà per lei anche una terribile condanna.

Il romanzo è un’opera di fantasia, ma si comprende che l’autrice ha svolto ampie ricerche per scrivere questa storia. Infatti, per quanto i fatti vengano reinterpretati e romanzati liberamente, essi conservano una solida base di verità storica e una verosimile rispondenza allo svolgersi dei fatti.

La storia di Cosimo I de’ Medici e della sua numerosa famiglia sì presta perfettamente ad essere trasformata in un romanzo. Tanti eventi furono oggetto di illazioni, chiacchiere, maldicenze già all’epoca in cui tali fatti avvennero. Non entro ovviamente nello specifico per non spoilerare e rovinare così l’effetto sorpresa al lettore digiuno di storia medicea per il quale certi avvenimenti storici risulteranno certamente sconosciuti.

Carla Maria Russo ha la straordinaria capacità di saper riportare in vita i personaggi del passato, farli interagire e dialogare tra di loro, ricreare la perfetta atmosfera dei luoghi attraverso i quali farli agire e muovere.

La narrazione si volge su tre piani: quello legato al complotto e alle lettere che si scambiano i due personaggi che hanno stretto il patto segreto, alcuni frammenti di racconto estrapolati da ciò che si è salvato di un diario scritto da Isabella de’ Medici e giunto nella mani del figlio Virginio e infine il racconto vero e proprio, quello in cui si narra la storia di Cosimo I e della sua famiglia.

Uno degli aspetti più singolari della famiglia di Cosimo I de’ Medici fu che nonostante l’amore fuori dal comune che legò questi alla moglie e alla figlie, nonostante alcuni particolari comportamenti che, almeno  all’apparenza, avrebbero dovuto cementare lo spirito familiare, come il desiderio del capofamiglia di riunirsi ogni giorno per pranzare tutti insieme, in verità, mai nucleo familiare fu più disunito e mai dei congiunti svilupparono tanta ostilità gli uni nei confronti degli altri come i figli del primo Granduca di Toscana.

Ogni personaggio è caratterizzato in maniera magistrale dalla penna di Carla Maria Russo sia sotto il profilo fisico che sotto il profilo psicologico.

La debolezza di Cosimo nei confronti delle sue donne e la sua intransigenza quando si trattava di imporre la propria volontà senza guardare in faccia nessuno, la rigidità della duchessa Eleonora che si scioglieva al cospetto del marito, i sogni di Maria per sfuggire alla realtà, le pene di Lucrezia per il suo sentirsi perennemente inadeguata, la follia di Pietro, la fredda intelligenza di Ferdinando e l’incontrollata smania di esercitare il potere di Francesco, sono solo alcuni dei molteplici aspetti che caratterizzano i numerosi personaggi che animano le pagine del romanzo.

E poi c’è lei, Isabella de’ Medici, viziata e ribella. Una bambina a cui la madre non si riesce e il padre non vuole mettere un freno, che si comporta come un maschiaccio, che adora cavalcare e andare a caccia ma che, una volta divenuta adulta, si trasforma in una splendida donna colta e raffinata, appassionata di poesia e di musica, il fiore della Corte di Cosimo I de’ Medici, colei a cui tutti guardano come alla vera duchessa di Firenze.

Una trama affascinante, personaggi seducenti e un ritmo narrativo estremamente scorrevole rendono la lettura di questo libro davvero piacevole. Carla Maria Russo si conferma ancora una volta un’ottima autrice di romanzi storici.



mercoledì 7 giugno 2023

“Oscura e celeste” di Marco Malvaldi

Potrei dire di aver scelto questo libro perché attratta dall’affascinante figura di Galileo Galilei oppure, più semplicemente, perché non sono solita rinunciare a leggere un romanzo ambientato a Firenze, tanto più se tra i personaggi appare un esponente della famiglia Medici, ma la verità è che quello che mi ha spinto ad acquistare questo libro è stata la bellezza della copertina.

Non è una cosa così singolare, a tutti noi capita talvolta di scegliere un libro per la sua copertina, però mi ha fatto sorridere che l’autore giochi con l’idea che qualcosa di simile potesse essere accaduta anche ad Urbano VIII con “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo Galilei.

