martedì 6 maggio 2025

“Ombre di spada e di vento” di Poppy Kuroki

Il quadrisavolo di Isla MacKenzie fu, con ogni probabilità, uno dei valorosi guerrieri che combatterono al fianco di Takamori Saigō, il leggendario capo ribelle dei samurai.

Nel 1877, i samurai insorsero contro l'Imperatore, dando vita a una delle ultime grandi battaglie della loro epoca. Lottarono con straordinario coraggio contro l'esercito imperiale, fino a sacrificare la propria vita per il codice d'onore che li aveva guidati per secoli. Con la loro sconfitta, si chiuse definitivamente il capitolo della loro storia, segnando la fine della loro esistenza.

Isla si trova in Giappone per un anno di studio e, durante questo periodo, decide di dedicare qualche giorno alla ricerca delle sue origini. La sua meta è Kagoshima, il luogo dove visse l’eroico avo materno.

Isla, però, non può immaginare neppure lontanamente che le sue ricerche la trascineranno, attraverso un portale temporale, nel lontano 1877. Le figure che aveva studiato sui libri, i personaggi le cui storie aveva appreso nei musei dedicati alla loro memoria, si animeranno davanti ai suoi occhi, trasformando il sapere in esperienza e la storia in realtà pulsante.

Nella Kagoshima del 1877, Isla incontrerà un giovane samurai Keiichirō Maeda  con cui intreccerà un legame indissolubile. L’amore che sboccerà tra loro sarà così profondo da far vacillare ogni certezza, spingendola a mettere in discussione il suo ritorno nel 2005. Nonostante la nostalgia di casa e il richiamo degli affetti familiari, il cuore di Isla resterà ancorato a quel mondo lontano dove si intrecceranno indissolubilmente passato e destino.

Diciamolo chiaramente, l’idea di un viaggio nel tempo non è certo originale. La letteratura e il cinema ci hanno regalato già innumerevoli storie basate su questo affascinante leitmotiv. Tuttavia, la trama del romanzo riesce a conservare un certo un fascino.

A mio avviso, la caratterizzazione dei protagonisti, Isla e Keiichirō, risulta un po’ superficiale, e la loro storia d’amore, per quanto peculiare, non è riuscita a coinvolgermi emotivamente come avrei sperato.

Mi sarei aspettata in generale una descrizione più ricca e sfaccettata dei diversi personaggi, considerando anche l’epoca in cui si svolge la narrazione. Un’epoca in grado di offrire spunti preziosi per arricchire l’intreccio di un romanzo e trasformarlo in un romanzo storico più strutturato e immersivo.

Il libro di Poppy Kuraki è un romance che strizza l’occhio al genere storico più di quanto lo abbracci pienamente. Sebbene gli elementi storici forniscano un’ambientazione suggestiva e intrigante, l’aspetto romantico rimane il cuore pulsante della narrazione. Purtroppo il finale è piuttosto prevedibile, non c'è una spiegazione logica e rimane forte l’impressione che l’autrice abbia scelto la via più semplice per chiudere la vicenda senza riflettere su un epilogo più ragionato e autentico.

Il romanzo ha però un suo fascino e, grazie al suo ritmo fluido e alla trama accattivante, riesce a intrattenere il lettore, offrendo nell’insieme una storia godibile e ben strutturata. Bellissima ed evocativa la copertina.




giovedì 1 maggio 2025

“Quanti moccoli in paradiso” di Lorenzo Andreaggi

Il titolo, pur evocativo, non fa riferimento alle imprecazioni che potrebbero venire in mente, bensì a una salita dalla storia affascinante.

La celebre Salita dei Moccoli si trova nella zona sud di Firenze, nel quartiere Gavinana. Il percorso prende avvio a metà di Via del Paradiso e si sviluppa fino al Borgo dei Moccoli, lungo Via Benedetto Fortini.

L'origine del nome affonda le radici in un'antica tradizione legata alla processione del Corpus Domini. In occasione di questa celebrazione, lungo i muri di cinta venivano sistemati gusci di chiocciole svuotati, riempiti d’olio e dotati di uno stoppino. Questi piccoli lumi, chiamati “moccoli”, illuminavano il cammino della processione, creando un’atmosfera suggestiva e solenne che avvolgeva la strada e ne conferiva il nome. Un dettaglio storico che rende questo angolo di Firenze ancora più affascinante.

Questa è però solo una delle tante affascinanti storie che Lorenzo Andreaggi racconta nel suo approfondito volume dedicato alla storia del contado fiorentino del Bandino.