La storia è ambientata nel 1631. A Firenze la peste imperversa e il Granduca Ferdinando II cerca di difendersi come meglio può dalle assillanti richieste, dai continui suggerimenti e dai numerosi rimedi di cui gli esponenti del clero sembrano essere terribilmente provvisti.

Galileo è prossimo a dare alle stampe la sua opera che, sotto forma di dialogo e scritta in volgare, renderebbe accessibile a tutti la teoria per cui è il Sole ad essere al centro dell’universo e non la Terra. Lo scienziato si è da poco trasferito a Villa il Gioiello vicino al convento di San Matteo ad Arcetri, poco distante da Firenze.

Nel convento si trovano le sue due figlie: Suor Maria Celeste, al secolo Virginia, e Suor Arcangela, al secolo Livia. Suor Maria Celeste, la maggiore, è molto legata al padre ed è a lei che Galileo affida i suoi scritti per essere trascritti in bella copia poiché altrimenti risulterebbero incomprensibili a tutti anche al tipografo.

In convento accade una terribile disgrazia e Galileo Galilei si ritroverà coinvolto in prima persona, suo malgrado, in una propria e vera corsa contro il tempo per cercare di risolvere il mistero.

Il romanzo è preceduto, come si trattasse di un testo teatrale, da alcune pagine in cui vengono presentati i protagonisti della storia. I personaggi, quasi tutti realmente esistiti, sono descritti minuziosamente e appaiono talmente ben caratterizzati che al lettore sembra davvero di conoscerli tutti di persona.

Il Granduca Ferdinando II de' Medici è una figura intrigante. È abilissimo a gestire i problemi scaricando quelli più scottanti sui suoi sottoposti così da potersi prendere il giusto tempo per esaminare le situazioni. Una volta presa, però, la sua decisione sarà legge e non dovrà essere messa in discussione da nessuno. Nell’insieme un sovrano illuminato, vicino ai suoi sudditi, che non manca di visitare gli infermi nei lazzaretti e confortare i parenti dei defunti.

Galileo Galilei è un uomo di scienza, ma anche un personaggio che ama la buona tavola e il vino. Talvolta sembra perdersi nel suo mondo inseguendo qualcosa di indefinito, ma improvvisamente ritorna in sé con la giusta illuminazione. Molto legato alle figlie, non è privo di dubbi e rimorsi per aver scelto per loro la via del convento. Bisogna dire però, a sua discolpa, che nel Seicento, per delle fanciulle senza dote, il convento era l’unico luogo sicuro dove vivere e soprattutto dove poter studiare.

Suor Maria Celeste e Suor Arcangela non potrebbero avere caratteri più diversi; tanto dolce, remissiva e posata Virginia, quanto focosa e intemperante Livia. Inutile dire che inevitabilmente Suor Arcangela, nonostante i suoi modi bruschi e poco ortodossi, o forse proprio per questi, riuscirà ad entrare nelle simpatie del lettore quanto se non più della sorella stessa.

Il racconto all’inizio è forse un po’ lento. Le teorie e gli stralci dei documenti riportati necessitano infatti un po’ di impegno da parte del lettore, ma sono passi imprescindibili per calarsi nel giusto clima narrativo. Superate le prime pagine il racconto prende ritmo e ci si trova piacevolmente coinvolti dal dipanarsi degli eventi. Impossibile non sviluppare empatia nei confronti di molti dei personaggi della storia.

Ironico e divertente Marco Malvaldi sa davvero come catturare l’attenzione del lettore e tenerlo incollato alle pagine.

È vero che un libro non deve mai essere giudicato dalla copertina, ma in questo specifico caso, la copertina è decisamente all’altezza del libro. Divertente, spiritoso e illuminate.




mercoledì 24 maggio 2023

“Giovan Battista Fagiuoli” di Rossella Foggi

Il volumetto venne pubblicato nel 1993 in occasione della scoperta avvenuta l’anno precedente da parte di Alberto Bruschi, editore della Collana Loggia Rucellai di cui anche libro fa parte, di un ritratto di Giovan Battista Fagiuoli eseguito da Pier Dandini.

Al saggio di Rossella Foggi in cui viene raccontata la vita e descritta la personalità del Fagiuoli, segue una breve analisi di Sandro Bellesi del dipinto ritrovato. In queste pagine Bellesi riporta anche un estratto dell’opera del Fagiuoli, un capitolo che questi volle dedicare al Dandini proprio come ringraziamento del ritratto.

Antonio Paolucci definisce Giovan Battista Fagiuoli eccentrico bardo degli ultimi Medici. Definizione calzante, sebbene molte delle facezie che la tradizione popolare fiorentina gli ha attribuito nel corso dei secoli siano in verità sono solo false credenze.

Il poeta e commediografo fiorentino fu testimone di quell’epoca che vide per sempre calare il sipario sulla dinastia medicea. Si spense infatti l’anno prima di Anna Maria Luisa de’ Medici e i suoi funerali vennero celebrati in San Lorenzo.

Nato il giorno di San Giovanni Battista del 1660, il Fagiuoli dovette lasciare presto il collegio dei Gesuiti, dove aveva intrapreso gli studi, poiché il padre morì all’età di soli 43 anni. Appena tredicenne, per mantenere la madre, dovette accettare un impiego presso un dottore in legge, ma fin da subito fu chiaro come il lavoro d’ufficio non fosse la sua vera inclinazione. Egli riuscì fin da subito a ritagliarsi un suo spazio dedicandosi alla recitazione, passione quella per il palcoscenico che lo accompagnò per tutta la sua esistenza. Suo malgrado, per far quadrare il bilancio famigliare, dovette però sempre destreggiarsi tra l’impiego presso l’Arcivescovado e la vocazione di letterato.

I suoi scritti non furono mai troppo pungenti o violenti; poeta satirico, raramente ironico e in nessun modo cattivo, questo suo aspetto fu dovuto indubbiamente al suo carattere, ma in parte anche alle sue ispirazioni ad entrare nell’ambiente di Corte.

Scelse la strada più lunga per raggiungere i suoi scopi, ovvero la sua arte, poiché da uomo orgoglioso, mai avrebbe venduto la sua dignità in cambio di un posto da cortigiano.  Purtroppo, anche i suoi amici il Redi e il Magliabechi, rispettivamente il medico e il bibliotecario di Corte, non riuscirono a intercedere in suo favore come avrebbe desiderato.

Dovette allontanarsi da Firenze per lavoro, trascorse un periodo a Livorno e persino un anno a Varsavia. Poi, finalmente, un giorno venne accolto da Francesco Maria de’ Medici, fratello del Granduca Cosimo III, e iniziò a frequentare le feste e gli eventi mondani nella Villa di Lappeggi tanto cara al cardinale. Sfortunatamente, quando questo morì, dal momento che il Fagiuoli non era mai stato stipendiato come cortigiano, si ritrovò nuovamente a dover contare solo sul reddito ricavato da un piccolo podere di proprietà e dallo stipendio ricevuto come attuario. Solo l’Elettrice Palatina, all’epoca ancora a Düsseldorf, cerco di intercedere presso il padre Cosimo III in suo favore e sempre lei lo sostenne anche quando salì al trono il fratello Gian Gastone, non particolarmente interessato all’opera del Fagiuoli.

Giovan Battista Fagiuoili ebbe una vita non facile, sempre a corto di denari sin da bambino si ritrovò a dover far fronte anche ad una famiglia molto numerosa. La moglie gli diede ben dieci figli ma solo quattro di questi, quattro figlie tutte monacate, gli sopravvissero. Il Fagiuoli in verità sopravvisse pure alla moglie sebbene molto più giovane di lui e a tutti i suoi nipoti.

Una figura affascinante incontrata spesso nelle mie letture sugli ultimi Medici che sono contenta di aver potuto approfondire grazie a questo interessante saggio.

Giovan Battista Fagiuoli fu uomo del suo tempo e rileggere le sue opere (rime, composizioni, commedie) e i suoi diari che si compongono di ben 30 volumi, di cui i primi tre redatti in bella copia, che vanno dal 1672, anno della morte del padre, fino a due giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 luglio 1742, è fondamentale per comprendere l’epoca di cui lui fu testimone.