Attraverso una ricca narrazione, l'autore porta alla luce un patrimonio fatto di memorie, leggende e testimonianze che tratteggiano la vita e le tradizioni di questo territorio. Il libro è un vero e proprio viaggio nel tempo, in cui prendono forma i racconti legati ai personaggi che hanno animato queste terre, ma anche gli aneddoti familiari che hanno contribuito a tessere la storia quotidiana della comunità.

Un’attenzione particolare è riservata alla suggestiva Grotta del Bandino, un luogo affascinante che racchiude in sé storie e leggende legate al passato e alla cultura locale. 

Il libro di Lorenzo Andreaggi si caratterizza per l'accuratezza della ricerca, la passione per le tradizioni e il desiderio di mantenere viva l'essenza di un territorio che merita di essere valorizzato.

Arricchito da un’accurata selezione di fotografie e dettagliate piante topografiche, il volume offre un quadro visivo che riesce a coinvolgere anche il lettore che non ha familiarità con questo territorio, accompagnandolo alla scoperta del contado fiorentino.

Un lavoro curato nei minimi particolari, capace di trasmettere non solo informazioni storiche, ma anche l’emozione di un luogo intriso di memoria e fascino.




sabato 26 aprile 2025

“Onesto” di Francesco Vidotto

Rapito in tenerissima età, Onesto ritrova la sua famiglia all’età di cinque anni. Un ristretto nucleo famigliare composto esclusivamente da lui, suo fratello gemello Santo e sua madre Rita. I tre vivono in condizioni di povertà, lottando ogni giorno per sopravvivere. Tuttavia, ciò che non manca è l’amore, che rappresenta la loro ricchezza più grande, un legame capace di resistere alle avversità più dure.

Nonostante l’amore famigliare, il destino di Onesto sarà segnato dalla solitudine e, forse per riempire quel vuoto, o forse per aggrapparsi ai ricordi, Onesto inizierà a trovare conforto nella scrittura. Le sue lettere, indirizzate non a persone, ma alle amate montagne del Cadore, diventano il suo diario segreto, la voce con cui confidare tutto ciò che gli pesa sul cuore. Le montagne, immutabili e silenti, sono per lui non solo un rifugio fisico, ma anche emotivo, un simbolo della sua eterna appartenenza.

Guido Contin, soprannominato Cognac, possiede solo due cose di grande valore: la sua dentiera e quelle lettere, accuratamente conservate in una cartellina nera dai bordi alzati. È proprio attraverso la lettura di quelle lettere che si svela al lettore la complessa e struggente storia di Onesto, del gemello Santo e di Celeste, la donna amata da entrambi sin da quando erano poco più che bambini.

Quella di Onesto è una storia familiare che, all’apparenza, potrebbe sembrare comune a tante altre, ma si rivela straordinaria per i tanti eventi che l’hanno attraversata: il rapimento, la miseria, la violenza, la guerra che hanno segnato le vite dei protagonisti. Sullo sfondo, le montagne del Cadore rimangono immutate, testimoni silenziose del tempo che passa, in contrapposizione ai cambiamenti nei paesi e nelle persone.

Il lettore si trova immerso nel racconto, quasi seduto accanto a Guido Contin e Francesco Vidotto, leggendo quelle lettere, vivendo le emozioni dei protagonisti, condividendo il loro dolore, la loro gioia, la loro speranza e le loro delusioni. È un’esperienza così coinvolgente che anche chi legge il romanzo può ritrovarsi sopraffatto da queste emozioni.

Ad un certo punto della narrazione, l’autore vorrebbe leggere l’ultima lettera per scoprire il mistero che essa custodisce, ma Cognac lo trattiene, affermando che, una volta letta, tutto sarà finito. Anche il lettore si ritrova combattuto: da un lato, la voglia di scoprire il finale; dall’altro, il rispetto per quei momenti che necessitano di riflessione e assimilazione.

Mi sono ritrovata a chiudere il libro, posandolo con cura, nonostante il desiderio di proseguire fosse forte, quasi irresistibile, ho scelto di aspettare il giorno successivo, seguendo i saggi consigli di Guido Contin. È stato un atto di rispetto, non solo verso la narrazione, ma anche verso il tempo necessario per assimilare e riflettere su ciò che avevo letto.