Rossella Foggi con questo suo saggio e Alberto Bruschi con questa collana hanno dimostrato di aver compreso quanto sia importante andare alla riscoperta di quei personaggi che solo all’apparenza possono essere considerati marginali a quella che viene considerata la storia con la “S” maiuscola.




domenica 7 maggio 2023

“Lorenzo il Magnifico in salute in malattia” di Emiliano Panconesi e Lorenzo Marri Malacrida

Questo piccolo volume, terza uscita della Collana Loggia Rucellai, si pone come obiettivo si analizzare la figura di Lorenzo il Magnifico da un punto di vista diverso da quello consueto.

Oggetto di questo breve saggio non è quindi il Lorenzo statista, letterato, politico e mecenate, tutte sue caratteristiche che qui vengono ricordate solo a scopo biografico.

L’argomento centrale di questo saggio è invece quello della malattia del Magnifico e del rapporto che questi ebbe con la medicina. Gli autori indagano quindi quali furono le sue caratteristiche fisiche e psichiche.

Lorenzo de’ Medici mori all’età di 43 anni. Il 1492 fu davvero un anno particolare perché non solo se ne andava colui che allora era l’ago della bilancia della politica italiana ed europea, ma anche un grande pittore a lui contemporaneo quale fu Piero della Francesca, uno dei tanti artisti che Lorenzo de’ Medici ebbe la fortuna di poter incontrare nel corso della sua vita.  Ad ottobre di quello stesso anno Cristoforo Colombo sbarcava sulle coste del nuovo continente e da quel momento in poi si sarebbe entrati ufficialmente nell’Era Moderna.

Nel Quattrocento non esisteva una marcata differenza tra le discipline come la conosciamo noi oggi. All’epoca del Magnifico tra il sapere medico-fisico e la cultura letteraria e filosofica vi era uno stretto legame. Studiando la biblioteca di Pier Leoni (o Pierleone) da Spoleto medico di Lorenzo si può facilmente comprendere quanto fossero intrecciate tra loro discipline quali la filosofia, la medicina, la matematica ma anche l’astrologia. La cultura rinascimentale in generale e quella del Rinascimento fiorentino in particolare erano davvero complesse.

Interessante è l’approfondimento dedicato all’accezione del termine saturnino in cui si spiega come durante il Rinascimento melanconico e saturnino perdettero via via sempre più la connotazione patologica o negativa che essi mantenevano ancora in epoca medievale.

Tutti i Medici, da Cosimo Pater Patriae fino ad arrivare a Cosimo III e al figlio di questi il Gran Principe Ferdinando, furono affetti dalla gotta. Il padre di Lorenzo de’ Medici fu definito addirittura “Il Gottoso” e neppure Lorenzo trovò scampo dalla nemica di famiglia. 

Di Lorenzo si sa che già all’età di diciotto anni fu afflitto da un eczema di notevole aggressività al quale poi seguirono manifestazioni di iperuricemia.

Difficile, nonostante gli studi effettuati sui resti del Magnifico, in particolare da Genna e Pierraccini nel 1945, riuscire a individuare le vere cause che portarono Lorenzo alla morte. La gotta può degenerare in forme di reumatismo cronico e interessare non solo le articolazioni ma anche altri organi quali occhi, cuori, nervi, stomaco e reni.

Dagli scritti del Poliziano sappiamo che Lorenzo soffri negli ultimi giorni di fortissimi dolori presumibilmente di stomaco. Questi dolori gli autori del saggio non escludono potessero essere imputati oltre alla gotta anche a qualche ulcera gastrica o duodenale. Alcuni avvenimenti della vita di Lorenzo quali la perdita del fratello Giuliano nella Congiura dei Pazzi, il Sacco di Volterra e la decisione di concedere la mano della giovane figlia prediletta Maddalena al dissoluto Franceschetto Cybo figlio di Papa Innocenzo VIII per opportunismo dinastico e politico contribuirono probabilmente a minare ulteriormente la già malferma salute del Magnifico.

Un saggio interessante che, sebbene forse un po' datato in quanto edito nell’anno 1992, prova a risolvere importanti interrogativi utilizzando una chiave di lettura davvero insolita e particolare.

 


lunedì 10 aprile 2023

“Cosimo III de’ Medici” di Alberto Bruschi

Cosimo III de’ Medici, Pellegrino tra trono e altare, come recita il sottotitolo scelto dall’autore, visse la sua vita con lo sguardo più rivolto verso la beatitudine celeste che verso le miserie umane e terrene. Il suo lungo regno che si snodò sotto ben dieci pontificati, da Urbano I fino a Innocenzo XIII, fu caratterizzato dai suoi eccessi religiosi e moralistici.

Nonostante l’educazione umanistica impartitagli da insigni e autorevoli precettori, dimostrò assai scarse risorse intellettuali. La stessa sua committenza artistica fu quasi sempre rivolta verso il culto. Non esitò a dilapidare il patrimonio del Granducato per costruire chiese e conventi, così come non esitò ad alienare parte delle collezioni medicee per arricchire gli apparati liturgici delle chiese. Ossessionato dalle reliquie, di cui cercava in ogni modo di fare incetta, non si risparmiò mai dal mettere in campo ogni risorsa per la moralizzazione dei costumi, arrivando anche a bruciare parecchi libri perché considerati pericolosi per la fede. Insomma, arrivò a comportarsi persino peggio del Savonarola e dei suoi Piagnoni.

Non stupisce quindi che quando, alla veneranda età di 81 anni e dopo ben 53 anni di regno, Cosimo III lasciò la vita terrena, i fiorentini videro la sua morte come una liberazione tanto a lungo attesa. Nessuno, se non qualche ipocrita, poté rimpiangere la dipartita di un sovrano che non dimostrò mai alcun amore per quei suoi sudditi che nel corso degli anni aveva ripetutamente tassato e spremuto fino all’ultima goccia a favore del clero.

La figura di Cosimo III fu vista come una macchietta dai suoi contemporanei persino in Vaticano nonostante egli profondesse tanto denaro a favore della religione. Il suo matrimonio disastroso con la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans che abbandonò il tetto coniugale per far ritorno in Francia, ma che pur lontana non  perdette mai occasione per rendergli la vita amara, e l’anaffettività dimostrata nei confronti dei figli maschi, il Gran Principe Ferdinando e Gian Gastone, non fanno che avvalorare l’immagine di un sovrano che altro non fu che la parodia della grandezza dei suoi predecessori.

Impietoso è il giudizio di Alberto Bruschi per questo sesto Granduca di Toscana, la cui ottusa bigotteria fu pari solo alla sua superbia, tanto da escludere quasi con certezza che nessuna futura scoperta potrà mai salvarlo dal giudizio negativo con cui la storia lo ha accompagnato fino ai giorni nostri.

Nei testi dedicati agli ultimi esponenti della dinastia Alberto Bruschi è sempre stato molto imparziale; non ha mai fatto loro nessuno sconto, però, è sempre riuscito a cogliere quell’elemento delle loro vicende che, senza voler giustificare nessuno, poteva essere quanto meno un’attenuante per gli errori commessi. Attenuanti che Bruschi non negò neppure ad Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, moglie di Gian Gastone, la fiorentina mancata, nel libro a lei dedicato.

Per Cosimo III, invece, Alberto Bruschi sembra non riuscire neppure a trovare delle attenuanti e, anche impegnandosi a ricercare qualche elemento che possa riscattarne almeno in parte l'operato, poco o nulla emerge se non l’aver riportato a Firenze il corpo di Giovanni dalle Bande Nere che dal 1526, anno della sua morte, riposava a Mantova.

Di questo libro che Alberto Bruschi ha dedicato a Cosimo III de’ Medici sono state stampate nel 2018 invero (parola tanto amata dall’autore) solo poche copie.

Alberto Bruschi fu molte cose nel corso della sua vita: antiquario, ricercatore, archeologo, medievalista, studioso di araldica, difficile se non impossibile stilare un elenco completo visti i suoi molteplici interessi, ma non è per nulla singolare che in questo specifico caso egli, che fa riferimento a stesso utilizzando il plurale maiestatis, si definisca un cantastorie.

Ebbene sì, questo volume non è solo il racconto di Cosimo III de’ Medici, ma è l’affresco dell’epoca in cui egli visse. È una summa di aneddoti non solo contemporanei al sesto Granduca di Toscana, ma anche il racconto di eventi occorsi in epoche precedenti così come di eventi che avranno luogo negli anni successivi.

Non è facilissimo seguire il filo della narrazione poiché, a differenza degli altri scritti di Bruschi, qui il racconto segue un percorso funambolesco; un percorso, se vogliamo difficile, che mette a dura prova il lettore, ma allo stesso tempo lo rende anche molto attento e partecipe.