Il romanzo di Francesco Vidotto è un’opera che emoziona, commuove e tocca corde profonde. È una storia triste, ma intensa e autentica, in cui i sentimenti narrati emergono con forza. Le lettere, le montagne, e i personaggi diventano parte di un quadro che racconta la forza della memoria e dell’amore. È un libro che riesce a trasformare il dolore in poesia e che lascia il lettore con il desiderio di custodire ogni emozione narrata come un tesoro prezioso.

 


martedì 22 aprile 2025

“Claudia de’ Medici sul trono del Tirolo” di Louise von Mini-Hansen

Claudia de’ Medici (1604-1648), ultima figlia di Ferdinando I e Cristina di Lorena, fu una figura straordinaria per determinazione e lungimiranza.

La sua vita fu segnata da eventi drammatici e scelte coraggiose che la portarono a emergere come una delle donne più influenti della sua epoca.

Nel 1621, Claudia sposò Francesco Ubaldo Della Rovere, duca di Urbino, un matrimonio che si rivelò infelice a causa del carattere distante e arrogante del marito. L'unione generò una sola figlia, Vittoria Della Rovere, ma non riuscì a garantire la continuità dinastica del Ducato di Urbino, che tornò sotto il controllo papale. Rimasta vedova a soli diciannove anni, Claudia tornò a Firenze con la figlia e si ritirò in convento.

Il 25 marzo 1626, Claudia sposò per procura l'arciduca Leopoldo V d’Asburgo, diventando arciduchessa d’Austria e contessa del Tirolo. Questo secondo matrimonio fu felice e prospero, ma si concluse prematuramente con la morte di Leopoldo nel 1632. Nonostante le iniziali resistenze dell'imperatore, Claudia fu nominata reggente del Tirolo, seguendo le volontà testamentarie del marito, e governò con saggezza fino alla maggiore età del figlio primogenito, Ferdinando Carlo.

Claudia si distinse per la sua abilità politica e amministrativa in un contesto dominato dagli uomini e segnato dalla guerra. Fu una sovrana attenta ai bisogni dei suoi sudditi, promotrice del bilinguismo e delle arti, trasformando la corte di Innsbruck in un centro culturale di grande prestigio. Inoltre, incentivò gli scambi commerciali istituendo il Magistrato Mercantile, contribuendo a rafforzare l'importanza internazionale di Bolzano.

Profondamente cattolica, Claudia lasciò che la sua fede guidasse molte delle sue azioni, ma non permise mai che il suo ruolo di donna la relegasse ai margini. La sua determinazione e il suo spirito innovativo la resero una figura unica nel panorama politico e culturale dell'epoca.

La sua vita è narrata in forma di romanzo, una lettura piacevole e coinvolgente, sebbene non priva di gravi errori storici.

Tra gli errori presenti nel libro, spicca la congiura dei Pazzi, che l'autrice colloca erroneamente il lunedì di Pasqua invece che nell'ultima domenica di Pasqua, come realmente accaduto. Un altro errore riguarda il nome del fratello di Lorenzo de' Medici: nel libro è chiamato Piero, ma il suo nome era Giuliano (Piero era invece il nome del loro padre).

Particolarmente grave è la confusione tra Cosimo I e Cosimo il Vecchio, che l’autrice perpetua per diverse pagine. Louise von Mini-Hansen attribuisce a Cosimo I, nonno di Claudia, il merito di aver commissionato a Brunelleschi i lavori per la cupola del Duomo di Firenze, arrivando persino a definirlo il "talent scout" dell'architetto. Le date fornite nel testo (nascita 1519 e morte 1574) riferite a Cosimo I sono corrette, peccato che Brunelleschi visse molti anni prima (1377-1446), rendendo questa attribuzione evidentemente impossibile.

Gli errori genealogici e storici proseguono, ma anche limitandosi ai sopracitati, è evidente quanto incidano negativamente sulla qualità del volume.

La figura di Claudia de’ Medici rimane affascinante e merita di essere ricordata per il suo contributo alla storia e alla cultura del suo tempo, ma le gravi inesattezze riportate nel libro rendono difficile consigliare la lettura dell’opera. Un vero peccato.

 



domenica 20 aprile 2025

“Alma” di Federica Manzon

Il passato: fardello o risorsa? Questo interrogativo attraversa tutto il romanzo, insinuandosi nelle riflessioni della protagonista e nelle dinamiche della trama. Indubbiamente, il passato è essenziale per comprendere se stessi e le proprie origini. Eppure, può trasformarsi in un peso soffocante, un bagaglio ingombrante da sotterrare per vivere più serenamente, concentrandosi esclusivamente sul futuro. Non di rado viene percepito come un masso legato alla caviglia, un vincolo che ostacola il percorso verso la realizzazione personale e l'apertura a nuove prospettive.

Alma, protagonista del romanzo di Federica Manzon, incarna perfettamente questa lotta interiore. Decisa a lasciarsi alle spalle il suo passato, si trasferisce a Roma per ricominciare a vivere. Tuttavia, i ricordi si rivelano tenaci, inseguendola nonostante i suoi tentativi di rimuoverli. Inevitabilmente, giunge il momento in cui Alma è costretta a confrontarsi con quell'eredità che tanto aveva cercato di ignorare. La chiamata arriva sotto forma dell'eredità paterna: Alma deve tornare nella sua città natale, Trieste.

Trieste è per Alma il crocevia delle sue radici, un intrico di culture e lingue diverse. Da un lato, la tradizione del nonno, legata all’Impero Austro-Ungarico e al mondo accademico e borghese. Dall’altro, il retaggio paterno, permeato della cultura slava e di un universo estraneo, eppure famigliare al tempo stesso, il "di là". 

In questo ritorno, Alma si scontra con la complessità del proprio passato e delle proprie origini. La sua infanzia era stata segnata da un mosaico di passioni per la letteratura, il teatro e la poesia, retaggi di un’Europa antica, intrecciati al comunismo slavo e ai paesaggi del Carso, dove la famiglia si era trasferita dopo la rottura con i nonni materni.

Il difficile rapporto di Alma con il padre, una figura enigmatica divisa tra l’Italia e l’ex Jugoslavia di Tito, rappresenta un nodo irrisolto; il padre è al contempo un personaggio distante e affascinante.

L’assenza di radici solide, frutto della scelta consapevole dei genitori per garantire ad Alma la libertà di plasmare il proprio futuro senza vincoli, si rivela una libertà ambivalente. Crescendo senza punti di riferimento chiari, Alma si rifugia nell'evitare legami profondi e nell'esperienza di relazioni fugaci.

Non meno complesso è il legame con la madre, che canalizza tutto il suo amore verso il marito, lasciando Alma ai margini e contribuendo al suo senso di alienazione.

Il romanzo di Federica Manzon si distingue per una narrazione stratificata, densa di introspezione psicologica e riflessioni sulla storia. Contrappone figure opposte, come il nonno e il padre di Alma, mentre la protagonista emerge come un simbolo delle tensioni e degli ideali delle loro culture.

Un altro personaggio che arricchisce la narrazione è Vili, giovane figlio di intellettuali belgradesi, in fuga dalle persecuzioni di Tito. Anche lui vive lo sradicamento, lontano dalle sue origini, condividendo con Alma il tormento di una ricerca identitaria. Due anime affini, accomunate dalla difficoltà di trovare un equilibrio personale e di coppia.

La prosa di Federica Manzon sfida il lettore, procedendo con lentezza iniziale e conquistandolo a poco a poco. L’autrice non offre riferimenti geografici espliciti, affidando al lettore il compito di collegare luoghi e contesti storici, come l’ex Jugoslavia di Tito e le guerre che ne seguirono. Il romanzo indaga le sfumature della storia, dove bene e male si intrecciano, dove i fatti sono sempre sporchi e opachi, dove spesso i crimini restano impuniti e le ferite dell’anima si trasformano in cicatrici profonde.

"Alma" un libro che stimola riflessioni profonde, proponendo una visione sfaccettata e complessa delle eredità culturali e delle scelte personali.

 

 


domenica 13 aprile 2025

“Il nonno racconta Firenze” di Luciano e Ricciardo Artusi

Si afferma che ignorare il passato precluda la comprensione del presente e condanni all'ignoranza sul futuro, per quanto esso rimanga insondabile.

Partendo da questa riflessione, Luciano e Ricciardo Artusi dedicano il loro libro alle nuove generazioni, con l'obiettivo di stimolarne la curiosità verso il passato e di incoraggiarle a esplorare l'immenso patrimonio artistico, storico e culturale lasciato dagli antichi fiorentini.

Il racconto inizia dalle ere geologiche più antiche, quando l'area destinata a ospitare Firenze era sommersa da un vastissimo lago, che si estendeva fino a Pistoia. Da questo scenario primordiale, il viaggio si snoda attraverso le epoche, raccontando la Firenze romana, medievale e rinascimentale, con i suoi straordinari contributi artistici e culturali. Particolare enfasi è posta sull'influenza delle dinastie medicea e lorenese, che hanno plasmato la città e l'hanno resa un faro di arte e civiltà. Il percorso culmina con gli anni in cui Firenze fu scelta come "Capitale" del neonato Regno d’Italia, un periodo cruciale che si estese dal 1865 al 1871.