Si avverte in questo scritto quasi un’urgenza da parte dell’autore di voler trasmettere tutti quegli elementi riemersi dal passato, quasi una sorta di testamento perché nulla di quello da lui raccolto nel corso di tanti anni di ricerca possa andare perduto. In queste 450 pagine, infatti, tantissimi sono gli spunti che meriterebbero un ulteriore approfondimento; sarebbe davvero impossibile incamerare tutto ciò che è qui riportato nel corso di una sola lettura.

Il libro, come tutti gli scritti di Alberto Bruschi, presenta una scrittura elegante e raffinata. È sempre un piacere per il lettore incontrare quelle belle parole, tante ahimè ormai desuete, che sono state non solo dimenticate, ma nel caso in cui qualcuno per errore si azzardasse a pronunciare, verrebbe apostrofato malamente in virtù del fatto che è oggi imperativo usare tanti begli anglicismi imposti da questa nostra società globale.

Non manca neppure la solita ironia fiorentina del Bruschi a me tanto cara, ma si percepisce in questo suo scritto una sorta di impercettibile cambiamento nel suo sentire, quasi che egli avesse avuto qualche avvisaglia che il suo tempo stesse per giungere alla fine. Eppure, Alberto Bruschi mancherà tre anni dopo la pubblicazione di questo volume.

C’è un’altra particolarità che distingue questo libro dai precedenti dedicati dall’autore agli ultimi Medici o comunque ai personaggi a loro vicini. Qui, più che nei precedenti libri, emerge molto più forte lo sguardo del Bruschi rivolto al mondo contemporaneo. C’è il suo pensiero sulla politica europea e nazionale, sulla Chiesa e sull’Oriente. In questo volume, più che nei precedenti, Bruschi prende una posizione netta e ne esce prepotentemente la figura di un uomo che non ha più nessuna remora, se mai davvero l'abbia avuta, ad apparire non politicamente corretto, Un uomo forse anche po’ amareggiato da ciò che lo circonda, senza dubbio ormai disilluso.

Nelle ultime pagine, in quelle poche righe dedicate all’amato Gian Gastone de’ Medici, però, ogni disinganno e amarezza cedono il passo alla consueta sensibilità e a quel sentimento di pietas che Alberto Bruschi nutrì sempre verso quell’ultimo Granduca Medici che si ritrovò sul trono senza mai averlo desiderato e che “(…) permise tutto a tutti. Solo a se stesso mai permise di credersi qualcuno più importante di qualsiasi altro uomo”.

 

 


domenica 12 marzo 2023

Strumenti musicali. Guida alle collezioni medicee e lorenesi

Il museo degli strumenti musicali della Galleria dell'Accademia di Firenze venne inaugurato nel 2001. La collezione del Conservatorio Luigi Cherubini consisteva in più di 40 strumenti, appartenenti alle collezioni medicee e lorenesi, databili tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo.

Questo piccolo catalogo bilingue (italiano-inglese) si apre con un’introduzione in cui viene brevemente presentato il museo, seguita da una serie di schede dedicate agli strumenti e ai quadri esposti. I soggetti rappresentati sono nature morte nelle quali figurano degli strumenti  e personaggi legati sempre all'ambiente musicale.

Il più grande collezionista di strumenti fu senza dubbio il Gran Principe Ferdinando che si dilettava egli stesso come musicista. Sotto il regno di Cosimo III de’ Medici la collezione raggiunse il suo massimo splendore e a questo periodo risale la maggior parte dei dipinti esposti. Fu il Gran Principe Ferdinando, tra le altre cose anche grande collezionista d’arte, a commissionare quei ritratti di musici conosciuti come i musici del gran principe.

In uno di questi dipinti, opera di Anton Domenico Gabbiani (1632-1726), si riconosce proprio Ferdinando de’ Medici. Non altrettanto facile è invece riuscire a identificare i singoli personaggi, per i quali spesso ci si può solo limitare a fare ipotesi plausibili qualora ci siano motivazioni convincenti in tal senso. Risulta chiara, comunque, una certa complicità tra il Gran Principe e i suoi musici, una familiarità spesso deprecata da Cosimo III come si evince nella sua corrispondenza col figlio nella quale lo invitava a trattare con essi da par suo.

Tra le particolarità del catalogo figurano strumenti come la famosa viola tenore di Antonio Stradivari, considerata lo strumento più celebre della collezione. Questa viola ci è giunta nella forma e nella struttura originali, aspetto che la rende un oggetto oltremodo prezioso. Leggendo il libro si comprende che gli strumenti giunti ai giorni nostri sono in realtà solo una minima parte dell’intera collezione medicea, sia perché i Lorena li misero all'asta per monetizzare, sia perché nel corso degli anni vennero periodicamente aggiornati per renderli in linea con le mode musical dei tempi, sia perché spesso venivano prestati ai musici senza che poi questi li restituissero, vuoi ormai perché inutilizzabili o, magari più semplicemente, perché andati perduti.

Curioso è leggere in cosa consistessero questi ammodernamenti degli strumenti compiuti appunto per renderli più adatti all’esecuzione della musica del momento; alcuni di essi, ad esempio, sono stati ridimensionati nella cassa, in altri è stata modificata l’inclinazione del manico, in altri sono state fatte modifiche per aumentare il numero delle corde.

È quindi impossibile oggi poter ricreare quel suono originario delle musiche così come queste venivano eseguite al tempo della loro composizione. Per ovviare in parte a questa problematica, e al fatto che spesso lo stato di conservazione degli strumenti non permetterebbe neppure di eseguire idonei restauri, si è cercato oggi di ricostruire copie il più possibile conformi agli originali.

Il Gran Principe Ferdinando raccolse intorno a sé non solo musici e costruttori di strumenti di ambiente fiorentino, ma invitò alla sua corte anche molti artigiani e musicisti provenienti da tutta Italia. Proprio a Firenze il patavino Bartolomeo Cristofori ideò il famoso fortepiano, principale antenato del più moderno pianoforte. Nelle collezioni esposte nella Galleria dell’Accademia tra gli strumenti costruiti appunto dal Cristofori si può ammirare il più antico pianoforte verticale conosciuto oltre ad una bellissima spinetta ovale.

La prima edizione di questo catalogo è datata 2001, ma è stato ristampato più volte nel corso degli anni fino almeno al 2021, anno della ristampa in mio possesso.

Come viene specificato nel libro stesso, risulta un po’ strano pensare di vedere esposti questi strumenti come se si trattasse di arte visiva piuttosto che di strumenti nati per essere ascoltati. È indubbio, comunque, che alcuni di essi siano di per sé delle vere opere d’arte se si guarda ad esempio agli intarsi di madreperla presenti su alcuni o a strumenti quali il salterio di Cosimo III.

Attraverso le pagine del libro e le schede dedicate ai vari strumenti si ripercorre la storia della musica dalla corte medicea alla corte lorenese. 

Con la morte del Gran Principe Ferdinando finiva anche l’età della grande musica eseguita nelle ville di proprietà, la più celebre delle quali per gli allestimenti degli spettacoli che vi venivano eseguiti era senza dubbio quella di Pratolino.

Con l’avvento dei Lorena la musica mutò completamente. Essi erano soliti dare feste a Palazzo Pitti dove veniva invitata addirittura tutta la popolazione ed ovviamente la musica da ballo era quella che andava per la maggiore.

Coloro che visitarono Firenze all'epoca della corte lorenese non mancarono di rimarcare la scarsa vivacità della vita musicale della città oltre alla difficoltà di accesso alle raccolte e alle biblioteche.

 



venerdì 10 marzo 2023

“Sacro romano impero. La principessa di Charolles” di Marina Colacchi Simone

Dopo “Florentine. La pupilladel Magnifico”, vincitore di ben sette premi letterari, Marina Colacchi Simone torna a confrontarsi con il romanzo storico e lo fa riprendendo la storia laddove l’aveva lasciata.

La narrazione si apre con le terribili scene del sacco di Roma (6 maggio 1527) perpetrato dai lanzichenecchi, arruolati tra le file dell’esercito imperiale. Attraverso la tecnica del flashback, la protagonista del romanzo, la principessa di Charolles, si lascia andare ai ricordi dando avvio al racconto degli avvenimenti accaduti negli anni precedenti.

Le prime pagine sono dedicate alla presentazione dei principali personaggi, un’esigenza imprescindibile prima di addentrarsi nel vivo della narrazione, essendo questi davvero numerosi.