Il libro segue un rigoroso ordine cronologico, arricchito da una miriade di aneddoti, modi di dire, vicende storiche, curiosità e personaggi che tornano in vita attraverso le sue pagine. È un viaggio affascinante e dettagliato, lungo ben 483 pagine, che attraversa i secoli, permettendo al lettore di immergersi completamente nella storia di Firenze.

Camminando per le strade di questa città unica, ci si imbatte in numerosi segni tangibili del suo passato glorioso: targhe commemorative, tabernacoli, pietre, simboli, tutti testimonianze silenziose di ciò che è stato.

Il libro di Luciano e Ricciardo Artusi si rivela una vera e propria mappa di questi segni, un invito a interpretarli e decifrarli, per riscoprire il significato nascosto dietro ogni dettaglio.

Il volume è organizzato in brevi capitoli, strutturati come delle schede tematiche. Ogni capitolo esplora uno specifico argomento che, grazie a riferimenti incrociati, si intreccia con gli altri, garantendo al lettore un racconto coerente e uniforme. Questa struttura rende il libro un’esperienza coinvolgente e istruttiva, ideale per chi desidera approfondire le molteplici sfaccettature della storia fiorentina.

Un'opera che affascina e incanta, proprio come la sua protagonista: Firenze.


 


giovedì 27 marzo 2025

“Per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri” a cura di Samuele Lastrucci

Dal 2001, ogni 18 febbraio, Firenze celebra il giorno dedicato alla memoria di Anna Maria Luisa de’ Medici, ricorrenza che segna l'anniversario della morte dell'Elettrice Palatina, ultima discendente del ramo granducale dei Medici. Questo tributo sottolinea il suo straordinario apporto alla tutela del patrimonio culturale della città e della Toscana.

Grazie alla sua visione e determinazione, Firenze e l'intera regione hanno potuto preservare una concentrazione ineguagliabile di opere d'arte e documenti d'archivio.

Diversamente da ciò che accadde in altri Stati italiani, dove collezioni come quelle Farnese del Ducato di Parma e Piacenza furono trasferite a Napoli o quelle del Ducato di Urbino finirono in Toscana come eredità di Vittoria della Rovere, Anna Maria Luisa de’ Medici riuscì a proteggere le collezioni medicee da una simile dispersione.

Con la Convenzione sottoscritta il 31 ottobre 1737 insieme a Francesco Stefano di Lorena, l'Elettrice stabilì il vincolo delle collezioni alla città di Firenze e alla Toscana, un atto di coraggio straordinario per il suo tempo.

Il volume offre le copie anastatiche del celebre "Patto di Famiglia" in francese e in italiano, insieme a documenti correlati, come la ratifica di Francesco Stefano di Lorena, le lettere e l'Inventario delle gioie di Casa Medici. Questi preziosi materiali, conservati nell'Archivio di Stato di Firenze (fondo Trattati internazionali al n. 56), permettono di approfondire il contesto storico dell'accordo.

Le intenzioni di Anna Maria Luisa non si limitavano a tutelare le sole opere d'arte: ella desiderava infatti salvaguardare argenti, mobili, reliquie e altri beni preziosi delle guardarobe, ville e palazzi di città e campagna. Tuttavia, il testo definitivo della Convenzione escluse questi oggetti, considerandoli d'uso quotidiano, il che ne consentì purtroppo la dispersione.

Un'importante sezione del volume, curata da Samuele Lastrucci, approfondisce la complessa situazione politica europea ai tempi di Cosimo III e di Gian Gastone, facendo chiarezza anche sulla natura degli Stati medicei, natura che in verità appariva piuttosto confusa ieri come oggi.

Il volume, pubblicato dalla Regione Toscana, mira a coinvolgere cittadini e studiosi nella riscoperta della storia legata alla trasmissione del patrimonio mediceo. Attraverso le sue pagine, viene messo in evidenza il ruolo fondamentale svolto dall'Elettrice Palatina nel definire l'identità culturale di Firenze e della Toscana.

La sua lungimiranza non solo ha salvaguardato un patrimonio inestimabile, ma ha anche anticipato i tempi, gettando le basi per la nascita del turismo culturale come lo intendiamo oggi.