La storia di questo periodo è piuttosto complessa. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia della politica italiana, le grandi potenze europee possono ormai liberamente affacciarsi sul suolo italico. I grandi protagonisti sono Francesco I di Valois in Francia, Enrico VIII Tudor in Inghilterra e Carlo di Gand, protagonista del romanzo.

Il diciasettenne Carlo siederà sul trono di Spagna, sebbene solo formalmente dovrà all’inizio condividerlo con la madre Giovanna la Pazza, e diverrà imperatore del Sacro Romano Impero.

Le prime pagine del romanzo non sono scorrevolissime, ma l’autrice doveva fare necessariamente chiarezza sul complesso scacchiere politico dell’epoca prima di addentrarsi nello svolgimento della trama.  I personaggi reali e di invenzione si integrano tra di loro alla perfezione, tanto verosimili sono quelli nati dalla penna dell’autrice. Ogni dubbio sulla reale esistenza dei protagonisti viene comunque fugato perché Marina Colacchi Simone, sempre attenta ai dettagli, non ha mancato di inserire un elenco dei personaggi di fantasia al termine del volume.

Il libro può essere considerato anche un romanzo di formazione perché il giovanissimo Carlo, nel corso della storia, deve imparare a destreggiarsi sia sul piano umano che politico nel difficile gioco della vita. Fin da subito deve comprendere e accettare la dura legge della ragion di stato, rinunciare alla donna amata e confrontarsi con la figura di una madre ingombrante, imporre la sua ferrea volontà alle sorelle e a chi gli sta accanto, spesso costretto a ferire le persone più care in nome di un bene maggiore, quello della Spagna e dell’Impero.

Protagonista femminile del romanzo è la bella e intelligente Hippolyte de Charolles, amore giovanile di Carlo che non lascerà mai veramente il suo fianco; il loro legame si trasformerà da giovanile sentimento d’amore in un’imperitura amicizia. Ippolita, come verrà chiamata dopo il matrimonio con Francesco Montefiori, resterà infatti vicino a Carlo per tutta la vita in qualità di amica e consigliera.

Proprio la figura di Francesco Montefiori è l’anello di congiunzione con il romanzo precedente di Marina Colacchi Simone in quanto l’affascinante fiorentino altri non è il primogenito della pupilla del Magnifico, Vanna de’ Bardi.

Ci sono poi i protagonisti storici a legare questo romanzo al precedente ossia Leone X, figlio di Lorenzo de’ Medici, e Clemente VII, figlio di Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico.

I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi e tutti raccontati in maniera magistrale dall’autrice. Dopo le prime pagine, la narrazione decolla e, nonostante le quasi cinquecento pagine, il libro si legge tutto d’un fiato pur sapendo che alla fine sarà difficile lasciare andare quei protagonisti che, con le loro storie, ci hanno tanto emotivamente coinvolti.

Non era facile condurre il lettore a districarsi in una storia ambientata in uno scenario storico tanto complesso, ma Marina Colacchi Simone è riuscita benissimo nell’intento. Oserei dire che, non me ne voglia l’autrice che so quando sia legata alla figura del Magnifico, ho trovato questo secondo romanzo molto più maturo, più incisivo e più fluido, sia a livello stilistico sia a livello di trama, rispetto al precedente.

Nel districarsi tra le varie vicende storiche, alcune appena accennate come la storia di Giovanni dalle Bande Nere e il divorzio di Enrico VIII, altre affrontate più dettagliatamente come la questione luterana, Marina Colacchi Simone ha reso omaggio a grandi artisti del mondo della pittura come Brueghel e Bosh, ad autori classici quali Dumas e persino, con mia somma gioia, a maestri orafi fiorentini contemporanei quali Paolo Penko.

Come per il precedente romanzo non mancano coinvolgenti coup de théâtre che rendono il racconto ancora più appassionante. Il ritmo della narrazione è incalzante, tipico della più moderna letteratura, sebbene la trama mantenga sempre quell’impalmabile allure tipica della letteratura sette-ottocentesca a me tanto cara.

Il romanzo è autoconclusivo ma, dopo averlo letto, credo che chiunque resterà in trepidante attesa di poter leggere al più presto il prossimo capitolo.